Abstract
Viene illustrato, in estrema sintesi, l’insieme della organizzazione nazionale, comprendente sia le diverse forme in cui si manifesta il decentramento amministrativo, sia il “fenomeno” delle Autorità indipendenti.
Il sistema delle Pubbliche Amministrazioni in Italia si presenta articolato e composito, essendo ispirato dalla Costituzione (art. 5) al principio del decentramento amministrativo e al valore del riconoscimento delle autonomie locali. Ciò dà origine a tre tipologie organizzatorie (si v. Organizzazione amministrativa 1. Profili generali). Due di esse fanno capo al principio del decentramento: il decentramento organico, che si realizza mediante organi periferici della stessa struttura statale, ed il decentramento e policentrismo autarchici, chesi realizza in prevalenza mediante enti istituzionali, le ccdd. “amministrazioni parallele” allo Stato, ma talvolta anche mediante enti territoriali. La terza integra, invece, il valore del riconoscimento delle autonomie locali (territoriali): il pluralismo istituzionale e autonomistico, che costituisce un vero e proprio “sotto-sistema”, a dir così, quello dei pubblici poteri infranazionali, anch’esso interessato, peraltro, da fenomeni di decentramento (sia organico che autarchico). Benché rappresentino la sua parte quantitativamente più cospicua, per completare la descrizione del sistema, alle tre menzionate tipologie organizzatorie vanno aggiunte altre due tipologie di figure soggettive: gli organi dello Stato-comunità di rilevanza costituzionale con competenze amministrative e le Autorità amministrative indipendenti, le quali possono anch’esse in qualche modo definirsi come organismi “paralleli” allo Stato.
Prima di passare ad una sintetica illustrazione delle diverse tipologie (per quella del pluralismo istituzionale e autonomistico, v. Organizzazione amministrativa 3. Regioni ed enti locali), è bene precisare che l’appena richiamata complessità colloca comunque alla base del sistema il popolo, sebbene ciò si ricavi in maniera diretta ed esplicita soltanto per l’apparato amministrativo del Governo e per quello proprio del sotto-sistema delle autonomie territoriali. Gli enti istituzionali (strumentali o ausiliari che siano), gli organi dello Stato-comunità di rilevanza costituzionale con competenze amministrative e le Autorità amministrative indipendenti, invece, sono collegati solo indirettamente, e con modalità diverse l’uno dall’altro, alle istanze democratiche.
La organizzazione amministrativa stricto sensu statale richiama alla mente la figura di un tronco di cono, la cui sezione superiore corrisponde al Governo, che, giusta l’art. 92 Cost., «è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri». Ciascun Ministro è il vertice di una struttura organizzatoria, chiamata, appunto, Ministero, che di regola, ma non necessariamente (ed anzi, talvolta, essa è del tutto mancante: è il caso dei Ministri ccdd. “ senza portafoglio”), è complessa, sovente consistendo anche di una articolazione periferica. Alla stessa stregua, al Presidente del Consiglio fa capo la struttura organizzatoria che prende il nome di Presidenza del Consiglio dei Ministri. La disciplina giuridica di ciascuna delle due strutture – come si capisce – è fisiologicamente soggetta al mutarsi delle esigenze funzionali, le quali sono, per definizione, storicamente cangianti e perciò continuamente richiedenti adeguamenti strutturali. In ragione di ciò, in questa sede ci si limiterà alla descrizione delle loro linee essenziali, al fine di restituirne il senso d’insieme, operando di volta in volta il rinvio alle voci specifiche.
Il Governo è il luogo, al tempo stesso, della elaborazione finale dell’indirizzo politico scaturente dalle scelte politiche della maggioranza parlamentare, nonché della genesi dell’indirizzo politico-amministrativo, consistente nelle decisioni concernenti le attività proprie di ciascun Ministero: in altre parole, è nel Governo – la più alta espressione del potere esecutivo, e dunque dello Stato-apparato (o Stato-amministrazione) – che prendono “veste” amministrativa, in una prima più generale forma (quella dell’alta amministrazione), le scelte politiche assunte dallo Stato-comunità (o Stato-ordinamento).
