OPINIONE PUBBLICA
di Giuseppe Bedeschi
L''opinione pubblica' (che non è mai qualcosa di unitario, se non in momenti eccezionali, bensì è l'insieme delle grandi correnti di opinione - a volte diverse, a volte addirittura contrapposte fra loro - dominanti in una società) sorge e si costituisce nelle società moderne in primo luogo grazie alla vasta diffusione dei libri e degli opuscoli, resa possibile dall'invenzione della stampa, allo sviluppo dei giornali e delle pubblicazioni periodiche, al formarsi delle accademie e delle organizzazioni culturali e politiche. Tutti questi strumenti esprimono e diffondono le idee, le esigenze e gli umori di società civili che divengono sempre più variegate e complesse grazie allo sviluppo economico e tecnologico, il quale modifica incessantemente i modi di vita e genera nuove classi e nuovi ceti sociali. Il sorgere dell'opinione pubblica ha infatti come presupposto essenziale il costituirsi di una società civile complessa e articolata (classico è il caso dell'Olanda del Seicento, con il suo impetuoso sviluppo economico accompagnato da un altrettanto impetuoso sviluppo sociale e culturale, caratterizzato da un ampio pluralismo), che in un primo tempo rivendica una propria autonomia dal potere politico, e successivamente esige che tale potere sia una sua emanazione e che resti sotto il suo costante controllo.Là dove, come in Inghilterra e in Francia, tali processi si sono svolti attraverso profonde convulsioni sociali e politiche, il formarsi dell'opinione pubblica è stato un fenomeno che ha avuto un'estensione e un'accelerazione eccezionali, e ha esercitato un influsso decisivo sugli avvenimenti.
Per quanto riguarda l'Inghilterra, si pensi alla sua prima Rivoluzione, al profondo travaglio religioso e politico che la prepara e che trova espressione nel corso di essa. È stato giustamente osservato che la natura rivoluzionaria della prima Rivoluzione inglese è dimostrata in modo forse più convincente dalle sue parole che dai suoi fatti: basti pensare che tra il 1640 e il 1661 si pubblicarono in Inghilterra più di 22.000 sermoni, discorsi, libelli e giornali. "Questo fiume di parole stampate - è stato ben scritto - è il sintomo di un cozzo di idee e di ideologie, e dell'affermarsi di concezioni radicali su ogni aspetto del comportamento umano e su ogni istituzione sociale, dalla famiglia, alla Chiesa, allo Stato" (cfr. L. Stone, The causes of the English revolution 1529-1642, London 1972; tr. it., Torino 1982, p. 60). La prima Rivoluzione inglese non potrebbe dunque essere adeguatamente intesa senza tener conto del ricco e complesso movimento di 'pubblica opinione' - riguardante tutti i campi della vita sociale - che la prepara e la orienta.Lo stesso si può dire della Francia, dove l'illuminismo costituisce la premessa ideale essenziale della grande Rivoluzione (e vedremo che non a caso il concetto di opinione pubblica sorge per la prima volta, in modo consapevole e organico, nell'ambito del movimento illuministico), e dove nel corso della Rivoluzione medesima il processo di formazione e di manifestazione dell'opinione pubblica conosce un'accelerazione inaudita: basti pensare che, mentre prima della Rivoluzione esistevano in Francia 14 giornali politici, dal luglio 1789 all'agosto 1792 ne nacquero 1.400.
L'opinione pubblica nasce sul terreno di questi processi economico-sociali, politici e culturali che hanno luogo nell'Europa del Seicento e del Settecento; ed è infatti in questo periodo che il concetto di opinione pubblica viene elaborato e teorizzato dalle élites culturali.
Si è soliti far risalire a Locke la prima formulazione, sia pure embrionale, del concetto di 'opinione pubblica'. Infatti, nel Saggio sull'intelligenza umana (libro II, cap. XXVIII, parr. 7 ss.), il filosofo inglese, dopo aver detto che le leggi alle quali gli uomini riferiscono le loro azioni, per giudicare della loro rettitudine o meno, sono tre (la legge divina, la legge civile, la legge dell'opinione o reputazione), aggiunge: "Appare chiaro che tali nomi della virtù e del vizio, nei casi particolari della loro applicazione in mezzo alle varie nazioni e società umane nel mondo, sono costantemente attribuiti soltanto a quelle azioni che in ciascun paese e società godono reputazione o discredito", sicché "la misura di ciò che dovunque è detto e stimato virtù e vizio è questa approvazione o deplorazione, elogio o biasimo, che, per segreto e tacito consenso si stabilisce in ciascuna singola società, tribù e circolo d'uomini nel mondo: per cui varie azioni vengono a trovare credito o deplorazione tra di essi, secondo il giudizio, le massime o il costume di quel luogo" (par. 10).
Queste affermazioni di Locke sono certo importanti, per la distinzione che esse contengono fra legge civile (emanata dal potere legislativo) e legge dell'opinione, che ha il suo fondamento nel fatto che gli uomini, una volta usciti dallo stato di natura ed entrati in una società civile o politica (i due termini sono sinonimi per il filosofo inglese), "conservano ancora il potere di giudicare il bene e il male, approvando o disapprovando le azioni di coloro fra i quali vivono e con cui hanno rapporti" (ibid.). È evidente che la distinzione lockiana fra legge civile e legge dell'opinione corrisponde alla distinzione fra sfera politica e sfera morale e ideale: e se la seconda non è superiore alla prima (poiché lo Stato lockiano si basa sul consenso dei cittadini), essa gode però di una sua autonomia, che deve essere riconosciuta e rigorosamente tutelata dal potere politico.
E tuttavia, nonostante la grande importanza di queste affermazioni di Locke, bisogna guardarsi dalla tentazione di trovare in esse più di quanto contengano. Infatti, come è stato riconosciuto (v. Matteucci, 1980), il punto focale dei passi lockiani sopra citati è costituito dalla reputazione o fama dei singoli nella società, la quale li approva o li condanna a seconda delle loro virtù o dei loro vizi; ma è del tutto assente, in quei passi, il momento della discussione pubblica, e del suo rapporto con la sfera politica.
Questo aspetto, che è essenziale per il concetto di opinione pubblica, viene elaborato nel Settecento dal pensiero illuministico. Nel 1753 D'Alembert pubblica l'Essai sur la société des gens de lettres et des grands, in cui pronuncia un'appassionata difesa del ruolo degli "uomini di lettere" (oggi noi diremmo degli intellettuali) nell'ambito della società civile: essi devono ricercare la verità in piena e totale autonomia, anche a prezzo della povertà, senza cedere alle lusinghe dei potenti, del loro mecenatismo corruttore che trasforma il filosofo in cortigiano. Se gli uomini di lettere riescono a mantenersi completamente indipendenti dal potere politico e, più in generale, dai "potenti", se essi riescono a "vivere uniti", consapevoli della loro vocazione e della loro funzione, "in certo modo chiusi in se stessi", allora essi possono esercitare un influsso profondo sulla società civile, nonostante e contro l'assolutismo della sfera politica: "essi giungeranno senza difficoltà - dice D'Alembert - a dettar legge al resto della nazione in materia di gusto e di filosofia" (Saggio sui rapporti tra intellettuali e potenti, Torino 1977, p. 55). L'autore non usa l'espressione 'opinione pubblica', ma è evidente che questo concetto è implicito nell'idea che una funzione essenziale degli uomini di lettere o intellettuali sia quella di orientare la nazione "in materia di gusto e di filosofia", cioè sui grandi temi sociali e culturali del paese. Ed è appena il caso di ricordare, a questo proposito, la grande battaglia degli illuministi contro la censura e per la libertà di stampa, battaglia che ha nel saggio di Diderot Sur la liberté de la presse (1763-1764) una delle sue manifestazioni più alte. Si deve, del resto, a uno scrittore vicino a Diderot, Louis-Sébastien Mercier, una delle più limpide formulazioni del concetto di opinion publique: "I buoni libri - egli dice - spandono lumi in tutte le classi del popolo, ornano la verità. Sono essi che già governano l'Europa, che illuminano il governo sui suoi doveri, sui suoi errori, sui suoi veri interessi, sull'opinione pubblica che esso deve ascoltare e seguire: questi buoni libri sono maestri pazienti che attendono il risveglio degli amministratori degli Stati e la calma delle loro passioni" (Notions claires sur les gouvernements, Amsterdam 1787, p. IV). Qui, come si vede, gli uomini di lettere (autori dei buoni libri) devono illuminare i governanti e indicare loro quella pubblica opinione che gli stessi uomini di lettere formano e interpretano.
Ma è soprattutto Kant a dare quella che può essere considerata la formulazione più chiara e più organica della funzione che deve essere svolta dagli uomini di cultura per orientare lo spirito pubblico - che noi oggi chiamiamo la pubblica opinione - in modo tale che i sovrani debbano tener conto, prima o poi, dei mutamenti avvenuti in esso. Per Kant deve essere senz'altro riconosciuto al cittadino il diritto di manifestare pubblicamente la propria opinione su ciò che nei decreti sovrani egli ritiene che arrechi ingiustizia alla comunità. "Dunque - dice Kant - la libertà della penna - tenuta nei limiti del rispetto e dell'amore per la costituzione sotto la quale si vive dai sentimenti liberali che ispirano i sudditi (le cui penne si limitano reciprocamente da sé per non perdere tale libertà) - è l'unico palladio dei diritti del popolo" (Sopra il detto comune: "questo può essere giusto in teoria ma non vale per la pratica" - 1793 - in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Torino 1965, p. 270). Contestare al popolo questa libertà significherebbe non solo privarlo di ogni pretesa giuridica nei riguardi del sovrano (come vuole Hobbes), ma anche togliere al sovrano stesso ogni conoscenza di ciò che, se gli fosse noto, ne modificherebbe l'opinione (pp. 270-271).Si profila qui la concezione kantiana dell'illuminismo, che è per il filosofo tedesco l'uscita degli uomini da uno stato di minorità dovuto alla mancanza di decisione e di coraggio nel far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. "Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo - dice Kant - il motto dell'illuminismo" (Risposta alla domanda: che cosa è l'Illuminismo? - 1784 - in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Torino 1965, p. 141).
Al tempo stesso, però, poiché il pubblico colto, pur avendo il diritto-dovere di esprimere liberamente il proprio punto di vista sui più vari problemi - punto di vista che può ben essere in contrasto con quello dell'autorità sovrana - deve ubbidire sempre e comunque a essa (Kant nega infatti il diritto di resistenza dei sudditi), occorre distinguere fra un uso pubblico e un uso privato della ragione. "Intendo - dice Kant - per uso pubblico della propria ragione l'uso che uno ne fa come studioso davanti all'intero pubblico dei lettori. Chiamo invece uso privato della ragione quello che alcuno può farne in un certo impiego o funzione civile a lui affidata". Mentre nel primo caso gli studiosi devono godere della più completa libertà, nel secondo caso essi devono ispirare la loro condotta alla volontà del governo: "qui senza dubbio non è permesso di ragionare, ma si deve ubbidire" (p. 143).
Così un ufficiale deve ubbidire sempre e comunque agli ordini dei suoi superiori, e sarebbe assurdo se, in servizio, volesse ragionare pubblicamente sull'opportunità e utilità di tali ordini; ma non è giusto impedirgli in qualità di studioso di fare le sue osservazioni sugli errori commessi nelle operazioni di guerra, e di sottoporre tali osservazioni al giudizio del pubblico. Allo stesso modo il cittadino non può rifiutarsi di pagare i tributi che gli vengono imposti; tuttavia egli può, come studioso, manifestare apertamente il proprio pensiero sull'iniquità del sistema fiscale, e così via.La libertà del cittadino in quanto essere pensante è dunque per Kant una libertà dimidiata, che trova nella volontà dell'autorità costituita il proprio limite invalicabile. Si può, anzi si deve ragionare pubblicamente come sembra più giusto, ma si deve sempre e comunque ubbidire. Qui si misura certo tutta l'arretratezza della posizione politica di Kant (e, più in generale, della cultura politica tedesca) rispetto a quella di Locke (teorico del diritto di resistenza dei cittadini contro un governo iniquo), espressa un secolo prima. E tuttavia non si può non apprezzare il ruolo che Kant attribuisce agli uomini di cultura nell'orientare e nel plasmare le idee dei cittadini, con effetti di grande importanza nella sfera sociale e politica. Egli infatti sottolinea che la libertà del pubblico colto di manifestare il proprio pensiero sugli argomenti e sui problemi più vari non può non incidere, alla lunga, sullo spirito pubblico, cioè su quella che noi oggi chiamiamo la pubblica opinione, e quindi "da ultimo anche sui principî del governo, che finisce per comprendere che è per lui vantaggioso trattare [...] l'uomo in modo conforme alla sua dignità" (p. 149). E questa è secondo il filosofo tedesco una garanzia sufficiente per il trionfo, prima o poi, della razionalità politica.
