DELLA ROCCA, Paolo
Figlio di Francesco, nacque in Corsica tra la fine del sec. XIV e gli inizi del sec. XV, da nobile e potente famiglia signorile della Banda di Fuori che prendeva nome dal centro fortificato di La Rocca presso il villaggio di Olmeto, sovrastante il golfo di Valinco.
Nonno del D. era quell'Arrigo Della Rocca morto nel 1401, che era stato conte di Corsica e luogotenente aragonese. Il padre del D. era stato invece un feudatario legato a Genova: aveva ricoperto la carica di vicario agli ordini del governatore genovese Leonello Lomellini ed era morto nel 1407, ucciso in combattimento durante l'assedio posto a Biguglia dalle truppe del celebre Vincentello d'Istria.
Il D. era ancora molto giovane quando riuscì a far prigioniero Rinuccio signore d'Attellà e a strappare al dominio di quest'ultimo, che si estendeva anche a Sartena e a Bisogé, il castello di Baricini, di cui assunse personalmente il possesso. A partire dal 1416 si dimostrò un oppositore deciso ad ogni ulteriore aumento della forza e dell'influenza politica di Vincentello d'Istria nell'isola: fu infatti tra i pochi Cinarchesi - gli esponenti della feudalità corsa della Banda di Fuori discendenti da Sinucello Della Rocca detto Giudice di Cinarca - che non si accostarono a Vincentello quando quest'ultimo, grazie al nuovo sovrano aragonese, Alfonso V il Magnanimo, salito al trono il 2 apr. 1416, poté contare su un appoggio tattico aragonese più efficace. Tuttavia il D. vide la sua posizione farsi sempre più debole in seguito ai successi che Vincentello - creato nel frattempo cavaliere di Aragona e viceré di Corsica con ampi poteri politici e giurisdizionali - andava riportando nel corso della lotta contro il governatore genovese Abramo Fregoso, alla caduta di Biguglia, sede del governatore genovese dell'isola, ed alla fortificazione del castello di Corte (1418). Ad ogni modo, solo dopo lo sbarco di Alfonso V in Corsica e gli assedi di Calvi e di Bonifacio (autunno-inverno del 1420), il D. si indusse a fare atto di sottomissione nei confronti del sovrano aragonese. Insieme con gli altri Cinarchesi che sino all'ultimo si erano battuti contro Vincentello e gli Aragonesi, prestò giuramento di fedeltà nelle mani di Alfonso V nel corso di una cerimonia che ebbe luogo dinnanzi a Bonifacio. Dal sovrano il D. fu creato cavaliere e quindi investito di tutte le terre comprese fra Cilaccia (Pieve di Valle) e l'estremo Sud dell'isola.
Negli anni successivi le relazioni tra il D. e Vincentello d'Istria furono spesso molto difficili. Nel 1426, in un momento di particolare tensione, Vincentello occupò per rappresaglia il castello di Cuciurpula (Serra di Scopamene), tenuto da due fratelli del D.: questi preferì abbandonare all'avversario il castello di Baricini e lasciò l'isola per tentare di indurre il re d'Aragona a intervenire in suo favore. Non raggiunse il suo intento. Era ancora in esilio volontario nel 1430, quando con lui si misero in contatto emissari di un partito di "caporali" padrone della Banda di Dentro (la metà nordorientale della Corsica) e guidato da Simone De Mari. Quest'ultimo, di origine genovese, era signore di San Colombano e dominava su di una parte del Capo Corso. Si trattava in ogni caso di personaggi e di forze ostili al viceré aragonese, che cercavano l'appoggio del D. e dei suoi aderenti. Durante i mesi che seguirono, la lotta fra le diverse fazioni fu confusa: grazie ad essa, tuttavia, il D. riuscì a recuperare il castello di Baricini e le terre ad esso pertinenti.
Nel 1433, in occasione di una nuova rivolta dei signori feudali, coalizzatisi contro Vincentello d'Istria ed insorti ancora una volta all'appello dei "caporali" della Banda di Dentro sotto la guida di Simone De Mari e di suo figlio Carlo, il D. approfittò del ripiegamento generale delle truppe del viceré per ampliare verso Nord la sua signoria meridionale: "a Polo de la Rocca lassò stare inella signoria da Quarco a Bonifatio", scrive in proposito il cronista Giovanni Della Grossa.