I Ministri, quindi, hanno una doppia natura: sono ad un tempo organi politici ed organi amministrativi, sotto quest’ultimo profilo essendo posti a capo dei rispettivi dicasteri. L’art. 95, co. 3, Cost. dispone che «il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri» sono determinati dalla legge. Gli interventi legislativi, e di conseguente normazione secondaria, degli ultimi tre lustri (in particolare a far data dalla la l. 15.3.1997, n. 59, la cd. “legge Bassanini 1”) sono stati finalizzati a ridurne il numero ed a razionalizzarne compiti e struttura, anche al fine di rendere il riparto di attribuzioni tra Stato, Regioni ed enti locali coerente con il disegno istituzionale della l. cost. 18.10.2001, n. 3. La fisionomia organizzativa dei Ministeri si presenta differenziata in ragione dei diversi compiti che ciascuno di essi è chiamato a svolgere. In via generale può dirsi che detta fisionomia si disponga secondo un modello piramidale, ogni dicastero componendosi (frequentemente) di una struttura centrale e di una struttura periferica: gli organi facenti capo all’una (che esercitano le proprie competenze sull’intero territorio nazionale) e all’altra (che svolgono la propria attività in un ambito territorialmente limitato, coincidente, nella gran parte dei casi, con la Provincia) sono fra loro in rapporto di dipendenza gerarchica (per tutto quanto concerne la loro disciplina si v. la voce Ministeri).
Quanto alla struttura periferica – la base, cioè, della piramide organizzatoria dell’impianto ministeriale –, essa costituisce l’articolazione dell’apparato mediante la quale si realizza la tipologia organizzatoria del decentramento organico: alla struttura periferica spetta, infatti, l’esercizio delle competenze facenti capo a ciascuna attribuzione dicasteriale in un ambito limitato, la cd. “circoscrizione territoriale”. Occorre sottolineare, per un verso, che la struttura periferica non è sempre presente; e, per un altro, che non tutta l’attribuzione di un dicastero si suddivide in competenze periferiche, una parte di essa risolvendosi nel livello centrale. L’articolazione periferica della struttura ministeriale ha avuto modalità di attuazione storicamente diversificate, essendosi dovuto rispondere alle differenti esigenze che di volta in volta si presentavano. Essa generalmente ha mutuato il modello organizzativo della struttura centrale, un modello fondato essenzialmente su un rapporto di tipo verticale tra i diversi uffici che la compongono, da un lato, e i referenti centrali, dall’altro; e, conseguentemente, di tipo gerarchico fra gli organi corrispondenti. L’esistenza delle strutture periferiche rappresenta la principale conseguenza dell’attuazione del principio del decentramento amministrativo (consacrato nell’art. 5 Cost.) all’interno dell’amministrazione statale. Di regola gli organi che costituiscono l’amministrazione periferica sono gerarchicamente subordinati a quelli centrali; tuttavia, in tempi relativamente recenti (specie a seguito delle leggi di riforma ccdd. “Bassanini”’ del 1997), l’esigenza di realizzare concretamente il decentramento ha avuto l’effetto di attribuire, sia pur in materie determinate e solo per alcuni settori, competenze esclusive ad organi periferici.
Fra gli organi periferici merita particolare attenzione il Prefetto, che può ben definirsi la storica articolazione organica del Ministero dell’interno in ambito provinciale. Ancorché strutturalmente incardinato in questa branca dell’amministrazione statale, esso costituisce funzionalmente il ganglio periferico dell’intera compagine governativa sul territorio di ciascuna Provincia, compagine che perciò il Prefetto rappresenta, nella sua totalità, su detto territorio. Da quanto appena affermato, si capisce perché, sebbene dipenda dall’amministrazione degli interni, esso sia gerarchicamente subordinato anche a tutti gli altri organi centrali (pur se di altri Ministeri) cui l’ordinamento funzionalmente lo collega (per tutto quanto concerne la relativa disciplina si v. voce Prefetto).