Assai più arretrata, rispetto a Kant, è la posizione assunta da Hegel sul problema dell'opinione pubblica. Nella Filosofia del diritto (1821) egli dice che le Camere (la Camera alta, di casta, e la Camera bassa, formata dai rappresentanti delle corporazioni) devono dibattere pubblicamente. Alla pubblicità dei dibattiti parlamentari Hegel annette grande importanza, come potente strumento di educazione dell'opinione pubblica (egli usa questa espressione nel suo significato moderno: "die öffentliche Meinung"). Senonché egli esclude il movimento inverso, e cioè che l'opinione pubblica possa esercitare un benefico influsso sulle Camere, trasmettendo a esse il proprio spirito e i propri problemi. Il popolo, infatti, considerato senza il suo monarca, senza l'organizzazione burocratico-statuale e senza le corporazioni che danno una struttura comunitaria alla classe media (artigiani, industriali e commercianti), è per Hegel "la parte che non sa quel che vuole", poiché, egli dice, "sapere che cosa si vuole, e, ancor più, che cosa vuole la volontà che è in sé e per sé, la ragione, è il frutto di una conoscenza e di una penetrazione più profonda che, appunto, non è affare del popolo" (par. 301).
Tale conoscenza e penetrazione più profonda è propria del governo e della "classe generale" (la burocrazia al servizio dello Stato), nonché dei membri della Camera alta e dei rappresentanti delle corporazioni che formano la Camera bassa: tutti costoro educano l'opinione pubblica, la quale è continuamente insidiata dalle passioni e dalla irrazionalità del cosiddetto popolo, sicché da un lato essa ha nobili aspirazioni (nella misura in cui viene educata e formata), e dall'altro lato (in quanto espressione del "popolo") è compromessa da pregiudizi, ignoranza, mancanza di cognizioni, ecc., e dunque "merita di venire tanto apprezzata quanto disprezzata" (parr. 316-318). Questo modo hegeliano di presentare il problema dell'opinione pubblica (modo che risponde organicamente allo spirito della Restaurazione) costituisce l'esatto contrappunto della ferma difesa che nello stesso periodo Benjamin Constant fa dell'opinione pubblica (e non si dimentichi che Hegel conosceva assai bene gli scritti constantiani). L'impostazione constantiana è assai interessante e articolata, e merita di essere vista nei dettagli.Nei Principes de politique (1815) Constant, dopo aver lamentato che "la rappresentanza nazionale è stata fra noi spesso meno avanzata dell'opinione pubblica in molte materie", difende l'elezione diretta, l'unica, a suo avviso, che possa far godere alla Francia i benefici del governo rappresentativo. "È questa - dice Constant - che dal 1788 porta alla Camera dei Comuni britannica tutti gli uomini illuminati". E aggiunge: "Soltanto l'elezione diretta può investire la rappresentanza nazionale di una vera forza e darle radici profonde nell'opinione [pubblica]. Il rappresentante nominato in altro modo non trova in nessun luogo una voce che riconosca la sua" (Principî di politica, Roma 1965, p. 101).
La rappresentanza, dunque, è viva e vitale solo se ha radici profonde nell'opinione pubblica, e solo in tal caso essa è in grado di esprimere un governo degno di questo nome. Il legame tra la rappresentanza e l'opinione pubblica deve essere tanto più favorito e garantito, in quanto "le assemblee sono sempre troppo inclini ad acquisire uno spirito di corpo che le isola dalla nazione" (p. 107). Queste posizioni di Constant si riconnettono alla concezione inglese della pubblica opinione, quale fu espressa da Edmund Burke in diverse lettere ai suoi elettori, nelle quali sottolineava che sono "l'opinione generale" e "lo spirito pubblico" a dare legittimità al Parlamento. E aggiungeva: "Nei negozi e nelle fabbriche dei paesi liberi si può trovare una saggezza e una sagacia pubblica più reale che nei gabinetti dei principi [...]. La vostra importanza, quindi, dipende nel suo complesso dall'uso discreto e costante della vostra ragione" (v. Matteucci, 1980). Naturalmente, ed è appena il caso di ricordarlo, Constant ha una concezione rigorosamente censitaria del diritto elettorale, e per lui l'opinione pubblica è l'opinione dei possidenti. E tuttavia resta il fatto che egli formula la concezione più completa e avanzata che sia stata espressa fino a quel momento dell'opinione pubblica, come terreno nel quale la rappresentanza deve affondare le proprie radici, e come sfera i cui orientamenti ideali e politici devono avere la massima libertà di manifestarsi. Si inserisce in tale contesto l'appassionata difesa che Constant ha sempre fatto della libertà di stampa.
È, questo, un tema che percorre tutta la meditazione politica del grande pensatore liberale, e che trova forse la sua formulazione più alta nel grande discorso da lui pronunciato il 13 febbraio 1827 alla Camera dei deputati contro il progetto di legge relativo alla censura sulla stampa. In questo discorso Constant supera i limiti classisti della sua concezione politica là dove afferma che la libertà di stampa "è necessaria per tutte le classi", poiché, "come i cittadini hanno bisogno di chiamare aiuto quando sono aggrediti per strada o quando di notte si viola il loro domicilio, così hanno bisogno della stampa per poter reclamare quando sono colpiti dall'arbitrio e dalle vessazioni" (in Antologia degli scritti politici di Benjamin Constant, Bologna 1962, p. 145). Come si vede, la libertà di stampa è considerata qui come una fondamentale libertà civile che spetta a tutti, quale che sia la loro condizione sociale. Certo, l'obiettivo del governo di Carlo X era quello di imbavagliare in primo luogo e soprattutto la classe media, la quale, dice Constant, "è indipendente perché la sua ricchezza si fonda sul suo lavoro, è illuminata perché legge e ragiona, ama la giustizia perché non ha interessi contrari alla giustizia". Questa classe costituisce il nerbo della nazione: ecco perché il governo vuole abbrutirla o distruggerla. Ma distruggerla senza abbrutirla è impresa difficile; e poiché essa è consapevole dei suoi diritti, che quarant'anni di esercizio le hanno reso cari, e che la libertà di stampa aiuta a ricordare e a difendere, ecco che il governo vuole impedirle di leggere per farle dimenticare quei diritti; dopo sarà più facile impedirle di parlare e opprimerla senza ostacoli (p. 149).
Ma, continua Constant, pur essendo l'attacco del governo diretto principalmente contro la classe media, è la pubblica opinione in generale che esso vuole coartare e disarticolare. Nel mirino del governo, infatti, ci sono in primo luogo i giornali quotidiani, che sono ormai divenuti un bisogno per tutti. "Essi sono espressioni di diverse opinioni, costituiscono un legame intellettuale fra i cittadini che accolgono le diverse opinioni, aiutandoli così nella comprensione reciproca. Ma non bisogna che i cittadini si comprendano. Nessun legame deve esistere tra loro. Solo così il dispotismo può rovesciarsi su questi atomi isolati come sulla polvere" (p. 150).Libertà di stampa, dunque, come condizione essenziale del formarsi di libere opinioni individuali, le quali vengono a costituire tutte insieme l'opinione pubblica quale baluardo fondamentale contro il dispotismo. Su questi temi Constant ha insistito e martellato durante tutta la Restaurazione, assai prima e assai più efficacemente dei cosiddetti 'dottrinari' (Royer-Collard, Guizot, ecc.), al fine di rendere più ampio e più saldo quel poco di libertà di stampa che era stato accordato dai Borboni, in verità con molta parsimonia. E del resto, quando i dottrinari verranno maturando una posizione sempre più critica verso la legislazione borbonica e sempre più favorevole alla libertà di stampa, anche e soprattutto dei giornali, quale condizione fondamentale per il formarsi di una libera opinione pubblica, si esprimeranno con concetti e quasi con parole constantiani (v. Compagna, 1979, p. 157). "Nessuno oggi ignora - dice Royer-Collard alla Camera nel dicembre 1817 - che per le società moderne sparse su vasti territori e che mai si riuniscono in una comune deliberazione, la libera pubblicazione delle opinioni individuali attraverso la stampa non è soltanto condizione della libertà politica, ma ne è il principio primo, poiché essa sola può formare nel seno di una nazione un'opinione generale circa i suoi problemi e i suoi interessi" (cfr. P. de Barante, La vie politique de M. Royer-Collard, ses discours et ses écrits, Paris 1861, vol. I, p. 340).
Il concetto di opinione pubblica ha un ruolo significativo anche nell'opera di Marx. Marx vede nella separazione fra Stato (sfera giuridico-istituzionale) e società civile (sfera economico-sociale) una delle caratteristiche essenziali della società borghese moderna. In questa società tutti sono eguali nell'ambito giuridico-istituzionale, ma tutti sono disuguali nella sfera economico-sociale. Le istituzioni politiche (e, più in generale, la macchina statuale borghese) mostrano però di essere non già degli strumenti 'neutri', bensì degli strumenti che servono a garantire e a perpetuare l'ineguaglianza sociale e lo sfruttamento capitalistico. Sin dalle sue opere giovanili, Marx indica nel superamento della scissione fra Stato e società civile, fra sfera politica e sfera sociale, la condizione fondamentale per realizzare un'eguaglianza effettiva, ovvero per edificare la società socialista caratterizzata dall'autogoverno dei produttori, nella quale la politica nella sua separatezza scompare e viene riassorbita dalla comunità autoregolantesi. Nelle opere della maturità Marx vede nel regime parlamentare borghese il "regime dell'irrequietezza", ovvero un regime che, in quanto vive della discussione, e fa continuamente appello alle opinioni diffuse nel paese, cioè all'opinione pubblica, mette continuamente in forse se stesso e la sua separatezza dalla sfera sociale.
Marx dice infatti a proposito del regime parlamentare: "La lotta degli oratori alla tribuna provoca le polemiche violente dei giornali; il club di discussione che è il Parlamento viene necessariamente completato dai club di discussione dei salotti e delle osterie; i rappresentanti, che continuamente fanno appello all'opinione pubblica, autorizzano l'opinione pubblica a esprimere con delle petizioni la sua vera opinione. Il regime parlamentare rimette tutto alla decisione delle maggioranze; come le grandi maggioranze non dovrebbero voler decidere al di fuori del Parlamento? Se alla sommità dell'edificio dello Stato si suona il violino, come non aspettarsi che quelli che stanno in basso si mettano a ballare?" (Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte - 1852 - Roma 1947, p. 67). Marx intende dunque per opinione pubblica l'insieme delle esigenze, delle rivendicazioni e delle convinzioni delle grandi masse popolari, che aspirano a diventare protagoniste della vita sociale e politica, e che quindi mirano a sopprimere tutte le istituzioni e tutti i diaframmi che si frappongono davanti a tale obiettivo.
In tutti gli autori visti finora, l'opinione pubblica ha sempre (con la sola eccezione di Hegel) un significato incondizionamente positivo: il suo libero formarsi e il suo libero esplicarsi sono considerati dagli scrittori liberali come la garanzia essenziale contro i pericoli del dispotismo. Marx, a sua volta, considera l'opinione pubblica come uno strumento per abbattere e superare la separatezza della politica dalla sfera sociale.Con Tocqueville e con J.S. Mill incomincia però un modo nuovo di valutare la pubblica opinione, assai più critico e assai più pessimista.La ferma difesa della libertà di stampa è un tema centrale anche dell'opera di Tocqueville (la cui formazione, del resto, avviene sotto l'influsso delle correnti culturali e politiche liberali dell'età della Restaurazione: basti pensare all'intensità del suo sodalizio intellettuale con Royer-Collard). Ma nella prima parte della Democrazia in America (1835) Tocqueville richiama energicamente l'attenzione sui pericoli del dominio irresistibile della maggioranza, che nelle società democratiche viene a configurare una vera e propria tirannide della pubblica opinione ai danni delle minoranze e dei dissenzienti.
