Ruffini, Paolo
Il matematico delle equazioni di grado superiore
Il medico e matematico italiano Paolo Ruffini, vissuto tra Settecento e Ottocento, deve la propria fama ai risultati raggiunti in campo algebrico. Ha scoperto una regola per dividere rapidamente i polinomi e si è occupato della risolubilità delle equazioni algebriche, una delle più rilevanti questioni del pensiero matematico classico
Il matematico italiano Paolo Ruffini, nato nel 1765, trascorse quasi tutta la sua vita a Modena dove svolse anche la professione di medico. All’inizio dell’Ottocento, con la Restaurazione, fu nominato rettore all’università ducale e qui insegnò clinica medica e matematica applicata fino alla morte, avvenuta nel 1822.
In campo matematico Ruffini è diventato famoso soprattutto per essersi occupato di problemi algebrici. Porta il suo nome la regola di Ruffini, ben nota a tutti gli studenti di scuola media superiore, che permette di dividere un qualsiasi polinomio per un monomio della forma x - a, ma il suo risultato più famoso è relativo alle equazioni algebriche ed è contenuto nel trattato Teoria delle equazioni, pubblicato nel 1799.
Quale numero moltiplicato per 2 e sommato a 1 dà come risultato 7? Stiamo cercando una quantità x che soddisfa la seguente relazione 2·x + 1 = 7, cioè un numero che, messo al posto di x, rende l’espressione precedente una identità. Nel caso in esame, il numero cercato è 3, in quanto: 2·3 + 1 = 6 + 1= 7.
Da un problema concreto siamo passati a considerare un’espressione contenente un’incognita e le operazioni aritmetiche elementari, cioè un particolare caso di equazione algebrica. Si tratta di una equazione in cui l’incognita è presente al massimo con il grado 1, cioè di una equazione algebrica di primo grado (algebra).
Esistono anche equazioni di grado maggiore. Se, per esempio, ci si chiede quale numero moltiplicato per sé stesso dà come risultato 4, si ottiene l’espressione: x·x = 4, ovvero l’equazione: x2 = 4. È la situazione che si presenta, per esempio, quando in geometria si ha un quadrato la cui area è uguale a 4 unità di superficie e si vuol conoscere la misura del suo lato. Una soluzione è x = 2, come potete subito verificare notando che 2·2 = 4. Questo è un esempio di equazione di secondo grado, in quanto l’incognita vi è presente al massimo con il grado 2. In modo analogo possono essere considerate equazioni di grado qualunque, con una o più incognite.
Lo studio e la risoluzione delle equazioni algebriche hanno giocato da sempre un ruolo centrale nello sviluppo del pensiero matematico. In questo studio si è in primo luogo seguita la via più diretta, quella cioè di cercare procedimenti che conducessero a una formula risolutiva generale facendo uso delle sole operazioni aritmetiche elementari e delle estrazioni di radice. In questa formula, le soluzioni dell’equazione sono assegnate in modo elementare in funzione dei coefficienti, cioè di quei numeri che compaiono all’interno dell’equazione.
Per esempio, nel caso di una generica equazione di primo grado: ax +b = 0 (con a diverso da 0), si può verificare subito che il numero x = - b/a è una soluzione, in quanto una volta sostituito a x trasforma l’equazione in una identità: si ha, infatti, a (-b/a) + b = (-b) + b = 0. Dunque, x = -b/a è la formula risolutiva dell’equazione in funzione dei coefficienti a e b.
Formule risolutive furono ottenute, almeno in modo implicito, sin dall’antichità, per le equazioni di primo e di secondo grado, e durante il Rinascimento, per le equazioni di terzo e quarto grado, facendo uso di espressioni, naturalmente, sempre più complesse.
Tuttavia, malgrado gli sforzi di varie generazioni di matematici, non fu possibile ottenere procedimenti simili nel caso di equazioni di grado maggiore e la dimostrazione che in effetti questi procedimenti di validità generale non esistono rappresenta uno dei risultati più rilevanti nella storia dell’algebra. Questa dimostrazione, sulla scia delle ricerche condotte dal matematico francese Joseph-Marie Lagrange, fu ottenuta all’inizio dell’Ottocento proprio da Ruffini e, in modo più rigoroso, dal matematico norvegese Niels Henrik Abel, aprendo la strada alla riformulazione della teoria delle equazioni algebriche di Evariste Galois.