Oltre che per il tramite del proprio apparato, i Ministeri possono svolgere i compiti ad essi attribuiti dalla legge attraverso Agenzie ministeriali, e cioè strutture esterne alla organizzazione ministeriale in senso stretto, ma ad essa funzionalmente collegate. Di regola, le Agenzie – al cui vertice è posto un Direttore generale – sono chiamate a compiere, in virtù di apposite convenzioni (da stipularsi tra il Ministro competente e il Direttore), «attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale», in origine esercitate da ministeri o da enti pubblici, il cui livello di specializzazione e complessità mal si presta a che esse continuino ad essere erogate dalle strutture amministrative tradizionali. Detto altrimenti, all’origine della costituzione delle Agenzie sembrerebbe esservi la raggiunta consapevolezza che alcune attività facenti capo ai compiti dei Ministeri richiedono competenze, conoscenze, saperi ed abilità tecniche (in una, un know-how) non facilmente reperibili presso il personale in essi operante (anche in questo per tutto quanto concerne la relativa disciplina si v. voce Agenzie).
Per certi aspetti analogo a quello delle Agenzie è il modello, ben più risalente ed oggi recessivo, delle Amministrazioni (o Aziende) autonome, la cui ragion d’essere storicamente nasce dalla necessità pubblica di rendere attività, in prevalenza tecniche, di produzione di beni e servizi di rilevanza sociale. Si tratta di strutture ministeriali, solo eccezionalmente dotate di personalità giuridica, caratterizzate dal fatto che si servono di una organizzazione separata da quella del Ministero di riferimento. Esse hanno capacità contrattuale, pur non disponendo di un proprio patrimonio, giacché i mezzi ed i beni di cui si avvalgono sono in proprietà dello Stato.
Come ricordato, al sistema italiano delle P.A., e segnatamente all’ambito della organizzazione amministrativa statale, vanno ricondotti anche alcuni organi dello Stato-comunità di rilevanza costituzionale cui sono attribuite alcune competenze amministrative, concernenti, a seconda dei casi, funzioni di amministrazione attiva, consultiva o di controllo. Essi sono: il Presidente della Repubblica, che, nella sua qualità di organo di amministrazione, è titolare di una serie articolata di competenze, alcune espressamente fissate dall’art. 87 Cost.(si pensi alla emanazione dei regolamenti governativi, alla nomina dei più alti funzionari dello Stato, al conferimento delle onorificenze, al comando delle Forze armate); altre, invece, previste da leggi ordinarie, che trovano la ragion d’essere della loro attribuzione al Capo dello Stato in motivi di carattere storico (si pensi alla emanazione del decreto di annullamento d’ufficio degli atti amministrativi illegittimi, al potere di decisione dei ricorsi straordinari, al potere di scioglimento dei Consigli comunali e provinciali); il Consiglio di Stato, annoverato dalla Costituzione (art. 100, co. 1), insieme al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e alla Corte dei conti, tra gli organi ausiliari del Governo, cui sono attribuiti i compiti «di tutela della giustizia nell’amministrazione» e «di consulenza giuridico-amministrativa» (per tutto quanto concerne la relativa disciplina si v. Consiglio di Stato); la Corte dei conti, organo al quale la Costituzione assegna, insieme ad una importante funzione giurisdizionale nelle materie di contabilità pubblica (art. 103, Cost.), una non meno rilevante funzione di controllo nelle medesime materie, espressamente disponendo, all’art. 100, che essa «esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo», nonché «quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato», e «Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria» (per tutto quanto concerne la relativa disciplina si v. Corte dei conti); ed infine il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL), che, giusta l’art. 99 Cost., è «organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e le funzioni che gli sono attribuite dalla legge», e dispone della «iniziativa legislativa», esso potendo «contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge» (di esso, peraltro, è in discussione la soppressione).
Il perseguimento e la realizzazione degli interessi pubblici che l’ordinamento affida alla cura dello Stato-amministrazione, oltre che per mezzo delle strutture ministeriali e delle diverse figure soggettive di cui si è riferito, può compiersi anche per il tramite di enti istituzionali, il cui insieme (che costituisce la parte più rilevante delle strutture “parallele” allo Stato) integra la tipologia organizzatoria del decentramento e policentrismo autarchici. Detti enti vanno tenuti rigorosamente distinti da quelli territoriali – che sono esponenziali di tutti gli interessi potenzialmente ascrivibili alla comunità stanziata sul territorio, e perciò enti a fini generali, in virtù della investitura democratica –, giacché sono enti a fini particolari (che vengono definiti da una fonte dell’ordinamento diversa dai propri regolamenti), per i quali il territorio è non già elemento costitutivo, bensì mero criterio di delimitazione della circoscrizione geografica di competenza (si v. Organizzazione amministrativa 1. Profili generali).
