Organizzazioni internazionali
di Sergio Romano
Sino alla Rivoluzione francese la società internazionale è ancora, per certi aspetti, feudale: una sorta di grande piramide in cui molti sovrani esercitano il potere sul proprio territorio, ma sono legati a un'autorità superiore da rapporti di fedeltà e di lealtà. Esiste una gerarchia dei poteri che sopravvive, anche se consunta dal tempo, alla nascita e all'affermazione dei maggiori Stati europei. Il titolo con cui il principe esercita le sue prerogative sovrane è ancora formalmente una sorta di 'patente' che gli viene concessa dall'imperatore o dal papa. Cosimo de' Medici diviene duca (1537) perché così decide Carlo V, sacro romano imperatore. Il titolo di re viene conferito a Vittorio Amedeo II (1714) dalle grandi potenze come una promozione internazionale. La Rivoluzione francese e Napoleone spezzano questi legami, travolgono le grandi istituzioni metanazionali e metastatali. Gli avvenimenti più simbolici sono, in questa prospettiva, il gesto con cui Napoleone rifiuta di accettare la corona imperiale dalle mani di Pio VII, il 2 dicembre 1804, e la fine del Sacro Romano Impero il 6 agosto 1806. Comincia così a scomparire quell'intricato intreccio di fedeltà e sudditanze che aveva lungamente caratterizzato lo status personale di molti europei, comincia un'era in cui uomini e donne, quale che sia la loro condizione sociale, avranno una sola lealtà: lo Stato cui appartengono. Dopo essere stata verticale e piramidale la società internazionale diventa orizzontale.Il processo è lento e si scontra con la tenace resistenza di coloro ai quali questa 'semplificazione' appare innaturale. Sino alla prima guerra mondiale l'Europa è ancora ricca di individui che possono essere al tempo stesso, ad esempio, cittadini di una libera città, sudditi del sovrano a cui debbono il loro titolo ereditario e devoti fedeli del papa di Roma. La 'Legione di Antibo', in cui accorrono, per difendere gli Stati della Chiesa e il potere temporale del papa, molti giovani esponenti del legittimismo europeo, è il piccolo specchio in cui si riflettono, fra il 1865 e il 1870, alcune tenaci tradizioni dell'Europa d'ancien régime.
Una società orizzontale, composta da Stati formalmente eguali e completamente sovrani, constata rapidamente di avere esigenze comuni cui occorre far fronte con strumenti nuovi. Gli anni in cui crollano le strutture della vecchia feudalità internazionale sono caratterizzati da un processo di modernizzazione che investe, uno dopo l'altro, tutti i paesi europei. Grazie allo sviluppo delle comunicazioni gli uomini viaggiano sempre più frequentemente per lavoro o per turismo, intensificano i loro rapporti commerciali, scambiano merci e denaro. In un mondo rimpicciolito dalla grande rivoluzione ferroviaria, dall'apparizione delle navi a vapore e dalla diffusione delle comunicazioni telegrafiche, ogni Stato, anche il più grande e potente, scopre che la sua prosperità, la sua efficienza e la sua sicurezza dipendono, molto più che in passato, dalla collaborazione internazionale. Una ferrovia, un servizio postale o una rete telegrafica sono veramente utili soltanto se compatibili con i servizi del paese vicino, se ogni Stato s'impegna a garantire la prosecuzione del servizio iniziato in un altro Stato e a restituire il servizio ricevuto. Il vecchio strumento con cui gli Stati hanno affrontato e risolto il problema della loro collaborazione - l'accordo bilaterale - si rivela ben presto insufficiente. Il buon senso vuole che tutti gli Stati interessati si accordino per affidare alcune funzioni a enti permanenti, composti dai loro rappresentanti. Nascono così, nella seconda metà del secolo, l'Unione Telegrafica Internazionale (1865) e l'Unione Postale Universale (1875), embrioni di una sorta di ministero internazionale delle Poste e Telecomunicazioni.
Alle esigenze pratiche si accompagnano esigenze umanitarie. Il secolo del progresso vorrebbe diffondere l'educazione, combattere le malattie, lenire gli orrori della guerra. Uno svizzero, Henry Dunant, ebbe la ventura di trovarsi a Solferino durante la battaglia che si combatté tra Austriaci e Francesi il 24 giugno del 1859. Fu una delle più sanguinose del secolo: più di undicimila francesi e ventimila austriaci rimasero sul campo alla fine dello scontro. Dopo essersi prodigato con l'aiuto della popolazione per soccorrere i feriti, Dunant pubblicò un appassionato Ricordo di Solferino e fondò nel 1863, con altri quattro ginevrini, un Comitato internazionale di società umanitarie da cui deriverà più tardi il Comitato internazionale della Croce Rossa. Il Comitato nacque come associazione privata, ma la convenzione firmata a Ginevra nel 1864 da dodici Stati conferì di fatto alla Croce Rossa una sorta di mandato supernazionale e gettò le basi del diritto umanitario. Una libera associazione divenne così di fatto, grazie all'impegno del suo fondatore, un'organizzazione internazionale.
Si fa strada nel frattempo la convinzione che gli Stati non debbano limitarsi a regolare insieme alcune funzioni tecniche o esigenze umanitarie. Nel 1908 si costituisce a Roma, per iniziativa del governo italiano, un Istituto Internazionale dell'Agricoltura che si propone di promuovere studi, diffondere conoscenze tecniche, sollecitare lo sviluppo delle attività agricole soprattutto nei paesi in cui esse hanno bisogno di essere sostenute e incoraggiate. L'obiettivo di questa piccola organizzazione, da cui deriverà più tardi l'Organizzazione per l'Agricoltura e l'Alimentazione (Food and Agriculture Organization, FAO) è al tempo stesso sociale, economico e umanitario. Dietro queste iniziative si nasconde una più forte ambizione internazionalista. Si va diffondendo la convinzione che gli Stati dovrebbero accordarsi, nell'interesse dell'umanità e della pace, per gettare le basi di un governo mondiale cui delegare il regolamento delle controversie internazionali e l'amministrazione dei popoli incapaci di governarsi. Queste visioni della società internazionale, che risalgono al Settecento, riappaiono periodicamente nei dibattiti intellettuali e hanno generalmente carattere accademico. Ma lo scoppio della prima guerra mondiale, la durata del conflitto e il prezzo di sangue pagato dai combattenti conferiscono a questa grande utopia internazionalista una maggiore concretezza. Se le sovranità nazionali sono inevitabilmente destinate a competere e a scontrarsi, ogni Stato dovrebbe cedere una parte della propria sovranità a un organismo sovranazionale e accettarne le decisioni.
Il fattore decisivo per la costituzione di un organismo sovranazionale fu l'appoggio che l'idea ricevette da Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti. Nell'ultimo anno della guerra Wilson pubblicò una sorta di manifesto in quattordici punti in cui riassunse i criteri cui avrebbe dovuto ispirarsi, dopo la fine del conflitto, la nuova società internazionale, e nell'ultimo di essi propose la creazione di un'"associazione generale delle nazioni [...] per dare garanzie di mutua indipendenza politica e integrità territoriale a tutti gli Stati, piccoli o grandi". La proposta conteneva una implicita critica per la politica di potenza che gli Stati europei avevano perseguito durante l'Ottocento. Wilson combatté a fianco degli alleati contro gli Imperi centrali, ma lasciò chiaramente intendere in quegli anni che le responsabilità del conflitto ricadevano sulle spalle dell'intera Europa e che gli Stati Uniti, per la loro autorità morale, avevano il diritto di indicare al mondo le grandi linee di un nuovo ordine internazionale. Forte dell'appoggio fornito agli alleati, soprattutto con forniture materiali e aiuti finanziari, Wilson riuscì a vincere le perplessità del presidente francese, Georges Clemenceau, del primo ministro inglese, David Lloyd George, e degli altri leaders alleati. La Società delle Nazioni fu inserita in ciascuno dei trattati di pace e divenne realtà nel gennaio 1920, non appena il primo di essi, firmato nel giugno dell'anno precedente, fu ratificato dalla Germania e da tre paesi alleati.