Nella seconda parte (1840) del suo capolavoro Tocqueville ritorna più ampiamente sui pericoli di conformismo, di dispotismo della maggioranza e quindi dell'opinione pubblica, insiti nella società democratica di massa.
Tocqueville rileva a questo proposito che, a mano a mano che i cittadini diventano più uguali e più simili, la disposizione di ciascuno a identificarsi nella massa e a credere in essa aumenta, ed è sempre più l'opinione comune a guidare il mondo. Il pubblico viene quindi a godere, presso i popoli democratici, di un singolare potere: "non fa valere le proprie opinioni attraverso la persuasione, ma le impone e le fa penetrare negli animi attraverso una specie di gigantesca pressione dello spirito di tutti sull'intelligenza di ciascuno", sicché "si può prevedere che la fede nell'opinione pubblica diverrà come una specie di religione, di cui la maggioranza sarà il profeta" (La democrazia in America, in Scritti politici, vol. II, Torino 1968, pp. 498-499). Si delinea così il pericolo di un nuovo dispotismo, tanto più pericoloso in quanto non controlla solo i movimenti e le azioni esteriori, bensì annichila l'autonomia dello spirito e isterilisce la creatività dell'intelligenza.Il fatto è che la democrazia, come è uguaglianza delle condizioni sociali e livellamento intellettuale e morale dei singoli, così produce un analogo livellamento nello spirito pubblico. Uomini uguali nei diritti, nell'educazione, nella fortuna, cioè uomini di uguale condizione, hanno necessariamente bisogni, abitudini e gusti assai simili. "Siccome - dice Tocqueville - vedono le cose sotto lo stesso aspetto, la loro mente propende naturalmente verso idee analoghe, e per quanto ciascuno possa discostarsi dai suoi contemporanei e farsi convinzioni proprie, finiscono per ritrovarsi tutti, senza saperlo e senza volerlo, in un certo numero di opinioni comuni" (p. 751). In una società siffatta le personalità fortemente marcate e originali sono sempre più rare, e in ogni caso per esse diventa sempre più difficile affermare idee e concezioni nuove. Nelle democrazie le grandi rivoluzioni intellettuali e spirituali diventano sempre più difficili.
Contro queste tendenze della società democratica di massa, Tocqueville fa appello soprattutto a due strumenti: l'associazionismo e la libertà di stampa. Egli dice che un'associazione politica, o industriale, o commerciale, o scientifica, o letteraria "è come un cittadino illuminato e potente, che non può essere assoggettato a piacere, né oppresso in segreto, e che, difendendo i suoi diritti particolari contro le esigenze del potere, salva le libertà comuni" (p. 818). Nella libertà di stampa, poi, Tocqueville vede un efficacissimo strumento per la difesa dell'individuo contro i pericoli della società egualitaria e la sua tendenza al conformismo. Poiché in tempi d'uguaglianza il cittadino è completamente isolato, atomo fra atomi, e completamente alla mercé delle opinioni dominanti, egli ha un solo modo per difendersi: rivolgersi alla nazione intera attraverso la stampa. "Così, la libertà di stampa è infinitamente più preziosa nelle nazioni democratiche, che non nelle altre; essa è il solo rimedio alla maggior parte dei mali prodotti dall'eguaglianza" (ibid.).
Questa analisi tocquevilliana della società democratica di massa, e dei suoi pericoli, è condivisa da John S. Mill, il quale rimprovera a Bentham e ai suoi seguaci di aver voluto rendere "sempre più stretto il giogo dell'opinione pubblica addosso a ogni pubblico funzionario". E aggiunge: "Certamente si è fatto abbastanza per una potenza quando essa è divenuta la più forte; da questo punto in poi bisogna preoccuparsi piuttosto che questa potenza non schiacci tutte le altre" (Bentham, in "London and Westminster Review", agosto 1838).
Ma è soprattutto nel saggio On liberty (1859) che Mill sviluppa motivi di critica dell'opinione pubblica assai simili a quelli sviluppati da Tocqueville. Anche a Mill il dominio dell'opinione pubblica appare ormai come il dominio dei molti e dei mediocri: "È mera volgarità - egli afferma - il dire che l'opinione pubblica illuminata governa presentemente il mondo: il solo potere che ne meriti il nome è quello delle masse. Ciò si avvera tanto nelle reazioni morali e sociali quanto negli affari politici [...]. E quello che è ancora più nuovo e strano è che le masse attualmente non attingono né ricevono più le loro opinioni, come una volta, dai grandi dignitari della Chiesa e dello Stato, oppure da qualche capo visibile, o dai libri. Le opinioni delle masse sono formate da persone uscite dal loro seno e pressappoco della loro stessa levatura, persone che s'indirizzano al pubblico o parlano in suo nome sulle questioni della giornata, per mezzo dei giornali" (La libertà, Torino 1925, pp. 100-101).
Mill condivide la preoccupazione di Tocqueville circa il destino dell'individuo nella società democratica di massa, in quanto questa società tende a inaridire qualunque originalità individuale e a far trionfare un conformismo universale. L'Europa - dice Mill richiamandosi esplicitamente a Tocqueville - sta avanzando verso l'ideale cinese di rendere tutti gli uomini uguali; classi e individui diventano di giorno in giorno più simili. Oggi la gente legge le stesse cose, ascolta le stesse cose, vede le stesse cose, va negli stessi posti, ecc. Sorge così un'opinione pubblica con gli stessi gusti, gli stessi pensieri, gli stessi sentimenti, le stesse esigenze, le stesse aspirazioni, lo stesso stile di vita. E a tale opinione pubblica gli uomini politici devono adeguarsi, pena il venir meno del consenso. Il non-conformismo perde così qualsiasi sostegno sociale.Anche in Gran Bretagna, dunque, il concetto di opinione pubblica, diffuso già nel Settecento (l'Oxford dictionary lo aveva registrato nel 1781) con significato incondizionatamente positivo, incomincia ad assumere nella seconda metà dell'Ottocento, con John S. Mill, un significato prevalentemente negativo.
Nelle società industriali avanzate del nostro secolo - con la concessione del suffragio universale, con il formarsi dei grandi partiti politici e dei grandi sindacati, con il sorgere delle grandi organizzazioni economiche, con l'intervento sempre più ampio dello Stato nell'economia, e altresì con l'enorme diffusione dei mezzi di comunicazione di massa (quotidiani, rotocalchi, radio e televisione) - il processo di formazione dell'opinione pubblica è diventato sempre più complesso, e tale complessità è stata studiata dalle scienze sociali (sociologia e politologia, in primo luogo). È ormai ammesso da tutti gli studiosi che nelle società industriali avanzate (rette da istituzioni democratiche, beninteso, poiché nei regimi totalitari il problema non si pone nemmeno) il processo di formazione dell'opinione pubblica non è più qualcosa di assolutamente libero, autonomo e spontaneo (come poteva avvenire nelle ristrette élites delle società ottocentesche), e che su di esso influiscono vari elementi (economici e politici) che lo condizionano 'dall'alto', per così dire, e lo plasmano in misura più o meno ampia. L'ampiezza e l'efficacia di questo condizionamento sono oggetto di discussione.Già W. Lippmann, nel suo libro Public opinion, pubblicato nel 1922 (che costituisce uno dei primi lavori seri e profondi sull'argomento), aveva osservato che nelle società industriali avanzate, per la loro grande complessità, per l'ampiezza del pubblico e la sua stratificazione in classi e ceti sociali, per l'impatto crescente dei mezzi di comunicazione di massa, "ciò che l'individuo fa si fonda non su una conoscenza diretta e certa ma su immagini che egli si forma o che gli vengono date". L'insieme delle immagini in base alle quali gli individui o i gruppi di individui agiscono, costituisce per l'appunto l''opinione pubblica'.
Ma tali immagini vengono diffuse - con un grado più o meno cosciente di manipolazione - attraverso i mass media dalle grandi forze (economiche, politiche, religiose, militari) dominanti nella società.Sull'idea che nelle società industriali avanzate l'opinione pubblica sia il risultato di un insieme complicato e variegato di processi di 'manipolazione', o comunque di forte pressione dei ceti superiori sui ceti inferiori, ha poi insistito una vasta letteratura. Così per esempio, Lazarsfeld (v., 1955; v. Lazarsfeld e altri, 1944) ha sostenuto che mentre all'interno di ogni strato sociale si ha una diffusione orizzontale delle mode e delle abitudini di consumo, fra i vari strati sociali, invece, la diffusione delle idee politiche procede in senso verticale, poiché va dai gruppi di status più elevato a quelli di status inferiore. Secondo Lazarsfeld, infatti, gli "opinion leaders in public affairs" sono quasi sempre più colti e hanno una posizione sociale superiore rispetto ai gruppi che sono soggetti alla loro influenza.Una diagnosi estrema - nel senso che nelle società industriali avanzate l'opinione pubblica non solo sarebbe interamente eterodiretta, ma addirittura scomparirebbe in quanto tale, sicché non avrebbe più senso parlare di essa - è stata formulata dalla Scuola di Francoforte. Jürgen Habermas - esponente della seconda generazione di questa Scuola - ha sostenuto in un fortunato libro (Strukturwandel der Öffentlichkeit, 1962) che il venir meno, nelle società industriali avanzate, di qualsiasi confine fra pubblico e privato, fra sfera sociale e sfera politica, fra Stato e società civile, ha del tutto annichilito quella che una volta veniva chiamata opinione pubblica. In particolare, Habermas ha insistito su alcuni aspetti, che qui richiameremo schematicamente.
1. Compenetrazione di sfera pubblica e ambito privato. Il sorgere di grandi imprese, sia private sia (in molti paesi) pubbliche, e l'intervento crescente dello Stato nell'economia e nel campo assistenziale, con il connesso costituirsi di grandi burocrazie, fanno vacillare e poi scomparire la barriera fra Stato e società civile. Sempre più spesso, poi, ha luogo un trasferimento di compiti dell'amministrazione pubblica a imprese, enti, istituti parastatali di diritto privato, cioè ha luogo una sorta di privatizzazione del diritto pubblico. Ma avviene anche il processo inverso di appropriazione del pubblico da parte del privato: le grandi imprese costruiscono alloggi o aiutano il lavoratore a farsi una casa, costruiscono edifici scolastici, chiese e biblioteche, organizzano concerti e rappresentazioni teatrali, tengono corsi di cultura popolare, assistono le persone anziane, gli orfani, ecc. In altre parole, tutta una serie di funzioni che in origine venivano svolte da istituzioni pubbliche, vengono assunte ora da organizzazioni private. Il privato si trasforma così, direttamente e senza mediazioni, in pubblico. E non è raro il caso in cui l'oikos della grande impresa permea la vita dell'intera città e dà origine a quel fenomeno che è stato definito 'feudalesimo industriale'. Autori americani possono perciò fare studi di psicologia sociale sul cosiddetto organization man, senza badare se esso appartenga a una società privata, a un ente semipubblico o a una pubblica amministrazione: quello che conta qui è che organization è sinonimo di grande azienda, la quale pianifica, plasma e controlla, in tutti i suoi dettagli, la vita di centinaia di migliaia, di milioni di individui.
