orco
Il mostro avido di carne umana
La figura dell’orco attraversa tutta la nostra storia, dalla mitologia greca fino al successo cinematografico di Shrek (2001), il film di animazione di Andrew Adamson e Vicky Jenson. Creatura gigante, spaventosa per l’aspetto e selvaggia nei comportamenti, l’orco è condannato a sentire sempre fame e predilige carne umana. Eppure con un po’ d’astuzia è possibile sfuggire alla sua caccia
La prima figura di orco, nella cultura occidentale, risale alla mitologia greca. È Crono, il più giovane dei Titani, che si sbarazza del padre Urano e lo sostituisce al governo di tutti gli dei. Ma la sua potenza non lo libera dalla paura di subire la stessa sorte e per questo divora senza pietà tutti i suoi figli, così che nessuno possa prendere il suo posto. Zeus (il romano Giove), l’unico sopravvissuto, sarà la sua rovina.
Da allora gli orchi hanno invaso le fantasie e le storie degli uomini: dal Polifemo dell’Odissea fino a L’orco del metrò (1988) dello scrittore francese Thierry Jonquet.
Tutti i mostri, dal più antico al più recente, hanno un corpo enorme e possente, non sono certo campioni di buone maniere, anzi si comportano da selvaggi, cosa che aumenta la loro proverbiale bruttezza.
Non è facile sopportare la vista di un orco! Ecco il ritratto che ne fa Giambattista Basile nella fiaba Le tre fate (inclusa in Lo cunto de li cunti, 1634-36): «Era un orco che aveva i capelli come setole di porco, neri neri, che gli ricadevano fino ai malleoli; la fronte grinzosa, […] la bocca storta e bavosa, dalla quale spuntavano due zanne come di cinghiale; il petto tutto bernoccoli in un bosco di pelame da poterne riempire un materasso; e, soprattutto, alto di gobba, grande di pancia, sottile di gamba, storto di piede; sicché vi faceva scontorcere la bocca per lo spavento».
Nella maggior parte dei casi, tale aspetto non nasconde un animo gentile, proprio come i giganti del racconto Il GGG di Roald Dahl (1982), i cui nomi fanno già intendere i loro discutibili passatempi: Inghiotticicciaviva, Crocchia-ossa, Strizza-teste, Trita-bimbo, Vomitoso, Ciuccia-budella, Spella-fanciulle, San Guinario, Scotta-dito. Sembra già di sentire rumore di denti e mascelle e il tonfo del malcapitato condannato a precipitare in un ventre buio ed enorme, un abisso senza fine come l’inferno.
Gli orchi sono figure che appartengono di fatto al regno della morte, in quanto rappresentano una forza distruttrice che non si può fermare, come il tempo che scorre e ci fa nascere, crescere, trasformare, ma anche morire. La loro natura è diversa dalla nostra, né potrebbero far parte del mondo degli uomini. A separarli definitivamente sono i loro gusti alimentari: impossibile accettare chi mangia carne umana; non è solo una questione di pericolo, ma è proprio l’idea di per sé che fa rabbrividire.
Non bisogna però pensare che gli orchi si comportino così per malvagità; il loro comportamento segue un’unica regola: la fame, una fame senza fine, che li porta sempre a cacciare nuove vittime e a pensare a terrificanti prelibatezze: «Dirò la favola/ del cuoco/ Trol./ Trol è un colosso,/ negro, alto, grosso,/ ha una figura/ che fa paura; tocca il soffitto/ quando sta ritto;/ sulla ventraia,/ tien la mannaia».
Si sa che chi pensa con la pancia fa funzionare meno la testa. E allora con un po’ di astuzia e di sale in zucca ci si può salvare. Lo sa bene il Gatto con gli stivali che convince un orco a dimostrare il suo potere magico e lo sfida a trasformarsi in topo. Il gigante mostra orgoglioso la sua abilità ma finisce nella pancia del suo avversario. E lo sa anche Pollicino che ruba di notte le coroncine delle figlie dell’orco e le mette in testa a sé e ai suoi fratelli. Così quando il gigante arriva nella loro stanza, scambia le vittime e uccide sette future orchesse.
Gli orchi infatti non sono soltanto maschi, ma non bisogna illudersi che le donne siano più carine. Certo, anche in questo caso è questione di gusti, o almeno così sembra a sentire la dichiarazione d’amore di Shrek, l’orco verde: «Il tuo spettrale aspetto/ mi dà enorme diletto!/ Le labbra paonazze,/ la faccia a rughe e chiazze,/ gli occhi rossastri e strabici,/ con gli orzaioli cremisi.../ Oh, quanto tu m’affascini!/ È inutile che snoccioli/ l’elenco dei tuoi meriti:/ tu lo sai sotto sotto,/ perché son così cotto./ Insomma, a dirla tutta,/ t’amo perché sei brutta!». Contento lui...