Il complesso universo degli enti istituzionali consta di una pluralità di figure così estremamente ampia e variegata da rendere impossibile una vera e propria catalogazione. Provò ad offrirne una la l. 20.3.1975, n. 70, che, disponendo la soppressione di molti enti pubblici, dettò, in una Tabella allegata, l’elenco di quelli superstiti secondo sette «categorie omogenee» [1) «che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza»; 2) «di assistenza generica»; 3) «di promozione economica»; 4) «preposti a servizi di pubblico interesse»; 5) «preposti ad attività sportive, turistiche e del tempo libero»; 6) «scientifici di ricerca e sperimentazione»; 7) «culturali e di promozione artistica»]. Siffatta catalogazione – che almeno nella sua logica sistemica sembra non aver perso di attualità – fa perno sulle materie oggetto dell’attività degli enti, a prescindere dalla loro caratterizzazione quali strumentali o ausiliari.
Allo scopo, quindi, di proporne una tipizzazione solo tendenziale, possiamo ragionevolmente classificare gli enti istituzionali in strumentali e ausiliari, a marcare la differenza tra i due distinti fenomeni che essi incarnano, rappresentati, nel primo caso, dal decentramento autarchico e, nel secondo caso, dal policentrismo autarchico. Tali fenomeni, ancorché espressioni comunque del «decentramento amministrativo» di cui all’art. 5 Cost., e perciò accomunabili, quanto alle cause, al “decentramento organico”, si differenziano da questo in maniera significativa per quel che attiene ai tratti distintivi delle figure che li sostanziano: dissimilmente dagli organi, che salvo eccezione ne sono privi, gli enti istituzionali, infatti, sono dotati di personalità giuridica, essi disponendo della autarchia, la quale, come si è detto (si v. Organizzazione amministrativa 1. Profili generali), consiste nella capacità, ad essi riconosciuta dalla legge, di assumere provvedimenti amministrativi dotati dello stesso carattere, e soggetti allo stesso regime giuridico, di quelli dello Stato. È bene precisare che, diversamente da quella degli enti territoriali, la quale si presenta come propria ed originaria, giacché mutuata direttamente dalla investitura democratica (si v. Organizzazione amministrativa 3. Regioni ed enti locali), l’autarchia degli enti istituzionali è sempre derivata da una fonte dell’ordinamento, che essi siano strumentali o ausiliari.
In particolare, si qualifica come “decentramento autarchico” il fenomeno della creazione, ad opera della legge, di enti istituzionali strumentali per il perseguimento di fini propri dello Stato che questi non appare in grado di perseguire attraverso la sua struttura. Proprio in ragione della specificità della loro genesi, gli enti strumentali, pur vantando l’autonomia amministrativa che gli deriva dalla personalità giuridica, conservano tuttavia una relazione di “dipendenza” rispetto allo Stato, sebbene tale dipendenza non possa mai giungere a connotarsi per quella intensità che è propria della relazione interorganica di gerarchia, la quale segna in modo peculiare il decentramento organico (si v. Organizzazione amministrativa 4. I rapporti organizzativi). L’ente strumentale, pertanto, è ab origine dotato di autarchia, qualità che la legge, a dir così, “preleva” dal patrimonio genetico dello Stato per trasferirla ad una figura pubblica di nuova istituzione, la cui soggettività ed il cui regime giuridico vengono resi, perciò, in tutto e per tutto identici a quelli dello Stato. Va detto che le trasformazioni degli ultimi due decenni hanno indubbiamente implicato una notevole riduzione dello spettro (sino agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso assai ampio) degli enti strumentali. Ed invero quelli ancora oggi esistenti sono in numero ben più circoscritto del passato.