2. Dal pubblico culturalmente critico al pubblico consumatore di cultura. Nella società dell'organization man la tendenza al dibattito pubblico continua ancora a manifestarsi. Le cosiddette 'pubbliche discussioni', le tavole rotonde, le tribune politiche, i dibattiti culturali, vengono continuamente promossi. La radio, le case editrici, le associazioni fanno di tutto ciò una fiorente attività collaterale. Tutto sembra dimostrare che ci si prende la massima cura della discussione e che la sua diffusione non ha limiti. Tuttavia, a veder bene, essa ha subito una trasformazione sostanziale: ha assunto la forma di un bene di consumo. E anche il consumo culturale è al servizio della propaganda economica e politica, cioè della propaganda delle grandi aziende e delle grandi organizzazioni politiche, strettamente intrecciate fra loro e saldamente alleate per assestare il consenso della pubblica opinione sui loro interessi e sulle loro esigenze. Ma qui la pubblica opinione è ormai svuotata di ogni autonomia, e quindi di ogni ruolo che non sia quello della subordinazione dei singoli agli 'interessi superiori', e della conservazione acritica dello status quo economico-politico. A ciò contribuiscono efficacemente i nuovi mezzi di comunicazione di massa (radio, cinema, televisione), che fanno scomparire gradualmente il distacco che il lettore conservava di fronte alla parola stampata. Con i nuovi mezzi, la forma della comunicazione stessa si trasforma; essi sono molto più 'penetranti', nel senso stretto del termine, di quel che sia mai stata la stampa. Il comportamento del pubblico assume nuove forme sotto la costrizione del don't talk back ('non replicare').
In confronto alle comunicazioni stampate, i messaggi diffusi dai nuovi mezzi di comunicazione riducono singolarmente le reazioni del ricevente; essi avvincono il pubblico come ascoltatore e come spettatore.A veder bene, questa analisi di Habermas (che deve molto a L'uomo a una dimensione di Marcuse e ad altri testi della Scuola di Francoforte) dimostra troppo. Infatti, se essa fosse del tutto vera, non dovrebbero più aver luogo, nelle società industriali avanzate, grandi mutamenti nella pubblica opinione, essendo quest'ultima così manipolata da essere completamente 'congelata' e quindi virtualmente scomparsa. Senonché la storia sociale e politica degli ultimi decenni ci mostra invece, nelle società industriali avanzate, profondi mutamenti nella pubblica opinione, sia nella politica sia nel costume (mutamenti dovuti a volte a grandi avvenimenti internazionali - come, per esempio, la guerra in Vietnam - ma non esclusivamente: basti pensare al grande movimento femminista e al suo profondo influsso sulla pubblica opinione, o su vasti settori di essa, per ciò che attiene al ruolo della donna nella società, ai rapporti fra i sessi, ecc.).
La letteratura più interessante sull'opinione pubblica ha in realtà un approccio al problema assai meno manicheo di quello della Scuola di Francoforte. Essa non solo mette in rilievo che un'opinione pubblica puramente autonoma e una puramente eteronoma costituiscono tipi ideali che non esistono, come tali, nel mondo reale, ma nega anche la passività delle cosiddette masse, e anzi sottolinea come il destinatario dei messaggi sia, nel riceverli, assai più attivo che passivo (v. Sartori, 1979, p. 939).
Per quanto riguarda i processi di formazione della pubblica opinione, sono stati elaborati, dai sociologi e dai politologi, due grandi modelli. Uno è il cosiddetto 'modello a cascata', proposto da K.W. Deutsch (v., 1968). Secondo questo autore si possono distinguere cinque livelli o 'serbatoi' della cascata. Nel primo circolano le idee delle élites economiche e sociali; nel secondo si confrontano e si scontrano le élites politiche e di governo; nel terzo operano le comunicazioni di massa, con la loro continua diffusione di messaggi; nel quarto operano i 'leaders d'opinione' a livello locale, che hanno un ruolo determinante nel plasmare le opinioni dei gruppi sociali con i quali interagiscono; nel quinto livello troviamo il demos considerato nella sua totalità.Il significato del 'modello a cascata' proposto da Deutsch è più complesso di quanto lo schema ora esposto lasci supporre. Sartori ne ha evidenziato tre aspetti: "Il primo è l'importanza del livello dei leaders di opinione locale: un punto di passaggio e di intermediazione che è stato per lungo tempo sottovalutato. Il secondo aspetto è che nessuno dei livelli è monolitico e nemmeno, di solito, solidale: all'interno di ogni serbatorio le opinioni e gli interessi sono discordi, i canali di comunicazione molteplici e polifonici. Il che equivale a dire che a ogni livello troviamo un ciclo completo di dialettica di opinioni, un crogiolo a sé stante di formazione dell'opinione. Il terzo aspetto è che, per quanto l'andamento di una cascata sia discendente, tuttavia Deutsch sottolinea la continua presenza di feed-backs, di retroazioni di risalita.
Per quest'ultimo rispetto si potrebbe sostenere che il modello della cascata incorpora, come proprio elemento interno, quello del ribollimento, del bubble-up" (v. Sartori, 1979, p. 939).
Il modello del 'ribollimento', del bubble-up, è appunto il secondo modello elaborato da sociologi e politologi per spiegare i processi di formazione della pubblica opinione. Secondo questo modello, tali processi non vanno dall'alto verso il basso, bensì dal basso verso l'alto: nel senso che nel pubblico, o in vasti settori o strati di esso, si formano continuamente dei 'ribollimenti' o movimenti d'opinione, in modo repentino e inaspettato, che non sono stati previsti, e che spesso non sono affatto desiderati, dalle élites dirigenti (economiche, politiche, militari, religiose, ecc.).Giovanni Sartori ha proposto un'integrazione dei due modelli. Del primo egli ha dato, peraltro, una interpretazione dinamica. Così egli ha messo in rilievo che se si parte dal livello della classe politica (poiché la pubblica opinione si caratterizza come tale in primo luogo in rapporto a quel che dicono e a quel che fanno i politici), non si deve perdere di vista il fatto che la classe politica è un microcosmo altamente competitivo nel quale i partiti manovrano per rubarsi gli elettori, e i politici guerreggiano tra loro all'interno dei rispettivi partiti. Dalla conflittualità fra i partiti, e fra i leaders all'interno dei partiti, partono pressoché infinite e assai contrastanti voci, che arrivano al personale dei media. Questo personale, però, non le ritrasmette tali e quali, bensì le seleziona, le interpreta, le modifica, le distorce, ecc., e sovente esso è fonte autoctona di messaggi. I leaders di opinione a livello locale, a loro volta, fanno da filtro, e possono rinforzare i messaggi che ricevono, possono depotenziarli, possono distorcerli, e così via.
C'è poi un punto che Sartori sottolinea con grande forza, ed è il ruolo degli intellettuali nella società contemporanea. In questa società 'postindustriale' il numero degli intellettuali è cresciuto a dismisura, e di conseguenza è aumentato anche il loro peso specifico. Oggi gli intellettuali non operano solo nelle scuole e nelle università, ma anche nei media e in molte altre direzioni. "L'espansione della professione intellettuale - dice Sartori - e la sua diffusione più o meno irrequieta in tutto il corpo sociale porta dunque acqua al modello del bubbling-up, e intensifica il fermentare di opinioni che non cascano affatto dall'alto ma che, all'opposto, pullulano e germogliano, sia pure in piccoli nuclei di intellighenzie, a livello di massa" (v. Sartori, 1979, p. 940).A tutto ciò bisogna aggiungere che le opinioni di ogni singolo individuo derivano anche, e in non piccola parte, da 'gruppi di riferimento': la famiglia, il gruppo di lavoro, l'identificazione partitica, religiosa, di classe, etnica, ecc. "L'io - dice Sartori - è un io-in-gruppo, che si integra nei gruppi, e con i gruppi, che costituiscono i suoi punti di riferimento" (ibid.).
Alla luce di questo quadro, estremamente variegato e complesso, Sartori conclude che l'opinione pubblica è fatta da tutti e da nessuno, nel senso che essa risulta da un crogiolo di influenze e controinfluenze. Ciò significa che nella società contemporanea l'opinione pubblica è sostanzialmente "autentica perché autonoma, e [...] autonoma per quel tanto che basta a fondare la democrazia come governo di opinione" (ibid.).
A ciò si può aggiungere che, nonostante l'enorme peso che la televisione ha assunto nel mondo d'oggi, non è certo diminuito il ruolo dei giornali d'opinione (sia quotidiani che settimanali), e che anzi esso si è accresciuto, proprio per il livello culturale sempre più elevato della popolazione. Ora, i giornali risentono sì, in misura più o meno grande a seconda dei casi, degli interessi economici e politici ai quali fanno riferimento; ma i grandi giornali di opinione, con i bilanci in attivo grazie alla loro diffusione, hanno, in virtù dell'appoggio delle centinaia di migliaia di lettori che li acquistano, un notevole grado di autonomia e di indipendenza. Questo fatto era già stato colto assai bene da Lippmann, in uno dei capitoli più importanti del suo libro del 1922. Un giornale, egli diceva, può difendere o attaccare potenti interessi economici, "ma se si aliena le simpatie del pubblico che ha potere di acquisto, perde il solo patrimonio indispensabile alla sua esistenza". Il rapporto col pubblico - rapporto fondato esclusivamente sulla qualità delle analisi e dei commenti, poiché le notizie vere e proprie oggi vengono diffuse rapidissimamente da radio e televisione - diventa quindi decisivo per la sopravvivenza o per il successo del giornale. La pubblica opinione (o vasti settori di essa) diventa così il fondamento e la garanzia della diffusione dei giornali; e i giornali, a loro volta, forti di questo sostegno, contribuiscono a formare la pubblica opinione.
(V. anche Comunicazioni di massa; Democrazia; Giornalismo; Liberalismo; Propaganda; Stampa).
Bauer, W., Die öffentliche Meinung und ihre geschichtlichen Grundlagen, Tübingen 1914.
Berelson, B., Janowitz, M. (a cura di), Reader in public opinion and communication, Glencoe, Ill., 1950, New York 1966².
Berger, G. (a cura di), L'opinion publique, Paris 1957.
Cantril, H., Gauging public opinion, Princeton, N.J., 1944.
Childs, H.L., Public opinion: nature, function and role, Princeton, N.J., 1965.
Compagna, L., Alle origini della libertà di stampa nella Francia della Restaurazione, Roma-Bari 1979.
Deutsch, K.W., The analysis of international relations, Englewood Cliffs, N.J., 1968 (tr. it.: Le relazioni internazionali, Bologna 1970).
Dicey, A.V., Lectures on the relation between law and public opinion in England, London 1914.
Habermas, J., Strukturwandel der Öffentlichkeit, Neuwied 1962 (tr. it.: Storia e critica dell'opinione pubblica, Roma-Bari 1995).
Inkeles, A., Public opinion in Soviet Russia: a study in mass persuasion, Cambridge 1951.
Key, V.O., Public opinion and American democracy, New York 1961.
Lane, R.E., Sears, D.O., Public opinion, Englewood Cliffs, N.J., 1964.
Lasswell, H.D., Democracy through public opinion, Menasha 1941.
Lasswell, H.D. e altri, Propaganda, communication and public opinion, Princeton, N.J., 1946.
Lazarsfeld, P.F., Personal influence, Glencoe, Ill., 1955.
Lazarsfeld, P.F., Berelson, B., Gaudet, H., The people's choice, New York 1944, 1948².
Lippmann, W., Public opinion, New York 1922 (tr. it.: L'opinione pubblica, Milano 1963).
Lowell, A.L., Public opinion and popular government, New York 1913, 1926².
Matteucci, N., Opinione pubblica, in Enciclopedia del diritto, vol. XXX, Milano 1980, s.v.
Riesman, D., Glazer, N., The meaning of opinion, in "Public opinion quarterly", 1948, XII, pp. 633-648.
Sartori, G., Opinione pubblica, in Enciclopedia del Novecento, vol. IV, Roma 1979, s.v.
Sauvy, A., L'opinion publique, Paris 1964.
Speier, H., Historical development of public opinion, in "American journal of sociology", 1950, LV, pp. 376-388.
Tönnies, F., Kritik der öffentlichen Meinung, Berlin 1922.