Fu deciso che la Società avrebbe avuto sede a Ginevra e che il suo segretario generale sarebbe stato un diplomatico inglese, fortemente appoggiato da Wilson: sir James Eric Drummond. Erano destinati a far parte della Società i vincitori della guerra, i tredici paesi neutrali che avessero avanzato domanda di adesione entro due mesi, gli Stati indipendenti che avessero accettato gli obblighi dello Statuto e fossero stati ammessi dall'Assemblea con una maggioranza di due terzi. Sin dall'inizio quindi la Società delle Nazioni presenta un'anomalia che ritroveremo nell'Organizzazione delle Nazioni Unite e in altre organizzazioni internazionali: aspira a diventare 'governo mondiale', ma nella sua composizione e nelle sue norme riflette gli interessi e le esigenze dei paesi che hanno vinto la guerra; vuole inaugurare un nuovo ordine internazionale, ma si propone anzitutto di conservare quello che i vincitori hanno instaurato alla fine del conflitto. E non è tutto. L'uomo di Stato che si era maggiormente adoperato per la creazione della Società non riuscì ad assicurare la partecipazione del suo paese. Il 16 gennaio 1920, nel giorno stesso in cui si tenne a Parigi la prima riunione del Consiglio della Società, il Senato degli Stati Uniti votò contro l'adesione. Due mesi dopo, il 19 marzo, nonostante il personale impegno di Wilson, il trattato di Versailles non ebbe al Senato i due terzi prescritti dalla Costituzione americana per la ratifica degli accordi internazionali. L'organizzazione nacque quindi all'insegna di una palese contraddizione. Privata dell'appoggio del paese che l'aveva imposta ai suoi alleati, essa venne affidata a Stati che avevano molti dubbi, nella migliore delle ipotesi, sulla sua efficacia.
Lo statuto (covenant) della Società prevedeva tre organismi principali: l'Assemblea, composta da tutti gli Stati membri; il Consiglio, composto da cinque membri permanenti (quattro, dopo il rifiuto americano di ratificare il trattato di Versailles) e quattro membri non permanenti, eletti a turno; un segretariato, composto da circa seicento funzionari. Al Consiglio spettava il compito di predisporre piani di disarmo, di agire come arbitro nelle controversie internazionali, di vigilare sull'amministrazione dei mandati (territori degli imperi sconfitti, affidati alla cura delle potenze vincitrici), di raccomandare misure militari contro l'aggressore. Ma ogni decisione doveva essere presa all'unanimità. La composizione della Società subì modifiche che riflettono le fasi alterne della sua storia. Quando la Germania fece domanda di adesione nel febbraio del 1926 e chiese un seggio permanente, fu necessario modificare lo statuto e dare soddisfazione nello stesso tempo agli Stati (Cina, Polonia, Belgio, Spagna, Brasile) che desideravano un seggio semipermanente. Ma la soluzione non accontentò il Brasile, che decise di abbandonare l'organizzazione. La seconda defezione ebbe luogo nel 1933, quando il Giappone, dopo la conquista della Manciuria, abbandonò la Società in segno di protesta per la condanna che gli era stata inflitta dall'Assemblea il 24 febbraio. Nello stesso anno, poco dopo l'avvento di Hitler al potere, ne uscì la Germania: in ottobre i Tedeschi rifiutarono di sottoscrivere le proposte della conferenza per il disarmo e il nuovo cancelliere notificò al mondo che il suo paese abbandonava l'organizzazione. Un anno dopo, nel 1934, la Società ammise un membro importante, l'Unione Sovietica, ma nel 1937 perdette l'Italia. Il caso italiano presenta, nella storia della Società, una particolare importanza. Mentre l'aggressione giapponese in Manciuria provocò, dopo lunghe inchieste, una semplice condanna morale, l'invasione italiana dell'Etiopia nell'ottobre del 1935 suscitò la riprovazione di larghi settori dell'opinione internazionale e una forte reazione della Società. Il 7 ottobre, quattro giorni dopo l'inizio delle ostilità, il consiglio deliberò con un solo voto di opposizione (quello italiano) che l'Italia aveva violato lo statuto e propose sanzioni che furono definite e adottate nel mese seguente. Scartata l'ipotesi di misure militari fu deciso che l'Italia sarebbe stata colpita da provvedimenti economici e finanziari. L'impatto delle sanzioni fu modesto: la lista dei prodotti vietati non incluse alcune fra le materie prime più necessarie alla condotta delle operazioni, gli Stati Uniti non presero parte all'embargo, l'Italia poté contare sulla fornitura di carbone tedesco e la Gran Bretagna, in omaggio alla convenzione del 1888, non ritenne di poter chiudere il canale di Suez. L'unica conseguenza delle sanzioni fu quella d'indignare l'opinione pubblica italiana, di rafforzare l'adesione alla politica di Mussolini e di creare le condizioni per il ritiro dell'Italia dalla Società, l'11 dicembre 1937.
L'ultimo avvenimento importante, nella storia della Società delle Nazioni, fu l'esclusione dell'URSS nel dicembre del 1939, dopo l'invasione della Finlandia. Ma i fatti di quei mesi confermarono ciò che a molti appariva chiaro da tempo: la Società non aveva l'autorità e la forza necessarie a comporre i conflitti internazionali, punire i responsabili, ristabilire l'ordine. Anche se un'ultima riunione si tenne a Ginevra dall'8 al 18 aprile 1946 per chiudere formalmente la storia della sua esistenza, la Società delle Nazioni aveva cessato di esistere all'inizio della seconda guerra mondiale.
L'impotenza dell'organizzazione nelle grandi crisi internazionali del periodo fra le due guerre non impedì che la Società svolgesse un utile lavoro nel campo della giustizia internazionale, delle comunicazioni, della sanità, dell'assistenza umanitaria e della cooperazione intellettuale. Nel dicembre del 1920 l'Assemblea approvò all'unanimità il progetto di statuto della Corte Permanente di Giustizia Internazionale. Costituita nel settembre dell'anno successivo, la Corte cominciò a operare qualche mese dopo. Il suo primo caso fu quello della Wimbledon, una nave inglese carica di munizioni a cui il direttore del canale di Kiel aveva rifiutato il diritto di passaggio verso un porto polacco. Contemporaneamente la Società promosse la codificazione del diritto internazionale e costituì un comitato di esperti. Un forte contributo venne dal governo italiano, che propose la creazione di un Istituto Internazionale per l'Unificazione del Diritto Privato e accettò di sostenerne le spese. L'Istituto ebbe sede a Roma e fu presieduto da Vittorio Scialoja, già ministro degli Esteri nel governo Nitti e delegato italiano alla Società delle Nazioni dal 1921 al 1932. All'armonizzazione delle norme giuridiche e regolamentari in materia di trasporti e comunicazioni si dedicò l'Organizzazione delle Comunicazioni e del Transito, nata da una conferenza che si tenne a Barcellona nel 1921; ai problemi sanitari l'Organizzazione d'Igiene, erede di un Ufficio Internazionale della Pubblica Sanità, costituito a Ginevra nel 1909, e di un comitato che nell'immediato dopoguerra aveva combattuto le epidemie nei paesi dell'Europa centrorientale (Polonia, Repubbliche del Baltico, Russia Sovietica); alle operazioni umanitarie, una Unione Internazionale di Soccorso, creata per iniziativa del senatore Giovanni Ciraolo, presidente della Croce Rossa Italiana; alla cooperazione intellettuale infine la Commissione di Cooperazione Intellettuale da cui sorse nel 1925, per iniziativa del governo francese, l'Istituto Internazionale di Cooperazione Intellettuale.
Ciascuna di queste organizzazioni apparteneva alla Società delle Nazioni e aveva, come la Società, carattere intergovernativo. Diversa per molti aspetti è la natura dell'Ufficio Internazionale del Lavoro (in francese, nella dizione allora corrente, Bureau International du Travail), costituito nel 1919. Mentre gli organi direttivi delle prime erano composti da rappresentanti dei governi, quelli dell'UIL erano aperti anche ai rappresentanti delle organizzazioni sindacali. All'origine della sua costituzione vi è l'importanza che i problemi sociali avevano assunto negli anni precedenti. Le grandi emigrazioni negli ultimi decenni del secolo, l'organizzazione del lavoro per fini di guerra negli anni precedenti, la propaganda dei partiti socialisti, il clima sociale e politico del primo dopoguerra avevano destato l'attenzione della pubblica opinione e sollecitato i governi ad agire insieme alle organizzazioni sindacali per tutelare i lavoratori e migliorare le loro condizioni di lavoro. L'UIL è il frutto della consapevolezza che la questione sociale non è meno importante, per la preservazione della pace, degli altri problemi cui la Società delle Nazioni avrebbe dedicato la propria attenzione: conflitti territoriali, disarmo, statuto delle minoranze. È interessante osservare che di tutte le organizzazioni internazionali sorte dopo la prima guerra mondiale, l'UIL è l'unica che non abbia subito la sorte della Società delle Nazioni e che sia divenuta nel 1946 agenzia specializzata dell'ONU.