In via meramente esemplificativa, nel novero degli enti strumentali possono menzionarsi, fra quelli di più significativa rilevanza: l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), il più grande ente previdenziale italiano, che assunse la denominazione attuale nel 1943, e che la l. 9.3.1989, n. 88, separando finanziariamente l’assistenza dalla previdenza, all’art. 1, co. 1, definisce «ente pubblico erogatore di servizi»; l’Istituto nazionale assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), che, ad un secolo dalla nascita, assunse la denominazione attuale con la l. 22.6.1933, n. 860; il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), che, fondato nel 1914 ed emanazione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), si occupa della organizzazione e del potenziamento dello sport nazionale, e di promuovere la diffusione della pratica sportiva; il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), il quale, diventato organo dello Stato nel 1945 con il compito di svolgere prevalentemente attività di formazione, promozione e coordinamento della ricerca in tutti i settori scientifici e tecnologici, a seguito del d.lgs. 30.1.1999, n. 19, è stato trasformato in «ente nazionale di ricerca con competenza scientifica generale» svolgente «attività di prioritario interesse per l’avanzamento della scienza e per il progresso del paese». Ad essi sembra doversi aggiungere l’ISTAT, Istituto nazionale di statistica (l. 9.7.1926, n. 1162), sebbene si tratti di una di quelle eccezioni, cui si è fatto cenno, che vanno sotto il nome di “organi dello Stato con personalità giuridica”.
Si qualifica, invece, come “policentrismo autarchico” il fenomeno per cui la legge riconosce quali enti istituzionali ausiliari preesistenti persone giuridiche di diritto privato che agiscono per la realizzazione di attività considerate particolarmente meritorie dal Legislatore al punto da acquisirle nel novero dei compiti pubblici. In altre parole, in questo caso, anziché costituire enti ad hoc, la legge considera più opportuno “fagocitare” nell’orbita pubblicistica, così attribuendo loro l’autarchia, soggetti giuridici di diritto privato già operanti nella società civile per il perseguimento di fini sociali, la cura dei quali viene riconosciuta di interesse pubblico. Di tali enti, pertanto, l’anima originaria, con la pubblicizzazione, viene sì compressa, ma non scompare del tutto, tant’è che essa è pronta a riespandersi nel momento di una eventuale riconsiderazione politica della “vicenda” da parte del Legislatore. D’altro canto, specialmente dopo C. cost. 7.4.1988, n. 396, ogni operazione di pubblicizzazione deve ritenersi possibile soltanto ove non valichi libertà costituzionalmente garantite, qual è quella di assistenza di cui all’art. 38 Cost., oggetto di delibazione della sentenza in parola. Ciò non esclude, evidentemente, che la pubblicizzazione sia comunque realizzabile con il consenso del soggetto privato. Inoltre, deve esser chiaro che il privato, anche laddove si manifesti neghittoso verso la pubblicizzazione, nel caso in cui l’esercizio della sua libertà non fosse economicamente autosufficiente, esso reclamando il sostegno finanziario pubblico, dovrà rassegnarsi a sopportare l’intervento di pubblicizzazione.
In via meramente esemplificativa, nel novero degli enti ausiliari possono menzionarsi, fra quelli di più significativa rilevanza: l’Associazione italiana della Croce Rossa (CRI), la cui qualificazione di ente di diritto pubblico è oggi rinvenibile nel d.p.r. 31.7.1980, n. 613; l’Automobile club d’Italia (ACI), la cui natura di ente pubblico viene riconosciuta definitivamente con la l. n. 70/1975, ed il cui Statuto, all’art. 1 afferma esplicitamente che si tratta di un «Ente Pubblico non economico senza scopo di lucro»; l’Accademia nazionale dei Lincei, che, fondata nel 1603 (si tratta della più antica accademia scientifica del mondo), è ente pubblico non economico, avente come fine istituzionale quello di «promuovere, coordinare, integrare e diffondere le conoscenze scientifiche nelle loro più elevate espressioni nel quadro dell’unità e universalità della cultura». Infine, fra gli enti ausiliari sembra corretto collocare anche quelli che, in qualche modo, “entificano” gruppi sociali (categorie economiche e/o professionali), rappresentandone istituzionalmente gli interessi e le finalità. Queste ultime, infatti, seppur non possa dirsi che siano, di per sé, necessariamente proprie dello Stato, sono state dal Legislatore considerate di indubbio rilievo generale e, perciò, meritevoli d’esser qualificate come compiti pubblici: è dunque siffatta considerazione a determinare l’attribuzione di potestà pubbliche in capo agli enti in parola. Ne sono l’espressione antonomastica le Camere di Commercio e gli Ordini ed i Collegi professionali.