Truman, D.B., The governmental process: political interests and public opinion, New York 1951.
di Everett C. Ladd
1. Nascita dei sondaggi di opinione
La nascita del sondaggio d'opinione di tipo moderno può essere fatta risalire agli anni trenta, allorché la ricerca di opinione cominciò ad avvalersi di tecniche scientifiche di misurazione basate sui principî della teoria dei campioni.Il criterio di fondo della teoria dei campioni può essere sintetizzato in questa famosa frase del matematico belga Adolphe Quetelet: "È forse necessario bere l'intera bottiglia per poter giudicare la qualità del vino?". Un piccolo campione in realtà è sufficiente per formulare un giudizio, posto che esso abbia tutte le caratteristiche rilevanti dell'unità più ampia. Questo principio del campione rappresentativo è oggi utilizzato dai ricercatori nei campi più diversi. Ad esempio, quando i biologi marini vogliono tracciare una mappa delle proprietà chimiche delle acque di una baia, non possono certo sottoporre tutto il mare alle analisi di laboratorio, né utilizzano campioni presi a caso, ma prelevano campioni d'acqua in punti differenti dell'area e a diverse profondità, impiegando metodi tali che i campioni prelevati riflettano la gamma di proprietà delle acque dell'intera baia. Le tecniche di campionamento nelle indagini d'opinione seguono lo stesso principio generale.
Un episodio avvenuto nel 1936, passato alla storia come il fiasco del "Literary Digest", cambiò il corso della ricerca d'opinione e segnò la nascita del sondaggio moderno basato sulla teoria dei campioni. Il "Literary Digest" era una rivista a larga diffusione che si occupava di temi politici, economici e culturali di interesse generale. Già nel 1895 la rivista aveva cominciato a compilare una lista dei nomi di potenziali abbonati nell'ambito di un progetto globale di incremento della tiratura, e il suo indirizzario ben presto arrivò a includere milioni di nominativi. Nel 1920 i redattori della rivista ebbero l'idea di servirsi di queste liste per saggiare gli umori politici. Nel 1928 il "Literary Digest" decise di condurre un sondaggio per le elezioni presidenziali, utilizzando i nominativi del suo indirizzario per distribuire tra la popolazione 18 milioni di schede. Ai destinatari veniva chiesto di segnare il nome del presidente prescelto e di rispedire alla rivista la scheda compilata con il 'voto'. Le schede venivano in seguito tabulate e i risultati pubblicati a intervalli durante la campagna elettorale; l'esito finale del sondaggio venne reso noto nell'ultimo numero prima della data delle elezioni.In occasione di svariate elezioni, i sondaggi condotti dal "Digest" diedero risultati molto vicini a quelli reali, con un margine d'errore molto basso, e ciò naturalmente accrebbe enormemente il prestigio della rivista.
Nel 1928, ad esempio, il sondaggio dava in testa il candidato repubblicano Herbert Hoover con il 63% delle preferenze: Hoover vinse le elezioni con il 59% dei suffragi. Quattro anni più tardi, il sondaggio della rivista indicava la vittoria con un largo margine del candidato democratico Franklin Roosevelt, e la previsione si dimostrò corretta. I risultati finali del sondaggio nel 1932 ebbero uno scarto di appena l'1,5% rispetto alla distribuzione effettiva dei voti. Nelle elezioni del 1936, però, il sondaggio andò incontro a un fiasco così clamoroso che la rivista ne risultò screditata. Nel corso della campagna elettorale, i dati pubblicati dal "Digest" indicavano il repubblicano Alfred Landon in vantaggio sul presidente in carica Roosevelt. Secondo gli ultimi risultati resi noti dalla rivista, basati sullo scrutinio di circa 2,4 milioni di schede, Landon avrebbe ottenuto una vittoria sicura. I repubblicani risultavano in testa in 32 Stati, con 370 voti elettorali e il 54% dei voti popolari. Nelle elezioni del 5 novembre, tuttavia, Roosevelt ottenne il 61% dei voti elettorali con 523 voti popolari su 531, infliggendo a Landon la più sonora sconfitta elettorale nella storia politica americana. I motivi dell'errore del sondaggio del "Digest" divennero oggetto di un vivace dibattito.In realtà, già molto prima delle elezioni George Gallup e altri ricercatori - che proprio in quegli anni andavano fondando la moderna ricerca d'opinione basata su nuovi metodi di campionamento - avevano individuato le cause del fiasco del "Digest". Gallup fece notare che se i 2,4 milioni di schede scrutinate dalla rivista a prima vista potevano sembrare una quantità impressionante, in realtà non potevano essere più attendibili del campione da cui erano tratte, ossia le persone i cui nominativi figuravano nello schedario del "Digest"; si trattava di un campione distorto, caratterizzato com'era da una netta prevalenza di rappresentanti dei ceti medi e medio-alti. Nelle elezioni del 1936, in cui le divisioni di classe erano relativamente nette e gli elettori dei ceti a basso reddito appoggiavano Roosevelt assai più di quelli del ceto medio, la distorsione del campione del "Digest" era enorme.
Un altro problema era costituito dal fatto che degli oltre 20 milioni di schede inviate dalla rivista, solo il 10% veniva compilato e rispedito, e non vi era modo di accertare se coloro che si erano dati la pena di 'votare' costituissero un campione rappresentativo di tutte le persone che avevano ricevuto le schede, e tanto meno dell'intero elettorato americano. Inoltre, il metodo impiegato dal "Digest" per effettuare il sondaggio non teneva conto dei mutamenti di opinione che intercorrono nelle battute finali della competizione elettorale, in quanto veniva inviata solo una scheda nel corso di tutta la campagna.La cosa che più colpì gli osservatori nel fiasco del "Literary Digest" fu forse il contrasto tra la lenta e complessa procedura adottata dalla rivista e le snelle, efficienti indagini scientifiche inaugurate da George Gallup, Elmo Roper e Archibald Crossley. Mentre il sondaggio del "Digest" era condotto su milioni di individui, quelli di nuova concezione si servivano di campioni di poche migliaia, ma poiché si trattava di campioni costruiti in modo tale da rispecchiare - perlomeno approssimativamente - le caratteristiche dell'intera popolazione, il nuovo tipo di sondaggio dava risultati di gran lunga più attendibili. Come ebbero a osservare in seguito George Gallup e Saul Forbes Rae, "dalle elezioni del 1936 emerse una lezione fondamentale: l'essenza del problema di ottenere una misura accurata dell'opinione pubblica consiste nel costruire un campione rappresentativo; una semplice accumulazione di schede non potrà mai arrivare a eliminare l'errore derivante da un campione distorto" (v. Gallup e Rae, 1940, pp. 54-55).
Al pari di molti suoi colleghi, anche Gallup aveva fatto le prime esperienze nel campo della pubblicità, svolgendo ricerche per conto della Young & Rubicam, una importante agenzia pubblicitaria di New York. Nel 1935 Gallup fondò l'American Institute of Public Opinion, un istituto di ricerca che si proponeva di misurare le opinioni e gli orientamenti della popolazione su questioni sociali, politiche ed economiche. Nel 1936 Gallup forniva settimanalmente gli esiti di sondaggi condotti dal suo istituto a una associazione di 40 quotidiani.A partire dagli anni trenta, il ricorso ai sondaggi di opinione ha avuto un incremento esponenziale in tutte le democrazie del mondo industrializzato. I sondaggi sono ampiamente usati anche nell'America Centrale e in Sudamerica, nell'Est europeo e nell'ex Unione Sovietica. Sono ben pochi ormai i paesi che non svolgono indagini di questo tipo, perlomeno occasionalmente. Persino in Cina, ad esempio, dove l'élite del Partito comunista esercita un rigido controllo politico, a partire dalla metà degli anni ottanta sono stati effettuati sporadicamente alcuni sondaggi attentamente circoscritti. Il sondaggio di opinione costituisce oggi uno strumento essenziale anche nella vita politica.
2. Caratteristiche centrali dell'opinione pubblica
L'opinione pubblica presenta da un lato caratteristiche comuni a tutti i paesi, dall'altro caratteristiche specificamente nazionali, legate a una determinata esperienza sociale, economica e politica. Quest'ultimo aspetto è troppo complesso per essere affrontato in questa sede, in quanto richiederebbe una dettagliata comparazione internazionale.Per quanto riguarda le caratteristiche comuni, una problematica che è stata esplorata in modo approfondito è quella concernente i livelli di informazione. In che misura i cittadini sono informati sulle questioni sulle quali sono chiamati a decidere nei sistemi democratici? L'analisi dei risultati dei sondaggi condotti in molti paesi rivela una carenza di interesse e di informazione su molte questioni fattuali della vita politica. Ciò sembra confermare i timori di quanti pensano che la massa dei cittadini possa essere facilmente manipolata perché sa relativamente poco su alcuni aspetti importanti delle questioni oggetto di decisione. D'altro canto, quando le domande poste dagli intervistatori vertono sui valori, sulle credenze, sulle aspirazioni e sulle speranze dei cittadini, le loro risposte denotano una grande stabilità e una notevole coerenza; in questo caso le opinioni sono saldamente ancorate all'esperienza. I cittadini dimostrano quindi di avere tutti i requisiti per assolvere il compito che le teorie democratiche assegnano loro - quello di orientare l'azione del governo e il corso della politica nazionale.
Consideriamo due ipotetici individui. Il primo si nutre di politica, divora "Le Monde", il "Corriere della Sera" o il "New York Times" e segue da vicino la maggior parte delle grandi problematiche politiche. Quando gli si chiede la sua opinione su un determinato programma, risponde con sicurezza, perché ha raggiunto le proprie conclusioni attraverso un'accurata raccolta di fatti pertinenti, e le sue opinioni appaiono quindi ben salde. Il secondo individuo, al contrario, mostra scarso interesse per le complicazioni dei programmi del governo e della politica; si limita a dare uno sguardo distratto e superficiale ai quotidiani, e quando gli si chiede la sua opinione su un programma, le sue risposte hanno più il carattere di una reazione estemporanea che quello di un giudizio meditato. Qualora prevalessero gli individui di questo secondo tipo, l'opinione pubblica su molte questioni politiche potrebbe essere notevolmente instabile.Lo studioso di scienza politica Philip E. Converse ha affrontato questo problema, giungendo alla conclusione che il grado di informazione politica dei cittadini determina in misura decisiva la struttura, il grado di condizionamento e la stabilità delle loro opinioni. Senza un'adeguata informazione fattuale, le opinioni di ampi segmenti della popolazione oscillano vistosamente nel corso del tempo. Tra il 1956 e il 1960 l'Institute for social research dell'Università del Michigan somministrò lo stesso questionario alle medesime persone in tre momenti diversi, chiedendo la loro opinione su argomenti quali l'abolizione della segregazione razziale nelle scuole, il programma federale di sussidi all'istruzione, il programma di aiuti all'estero e il programma federale di edilizia abitativa; il risultato fu che molti soggetti espressero opinioni opposte da un'intervista all'altra. Analizzando questo comportamento, Converse concluse che nella maggior parte dei casi tali oscillazioni non costituivano dei veri e propri mutamenti di opinione, ma dipendevano dal fatto che gli intervistati rispondevano essenzialmente a caso. Solo una minoranza dimostrava di avere opinioni salde e ben radicate. "Per il resto della popolazione, le sequenze di risposte nel corso del tempo sono statisticamente casuali" (v. Converse, 1964, p. 242).
Se ciò è vero, ha importanti implicazioni per quanto riguarda il ruolo dell'opinione pubblica in un governo democratico. Tutti i fautori della democrazia sostengono la necessità di dare il debito peso alle chiare, meditate preferenze espresse dai cittadini; tuttavia sembra lecito chiedersi se occorra dare eguale importanza anche a opinioni che sono a tutti gli effetti "statisticamente casuali". Se i cittadini sono scarsamente informati su gran parte delle controversie politiche - anche quelle che sono state discusse in modo approfondito - e se le opinioni che esprimono sono superficiali, perché i politici o chiunque altro dovrebbero tenerne conto?Il lavoro di Converse stimolò ulteriori ricerche su questo tema. Numerose indagini condotte in seguito hanno dimostrato che le conclusioni di Converse erano valide solo per un particolare periodo, ossia per gli anni cinquanta. Tra la metà e la fine degli anni sessanta, la scena politica relativamente stagnante che aveva caratterizzato la presidenza di Eisenhower cambiò radicalmente, e il periodo successivo fu segnato da accesi contrasti sui diritti civili, sulla guerra in Vietnam e su una serie di scottanti problemi sociali. Quando i partiti e i loro candidati cominciarono ad assumere posizioni distinte su tali questioni capaci di suscitare profonde divisioni, fornirono agli elettori indicazioni e suggerimenti ideologici che erano mancati nel decennio precedente. Come conseguenza, le risposte dei cittadini nei sondaggi di opinione risultarono più stabili e strutturate (v. Nie e altri, 1976).