Dopo la cattura e l'esecuzione di Vincentello d'Istria compiute dai Genovesi (1434), il dominio di fatto sulla Banda di Dentro e su gran parte della Banda di Fuori tornò a Simone De Mari, che la conservò almeno sino alla ribellione guidata dal "caporale" Luciano di Casta e da Rinuccio signore di Leca. Per reprimere questa rivolta, Simone De Mari si alleò con alcuni "caporali" del territorio "cortinco" - quelli di Nebbio, di Cortinese, di Rostino e Castagniccia, di Fiumorbo -, e con lo stesso D., che ritornò in forze nella Banda di Fuori e pose l'assedio al castello di Istria, dove si era asserragliato il signore di quest'ultimo, Giudice d'Istria. Non riuscì a conquistarlo, malgrado l'appoggio militare recatogli dal luogotenente di Simone De Mari, Ambrogio De Mari, da Vincentello d'Istria, un nipote dell'omonimo conte giustiziato dai Genovesi, e da Pietro di Bozzi. Però, quando Giudice d'Istria venne nominato da Alfonso V conte di Corsica "per la memoria et obligo che tenea al conte Vincentello d'Istria", anche il D., che aspirava pure lui a quel titolo, si fece eleggere conte di Corsica, ma da un'assemblea dei suoi partigiani che si riunì a Morosaglia nel corso del 1436: stando a un rituale, che risaliva all'elezione a conte del suo antenato Sinucello Della Rocca o a quella - di oltre un secolo posteriore - del suo stesso nonno Arrigo Della Rocca, il D. poteva vedere nel carattere popolare, formalmente spontaneo e quasi tribunizio, di questa nomina un efficace fattore di legittimità. Perciò, sostenuto da una coalizione eterogenea di "caporali" e di "feudatari" (tra i primi ricordiamo Luciano di Casta; fra i secondi, Rinuccio di Leca), si mise alla testa di un esercito che marciò vittorioso sino al Capo Corso, da cui cacciò Simone De Mari, costringendolo a rifugiarsi a Genova. Fu successo di breve durata. Infatti, quando Simone rientrò nell'isola insieme con un forte corpo di spedizione comandato da Giovanni e da Niccolò di Montaldo e si riaccesero le ostilità, il D. fu ripetutamente sconfitto, costretto a ritirarsi con i suoi verso Sud, forzáto a cedere il castello di Corte per 200 scudi e, da ultimo, a riguadagnare-le sue terre, abbandonando la Banda di Dentro ai Genovesi ed ai loro alleati (1437). Ciononostante, non cessò di guerreggiare contro la Repubblica ligure ed i suoi sostenitori nel Sud dell'isola: nel 1440, per esempio, insieme con i fratelli Antonio e Orlanduccio occupò la pieve di Cruscaglia.
Negli anni che seguirono fra il D. e Rinuccio di Leca, da un lato, e il nuovo governatore genovese Giano Fregoso, dall'altro, divampò un'aspra lotta che vide diverse volte invasa dal nemico ora la Banda di Dentro, ora la Banda di Fuori nell'ambito di una guerra di movimento e di imboscate condotta su larga scala. Dopo fulminanti successi e rovesci altrettanto rapidi, il D., che aveva riconquistato la Banda di Fuori e l'aveva divisa per zone d'influenza con Rinuccio di Leca, pretese di controllare tutta la parte sudoccidentale dell'isola, fino alla pieve di Cauro nella valle dei Prunelli. Però, sia l'ostilità dei signori di Ornano e di Bozzi, segretamente manovrata dallo stesso Rinuccio di Leca, sia nuove campagne di grande polizia scatenate con decisione dai Genovesi - in special modo nel 1443, quando Antonio e Niccolò di Montaldo succedettero a Giano Fregoso nella carica di governatori - ridussero ad un certo momento il D. a dover difendere palmo a palmo le stesse terre della sua signoria "tra Cilaccia et Bonifacio" e, infine, a battere per qualche tempo in ritirata attraverso tutta la Banda di Fuori alla testa delle sue bande costituite da familiari e da "clienti", dato che il suo rivale Giudice d'Istria era riuscito a cacciarlo anche da Baricini.