Come abbiamo chiarito (v. supra, § 1), fra le strutture in qualche modo “parallele” allo Stato possiamo collocare anche le Autorità amministrative indipendenti (o, come alcuni Autori preferiscono denominarle, Amministrazioni indipendenti). Così definite in ragione della separazione (l’indipendenza, appunto) di cui godono rispetto al Governo e agli apparati ministeriali, e della diversità (rispetto a quello delle altre amministrazioni pubbliche) del regime giuridico cui sono sottoposte, le Autorità indipendenti rappresentano una categoria assai controversa in dottrina, malgrado la costituzione della gran parte di esse sia ormai risalente nel tempo. Anche in ragione di ciò, esse trovano espressa e compiuta trattazione nella voce relativa, cui si deve rinviare (si v. voce Autorità amministrative indipendenti [dir. amm.]). Ciò nondimeno, appare opportuno anche in questa sede riassumere, seppur in maniera schematica, le principali questioni sollevate.
Occorre dire, anzitutto, che la categoria comprende al suo interno figure assai differenti, tra loro accomunabili solo in virtù di alcuni tratti: ciò rende problematica la individuazione di un modello unitario che possa valere per tutte. A questo bisogna poi aggiungere che, con riguardo alle attività da esse svolte, alcuni principi paradigmatici del diritto amministrativo (primo fra tutti il principio di legalità) non sempre trovano rigorosa applicazione.
La genesi del fenomeno – in estrema sintesi – si spiega, da un lato, con l’idea, ormai pienamente affermatasi, dello Stato “esile”, la quale pretende che la gran parte delle attività di interesse sociale venga svolta attraverso il mercato (o, più nobilmente, nel seno della società civile), lasciando alla P.A. compiti (soprattutto) di regolazione e di successiva verifica della rispondenza degli atti e dei comportamenti dei soggetti privati alle regole predisposte; e, dall’altro, con i processi di “liberalizzazione” e di “privatizzazione” che, a far data dai primi anni Ottanta del secolo scorso, hanno investito, con crescente intensità, alcuni settori, peraltro particolarmente sensibili, del mercato (si pensi, per tutti, a quelli delle telecomunicazioni e della informazione). La maggiore concorrenzialità che si è così venuta a determinare ha posto la necessità di affidare la regolazione della competizione tra i diversi soggetti operanti sul mercato (al fine ultimo – evidentemente – di tutelare gli utenti) ad apparati non influenzabili dal potere politico e da quello economico, ad organismi, cioè, in qualche modo terzi, verrebbe di dire: neutrali. La vera ragion d’essere delle Autorità, pertanto, consiste nella “proiezione”, al di fuori dello Stato-persona, di interessi pubblici e relativi compiti di cura che, per le caratteristiche connotanti i rispettivi settori (cui non è estranea anche la particolare complessità tecnica delle materie di riferimento), si dispongono ad essere affidati a strutture capaci di una visione d’insieme (quanto meno) nazionale, ma che, al tempo stesso, per un verso, devono esser tenute distinte dai plessi organizzatori ministeriali; e, per un altro, non devono essere dipendenti dalle contingenti maggioranze al Governo e dagli indirizzi politici che queste esprimono.