Conclusioni assai diverse da quelle cui era pervenuto Converse, e persino da quelle dei suoi primi critici, emergono da un approccio che focalizza l'attenzione sulle strutture generali dell'opinione pubblica, dimostrando che queste sono notevolmente stabili e prevedibili. Negli Stati Uniti, ad esempio, l'istituto di Gallup, a partire dagli anni trenta, ha condotto sistematicamente sondaggi di opinione, somministrando domande sulla politica estera, sul ruolo del governo, su vari programmi di politica interna, nonché su un'ampia gamma di questioni sociali che andavano dall'aborto ai rapporti razziali. In tutto l'arco di tempo considerato e su tutti gli argomenti trattati, le risposte fornite dai soggetti intervistati hanno evidenziato una struttura delle opinioni stabile e ben definita. Di fronte a nuovi sviluppi e avvenimenti politici, i cittadini americani operano distinzioni basilari ed esprimono preferenze generali che, considerate nella loro globalità, non appaiono né casuali né basate su scarsa informazione.All'origine di questa contraddizione nelle valutazioni dell'opinione pubblica vi è una distinzione essenziale, individuata da tempo dalla teoria democratica: la massa dei cittadini può avere valori fondamentali ed esprimere preferenze generali in modo coerente, pur dimostrando scarsa attenzione per i dettagli dei programmi e delle politiche del governo. Come osserva Walter Lippmann, è difficile che i cittadini si facciano iniziatori di programmi specifici o si preoccupino della loro definizione particolareggiata, e tuttavia sono perfettamente in grado di scegliere tra gli approcci contrastanti che vengono loro presentati dai leaders politici.
Elmo Roper, uno dei fondatori della moderna ricerca d'opinione, nel 1942 sintetizzò come segue quanto aveva appreso dai suoi primi dieci anni di lavoro sul campo: "Credo che gran parte di noi compia due errori nel giudicare l'uomo comune. Tendiamo da un lato a sopravvalutare la quantità di informazioni che possiede, dall'altro a sottovalutarne l'intelligenza. Negli otto anni durante i quali ho rivolto all'uomo comune domande su ciò che pensa e ciò che vuole, sono rimasto spesso sorpreso e deluso nello scoprire che era meno informato di quanto si creda su determinate questioni che consideriamo vitali. Ma ancora più spesso sono rimasto sorpreso e sollevato nello scoprire che, nonostante questa carenza di informazione, l'intelligenza innata dell'uomo comune lo porta in genere a una conclusione ragionevole" (v. Roper, 1942, p. 102).
L'osservazione di Roper conferma la validità della distinzione tra il ruolo dei cittadini e quello dei leaders e degli attivisti nel processo democratico. La maggioranza della popolazione non è chiamata a promulgare leggi o a definire la forma specifica dei programmi, né ovviamente presta molta attenzione ai programmi a questo livello di specificità. Ma desiderare che le scuole informino meglio gli studenti sulla vita pubblica, o che un maggior numero di persone dedichi più tempo ad approfondire le proprie conoscenze, è cosa ben diversa dal chiedersi se la collettività dei cittadini sia o meno in grado di esercitare il ruolo che le attribuisce la teoria democratica, ossia quello di determinare "gli obiettivi di fondo del governo". I cittadini possono essere molto attenti a tali obiettivi, e avere opinioni assai precise e coerenti in merito, pur senza conoscere a fondo i dettagli dei programmi politici. Alcuni recenti studi empirici, tra cui va menzionata un'importante ricerca dei politologi Benjamin Page e Robert Shapiro (v., 1992), hanno confermato che l'opinione pubblica ha tali caratteristiche.
Gli studi sull'opinione pubblica hanno dimostrato che su gran parte delle questioni politiche i cittadini hanno posizioni ambivalenti - sono spinti ora in una direzione, ora in un'altra da valori confliggenti. Proprio in ragione di questa ambivalenza l'opinione pubblica potrebbe sembrare del tutto inadatta come guida dell'azione politica. Gli individui sono divisi su molte questioni - inclusa quella concernente il ruolo e i poteri dello Stato. Ma anche negli Stati Uniti, in cui vi è una forte tradizione antistatalista, sono rari coloro che si dichiarano nettamente pro o contro il governo; la maggioranza dei cittadini è divisa tra opinioni contrastanti. Ciò, tuttavia, non sembra riflettere tanto un desiderio infantile di avere una cosa e il suo contrario; l'ambivalenza, piuttosto, deriva da una complessa mescolanza di esperienze e interessi spesso contraddittori. Lo Stato fa molte cose buone, ma spesso commette anche molti errori.Un esempio particolarmente istruttivo in merito al problema dell'ambivalenza dell'opinione pubblica è dato dalla posizione dei cittadini americani sulla questione dell'aborto.Il riaccendersi del dibattito sulla questione dell'aborto negli anni ottanta e novanta portò molti osservatori a fraintendere l'orientamento dell'opinione pubblica americana, perché essi partivano dal presupposto che la maggioranza dei cittadini che aveva riflettuto sul problema dell'aborto e si era formata un'opinione precisa in merito, si sarebbe dovuta inevitabilmente pronunciare in ultimo a favore o contro. Vi sono ovviamente moltissime persone che sostengono incondizionatamente il diritto all'aborto, e altrettante che sono assolutamente contrarie ad esso in quasi tutte se non in tutte le circostanze; ma la grande maggioranza dei cittadini americani non è schierata né sull'una né sull'altra posizione.
Spesso, quando un ampio segmento della popolazione ha una posizione incerta su una data questione, ciò significa semplicemente che non ha riflettuto abbastanza e non ha le idee chiare in proposito. Questo però non è il caso dell'aborto: il pubblico è informato e interessato alla questione, e infatti è pervenuto a un giudizio - un giudizio che è tipicamente ambivalente. Molti americani, cioè, ritengono che su questa come su molte altre questioni l'individuo dovrebbe essere lasciato libero di scegliere. Quando, ad esempio, nei sondaggi viene chiesto se alla donna dovrebbe essere consentito di abortire se così ha scelto e se il medico è consenziente, la grande maggioranza degli intervistati risponde affermativamente. D'altro lato, queste stesse persone sono dell'avviso che gli aborti siano stati troppi ed effettuati con eccessiva disinvoltura dopo la fondamentale decisione della Corte Suprema del 1973 Roe vs. Wade. L'ambivalenza dell'opinione pubblica sul tema dell'aborto è dimostrata chiaramente da una serie di estesi sondaggi, tra cui quelli condotti dal "Los Angeles Times", dalla CBS News, dal "New York Times" e dal "Washington Post", ognuno dei quali proponeva una serie di domande.Da questi sondaggi emerge che una porzione consistente della popolazione è contraria a un emendamento costituzionale che vieti categoricamente l'aborto. Alle donne che decidono in questo senso dovrebbe essere garantita la possibilità di abortire legalmente, qualora la gravidanza sia frutto di incesto o di stupro e quando vi siano elevate probabilità che il bambino nasca geneticamente deforme. La quasi totalità dei cittadini americani è favorevole all'aborto per salvare la vita della madre, ma se è dell'avviso che alla donna dovrebbe essere concessa la possibilità di abortire in determinati casi, nello stesso tempo pensa che al diritto di scelta andrebbero posti dei limiti. Così molti ritengono che l'aborto non dovrebbe essere permesso qualora tale decisione sia motivata dal fatto che la maternità ostacolerebbe la carriera della madre, o che il padre non è disposto ad aiutare la madre ad allevare il bambino, o che la gravidanza costituirebbe un onere finanziario; la quasi totalità dei cittadini americani è contraria all'aborto come metodo contraccettivo. I sondaggi hanno mostrato regolarmente una maggioranza contraria alla legalizzazione dell'aborto in tutti i casi, mentre quasi la metà degli intervistati vorrebbe che esso fosse consentito solo in un numero assai ristretto di circostanze. Dunque, alcuni rovescerebbero completamente la decisione Roe vs. Wade, laddove altri non vi apporterebbero alcuna modifica. Tuttavia l'opinione della maggioranza è ambivalente: l'aborto non dovrebbe essere vietato, ma nello stesso tempo non dovrebbe essere considerato un diritto assoluto. Per molte persone sulla questione dell'aborto entrano in gioco valori confliggenti.
Le caratteristiche dell'opinione pubblica che abbiamo illustrato - in particolare l'informazione relativamente scarsa sui dettagli tecnici delle questioni politiche e l'ambivalenza rispetto a questioni che implicano un conflitto di valori - hanno significative conseguenze sulla misurazione dell'opinione attraverso i sondaggi. È particolarmente difficile, ad esempio, formulare domande concernenti temi sui quali il pubblico è scarsamente informato. "Una reale difficoltà nell'interpretare i dati dei sondaggi di opinione è costituita dal fatto che molte persone si trovano a rispondere a domande sulle quali in precedenza non hanno riflettuto realmente, e di conseguenza le risposte variano a seconda di differenze anche minime nella formulazione delle domande" (v. Erikson e altri, 1980, p. 29). Su argomenti politici astratti, l'opinione pubblica spesso non è definita, e il modo in cui vengono formulate le domande contribuisce a determinare l'apparente posizione di maggioranza.
Questo problema si aggrava ulteriormente quando il sondaggio affronta argomenti sui quali insorge un conflitto di valori.La formulazione delle domande nei sondaggi presenta poche difficoltà quando tra gli intervistati il livello di informazione pertinente è elevato; il pubblico ha focalizzato l'attenzione sul problema nel contesto di una decisione concreta, la scelta che viene presentata non è complessa e l'argomento non è tale da suscitare una significativa ambivalenza di opinione. Una situazione di questo tipo si verifica usualmente nei sondaggi elettorali effettuati a uno stadio avanzato della campagna elettorale, quando le risposte della maggior parte degli intervistati rispecchiano la decisione reale che si troveranno a effettuare concretamente, entro breve tempo, nella cabina elettorale. Tuttavia nel caso opposto - ossia quando il livello di informazione è scarso, le opinioni non si sono cristallizzate, la questione è complessa e molti hanno una posizione ambivalente - anche la formulazione più attenta e calibrata delle domande può dare risultati inattendibili. Differenti formulazioni delle domande, per quanto egualmente valide e accurate, tenderanno a produrre esiti notevolmente diversi. Una situazione di questo tipo si presenta, in varia misura, nei sondaggi di opinione che vertono su argomenti politici complessi. Quanto più a fondo si cerca di investigare, tanto più arduo appare il problema. La forma stessa del sondaggio di opinione strutturato può rivelarsi inadeguata alla complessità dell'opinione su determinate questioni, in cui entrano in gioco valori e aspettative contrastanti.Secondo Leo Bogart, insigne studioso nel campo della ricerca d'opinione, da ciò non si deve concludere che i sondaggi non siano in grado di fornire conoscenze utili; piuttosto, occorre sempre tener presente che "i metodi dei sondaggi, come accade in qualunque altra impresa umana, sono soggetti a un notevole grado di errore" (v. Bogart, 1972, p. 17). Nei sondaggi di opinione si procede alla cieca, a tentoni, cercando di afferrare e di comprendere qualcosa che non si può realmente vedere.
3. Usi e abusi
Come abbiamo accennato, i sondaggi di opinione sono ormai diffusi in tutto il mondo, sono commissionati da differenti istituzioni per scopi diversi e vengono attuati con una varietà di metodi. Purtroppo, come vedremo subito, in questa molteplicità di usi non sono infrequenti gli abusi.
