COLLENUCCIO, Pandolfo
Uomo politico e umanista, nato a Pesaro il 7 gennaio 1444, da Matteo. Studiò diritto a Padova e si addottorò alla fine del 1465. Nel '69 sposò Beatrice dei Costabili di Ferrara. Entrato al servizio degli Sforza, esercitò pubblici uffici ed ebbe incarichi straordinarî a Bologna, a Roma, nella città natale e altrove, sino a che nel 1489 il suo signore, Giovanni Sforza, di cui egli aveva difeso le ragioni presso il papa, lo espulse da Pesaro. La sua nota abilità di uomo di toga, associata alla fama di buon cultore degli studî umanistici, schiuse però subito al C. le porte delle più brillanti corti del tempo. Lorenzo il Magnifico lo volle podestà in Firenze (1490); Ercole I d'Este lo nominò suo consigliere e lo mandò legato all'imperatore Massimiliano (1493-94 e 1496-1497) e al papa Alessandro VI (1494 e 1498). Le relazioni inviate dal C. al duca di Ferrara durante le sue ambascerie offrono testimonianza della sua abilità politica. Lo stesso Ercole I nominò il C. capitano di giustizia di Ferrara (1500) e lo inviò come legato presso Cesare Borgia. Allorché quest'ultimo si fu impadronito di Pesaro, scacciandone Giovanni Sforza, il C. invocò ed ottenne dal Borgia la restituzione dei beni confiscatigli all'atto dell'esilio. Inoltre, per incarico del duca di Ferrara, sostenne la causa di Cesare in Romagna. V'era abbastanza, perché lo Sforza concepisse il disegno di vendicarsi dell'antico suo suddito ribelle, e, infatti, quando la scena fu cambiata, avendogli il C. chiesto di tornare a Pesaro, Giovanni gliene concesse volentieri il permesso. Ma, avutolo nelle mani, non se lo lasciò sfuggire, e lo consegnò al carnefice (11 luglio 1504).
Storico, poeta, esperto conoscitore delle scienze biologiche, il Collenuccio fu certo una delle figure più rappresentative del Rinascimento.
Compose un Compendio della storia del regno di Napoli (ed. più recente, Bari 1928) dal principio dell'era volgare sino ai primi anni di Ferdinando I di Aragona, opera nella quale si trova l'accusa fatta spesso ai Napoletani di incostanza nelle simpatie politiche. Essa, come la prima che trattava di tutta la storia del regno, ebbe larga diffusione e fu tradotta in varie lingue. Altri scritti del C. sono: i Dialoghi o Apologi, di sapore lucianesco e argomento filosofico-morale; un dramma sacro, il Ioseph; poesie volgari e latine, tra cui la Canzone alla Morte piena di accorato pessimismo (che non impedì all'autore di inneggiare, in mutate circostanze, alla vita lieta e gioconda, abbellita dalla potenza e dalla ricchezza) e un poemetto in lode di Firenze; una Difesa di Plinio contro Niccolò Leoniceno; un'operetta geografica intorno alla Germania; la traduzione in terzine dell'Anfitrione di Plauto, orazioni latine ed altre cose.
Bibl.: A. Saviotti, P. C. umanista pesarese del sec. XV, in Ann. della R. Scuola normale sup. di Pisa (filos. e filolog.), V, Pisa 1888; P. Negri, Le missioni di P. C. a papa Alessandro VI (1494-1498), in Arch. d. R. Società rom. di st. patr., XXXIII (1910).