Volendo esemplificativamente elencare quelle più significative, vanno segnalate: la Banca d’Italia, che è senz’altro la più risalente, la cui attrazione nel novero delle Autorità, peraltro, risulta assai discussa in dottrina; la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), che opera per la tutela degli investitori e per l’efficienza e la trasparenza del mercato mobiliare, vigilando sui prodotti oggetto di investimenti, sulla correttezza dei comportamenti degli intermediari e dei promotori finanziari, sull’ordinato svolgimento delle contrattazioni e la certezza delle modalità di esecuzione dei contratti; l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS, subentrato all’ISVAP con la l. 7.8.2012, n. 135), che esercita funzioni di vigilanza nei confronti degli istituti e delle imprese, nazionali ed estere, di assicurazione e riassicurazione, e di tutti gli altri enti soggetti alle disposizioni che disciplinano l’esercizio dell’attività assicurativa; l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM o Antitrust), che vigila sugli abusi di posizione dominante nei mercati, sulle intese e/o i cartelli che possano rivelarsi restrittivi della concorrenza, e sulle operazioni di concentrazione che potrebbero determinare la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante suscettibile, in quanto tale, di eliminare, ovvero ridurre in misura sostanziale e duratura, la concorrenza; l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, che ha essenzialmente il compito di garantire la promozione della concorrenza e dell’efficienza nei due settori, e di assicurare adeguati livelli di qualità dei servizi, al fine di tutelare gli interessi di utenti e consumatori; l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), che svolge compiti di controllo dell’intero mercato delle comunicazioni, operando (al pari di quella per l’energia elettrica ed il gas), sia in funzione di garanzia nei confronti tanto degli utenti quanto degli operatori, sia in funzione di regolamentazione del settore; il Garante per la protezione dei dati personali, più noto come Garante per la tutela della privacy, i cui i compiti possono efficacemente sintetizzarsi, con le parole del «Codice in materia di protezione dei dati personali», nell’assicurare che «il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza e all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali» (art. 2, d.lgs. 30.6.2003, n. 196); la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, che «vigila affinché sia attuato il principio di piena conoscibilità dell’attività della pubblica amministrazione con il rispetto dei limiti fissati dalla presente legge» da parte di chiunque abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, potendo anche proporre «al Governo modifiche dei testi legislativi e regolamentari che siano utili a realizzare la più ampia garanzia del diritto di accesso» (art. 27, co. 5, l. 7.8.1990, n. 241); l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), cui la l. 11.8.2014, n.114 attribuisce «compiti di trasparenza e di prevenzione della corruzione nelle pubbliche amministrazioni» (art. 19, co. 9); l’Autorità di regolazione dei trasporti (ART), istituita dall'art. 37 del d.l. 6.12.2011, 201 (convertito, con modificazioni, nella l. 22.12.2011, n. 214), cui compete di regolare il settore e l’accesso alle infrastrutture ed ai servizi accessori dei trasporti, nonché di definire i livelli di qualità dei servizi ed i contenuti minimi dei diritti degli utenti.
Quanto alla soggettività giuridica, il dato che emerge dall’analisi della disciplina positiva suggerisce tre diverse classi di figure giuridiche: a) quelle che sono senza alcun dubbio persone giuridiche, e quindi entità distinte dallo Stato-persona, per espressa qualificazione dell’ordinamento (Banca d’Italia, CONSOB e IVASS); b) quelle per le quali la qualificazione normativa, seppur non espressa, appare comunque implicita, giacché le norme che ne disciplinano la struttura paiono dotarle della piena soggettività spettante alle persone giuridiche, ivi compreso un autonomo patrimonio, perfettamente distinto da quello dello Stato (Antitrust, Autorità per l’energia elettrica e il gas, AGCOM, Autorità di regolazione dei trasporti, ANAC e Garante per la tutela della privacy); c) quelle, infine, che sono prive di personalità giuridica e che, di conseguenza, andrebbero riferite – sia pur con un’autonomia dal Governo diversamente graduata – all’ambito della personalità giuridica dello Stato-ente (Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi).
Quanto al profilo funzionale, i poteri che la legge attribuisce alle diverse Autorità possono essere amministrativi in senso proprio (o stretto), regolativi e giustiziali. È di tutta evidenza che l’attribuzione delle tre diverse species di poteri sia intimamente correlata al compito che la legge riconosce in capo a ciascuna Autorità. In linea di massima può dirsi che la titolarità del potere normativo sia propria, di regola, delle Autorità che svolgono compiti di regolazione di settori sensibili del mercato. Epperò, può accadere che la potestà normativa sia attribuita dalla legge anche alle Autorità di garanzia. Particolare rilievo rivestono i poteri giustiziali, in esercizio dei quali le Autorità intervengono, in posizione di terzietà, a risolvere le controversie che possono insorgere nel settore.