'Nazioni Unite' è la definizione che Churchill e Roosevelt dettero alla coalizione alleata nel corso dell'incontro che ebbero a Washington fra il dicembre del 1941 e il gennaio del 1942. In una 'Dichiarazione delle Nazioni Unite', firmata il 1° gennaio 1942, gli alleati s'impegnarono a creare, dopo la guerra, un "sistema di pace e di sicurezza". La questione fu discussa nel corso di un viaggio che il segretario di Stato americano, Cordell Hull, fece a Mosca nell'ottobre 1943, fu nuovamente affrontata durante la conferenza tripartita che si tenne a Teheran nel novembre del 1943 e divenne infine materia di una speciale conferenza che ebbe luogo a Dumbarton Oaks, nei pressi di Washington, fra il settembre e l'ottobre del 1944. L'impegno maggiore in quegli anni fu del governo americano. Roosevelt credeva nella necessità di un 'ordine internazionale', ma non poteva dimenticare lo scacco subito da un altro presidente democratico, Wilson, dopo la prima guerra mondiale. Buona parte della sua politica nell'ultima fase della guerra fu dominata dal desiderio d'impedire che la fine del conflitto coincidesse negli Stati Uniti con una nuova fiammata d'isolazionismo. Roosevelt dovette quindi tener conto, nei suoi progetti, sia delle difficoltà sollevate dagli alleati, sia delle obiezioni di una parte assai importante dell'opinione pubblica americana.
A Dumbarton Oaks fu deciso che la nuova organizzazione sarebbe stata composta da un Consiglio di sicurezza, da un'Assemblea generale, da un segretariato, da una Corte internazionale di giustizia e da un Consiglio economico e sociale. Come l'organo direttivo della Società delle Nazioni il Consiglio di sicurezza sarebbe stato composto da alcuni membri permanenti (le maggiori potenze vincitrici) e da altri, eletti a turno dall'Assemblea generale. Il primo nodo da sciogliere fu quello del voto nel Consiglio di sicurezza. Si decise di rinunciare al principio dell'unanimità, ma nessuna delle maggiori potenze era disposta a privarsi del diritto di veto. Roosevelt sperò di convincere Stalin ad accettare un'eccezione nel caso in cui la grande potenza fosse stata 'parte in causa', ma una sua lettera personale non riuscì a modificare la posizione del leader sovietico. Una seconda questione, non meno delicata, concerneva la composizione dell'Assemblea generale e fu affrontata a Jalta durante la conferenza tripartita che si tenne nel febbraio 1945. Stalin sostenne che la Gran Bretagna avrebbe controllato i voti dei paesi del Commonwealth e goduto in tal modo di un particolare vantaggio. Benché ogni confronto tra il Commonwealth e l'URSS fosse del tutto improprio fu necessario ammettere nell'organizzazione tre delegazioni sovietiche - URSS, Ucraina, Bielorussia - e garantire a Mosca, in tal modo, tre voti.
L'Organizzazione delle Nazioni Unite nacque dalla conferenza che si tenne a San Francisco tra il 25 aprile e il 25 giugno 1945. Per evitare che essa apparisse come un diktat dei vincitori ai vinti fu deciso che il testo della Carta, a differenza di quanto era accaduto per la Società delle Nazioni, non venisse incluso nei trattati di pace con le potenze sconfitte. Ma la composizione dell'ONU riflette, nella sua fase iniziale, gli stessi criteri che avevano presieduto alla composizione della Società. Ne fecero parte le potenze alleate e tutti gli Stati 'pacifici' che erano pronti a sottoscrivere gli obblighi della Carta. I paesi sconfitti vi entreranno gradualmente nel corso degli anni successivi dopo estenuanti negoziati fra le grandi potenze, ormai divise dai contrasti e dai sospetti della guerra fredda. Anche l'ONU, quindi, come la Società delle Nazioni, fu anzitutto l'organizzazione dei vincitori.
Il primo segretario generale dell'ONU fu un uomo politico norvegese, Trygve Lie, già ministro degli Esteri del suo governo durante il lungo esilio londinese della seconda guerra mondiale. Rimase in carica dal 1° febbraio 1946 al 10 aprile 1953, fece del suo meglio per consolidare la vocazione internazionalista dell'organizzazione e si adoperò, tra l'altro, per l'ammissione della Cina comunista dopo la proclamazione della Repubblica Popolare nell'ottobre 1949. Ma fu lui, paradossalmente, che nel giugno del 1950 dovette presiedere alla formazione di una grande coalizione internazionale per assistere la Corea del Sud contro l'aggressione della Corea del Nord e, più tardi, contro l'intervento cinese.
La guerra fredda modificò radicalmente i caratteri della maggiore organizzazione internazionale e pregiudicò il successo della sua azione. In un clima sempre più teso e conflittuale il diritto di veto, che nelle intenzioni dei fondatori doveva garantire l'armoniosa collaborazione delle maggiori potenze, divenne lo strumento con cui esse, e in particolare l'Unione Sovietica, impedirono all'organizzazione di svolgere la sua funzione conciliatrice e pacificatrice. La situazione divenne ancora più grave con il progressivo allargamento dell'Assemblea generale in cui entrarono, dopo la decolonizzazione, tutti gli Stati di nuova indipendenza. Mentre il Consiglio era paralizzato dai veti incrociati dei suoi membri permanenti, l'Assemblea assunse un forte carattere antioccidentale e adottò risoluzioni, come quella anti-israeliana sul razzismo, che ebbero l'effetto d'irritare profondamente gli Stati Uniti e i loro alleati. La paralisi del Consiglio di sicurezza valorizzò per certi aspetti il ruolo dell'Assemblea. Ma la nuova situazione ebbe l'effetto di rimettere in discussione il principio stesso - uno Stato, un voto - su cui l'organizzazione era fondata. Era giusto che il voto di un piccolo Stato, privo di qualsiasi autorità politica e valore militare, pesasse quanto quello di una grande potenza? Era giusto che il voto di una grande potenza, sulle cui spalle ricadeva il peso finanziario dell'organizzazione, contasse quanto quello di uno Stato che forniva al bilancio dell'ONU un contributo modesto? Questa contraddizione - un Consiglio paralizzato, un'Assemblea incline a posizioni demagogiche e 'anticolonialiste' - ebbe gravi ripercussioni sulla credibilità dell'organizzazione e sulla sua immagine internazionale. Per molti anni l'ONU fu utile soltanto quando le maggiori potenze poterono accordarsi per evitare che un conflitto regionale si estendesse al di là della propria area.
La situazione cambiò con l'evoluzione della politica sovietica, nella seconda metà degli anni ottanta. La fine della guerra fredda sembrò creare le condizioni per quel rapporto di collaborazione fra le maggiori potenze che Roosevelt aveva auspicato in seno al Consiglio di sicurezza. Alcuni avvenimenti confermarono queste speranze. La guerra del Golfo e il ruolo dell'ONU in paesi che erano stati lungamente sconvolti dalla guerra civile - Angola, Cambogia, ex Iugoslavia, Mozambico, Somalia - parvero dimostrare che la maggiore organizzazione internazionale sarebbe finalmente diventata, secondo le intenzioni originali, il nucleo di un futuro governo mondiale. I fatti - soprattutto in Somalia e nella ex Iugoslavia - hanno parzialmente deluso quelle aspettative. Anche quando non trova sulla propria strada il veto paralizzante o le riserve di uno dei membri permanenti, l'ONU può agire con efficacia soltanto se gli interessi della comunità internazionale coincidono con quelli di almeno una grande potenza. Se le sue iniziative non sono sostenute da un forte impegno militare, finanziario e logistico, l'organizzazione si vede costretta a svolgere un'opera marginale. Ma il giudizio negativo che ha colpito l'ONU dopo il fallimento dell'operazione somala e la lunga guerra bosniaca è spesso il risultato di una visione impaziente e frettolosa. Considerato in una più ampia prospettiva storica, il periodo fra la seconda metà degli anni ottanta e la prima metà degli anni novanta conferma che l'ONU ha un insostituibile ruolo internazionale ed è probabilmente destinata ad accrescere le sue funzioni.