Nel 1451 un francescano venuto da Napoli, fra' Niccolò da Luciano, creò nella Banda di Fuori la Confraternita dei battuti, che fece ben presto numerosissimi adepti. Il D., che in un primo momento si era forse mostrato sospettoso o indifferente nei confronti di questo movimento ecclesiale a larga base popolare, finì poi con l'aderirvi, così come del resto fecero anche gli Ornano ed i Bozzi; ma quando fra' Niccolò ebbe lasciato la Corsica, proprio il D. fu eletto vicario della Confraternita da un'assemblea tenutasi a Morosaglia. Probabilmente a causa delle finalità essenzialmente religiose e caritative della Confraternita, la carica di vicario non divenne subito, nelle mani del D., un ulteriore strumento di resistenza antigenovese, dato che in quella stessa assemblea di Morosaglia, tra l'altro, si riconobbe Galeazzo Fregoso governatore dell'isola, mentre da un analogo consesso il D. ottenne, alcuni anni dopo, la nomina dei figli Giudice ed Arrigo a vicari del popolo del Comune. Il buon accordo tra i figli del D. non era tuttavia destinato a durare: divergenze sul piano politico portarono ad una rottura tra i due e si ripercossero negativamente sulle fortune del D. e del partito filoaragonese. Giudice si recò a Bonifacio e si unì ai Genovesi: con l'aiuto di questi ultimi si impadronì dei castelli di La Rocca e di Istria, giungendo a far prigioniero lo stesso D., che si era schierato con Arrigo. Il tradimento di Giudice portò ben presto i suoi frutti: nel 1456 i Genovesi riuscirono infatti a mettere a morte il nuovo capo del partito filoaragonese in Corsica, Raffaele (o Raffé) di Leca.
In quel medesimo torno di tempo il D. riuscì ad abbandonare la Corsica e a raggiungere Napoli a bordo di una galera aragonese: nella città campana Alfonso V, che continuava ad accarezzare l'idea di un ritorno offensivo in Corsica, lo colmò di onori e gli fornì i mezzi per ricostituire le proprie forze. Alla morte del sovrano (27 giugno 1458) il D. rientrò nella propria isola, presentandosi di nuovo come il capo del partito filoaragonese: appoggiato dal figlio Arrigo, da Giocante e da Vincente di Leca, sollevò i suoi partigiani della Cinarca contro il governo del Banco di S. Giorgio. Nel corso delle operazioni gli insorgenti catturarono Lodovico Della Rocca, figlio di un fratello del D., Orlanduccio, da sempre sostenitore della causa genovese, e lo rinchiusero nel castello di Samulaggia, fra Zonza e Bavella. Subito dopo il D. poté affermare nuovamente il suo potere non solo nella sua antica signoria all'estremo meridione della Corsica, ma anche in gran parte della Banda di Fuori; rimasero escluse dai territori da lui controllati alcune località, fra cui Olmeto e Valle, tenute, da Vincentello d'Istria. Nel 1459 il Banco inviò nell'isola Antonio Spinola, che diresse una campagna per reprimere la rivolta e riconquistare le regioni perdute. In tale frangente quasi tutti i Della Rocca si sottomisero; solo il D. rifiutò, insieme con.i figli Arrigo e Carlo, di piegarsi, e si rifugiò in Sardegna. Ne sarebbe tornato nell'aprile del 1462, richiamato da quello stesso Vincentello d'Istria, già antico sostenitore di Antonio Spinola ed ora divenuto nemico del Banco di S. Giorgio. In Corsica il D. inflisse, presso Levie e presso Santa Lucia di Tallano, due sconfitte ad un altro dei suoi nipoti, Ludovico Della Rocca, che si batteva per il Banco, e lo costrinse alla fuga. Dopo altri combattimenti il D. si trovò ancora una volta padrone delle pievi meridionali dell'isola, a Sud del colle di Cilaccia: Valle, Veggeni, Attallà, Ortolo, Bisogé, Sartena, Figari. Se non riuscì ad occupare la pieve di Bonifacio poté tuttavia recuperare anche il castello di Baricini, che era stato da ultimo fortificato, per conto del Banco, da Giovanni Cattaciolo di Bonifacio.
Nel 1464, quando la Repubblica di Genova - e quindi anche la Corsica - passò sotto il dominio del duca di Milano Francesco Sforza, il D. dovette acconciarsi a riconoscere il nuovo alto sovrano dell'isola: dovette compiere l'atto formale e solenne di sottomissione negli ultimi tempi della sua vita. Morì infatti nel corso di quel medesimo anno 1464.
Le tradizioni locali della Corsica meridionale hanno conservato a lungo una memoria quasi mitica del D.: discendente di Giudice di Cinarca e di Arrigo Della Rocca, grande signore, irriducibile nemico dei Genovesi, rivale e continuatore di Vincentello d'Istria, morto centenario a Santa Lucia di Tallano.
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