L’ultima questione di cui è necessario brevemente riferire è quella concernente l’indipendenza delle Autorità, che viene unanimemente riconosciuta in dottrina come loro qualità distintiva e peculiare. Detta indipendenza è, ad un tempo, organizzativa e funzionale, consistendo, per un verso, nella facoltà, ad esse espressamente riconosciuta dalla legge, di disciplinare, in piena autonomia, la propria organizzazione ed il proprio funzionamento, senza altro vincolo che non sia quello del rispetto della legge; e, per l’altro, nella possibilità di svolgere la propria missione istituzionale senza dover soggiacere all’indirizzo politico e politico-amministrativo del Governo e dei Ministri. Non a caso si è soliti qualificare le Autorità come “amministrazioni neutrali”, a significare la sostanziale “indifferenza” – e cioè la posizione di terzietà (per certi versi paragonabile a quella degli organi giurisdizionali) – nei confronti degli interessi in gioco che segnerebbe la loro azione: un’azione che perciò si distingue da quella delle amministrazioni pubbliche tradizionali, le quali, invece, nel rapporto con gli amministrati, vanno considerate come “parti imparziali”. Per assicurare l’indipendenza delle Autorità, la legge dispone una serie di strumenti utili a “proteggere”, se così può dirsi, i titolari degli organi di vertice di ciascuna Autorità da possibili influenze esterne. La gran parte di essi consiste, essenzialmente, nei meccanismi di nomina degli organi collegiali, nomina che è, nella maggioranza dei casi, di competenza del Parlamento (che è l’organo, peraltro, al quale le Autorità sono tenute a riferire annualmente i risultati della loro attività). Epperò, un ruolo tutt’altro che secondario va riconosciuto anche alla disciplina delle incompatibilità ed alla individuazione delle “categorie” di professionisti che possono legittimamente aspirare ad essere nominati componenti di un’Autorità.
Resta, comunque, da richiamare l’attenzione su un profilo problematico che occupa la gran parte del dibattito dottrinale. L’indipendenza organizzativa e funzionale dal Governo delle Autorità è, al contempo, all’origine del più “grave” problema che la dottrina si è posta con riferimento ad esse: quello, cioè, della loro legittimità costituzionale e/o legittimazione democratica. In particolare, ci si è interrogati sulla responsabilità delle Autorità e sui meccanismi della sua attivazione, partendo dalla constatazione che, in forza della loro indipendenza dal Governo, esse sfuggono al principio della responsabilità politica dei Ministri, dinanzi al Parlamento, per l’attività amministrativa svolta dall’insieme degli apparati che vi fanno capo (di cui all’art. 95 Cost.). Si tratta di un tema di non scarso rilievo, rispetto al quale, peraltro, le opinioni della dottrina non sono affatto unanimi. D’altra parte, però, deve pure considerarsi – come in dottrina si è osservato ormai da tempo – che nella Costituzione repubblicana sarebbero rintracciabili, oltre quello della Amministrazione come «apparato servente» del Governo, fondato essenzialmente sull’art. 95 Cost., almeno altri due modelli: quello delle “autonomie locali”, espresso dagli artt. 5 e 114 ss. Cost.; e quello della “amministrazione separata dal potere politico”, e da questo indipendente, che si ricava dagli artt. 97 e 98 Cost. (si v. Nigro, M., La pubblica amministrazione tra costituzione formale e costituzione materiale, in AA.VV. Studi in onore di V. Bachelet, Milano, 1987, vol. II, 385 ss.). A quest’ultimo modello di amministrazione potrebbero ricondursi, in particolare, le Autorità (come fa Cerulli Irelli, V., Premesse problematiche allo studio delle «amministrazioni indipendenti», in F. Bassi e F. Merusi, a cura di,, Mercati e amministrazioni indipendenti, Milano, 1993, 1 ss.); il che, con ogni evidenza, finirebbe almeno con l’attenuare i persistenti dubbi sulla loro costituzionalità.
In proposito, se da un canto può plausibilmente sostenersi che le Autorità amministrative indipendenti rappresentino verosimilmente il più recente sviluppo del processo evolutivo consistente nella progressiva affermazione del pluralismo (sociale ed istituzionale) – processo che interessa, tanto il profilo soggettivo-organizzatorio della P.A., quanto la “morfologia giuridica” dell’interesse pubblico (la quale sulla P.A. come soggetto si riflette attraverso i cambiamenti che produce nella configurazione della funzione amministrativa). D’altro canto, ciò non elimina il problema della legittimità costituzionale delle Autorità – questa potendo apparire, per molti versi, una forzatura dell’impianto istituzionale pensato dai Padri fondatori –, problema che sfocia, quindi, in quello della necessità di una loro “costituzionalizzazione” mediante una riforma del testo vigente della Carta repubblicana.
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