Anche l'ONU, come la Società delle Nazioni, è stata affiancata da organizzazioni internazionali che hanno svolto, persino negli anni della guerra fredda, un'azione efficace e utile. Sin dal 1944 fu deciso che la società internazionale avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione ai problemi economici e finanziari del dopoguerra. All'origine della riunione di Bretton Woods, nel New Hampshire, che Inglesi e Americani tennero nel luglio 1944, vi erano l'esperienza del primo dopoguerra, in particolare la convinzione che le vicende economiche e sociali di quegli anni avessero inciso sul sistema politico dei singoli Stati e sulle tensioni internazionali del periodo successivo. Occorrevano nuove istituzioni, capaci di assistere i vecchi paesi nella fase della loro ricostruzione e avviare i nuovi sulla strada dello sviluppo. In questo spirito vennero creati il Fondo Monetario Internazionale (International Monetary Fund, luglio 1944), la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (International Bank for Reconstruction and Development, dicembre 1945), l'Organizzazione Internazionale del Commercio (International Trade Organization) - da cui derivò successivamente il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade, 1947) -, l'Organizzazione Internazionale dei Rifugiati (International Refugees Organization, 1946), il Fondo delle Nazioni Unite di Aiuti d'Emergenza per l'Infanzia (United Nations International Childrens' Emergency Fund, UNICEF, 1946) e più tardi (1964) la Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (United Nations Conference on Trade and Development, UNCTAD). Tre vecchie organizzazioni sopravvissero alla Società delle Nazioni o vennero rafforzate. L'Ufficio Internazionale del Lavoro divenne l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labour Organization, 1946), l'Organizzazione d'Igiene dette origine all'Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, aprile 1948) e l'Istituto Internazionale dell'Agricoltura trasferì le proprie competenze all'Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura (Food and Agriculture Organization, FAO). Fu la lunga esperienza di collaborazione internazionale nel campo agricolo e alimentare che rese possibile la determinazione (assunta nel 1949) di stabilire a Roma la sede centrale della FAO, prima ancora che l'Italia fosse ammessa alle Nazioni Unite (v. Di Nolfo, 1994).
Altre organizzazioni sorte in quegli anni rispondono alle esigenze funzionali che avevano determinato, nel secolo precedente, la nascita dell'Unione Postale e dell'Unione Telegrafica. È il caso dell'Organizzazione dell'Aviazione Civile (Civil Aviation Organization) e dell'Organizzazione Europea dei Trasporti Continentali (European Transports Organization), sorte verso la fine del 1945, dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale (World Meteorological Organization, WMO) nata nel 1950, dell'Organizzazione Mondiale del Turismo (World Tourism Organization, WTO), costituita nel 1977. Nei primi anni del dopoguerra fu deciso di dare nuovi compiti, più vasti e ambiziosi, all'Istituto Internazionale di Cooperazione Intellettuale. Nacque così, nel 1945, con sede a Parigi, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (United Nations Organization for Education, Science and Culture, UNESCO). Più tardi, nel 1957, fu costituita l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (International Atomic Energy Agency, IAEA), cui fu affidato il compito di favorire l'uso pacifico dell'energia nucleare e di vigilare affinché il potenziale nucleare dei singoli Stati non venisse utilizzato per scopi di guerra.
Dopo l'esperienza parzialmente negativa della Società delle Nazioni la comunità internazionale dispone ormai, alla fine della seconda guerra mondiale, di organizzazioni che sono potenzialmente altrettanti ministeri di un futuro governo mondiale. Nelle intenzioni dei fondatori non basta prevenire conflitti, comporre controversie, arbitrare contenziosi e punire le violazioni della Carta. Occorre altresì favorire la collaborazione economica, lo sviluppo delle economie nazionali, il progresso civile, il rispetto dei diritti umani, la salute, la protezione dei lavoratori, i collegamenti internazionali. E occorre soprattutto convincere gli Stati ad affrontare insieme i problemi della loro convivenza accettando che una parte della loro sovranità venga gradualmente trasferita alle organizzazioni internazionali. La Carta delle Nazioni Unite e gli statuti delle singole organizzazioni riflettono la filosofia dei fondatori e in particolare del paese - gli Stati Uniti - che si era maggiormente adoperato, alla fine della guerra, per la nascita di un nuovo ordine mondiale. Questa filosofia è internazionalista, democratica e tendenzialmente liberoscambista. Anche quando sembrano contraddire con il loro comportamento lo spirito della Carta, i vincitori occidentali della seconda guerra mondiale restano complessivamente fedeli alle loro motivazioni iniziali.
Ma la filosofia delle grandi democrazie occidentali non è condivisa da un altro vincitore, l'Unione Sovietica, e dalla Repubblica Popolare Cinese. La guerra fredda divide le organizzazioni internazionali in campi contrapposti. La difesa dei diritti umani diventa l'arma di cui l'Occidente si serve per denunciare gli arbitri dei regimi totalitari d'ispirazione comunista. Le mozioni contro il razzismo e contro il colonialismo sono l'arma di cui l'Unione Sovietica e i suoi alleati si servono per denunciare le malefatte dei regimi 'capitalisti'. Anche nelle singole organizzazioni, come nell'Assemblea generale dell'ONU, la decolonizzazione modifica il rapporto di forze tra i due schieramenti contrapposti. L'URSS raccoglie consensi fra i paesi in via di sviluppo, ne incoraggia la politica antioccidentale e sfrutta abilmente in ogni sede alcuni conflitti regionali come la crisi di Suez nel 1956, le guerre arabo-israeliane del 1967 e del 1973, l'invasione israeliana del Libano nel 1982. Paradossalmente l'organizzazione che soffre maggiormente di questo clima politico è quella che più di altre avrebbe dovuto collocare la sua azione su un piano di più alta umanità: nel 1984 e nel 1985 gli Stati Uniti e la Gran Bretagna si ritirano dall'UNESCO in segno di protesta contro i suoi orientamenti politici, soprattutto dopo la nomina di un segretario generale africano. Otto anni prima (novembre 1977) gli Stati Uniti, con una decisione analoga, si erano ritirati dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro.
Nel dibattito che precedette la costituzione della Società delle Nazioni molti studiosi e uomini politici sostennero che la prospettiva di un governo mondiale era ancora lontana e che la strada da percorrere era piuttosto quella delle grandi organizzazioni regionali fra Stati collegati da tradizioni storiche e affinità culturali. Al momento della creazione dell'ONU il problema fu risolto con un articolo della Carta che prevede e incoraggia la costituzione di organizzazioni regionali. Sorte sin dagli inizi del secondo dopoguerra esse hanno assunto, a seconda della loro motivazione originale, caratteri diversi. In alcuni casi sono la versione moderna delle antiche alleanze politico-militari che gli Stati stipulavano per meglio garantire la loro sicurezza o raggiungere i loro obiettivi. In altri casi servono a rafforzare la posizione negoziale degli Stati membri nella trattazione di problemi specifici con altri Stati della comunità internazionale. In altri ancora sono una tappa verso la creazione di nuovi soggetti internazionali che potrebbero definirsi, con una certa approssimazione, federali o confederali. E in qualche caso infine si collocano a metà strada fra l'una e l'altra di queste categorie. Proviamo, con qualche necessaria omissione, a tracciare, tenendo conto di queste distinzioni, un breve inventario delle maggiori organizzazioni regionali.
La prima organizzazione regionale del dopoguerra fu l'OECE (Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica), costituita a Parigi il 16 aprile 1948 fra i paesi che partecipavano al programma americano per la ricostruzione dell'Europa (European Recovery Programme, ERP). Ne fecero parte, all'inizio, l'Austria, il Belgio, la Danimarca, la Grecia, la Francia, la Gran Bretagna, l'Irlanda, l'Islanda, l'Italia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, la Norvegia, il Portogallo, gli Stati Uniti, la Svezia e la Turchia. Accanto allo scopo originale (una efficace ripartizione delle risorse offerte dall'America nell'ambito del Piano Marshall) l'organizzazione si propose di raggiungere altri obiettivi, più ambiziosi, fra cui in particolare lo sviluppo dei rapporti fra i paesi membri in un quadro caratterizzato dai principî del liberalismo economico. Più tardi, nel dicembre 1960, l'OECE modificò il proprio statuto e dimostrò la sensibilità dei paesi industrializzati ai problemi sociali ed economici della decolonizzazione trasformandosi nella Organizzazione di Cooperazione e Sviluppo Economico (OCSE, in inglese OECD), ma assunse da allora sempre di più il carattere di un grande 'ufficio studi' al servizio delle economie occidentali.