Il tipo più economico di sondaggio è quello effettuato tramite questionario postale. In alcuni casi, soprattutto quando si ha necessità di porre una serie lunga e complessa di domande a un gruppo fortemente interessato della popolazione, la raccolta di dati attraverso il questionario inviato per posta può essere molto efficace. Tuttavia si tratta di un metodo molto lento, e il più delle volte la percentuale dei questionari rispediti con le risposte è inaccettabilmente bassa.Lo strumento più usato dagli istituti di ricerca nella maggior parte dei paesi è stato in un primo tempo l'intervista personale o 'faccia a faccia', che presenta il vantaggio di offrire a un intervistatore capace la possibilità di stabilire un rapporto diretto con i soggetti intervistati. Molte persone sembrano più disposte a esplorare argomenti controversi in un colloquio personale ben condotto piuttosto che in una intervista telefonica.Negli Stati Uniti l'intervista telefonica si è affermata dapprima nel settore industriale, in quanto è più facile e più economica di quella personale; per di più, oltre il 97% delle famiglie statunitensi ormai possiede il telefono, sicché la vecchia obiezione secondo cui questo tipo di intervista escluderebbe una notevole porzione dei cittadini meno abbienti non ha più ragion d'essere, perlomeno in America. Inoltre gli istituti di ricerca statunitensi hanno constatato che, specialmente nei quartieri urbani ad alto tasso di criminalità, la percentuale dei rifiuti è minore se l'intervista è fatta telefonicamente anziché di persona.
Tutti i media nazionali statunitensi che effettuano regolarmente sondaggi di opinione - ABC News, "Washington Post", CBS News, "New York Times", NBC News, "Wall Street Journal", "Los Angeles Times", ecc. - si servono di questo tipo di intervista.
Per il sondaggio telefonico vengono utilizzati metodi di campionamento probabilistico. Il principio di base del campionamento casuale è quello di dare a ogni individuo una probabilità eguale o nota di rientrare nel campione. Il campione probabilistico nelle interviste telefoniche viene ottenuto generando numeri telefonici a caso a partire da un insieme di prefissi di teleselezione scelti anch'essi a caso.Al di fuori degli Stati Uniti e del Canada, il metodo più usato resta quello del campionamento per quote o proporzionale, in cui i dati dei censimenti vengono utilizzati per dividere la popolazione in gruppi sulla base di attributi quali l'età, il livello di istruzione, il reddito, il luogo di nascita, ecc., costruendo in tal modo un campione che rispecchi le distribuzioni di questi attributi nella popolazione globale; il rilevatore deve poi scegliere un numero prefissato di unità nelle varie categorie specificate: tanti uomini, tante donne, tanti individui di età compresa tra i 18 e i 29 anni, ecc. Molti ricercatori europei preferiscono questo metodo di campionamento, e fanno osservare che nei sondaggi elettorali esso consente di derivare stime sul voto più attendibili rispetto a quelle ottenute dagli istituti demoscopici americani, che utilizzano invece il campionamento probabilistico. I ricercatori americani ribattono che il campionamento per quote permette al rilevatore di influenzare la selezione degli individui da sottoporre al sondaggio. Il fatto che venga a mancare il criterio della casualità può dar adito a varie forme di distorsione: l'intervistatore potrebbe selezionare un campione di individui in base alle proprie idiosincrasie, o alla maggiore o minore disponibilità mostrata da un particolare soggetto, e via dicendo.
In molti paesi, i principali committenti dei sondaggi di opinione sono i governi. È stato stimato che, alla metà degli anni novanta, gli enti governativi statunitensi, primo fra tutti l'US Bureau of Census, spendessero circa 2 miliardi di dollari all'anno per i sondaggi di opinione. Fatta eccezione per i censimenti casa per casa condotti ogni dieci anni, l'ufficio censuario raccoglie la maggior parte delle informazioni - dai dati economici relativi al reddito familiare alle stime relative al mutamento e alla mobilità della popolazione - attraverso indagini statistiche basate su ampi campioni probabilistici. In Gran Bretagna l'Office of Population Census and Surveys (OPCS) è il principale ente che effettua e supervisiona le rilevazioni statistiche. In passato l'OPCS effettuava i rilevamenti 'in proprio', come fa tuttora l'US Bureau of Census, ma attualmente ha adottato la prassi di subappaltare la maggior parte delle ricerche a istituti demoscopici privati. Se nel passato la maggior parte delle indagini statistiche commissionate dallo Stato non riguardava l'opinione pubblica, i sondaggi di opinione vengono oggi commissionati e utilizzati largamente dai governi di molti paesi. In Giappone, ad esempio, la presidenza del Consiglio ha commissionato a vari istituti di ricerca una serie di studi sull'evoluzione delle opinioni, degli atteggiamenti e dei valori dei cittadini giapponesi e, all'estero, sull'opinione che gli stranieri hanno del Giappone e su argomenti correlati, come ad esempio il commercio internazionale. In Messico, a cominciare dalla presidenza di Carlos Salinas de Gortari, un dipartimento della presidenza del Consiglio ha condotto un'estesa ricerca sulle opinioni dei cittadini messicani e sulle loro reazioni all'azione del governo e agli sviluppi politici. Sotto la presidenza di Ernesto Zadillo il dipartimento ha continuato attivamente questo programma di ricerca.
Nella maggior parte dei paesi europei e in Nordamerica, i sondaggi di opinione per conto del governo non sono effettuati da agenzie ufficiali, ma vengono commissionati dal partito politico in carica a istituti di ricerca privati. Negli Stati Uniti, ad esempio, sin dalla presidenza di Richard Nixon (1969-1974), tanto il comitato nazionale repubblicano quanto quello democratico hanno commissionato sistematicamente sondaggi di opinione a uso esclusivo del presidente in carica e del suo personale amministrativo. Analogamente, i partiti politici britannici hanno commissionato indagini di opinione per il governo.Altri importanti committenti e fruitori dei sondaggi di opinione sono i candidati a cariche elettive. Negli Stati Uniti, in particolare, i candidati ricorrono frequentemente ai sondaggi per accertare in che modo gli elettori rispondano ai loro messaggi e chi risulti favorito man mano che procede la campagna elettorale. Negli anni novanta, praticamente in tutte le competizioni elettorali - per la Camera dei rappresentanti e per il Senato, per la carica di governatore e per la presidenza - i principali candidati dei partiti hanno commissionato i propri sondaggi privati. I sondaggi di opinione incidono per il 20% e anche più sul totale delle spese per la campagna elettorale. Al contrario, in Europa, e in particolare nel Regno Unito, le spese dei candidati sono rigidamente limitate dalla legge, assai più di quanto non accada negli Stati Uniti, e di conseguenza è assai meno frequente il ricorso a sondaggi commissionati a istituti di ricerca privati. Contrariamente a quanto è avvenuto negli Stati Uniti, in Europa non si è avuta una proliferazione di istituti demoscopici che sopravvivono e prosperano prestando i propri servizi quasi esclusivamente ai candidati politici e ai gruppi di interesse che li sostengono.Un'altra categoria che fa largo uso dei sondaggi di opinione è quella dei gruppi di interesse, che vogliono verificare in che modo l'opinione pubblica accoglie le politiche che stanno loro a cuore. A volte i risultati dei sondaggi vengono resi noti in modo selettivo, al fine di persuadere i politici e la stampa che la posizione assunta da un determinato gruppo incontra il favore dell'opinione pubblica (o, viceversa, per dimostrare che le politiche dei suoi avversari sono impopolari).
Negli Stati Uniti l'uso dei cosiddetti 'advocacy polls' - ossia sondaggi finalizzati al sostegno di un particolare gruppo di interesse - è diventata prassi comune. Nei sondaggi commissionati dai gruppi di interesse le domande sono formulate in modo da incoraggiare risposte in sintonia con la posizione del gruppo. Fortunatamente, la stampa americana è diventata diffidente nei confronti di questi sondaggi direttamente legati ai gruppi di interesse, e di solito non dà loro gran peso.Anche gli scienziati sociali fanno largo ricorso ai sondaggi di opinione e ad altre forme di inchiesta. Negli Stati Uniti, molte università hanno creato i propri istituti di ricerca, i più noti dei quali sono l'Institute for Social Research dell'Università del Michigan, il National Opinion Research Center dell'Università di Chicago e il Roper Center for Public Opinion Research dell'Università del Connecticut. Per raccogliere i dati delle ricerche sono stati inoltre fondati una serie di archivi, come ad esempio quello britannico dell'Università dell'Essex, o il Zentralarchiv dell'Università di Colonia.
Per ragioni facilmente comprensibili, un'attenzione particolare viene prestata ai sondaggi di opinione condotti dai mezzi di informazione, che hanno registrato un rapido incremento nell'ultimo quarto di secolo. In Francia, ad esempio, negli anni ottanta si è avuta una crescita impressionante dei sondaggi dei media: quelli effettuati per conto della stampa nazionale sono raddoppiati nel corso del decennio, passando da circa 365 nel 1980 a 715 nel 1989, e negli anni novanta non si è manifestata nessuna inversione di tendenza. Negli Stati Uniti, pressoché tutti i mezzi di informazione, la stampa al pari delle reti televisive, effettuano regolarmente sondaggi di opinione. Lo stesso vale per la Gran Bretagna, dove tutta la stampa nazionale e i networks televisivi investono in modo massiccio nell'effettuazione di sondaggi. Anche in Giappone tutti i principali quotidiani nazionali, come l'"Asahi Shimbun", lo "Yomiuri Shimbun" e il "Nihon Kenzai Shimbun", nonché networks televisivi quali il Tokio Broadcasting System e l'NHK, commissionano ogni anno centinaia di sondaggi di opinione.Gli Stati Uniti rappresentano un'eccezione a questa prassi dei sondaggi commissionati dai mezzi di informazione solo per il fatto che, a partire dal 1970 circa, i quotidiani e le reti televisive che prima ne affidavano l'attuazione a istituti di ricerca indipendenti hanno cominciato a condurli in proprio.
Attualmente, il "New York Times", il "Washington Post", il "Los Angeles Times", la CBS News e l'ABC News effettuano autonomamente i propri sondaggi, o in concerto con altri media. Altri organi d'informazione - tra cui le riviste "Time" e "Newsweek", il "Wall Street Journal", le reti televisive NBC News, USA Today e CNN - seguono la prassi un tempo prevalente negli Stati Uniti, e tuttora in uso in altri paesi, di commissionare di volta in volta i sondaggi a istituti di ricerca esterni, anziché mantenere un proprio servizio permanente.Un problema piuttosto serio nasce dall'incompatibilità tra i metodi dei sondaggi e determinate esigenze dei mezzi di informazione. La maggior parte dei mass media è spinta a bruciare i tempi per battere la concorrenza nel fornire notizie al proprio pubblico; velocità e tempestività sono diventati requisiti essenziali. Tuttavia per preparare un sondaggio ben fatto spesso è necessario procedere con lentezza; occorre tempo per arrivare a una formulazione delle domande scevra di ambiguità, per sottoporle a una verifica preliminare e per perfezionarle, per condurre la ricerca sul campo, per trasformare i dati in una forma leggibile dal computer, per sottoporli a una attenta analisi. I risultati dei sondaggi di opinione inoltre richiedono in genere una interpretazione accurata, e anche questa è un'operazione che prende tempo.
Ma gli organi di informazione si muovono velocemente nella loro analisi degli eventi politici, e una grande varietà di notizie reclama la loro attenzione. A seguito di questa competizione esasperata per conquistare tempo e spazio nei media, raramente ai risultati di un sondaggio di opinione su questioni politiche complesse, come ad esempio la politica sanitaria, vengono dedicati più di 60 secondi in un notiziario televisivo o 500 parole in un articolo di giornale. Un ovvio problema sorge quando nel fornire queste informazioni non si premette un'adeguata spiegazione. In questi casi - niente affatto eccezionali e anzi assai frequenti - la sinteticità della notizia equivale a una grossolana semplificazione.Un buon servizio di informazione deve essere focalizzato e arrivare a conclusioni relativamente chiare e prive di ambiguità. Un buon sondaggio, per contro, rivela caratteristiche tipiche dell'opinione pubblica, quali l'incertezza, l'ambivalenza, la mancanza di informazione o di consapevolezza. Il giornalista vuole risposte rapide e nette a domande del tipo: "gli Americani stanno diventando più conservatori?"; "i Francesi sono favorevoli agli esperimenti nucleari del loro governo?"; "l'atteggiamento degli Italiani nei confronti dei problemi ambientali sta cambiando?". Spesso, però, i risultati dei sondaggi più accurati non sono in sintonia con le esigenze dei giornalisti, perché i loro dati non supportano le conclusioni focalizzate che sono l'elemento chiave dell'informazione giornalistica. Il fatto che la stampa attualmente faccia ricorso in misura massiccia ai sondaggi di opinione, commissionandoli a istituti di ricerca privati o addirittura, come accade negli Stati Uniti, effettuandoli in proprio, crea potenti incentivi a presentare i risultati dei sondaggi di opinione come fatti che 'fanno notizia'. Il giurista Michael Wheeler osserva a questo riguardo che "l'errore più macroscopico della stampa è la diffusa abitudine di riferire gli esiti dei sondaggi come se ogni individuo avesse una ferma opinione su qualsiasi argomento" (v. Wheeler, 1980, p. 42).