La nascita dell'OECE coincide con il tentativo di creare la prima grande organizzazione europea. Il dibattito sulla prospettiva di una grande federazione, simile a quella che gli Americani avevano creato alla fine del Settecento, risaliva agli anni fra le due guerre e si era riacceso verso la fine del conflitto. A molti uomini politici e intellettuali l'Europa unita parve allora la sola risposta razionale ai guasti morali e materiali di cui lo Stato nazionale era stato responsabile nel corso di due grandi guerre. Inoltre, agli occhi di molti europei, l'unità era l'unico mezzo per conservare il prestigio e l'influenza che i singoli Stati avevano perduto durante il conflitto. In un mondo sempre più evidentemente dominato da grandi potenze continentali - gli Stati Uniti, l'Unione Sovietica, un giorno forse la Cina - l'Europa avrebbe contato soltanto se le sue nazioni avessero messo a tacere le loro vecchie gelosie e sommato le loro energie. Non tutti evidentemente condividevano tale prospettiva. La Gran Bretagna aveva vinto la guerra, era l'alleato privilegiato degli Stati Uniti, era ancora alla testa di un grande Commonwealth e di un grande impero coloniale. Perché avrebbe dovuto rinunciare a una parte della propria sovranità e abbassarsi al livello di Stati che dalla guerra erano usciti sconfitti o duramente provati? La Francia, d'altro canto, era pronta ad accettare la servitù di una federazione europea, ma la sua posizione non era priva di un calcolo politico: la speranza di raggruppare intorno a sé i paesi più deboli del continente e di assumerne la leadership. Furono la Gran Bretagna e la Francia quindi i protagonisti del primo grande dibattito europeo fra il 1947 e il 1948. Nel gennaio 1947 Winston Churchill, allora all'opposizione, creò il Provisional United Europe Committee, da cui sorse più tardi il Movimento europeo, presieduto da Churchill, Léon Blum, Paul-Henry Spaak e Alcide De Gasperi. Nel maggio del 1948 le associazioni europee costituite negli anni precedenti si riunirono all'Aia e auspicarono la creazione di una Unione Europea. Il governo francese raccolse il suggerimento e invitò a colloquio i paesi - Belgio, Francia, Gran Bretagna, Lussemburgo, Paesi Bassi - che nel marzo dello stesso anno avevano sottoscritto a Bruxelles un patto politico-militare (il 'Patto di Bruxelles'). Gli Inglesi accettarono, ma fecero del loro meglio per ripulire il progetto francese dalle sue 'scorie' federaliste. Il risultato fu il 'Consiglio d'Europa', costituito il 5 maggio 1949 con la partecipazione iniziale di Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Svezia, a cui si aggiunsero negli anni seguenti Austria, Cipro, Repubblica Federale di Germania, Grecia, Islanda, Malta, Svizzera, Turchia e, più tardi, Spagna. La Gran Bretagna accettò che il Consiglio avesse un'Assemblea, composta da parlamentari dei paesi membri, ma volle che le sue competenze fossero strettamente limitate e che il suo ordine del giorno fosse fissato dal Comitato dei ministri.
Fu chiaro sin dall'inizio che l'influenza del Consiglio d'Europa sull'unificazione europea sarebbe stata irrilevante. Ma questo non impedì al Consiglio di promuovere e realizzare una serie di convenzioni di argomento politico e sociale in cui s'intravedono le grandi linee di quello che potrebbe essere domani un codice dei diritti degli europei. Il ritiro della Grecia (dicembre 1969) - a seguito del colpo di Stato di una parte delle forze armate nell'aprile del 1967 - dimostrò che il Consiglio d'Europa, benché privo di poteri sovranazionali, era il depositario delle grandi regole etico-politiche cui si ispirano le democrazie europee. Questa funzione divenne particolarmente evidente dopo la fine della guerra fredda e la disintegrazione dell'Unione Sovietica, quando l'organizzazione accettò nuovi membri a mano a mano che essi adottavano sistemi politici democratici.
L'organizzazione che maggiormente presenta caratteri di alleanza politico-militare è la NATO (North Atlantic Treaty Organization). La sua nascita fu occasionata dalle tensioni e dai contrasti che scoppiarono, immediatamente dopo la fine del conflitto, tra i vincitori della seconda guerra mondiale. Dopo il colpo di mano del Partito comunista cecoslovacco a Praga nel febbraio 1948 e il blocco di Berlino, decretato dalle autorità sovietiche nel marzo dello stesso anno, il governo inglese prospettò agli Stati Uniti la possibilità di un'alleanza che garantisse la presenza di truppe americane in alcuni paesi dell'Europa occidentale e la loro difesa contro possibili minacce sovietiche. L'Alleanza Atlantica fu firmata a Washington il 4 aprile 1949 e comprese all'inizio il Belgio, il Canada, la Danimarca, la Francia, la Gran Bretagna, l'Islanda, l'Italia, la Norvegia, i Paesi Bassi, il Portogallo e gli Stati Uniti, cui si aggiunsero successivamente la Grecia e la Turchia (1952), la Repubblica Federale di Germania (1955) e la Spagna (1982). Fu deciso che l'Alleanza avrebbe avuto alla sua testa un consiglio ministeriale, composto dai ministri degli Esteri dei paesi membri, un consiglio dei rappresentanti permanenti composto dai loro ambasciatori, un comitato della difesa composto dai ministri della Difesa e un comitato militare composto dai capi di stato maggiore. Un segretario generale, assistito da funzionari internazionali, avrebbe coordinato l'azione dei consigli, preparato le loro riunioni, rappresentato l'organizzazione nei rapporti internazionali e di fronte alla pubblica opinione.
Sin dall'inizio l'Alleanza, almeno nelle intenzioni di alcuni suoi membri, fu concepita anche come una comunità politica. Ma lo scoppio della guerra di Corea nel giugno del 1950 ne accentuò l'aspetto militare. Accanto all'organizzazione civile nacque una struttura militare integrata agli ordini di un generale americano (il Supreme Allied Commander Europe, SACEUR) che divenne col passar del tempo sempre più importante. Questa struttura svolge per tutti i paesi membri le funzioni proprie degli stati maggiori nazionali: analizza la posizione dell'avversario, anticipa le sue mosse, predispone i piani militari necessari per respingerlo, indica ai governi di quali armi e di quanti uomini abbiano bisogno, preme su di essi affinché assegnino alle spese militari una congrua percentuale del loro bilancio. Nella particolare situazione della guerra fredda questo stato maggiore integrato ha avuto l'effetto di ridurre la sovranità militare degli Stati membri e di assumere quindi i caratteri di una vera e propria organizzazione internazionale. Ma è opportuno ricordare che questo trasferimento di sovranità militare si è fatto in gran parte a vantaggio del paese, gli Stati Uniti, che ha avuto nell'organizzazione, per l'importanza del suo contributo, una parte determinante. È questa del resto la ragione per cui il generale de Gaulle, nell'aprile del 1966, decise di ritirare le forze francesi dall'organizzazione integrata dell'Alleanza e provocò il trasferimento della sua sede in Belgio. Da quel momento il patto politico e l'organizzazione militare hanno una diversa composizione.
L'ingresso nella NATO della Repubblica Federale di Germania suggerì all'Unione Sovietica la creazione di un'organizzazione speculare. Firmato a Varsavia il 14 maggio 1955, il Trattato di Mutua Assistenza dell'Europa Orientale (meglio conosciuto come Patto di Varsavia) comprese all'inizio l'Albania, la Bulgaria, la Cecoslovacchia, la Polonia, la Repubblica Democratica Tedesca, la Romania, l'Ungheria e l'Unione Sovietica. Come la NATO anche il Patto di Varsavia ebbe un comando militare unificato e dovette confrontarsi nel corso della sua storia con il 'gollismo' di alcuni suoi membri: l'Albania, che interruppe la propria collaborazione nel 1961, dopo lo scoppio dei contrasti sovietico-cinesi, e denunciò il trattato nel 1968; la Romania, che rifiutò, tra l'altro, di partecipare all'invasione della Cecoslovacchia nel 1968. Ma le due organizzazioni furono alquanto diverse. Mentre la prima ebbe effettivamente, nonostante il peso degli Stati Uniti, carattere di organizzazione internazionale, la seconda fu soltanto un'alleanza militare fortemente controllata dall'Unione Sovietica, in cui gli organi integrati ebbero modesta importanza. Mette conto ricordare infine che l'unica operazione militare del Patto di Varsavia fu diretta contro uno Stato membro. Nella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968 un corpo sovietico rafforzato da contingenti polacchi, bulgari, ungheresi e della Germania Orientale invase la Cecoslovacchia per impedire, secondo la giustificazione fornita dai loro governi, un complotto controrivoluzionario ordito con la connivenza della Repubblica Federale di Germania.
Un'altra organizzazione politico-militare, l'Unione dell'Europa Occidentale (UEO), si colloca a metà strada fra le alleanze tradizionali e le organizzazioni che aspirano alla creazione di un nuovo soggetto internazionale. Gli sviluppi della guerra fredda spinsero gli Stati Uniti a proporre il riarmo della Germania, ma la proposta si scontrò con le forti resistenze di alcuni alleati e in particolare della Francia. Per evitare la rinascita di una potenza militare germanica al di là del Reno e dare una soluzione europea al problema del riarmo tedesco, i Francesi, a loro volta, proposero nell'ottobre del 1950 la creazione di una Comunità Europea di Difesa (CED) e di un esercito europeo integrato in cui non vi sarebbero state formazioni nazionali superiori al battaglione. Il trattato istitutivo della CED venne firmato a Parigi il 27 maggio 1952 da Belgio, Repubblica Federale di Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi. Ma il Parlamento francese ne rifiutò la ratifica il 30 agosto 1954. Per sciogliere il nodo tedesco fu deciso di allargare alla Germania e all'Italia un'alleanza militare costituita nel marzo del 1948 tra Belgio, Francia, Gran Bretagna e Paesi Bassi. Nacque così l'UEO che entrò in funzione, dopo la ratifica da parte degli Stati membri (i sei paesi della CED e la Gran Bretagna), nel maggio del 1955. Fu deciso che l'organizzazione sarebbe stata governata da un consiglio di rappresentanti permanenti e che avrebbe avuto un suo parlamento, costituito per elezione indiretta dai parlamenti degli Stati membri. L'organizzazione ebbe quindi tre obiettivi: permettere alla Germania di riarmarsi, controllare il riarmo tedesco, creare le condizioni per un esercito europeo. Il terzo obiettivo venne rapidamente abbandonato, ma l'UEO riappare frequentemente da allora nel dibattito internazionale come l'organizzazione che meglio potrebbe completare, con una necessaria dimensione militare, il processo d'integrazione europea.
Il vero inizio del processo d'integrazione europea risale alla creazione di una Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio nell'aprile del 1951. Il progetto fu il punto d'arrivo del lavoro di studiosi, uomini politici e intellettuali che andavano auspicando da tempo la nascita degli 'Stati Uniti d'Europa'. Le due grandi guerre 'fratricide' che si erano combattute in Europa nel giro di trent'anni avevano rafforzato in larghi settori dell'opinione pubblica la convinzione che soltanto una grande unione, federale o confederale, avrebbe rotto la spirale dei nazionalismi. L'uomo che ebbe una parte determinante nella creazione della prima Comunità Europea fu un economista francese, Jean Monnet, che aveva fatto le sue prime esperienze a Londra, durante la prima guerra mondiale, nei comitati alleati per l'utilizzazione delle materie prime. Profondamente convinto che all'origine dei contrasti franco-tedeschi vi fosse anche l'importanza politico-militare assunta dai giacimenti carboniferi e dalle acciaierie della Ruhr, Monnet ritenne che il miglior modo per garantire la pace europea fosse la creazione di un'autorità supernazionale a cui affidare il compito di eliminare le misure protezioniste che caratterizzavano il mercato del carbone e dell'acciaio. Il ministro degli Esteri francese, Robert Schuman, lanciò una proposta in tal senso nel maggio del 1950 e aprì un negoziato che si concluse con la firma del trattato di Parigi il 18 aprile 1951, sottoscritto dal Belgio, dalla Francia, dalla Repubblica Federale di Germania, dall'Italia, dal Lussemburgo e dai Paesi Bassi. Esso prevedeva che la CECA fosse diretta da un'Alta Autorità supernazionale, assistita da un Comitato di ministri, da un'Assemblea parlamentare e da un Comitato consultivo composto dai rappresentanti delle categorie professionali, dei lavoratori e degli utenti. La sua sede fu a Lussemburgo e la sua attività ebbe inizio nel febbraio del 1953.
La contemporanea creazione della Comunità Europea di Difesa diffuse la speranza che l'Europa fosse ormai avviata sulla strada dell'integrazione. Per completare l'opera e dare alle due Comunità una indispensabile dimensione politica fu deciso di affidare la redazione di una costituzione europea a un'Assemblea ad hoc, composta dall'Assemblea della CECA e da altri nove membri. Qualche mese dopo, il 10 marzo 1953, i lavori produssero un testo che prevedeva la creazione di una Comunità supernazionale. I suoi organi sarebbero stati un parlamento bicamerale (una Camera bassa eletta direttamente dai cittadini europei, una Camera alta composta da senatori eletti dai parlamenti nazionali), un Consiglio esecutivo responsabile di fronte al parlamento, un Consiglio dei ministri nazionali, una Corte di giustizia, un Consiglio economico e sociale. Il fallimento della CED segnò la fine del progetto, ma ebbe anche l'effetto di rafforzare la strategia 'funzionalista'. Se i tempi per la creazione di un'Europa politica non erano ancora maturi, occorreva almeno proseguire sulla strada dell'integrazione economica del continente e gettare le basi per ulteriori progressi, non appena le condizioni lo avessero permesso. Il ministro degli Esteri italiano, Gaetano Martino, convocò a Messina, nel giugno del 1955, una conferenza nel corso della quale i sei paesi della CECA decisero di costituire a Bruxelles, sotto la presidenza del ministro degli Esteri belga, Paul-Henry Spaak, un comitato d'esperti. Il risultato dei lavori, che si protrassero per un anno e mezzo, fu un progetto per la creazione di due nuove organizzazioni, il Mercato Comune e l'EURATOM. La prima avrebbe gradualmente eliminato le barriere doganali fra i paesi membri e favorito la libera circolazione dei lavoratori e dei capitali; la seconda avrebbe adottato per il mercato dell'energia nucleare regole analoghe a quelle che la CECA aveva adottato per il mercato del carbone e dell'acciaio. Prevalse così ancora una volta l'impostazione di Jean Monnet, che ebbe anche in questa fase un'influenza determinante.
Firmati a Roma il 25 marzo 1957, i trattati con cui furono istituite le due nuove organizzazioni europee disegnarono strutture in cui il carattere supernazionale della CECA appariva attenuato. Le due istituzioni non sarebbero state governate da un'Alta Autorità, ma da un Consiglio dei ministri che nel caso del Mercato Comune sarebbe stato affiancato da un organo tecnico-politico, la Commissione europea. Il collegamento fra le tre organizzazioni europee sarebbe stato rappresentato da un parlamento comune, composto da 142 membri, eletti dai parlamenti nazionali. Il parlamento avrebbe avuto funzioni consultive, ma avrebbe potuto censurare, con la maggioranza dei due terzi, l'operato della commissione. Come l'Organizzazione delle Nazioni Unite, anche le organizzazioni europee sarebbero state assistite da organi tecnici e giuridici: il Comitato economico e sociale, il Comitato monetario, la Corte di giustizia, la Banca europea degli investimenti. Fu deciso altresì che le due organizzazioni sarebbero divenute gradualmente sempre più sovranazionali e che le decisioni, dopo la fase dell'unanimità, sarebbero state prese con il criterio della maggioranza qualificata. Ma su questo punto si aprì, dopo il ritorno al potere di Charles de Gaulle in Francia, un aspro contenzioso. Il generale non si oppose all'avvio del Mercato Comune, il 1° gennaio 1959, e insistette, con successo, per l'adozione di una politica agricola comunitaria che rafforzava per certi aspetti il carattere sovranazionale dell'organizzazione; ma fu generalmente ostile ai poteri della Commissione e si oppose al principio della maggioranza qualificata. Un compromesso, adottato nel 1966, gli dette sostanzialmente ragione e fu necessario attendere gli anni ottanta perché il principio dell'unanimità venisse finalmente intaccato.
La nascita del Mercato Comune aprì la questione inglese. La Gran Bretagna rifiutò di partecipare ai negoziati per la creazione della CECA, del Mercato Comune e dell'EURATOM, ma vide con preoccupazione la nascita di organismi che si proponevano, in ultima analisi, la creazione di un nuovo soggetto internazionale. Dopo avere inutilmente sperato che l'avvento al potere del generale de Gaulle costringesse i membri delle Comunità Europee a modificare radicalmente la loro strategia, gli Inglesi promossero la costituzione di una European Free Trade Association (EFTA, Stoccolma, 20 novembre 1959), composta da sette paesi che non volevano o non potevano, per ragioni politiche o economiche, partecipare alla più ambiziosa impresa unitaria di quella che fu allora chiamata l''Europa carolingia'. I sette paesi furono Austria, Danimarca, Gran Bretagna, Norvegia, Portogallo, Svezia e Svizzera, ai quali si aggiunse più tardi (1961), come membro associato, la Finlandia. Mentre le Comunità Europee si proponevano, in prospettiva, l'unità politica, sociale, economica e monetaria degli Stati membri, l'EFTA si limitò a promuovere gli scambi commerciali abolendo le tariffe doganali per i prodotti non agricoli. Fu subito chiaro tuttavia che il principale progetto della nuova organizzazione era quello d'intralciare il progresso delle Comunità Europee, e che il suo successo dipendeva non tanto dai propri meriti quanto dall'insuccesso di quest'ultime. Dopo averne promosso la costituzione, la Gran Bretagna fu la prima ad accorgersi che l'EFTA aveva fallito i propri obiettivi, e nel maggio del 1961, un anno e mezzo dopo la sua nascita, chiese di aderire al Mercato Comune. Quando Gran Bretagna e Danimarca abbandonarono l'EFTA per entrare nella Comunità Economica Europea (dicembre 1972), gli altri paesi stipularono con la CEE un accordo per la liberalizzazione degli scambi dei prodotti industriali.