Nelle elezioni politiche dell'aprile 1992 le proiezioni dei 'pollsters' britannici si rivelarono clamorosamente sbagliate. I cinque principali sondaggi nazionali effettuati e resi noti poco prima delle elezioni indicavano il Partito laburista in testa di stretta misura, ma i conservatori vinsero con un margine dell'8% circa sui laburisti. Non era mai successo che in una importante elezione politica i risultati di sondaggi condotti in modo sistematico fossero così lontani da quelli reali. Basandosi sui dati in loro possesso, molti analisti britannici avevano formulato la previsione che nessun partito avrebbe conquistato la maggioranza dei seggi in parlamento, e che i laburisti avrebbero formato un governo di coalizione. Invece, i conservatori conquistarono una larga maggioranza alla Camera dei comuni, ottenendo altresì una valanga di voti che ha pochi precedenti nella esperienza britannica moderna, fatta eccezione forse per la vittoria del Partito laburista del 1945 e per la schiacciante maggioranza ottenuta da Margaret Thatcher e dai conservatori nel 1983 e nel 1987.Se il caso britannico fosse un evento isolato, susciterebbe solo curiosità e forse un certo divertimento. Ma sebbene particolarmente spettacolare, quello del 1992 non fu che l'ultimo episodio di una lunga serie di 'errori' dei sondaggi elettorali.
Nel febbraio dello stesso anno, gli exit polls condotti in occasione delle primarie del Partito repubblicano nel New Hampshire sottovalutarono gravemente le preferenze per George Bush; in base ai risultati di tali sondaggi, l'elettorato si sarebbe spaccato a metà tra Bush e l'avversario Patrick Buchanan, mentre in realtà Bush vinse con un largo margine. Warren Mitofsky, allora direttore del Voter Research & Surveys, il consorzio di quattro networks che aveva effettuato l'exit poll, ammise che nel New Hampshire la prestazione era stata molto al di sotto della norma (v. Mitofsky, 1992, p. 17).Nonostante il perfezionamento dei metodi, i sondaggi elettorali sono diventati oggi un'impresa assai più difficile e impegnativa di quanto non fosse in passato. Il fiasco dei sondaggi nelle elezioni politiche americane del 1948 è entrato nella mitologia popolare come il più clamoroso della storia. In realtà, agli errori commessi in quell'occasione fu facile porre rimedio, mentre i problemi che si presentano oggi appaiono di gran lunga più seri. Tutti i sondaggi effettuati durante le elezioni presidenziali del 1948 indicavano il repubblicano Thomas Dewey in testa rispetto al presidente democratico in carica, Harry Truman, e tuttavia i dati di tali sondaggi non autorizzavano a dare per certa una vittoria di Dewey. Sia l'istituto demoscopico di Gallup che quello di Crossley sottostimarono i voti di Truman di circa cinque punti. Tuttavia Crossley effettuò il sondaggio finale alla metà di ottobre, e Gallup poco più tardi, a due settimane di distanza dalle elezioni. Se nelle elezioni del 1968 Gallup avesse interrotto i sondaggi nello stesso momento in cui li sospese in occasione di quelle del 1948, le sue previsioni si sarebbero discostate in misura notevole dai risultati reali.Nel 1948 dai dati dei sondaggi effettuati da Gallup risultava che il margine di vantaggio di Dewey da agosto a ottobre era notevolmente diminuito, passando da 12 punti ad appena 5.
Ogni lettura ragionevole di questi risultati avrebbe preso in considerazione la possibilità che i democratici - i quali avevano controllato la Casa Bianca sin dalla 'grande depressione' - avrebbero guadagnato ulteriormente terreno all'approssimarsi del giorno delle elezioni. Allora l'elettorato avrebbe maturato la sua decisione e quindi le risposte degli intervistati avrebbero rispecchiato più fedelmente il comportamento reale di voto. Senza dubbio alcuni elettori, pur insoddisfatti di Truman e disposti a un cambiamento dopo sedici anni di governo democratico, probabilmente si erano chiesti se era il caso di affrontare il rischio di concedere un'opportunità a 'quei repubblicani'. I dati dei sondaggi condotti prima delle elezioni dimostravano chiaramente che i democratici godevano ancora del favore del paese. L''errore' di previsione del sondaggio del 1948 fu un errore di giudizio e di interpretazione: non si era tenuto conto di ciò che in retrospettiva appare ovvio, ossia che dai risultati di un sondaggio effettuato alla metà di ottobre, secondo cui Dewey era in vantaggio sull'avversario di 5 punti, non era lecito estrapolare una vittoria del candidato repubblicano. La situazione oggi è più complessa, e all'origine dei problemi dei sondaggi elettorali vi è ben più che un banale errore di interpretazione dei dati. Una prima difficoltà è data dal fatto che in molti paesi democratici una porzione notevole e in costante aumento dell'elettorato si rifiuta di partecipare a qualunque tipo di sondaggio. Se in paesi come la Russia i sondaggi possono essere visti come un nuovo, esaltante veicolo di espressione popolare, in quelli di più antica e solida tradizione democratica, dove si è avuta una proliferazione esponenziale di sondaggi e pseudo-sondaggi, molti cittadini sono arrivati a un punto di saturazione. Man mano che aumenta il tasso di rifiuti, diventa sempre più difficile stabilire se gli individui che acconsentono a partecipare ai sondaggi costituiscono o meno un microcosmo attendibile dell'elettorato reale. Paradossalmente, nonostante il perfezionamento dei metodi, oggi è diventato più difficile anziché più facile ottenere dati attendibili dai sondaggi elettorali.
4. Sondaggi, opinione pubblica e futuro della democrazia
I sondaggi di opinione pongono oggi molti altri tipi di problemi oltre a quelli legati all'uso che ne fanno i media. Periodicamente, si chiede ai cittadini di dire la loro opinione su argomenti tecnicamente complessi, sui quali non hanno in realtà avuto modo di riflettere a sufficienza. Le risposte possono rispecchiare opinioni così labili da essere in realtà delle 'non-opinioni'. Probabilmente ogni paese ha la sua quota di istituti di ricerca poco scrupolosi sul piano deontologico o poco competenti, o entrambe le cose. In Messico, ad esempio, un istituto di ricerca il cui lavoro aveva un'ampia copertura dei media, durante la campagna elettorale per le presidenziali del 1994 basò la sua lettura delle preferenze del pubblico su appena 320 interviste per sondaggio, effettuate per di più solo in una selezione di quartieri di cinque grandi città sulla base di metodi di campionamento perlomeno sospetti. J. David Kennamer ha osservato in proposito che in alcuni casi i sondaggi di opinione, un prodotto delle democrazie mature e delle economie di mercato, sono stati 'paracadutati' in democrazie in via di formazione in cui mancano "un'infrastruttura dei mezzi di comunicazione di supporto, [...] l'indipendenza istituzionale necessaria a gestirli e [...] la capacità critica sia nei media che nel mondo accademico per leggere i risultati nella giusta prospettiva" (v. Kennamer, 1995, p. 63). Inoltre, come abbiamo già osservato, nelle democrazie mature, dove la proliferazione dei sondaggi ha assunto le proporzioni di una vera e propria epidemia, i cittadini più avvertiti sono indotti a ritenere, non a torto, che sull'altare dei sondaggi siano state sacrificate molte altre dimensioni cruciali dell'informazione politica.Ma se vi sono valide ragioni per considerare in modo critico i sondaggi di opinione - o perlomeno gli usi che se ne fanno - si tratta pur sempre di uno strumento cui va riconosciuta una importante valenza democratica. (V. anche Intervista; Metodo e tecniche nelle scienze sociali; Previsione).
Adorno, T.W. e altri, The authoritarian personality, New York 1950 (tr. it.: La personalità autoritaria, Milano 1973).
Almond, G.A., The American people and foreign policy, New York 1950.
Bauer, W., Public opinion, in Encyclopaedia of the social sciences, vol. XII, New York 1935, pp. 669-674.
Bogart, L., Silent politics: polls and the awareness of public opinion, New York 1972.
Cantril, A. (a cura di), Polling on the issues, Cabin John, Md., 1980.
Cantril, A., The opinion connection; polling, politics, and the press, Washington 1991.
Converse, J.M., Survey research in the United States: roots and emergence 1890-1960, Berkeley, Cal., 1987.
Converse, P.E., The nature of belief systems in mass publics, in Ideology and discontent (a cura di D.E. Apter), New York 1964.
Erikson, R.S., Luttberg, N.R., Tedin, K.L., American public opinion, New York 1980.
Feldman, S., Structure and consistency in public opinion: the role of core beliefs and values, in "American journal of political science", 1988, XXXII, 2.
Fishkin, J., The voice of the people, New Haven, Conn., 1995.
Gallup, G., Rae, S.F., The pulse of democracy: the public opinion poll and how it works, Westport, Conn., 1940.
Hyman, H.H., Taking society's measure: a personal history of survey research, New York 1971.
Inglehart, R., The silent revolution: changing values and political styles among Western publics, Princeton, N.J., 1977 (tr. it.: La rivoluzione silenziosa, Milano 1983).
Kennamer, J.D., Argentina: polling in an emerging democracy, in "The public perspective", 1995, VI, 6, pp. 62-64.
Key, V.O., Public opinion and American democracy, New York 1961.
Lane, R., Political ideology: why the American common man believes as he does, New York 1962.
Lasswell, H.D., Politics: who gets what, when, how, New York 1936, 1958 (tr. it.: La politica: chi prende, cosa, quando, come, in Potere, politica e personalità, a cura di M. Stoppino, Torino 1975, pp. 237-364).
Lasswell, H.D., Lerner, D., Speier, H. (a cura di), Propaganda and communication in world history, vol. I, The symbolic instrument in early times, vol. II, Emergence of public opinion in the West, vol. III, A pluralizing world, Honolulu 1979-1980.
Lippmann, W., The phantom public, New York 1925.
Mitofsky, W.J., What went wrong with exit polling in New Hampshire, in "Public perspective", 1992, III, 3.
Nie, N.H., Verba, S., Petrock, J.R., The changing American voter, Cambridge, Mass., 1976.
Noelle-Neumann, E., Die Schweigespirale. Öffentliche Meinung - unsere soziale Haut, Berlin 1980.
Page, B.I., Shapiro, R.Y., The rational public: fifty years of trends in American's policy preferences, Chicago 1992.
Reif, K., Inglehart, R. (a cura di), Eurobarometer: the dynamics of European public opinion, essays in honour of Jacques-René Rabier, New York 1991.
Rogers, L., The pollsters, New York 1949.
Roper, E., So the blind shall not lead, in "Fortune", febbraio 1942.
Stouffer, S.A., Communism, conformity, and civil liberties: a cross-section of the nation speaks its mind, Gloucester, Mass., 1963.
Taylor, H., Horses for courses: how different countries measure public opinion in very different ways, in "The public perspective", 1995, VI, 2, pp. 3-5.
Welsh, W.A., Survey research and public attitudes in eastern Europe and the Soviet Union, New York 1981.
Wheeler, M., Reining in horse-race journalism, in "Public opinion", 1980, III, 1.
Yankelovich, D., Coming to public judgment: making democracy work in a complex world, Syracuse, N.Y., 1991.