Al processo di collaborazione e integrazione economica fra i paesi dell'Europa occidentale corrispose un processo analogo, per certi aspetti, fra i paesi del blocco sovietico. L'URSS negò ai suoi 'satelliti' il diritto di accettare gli aiuti offerti dagli Stati Uniti nell'ambito del Piano Marshall e costituì a sua volta, nel gennaio del 1946, una sorta di OECE - il Consiglio di Mutua Assistenza Economica, meglio noto come COMECON - di cui fecero parte all'inizio l'Albania, la Bulgaria, la Cecoslovacchia, la Polonia, la Romania, l'Unione Sovietica e, successivamente, la Repubblica Democratica Tedesca (1950), la Mongolia (1962), Cuba (1972), il Vietnam (1978). Più tardi, mentre l'Europa occidentale lavorava all'integrazione delle proprie economie, i Sovietici cercarono di trasformare il COMECON in una sorta di Mercato Comune e di assegnare a ciascun paese, secondo i principî della 'divisione internazionale del lavoro', una specifica funzione. La Romania e la Bulgaria sarebbero state prevalentemente agricole, la Cecoslovacchia e la Repubblica Democratica Tedesca prevalentemente industriali. Ma i dirigenti sovietici si scontrarono con la resistenza, esplicita o implicita, dei Romeni, dei Bulgari e di tutti coloro che non erano disposti a tollerare la dittatura economica di Mosca. L'organizzazione condivise da allora le sorti dell'Unione Sovietica e della sua area d'influenza. Strinse rapporti di collaborazione con la Comunità Europea quando l'URSS, nel 1989, decise di riconoscerne formalmente l'esistenza e si sciolse nell'estate del 1991, quando molti dei suoi membri ormai avevano rovesciato il regime comunista.
Durante gli anni settanta e ottanta la Comunità Economica Europea cominciò a progredire rapidamente verso traguardi più ambiziosi. Nel 1967 i paesi membri decisero di fondere gli organi esecutivi delle tre comunità esistenti - Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio, Comunità Economica Europea, EURATOM - e di dare origine alla Comunità Europea. Nel 1974 fu deciso che un Consiglio europeo, composto dai capi di Stato o di governo dei paesi membri, si sarebbe riunito almeno tre volte l'anno. Alla fine del decennio fu creato un Sistema monetario, condizione necessaria per la nascita di una moneta europea. Nel 1979 i cittadini europei elessero per la prima volta il Parlamento di Strasburgo. Nel 1985, in due riunioni, a Milano e Lussemburgo, fu decisa la creazione, entro il 1° gennaio 1992, di un mercato unico in cui merci, persone e denaro avrebbero potuto circolare liberamente; nel febbraio del 1992 fu firmato a Maastricht, nei Paesi Bassi, un trattato che prevedeva la costituzione di una Unione Economica Monetaria. Inoltre, lo stesso trattato impegnava gli Stati membri a sviluppare la loro integrazione nei settori cruciali della politica estera, della difesa e della giustizia.Il declino e la fine delle altre due organizzazioni economiche europee - l'EFTA e il COMECON - ha fatto della Comunità, progressivamente, un polo di attrazione per tutti i paesi d'Europa. La Grecia aderì nel 1981, la Spagna e il Portogallo nel 1985, l'Austria, la Finlandia e la Svezia nel 1994. Dei paesi già appartenenti al blocco sovietico quelli più vicini all'adesione sono la Polonia, la Repubblica Ceca, l'Ungheria e la Slovenia, sorta nel 1991 dopo la disintegrazione della Iugoslavia. Verso la metà degli anni novanta l'Unione Europea (questo il suo nome dopo la firma del trattato di Maastricht) è entrata in una delle fasi più critiche della sua storia. Paradossalmente i suoi successi e la coerenza con cui ha perseguito i suoi obiettivi unitari hanno avuto l'effetto di suscitare due reazioni contraddittorie, ma altrettanto pericolose. All'esterno, come abbiamo visto, è andato crescendo il numero degli Stati che chiedevano di farne parte; all'interno si sono rafforzate le correnti ostili all'integrazione o preoccupate dai suoi costi sociali.
L'esempio europeo è stato seguito in altri continenti. Anche in America Latina, Africa e Asia sono sorte, dopo la seconda guerra mondiale, organizzazioni internazionali che si ispirano, con molte varianti, ai principî del Consiglio d'Europa e delle Comunità Europee. Una delle prime fra esse è l'Organizzazione degli Stati Americani (Organization of American States, OAS), costituita a Bogotà, in Colombia, fra il 30 marzo e il 30 aprile 1948, come agenzia regionale delle Nazioni Unite, per promuovere lo sviluppo economico della regione e favorire la soluzione pacifica dei conflitti internazionali. L'organizzazione trae origine da un International Bureau of American Republics (1890) e dall'Unione Panamericana, che ne prese il posto nel 1910. Come le organizzazioni precedenti anche l'OAS fu accusata, soprattutto dopo l'espulsione di Cuba nel 1962, di essere uno strumento della politica statunitense nella regione. Nel 1961 nacque a Punta del Este, in Uruguay, l'Alleanza per il Progresso di cui fecero parte, con l'eccezione di Cuba, tutti gli Stati americani. Costituita dopo l'avvento al potere di Fidel Castro a Cuba e gli accordi di collaborazione economica che egli aveva concluso con l'Unione Sovietica, l'Alleanza fu anzitutto una delle molte coalizioni anticomuniste ispirate dagli Stati Uniti negli anni della guerra fredda. Ma la sua Carta impegnava i paesi membri ad assistersi reciprocamente e a coordinare le loro economie. L'obiettivo proclamato dai suoi fondatori fu una crescita annua pari al 2,5% del PIL con fondi che sarebbero stati forniti, prevalentemente, da una agenzia degli Stati Uniti (Agency for International Development).
Negli anni sessanta i paesi latinoamericani cercarono di imitare l'esempio del Mercato Comune dando vita a molte organizzazioni che si proponevano la nascita di un mercato integrato o almeno lo sviluppo dei rapporti commerciali. Nel 1960 cinque paesi dell'America centrale - Costa Rica, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Salvador - firmarono un trattato d'integrazione economica per la creazione di un Mercato Comune dell'America centrale con cui s'impegnarono a liberalizzare i traffici commerciali, ad applicare una tariffa comune sulle importazioni provenienti dall'esterno e a periodiche consultazioni sulle loro politiche monetarie. Nello stesso anno dieci paesi dell'America Latina (undici, dopo l'adesione della Bolivia nel 1967) crearono a Montevideo un'Associazione Latino-Americana per il Libero Scambio che dette complessivamente risultati modesti. Nell'agosto del 1966 i rappresentanti del Cile, della Colombia, dell'Ecuador, del Perù e del Venezuela si riunirono a Bogotà per gettare le basi di un mercato comune latinoamericano. Un anno dopo, nell'aprile del 1967, 19 capi di Stato si riunirono a Punta del Este, in Uruguay, per discutere la creazione di un grande mercato comune continentale in cui sarebbero confluiti l'Associazione per il Libero Scambio e il Mercato Comune dell'America centrale. Nel 1973 i rappresentanti di Barbados, Guyana, Giamaica, Trinidad e Tobago costituirono la Comunità e il Mercato Comune dei Caraibi (CARICOM) a cui aderirono più tardi Antigua e Barbuda, Bahama, Belize, Dominica, Grenada, Montserrat, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine.
Negli anni seguenti, tuttavia, quasi tutti i paesi americani a sud degli Stati Uniti attraversarono gravi crisi economiche e dovettero subire gli effetti di una inflazione devastante. Mancarono quindi per molto tempo le condizioni per realizzare il disegno liberoscambista o addirittura unitario che era stato concepito con i trattati degli anni precedenti. Perché il processo ricominciasse fu necessario attendere che i maggiori paesi della regione adottassero una rigorosa politica di risanamento dei conti pubblici, pagassero i debiti contratti con le banche internazionali e privatizzassero le imprese statali. All'inizio degli anni novanta, tuttavia, il processo si spostò a nord e investì i tre paesi dell'America settentrionale. Nel 1991 gli Stati Uniti, il Canada e il Messico crearono l'Associazione Nordamericana per il Libero Commercio (North American Free Trade Association, NAFTA) che entrò in vigore, dopo la ratifica degli Stati membri, il 1° gennaio 1994. Negli stessi anni nacque il Mercato Comune dell'America del Sud (MERCOSUR) costituito da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay.
Una delle maggiori organizzazioni regionali, sorta nell'immediato dopoguerra, è la Lega Araba. Dopo una conferenza preparatoria tenutasi ad Alessandria d'Egitto nel settembre del 1944, sette paesi arabi - Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Iraq, Libano, Siria e Yemen - costituirono nella primavera del 1945 un'associazione che si proponeva di promuovere le relazioni fra i paesi membri e di prevenire o arbitrare i loro conflitti. Composta in gran parte da paesi che avevano conquistato da poco la loro indipendenza, la Lega rifletteva la speranza che tale indipendenza avrebbe favorito, insieme alla costituzione degli Stati nazionali, la creazione di una più vasta unità araba. Governata da un Consiglio che ebbe la sua prima sede al Cairo, la Lega accolse infatti, a mano a mano che divenivano indipendenti, gli altri paesi della regione: la Libia nel 1951, il Sudan nel 1956, la Tunisia e il Marocco nel 1958, il Kuwait nel 1961, l'Algeria nel 1962, lo Yemen del Sud nel 1968, il Bahrain, il Qatar, l'Oman e gli Stati della Tregua nel 1971. I lavori del Consiglio furono subito dominati dalla questione palestinese e dal conflitto araboisraeliano. Ma le vicende politiche della regione dimostrano che la retorica panaraba della Lega e il fermo linguaggio dei comunicati rilasciati dall'organizzazione nascondevano una sostanziale divergenza d'interessi, soprattutto sui diritti del movimento palestinese. Il contrasto esplose negli anni settanta, allorché il presidente egiziano, Mohammed Anwar el-Sadat, ruppe il fronte antisraeliano della Lega e firmò una 'pace separata'. In segno di protesta il Consiglio fu trasferito dal Cairo a Tunisi. Ma la guerra del Golfo, più tardi, mise in evidenza ancora più chiaramente i contrasti che intralciavano l'attività dell'organizzazione. Dei venti Stati che appartenevano alla Lega, dodici approvarono l'invio di truppe contro l'Iraq nell'ambito dell'azione decisa dalle Nazioni Unite e organizzata dagli Stati Uniti.
Nel 1960 alcuni paesi arabi (Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Qatar) si accordarono con l'Iran e il Venezuela per creare una Organization of PetroleumExporting Countries (OPEC). Gli obiettivi iniziali erano strettamente economici: controllare la produzione del petrolio e, in tal modo, il suo prezzo sul mercato mondiale. Ma l'allargamento dell'organizzazione ad altri paesi produttori (Abu Dhabi, Indonesia, Libia, Nigeria), l'ammissione di alcuni Stati associati (Egitto, Siria, Algeria) e la guerra araboisraeliana del 1973 le conferirono caratteri sempre più marcatamente politici. Sospinta dai settori più radicali del mondo arabo, l'OPEC ritenne di potere usare il petrolio contro lo Stato d'Israele e cercò di valersene anche per modificare i rapporti di forza con i paesi consumatori. Il brusco aumento dei prezzi nell'autunno del 1973 rispondeva per l'appunto a tale obiettivo. Ma ancora una volta i fatti dimostrarono che i paesi del cartello avevano interessi diversi e che gli stessi paesi arabi erano profondamente divisi. Nel decennio successivo i paesi consumatori fecero un uso più razionale dei prodotti derivati dal petrolio, svilupparono altre fonti di energia, rovesciarono ancora una volta a loro vantaggio i termini di scambio con i paesi produttori. L'influenza dell'OPEC ne fu fortemente diminuita.
Anche la speranza di promuovere la collaborazione e l'unità del continente africano si scontrò con gravi difficoltà. Uno dei primi tentativi risale alla conferenza che si tenne a Monrovia nel maggio 1961 con la partecipazione di diciannove Stati, cui si unì nel 1962 il Congo belga, da poco divenuto indipendente con il nome di Zaire. Alla conferenza di Lagos (1962) furono istituiti un segretariato permanente e un comitato di ministri finanziari, fu elaborato un progetto di statuto e fu decisa la nascita di una Organizzazione dell'Unità Africana che venne poi creata ad Addis Abeba nel maggio del 1963. Come la Lega Araba anche l'OUA fu ispirata da una filosofia anticolonialista, e come la Lega si dimostrò sostanzialmente inadatta a perseguire i suoi ambiziosi obiettivi. Con una eccezione - la vertenza tra Algeria e Marocco per il confine del Sahara - l'organizzazione fu incapace di arbitrare i conflitti e le guerre civili che hanno segnato la vita del continente africano dopo la decolonizzazione, dalla guerra del Biafra (1967-1970) al conflitto tra Somalia ed Etiopia (1977-1988), dalla guerra civile in Angola al collasso dello Stato somalo.
Accanto all'OUA sono sorte in Africa, soprattutto negli anni settanta e ottanta, alcune organizzazioni regionali con finalità prevalentemente economiche: la Comunità Economica dell'Africa Occidentale, fondata nel 1973, e la più vasta Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale, costituita nel 1977; l'Unione del Maghreb Arabo, nata nel 1989; la Comunità di Sviluppo dell'Africa Meridionale, sorta nel 1992 da una precedente organizzazione fondata nel 1980; la Comunità Economica e Monetaria dell'Africa Centrale, sorta nel 1994 da una precedente Unione Doganale dell'Africa Equatoriale.
Più promettente sembra essere il tentativo di promuovere la collaborazione dei paesi asiatici. Nel 1966 si costituì un Consiglio dell'Asia e del Pacifico (Asian and Pacific Council) composto da Australia, Corea del Sud, Filippine, Giappone, Malaysia, Nuova Zelanda, Taiwan, Thailandia e Vietnam del Sud per incoraggiare la solidarietà e la cooperazione regionale. Nel 1967, a Bangkok, le Filippine, l'Indonesia, la Malaysia, Singapore e la Thailandia costituirono l'Associazione delle Nazioni Asiatiche del Sud-Est (Association of South East Asian Nations, ASEAN) con lo scopo di promuovere lo sviluppo economico e la stabilità politica della regione. Come altre organizzazioni regionali anche queste furono ispirate da una esigenza politica: la necessità di equilibrare la minacciosa presenza di una grande potenza comunista, la Repubblica Popolare Cinese. Ma la tendenza verso la collaborazione e l'integrazione trasse grande vantaggio dallo straordinario sviluppo economico di alcuni suoi membri e, più tardi, dalla fine della guerra fredda. Nacque così, nel 1989, l'Asia-Pacific Economic Council che tenne un vertice a Seattle nel novembre del 1993 con la partecipazione dei capi di Stato o di governo di Australia, Canada, Cina, Corea del Sud, Giappone, Hong Kong, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Taiwan e dei paesi dell'ASEAN.
La fine della guerra ebbe una grande influenza su tutte le organizzazioni regionali dell'area europea e atlantica, vale a dire della regione che ne era stata maggiormente interessata. Dopo l'unificazione tedesca e la disintegrazione dell'URSS - i due maggiori avvenimenti internazionali all'inizio dell'ultimo decennio del secolo - alcune di esse si sono aperte ai paesi del vecchio blocco sovietico, altre hanno dovuto rivedere le ragioni fondamentali della loro esistenza, altre ancora sono state sciolte. È probabile che alla fine del secolo le maggiori organizzazioni europee ed euroamericane - Consiglio d'Europa, NATO, Unione Europea, Unione dell'Europa Occidentale - avranno modificato la loro composizione e assunto un nuovo profilo internazionale. Mette conto segnalare nel frattempo la nascita di un'Organizzazione della Sicurezza e Cooperazione in Europa, costituita nel 1993. L'OSCE rappresenta lo sviluppo istituzionale della Conferenza che si tenne a Helsinki nell'agosto del 1975 e che fu convocata più volte, da allora, per favorire la coesistenza dei due blocchi durante gli anni della guerra fredda. L'Atto unico approvato nella capitale finlandese è divenuto, per certi aspetti, la Carta della nuova organizzazione, e i conflitti scoppiati dopo la disintegrazione dell'URSS le hanno conferito difficili responsabilità, soprattutto nel Caucaso. Verso la metà degli anni novanta molti Stati speravano che l'OSCE avrebbe assunto le responsabilità di una sorta di ONU europea, dedicandosi principalmente alla protezione delle minoranze e alla soluzione pacifica dei conflitti nelle zone calde del continente.
L'importanza assunta dalle organizzazioni regionali sembra dare ragione a quanti, prima della nascita della Società delle Nazioni, sostennero la via delle unità regionali contro la prospettiva di un grande governo mondiale. Ma vi è un settore fondamentale, quello degli scambi commerciali, in cui la filosofia globale ha registrato nella prima metà degli anni novanta un successo importante. Nel dicembre del 1993 si sono finalmente conclusi a Ginevra i negoziati commerciali multilaterali per il rinnovo degli accordi GATT iniziati a Montevideo nel 1986 (il cosiddetto 'Uruguay Round'). Firmati a Marrakech da 112 paesi il 15 aprile 1994, gli accordi hanno permesso la costituzione di un'Organizzazione del Commercio Mondiale (World Trade Organization, WTO) che ha la sua sede a Ginevra.
(V. anche Comunità Europea; Economia internazionale; Europeismo; Federalismo; Integrazione internazionale).
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