ADRIANO I, papa
Morto papa Stefano III, il 3 febbraio 772, i suffragi del clero e del popolo romano si raccolsero sul diacono Adriano, che fu consacrato il nove. Egli usciva dalla nobiltà romana; ed essendo orfano del padre Teodoro, si era occupato della sua educazione lo zio Teodato, console e duca e poscia primicerio e pater della diaconia di S. Angelo. Grave era il momento in cui A. ascese al pontificato. Paolo Afiarta, che rappresentava in Roma gli interessi di Desiderio, re dei Longobardi, aveva spadroneggiato sotto Stefano, mandando a morte i suoi avversarî e facendo esiliare alcuni membri dell'alto clero e dell'aristocrazia militare. A., appena eletto, richiamò costoro e pensò di punire Afiarta per i suoi delitti ed i suoi intrighi. Intanto Desiderio inviava a Roma il duca di Spoleto con due altri personaggi per complimentare il novello papa: rinnovare con lui i patti stretti con Steiano III, e promettere soddisfazione alla S. Sede, specie riguardo alle iustitiae Sancti Petri ch'essa reclamava ormai da tempo. A. corrispose a questi atti di deferenza con l'inviare Afiarta, presso Desiderio proprio nel momento in cui il re, occupata Ferrara, Comacchio, Faenza, cominciava a minacciare Ravenna e si faceva protettore di Gerberga, vedova di Carlomanno re dei Franchi, e dei figliuoli di lei, contro Carlo fratello di Carlomanno. Afiarta, approvando queste mosse, promise che avrebbe fatto sì che il papa s'abboccasse con lo stesso Desiderio. A., durante l'assenza di Afiarta, apri il processo contro coloro ch'erano stati colpevoli della morte del secondicerio Sergio durante il pontificato precedente. E poiché appariva come mandante Afiarta, A. diede ordine all'arcivescovo di Ravenna di imprigionarlo, quando fosse di ritorno dalla sua legazione, coll'intenzione di inviarlo poi a Costantinopoli per rendere conto delle sue mene presso i Longobardi. Ma l'arcivescovo, temendo che Desiderio riuscisse a liberarlo, avuta la confessione di Afiarta, lo fece condannare a morte. Con questa condotta, Adriano mostrava chiaramente come la sua politica fosse avversa al re longobardo. Il quale, intanto, faceva invadere la Pentapoli e il ducato romano, per mezzo dei duchi di Spoleto e di Toscana; e si mostrava sordo ad ogni richiamo, esigendo un abboccamento diretto col papa e dirigendosi a questo scopo su Roma. A. allora, vedendo dietro questa apparente richiesta una vera spedizione di guerra, mise la città in stato di difesa, intimò a Desiderio, giunto già a Viterbo, di non entrare nel territorio romano, sotto pena di scomunica, e sollecitò gli aiuti e l'intervento di Carlo, re dei Franchi. Costui, sollecitato invano Desiderio a rendere al papa quanto aveva ripetutamente promesso, verso la metà del 773 scese in Italia e pose l'assedio alla capitale longobarda Pavia; poi, per la Pasqua del 774, mosse verso Roma colla moglie Ildegarda e, in previsione della totale caduta del regno longobardo, volle regolare le sue relazioni col papa. Questa prima intesa non rimase però definitiva: Carlo, infatti, con la presa di Pavia nel 774 e con la repressione del tentativo di riscossa per opera di Rodgaudo nel 776, divenne re dei Longobardi, mentre Ravenna tendeva a conservare, se non la supremazia, almeno l'autonomia di cui aveva goduto sotto gli esarchi di fronte a Roma. E allora un secondo abboccamento con A. ebbe Carlo, quando venne a Roma nel 781 e fece consacrare i figli Pipino e Lodovico quali re d'Italia e d'Aquitania. In compenso di alcuni territorî nella Sabina rilasciati al papa, il re si fece cedere Terracina, ed anche indusse probabilmente in quest'occasione il papa a rinunciare ai ducati di Spoleto e di Toscana, contentandosi di percepire quel tributo che i due duchi pagavano al re longobardo. Sul principio del 787 Carlo ritornò una terza volta a Roma e cedette al papa la parte meridionale della Tuscia longobarda (Viterbo, Orvieto, Soana e luoghi intermedî), che fu aggiunta alla Tuscia romana. Così, il ducato romano ebbe quell'assetto che conservò sino agli ultimi anni. Al papa rimase il dominio immediato, oltre che del ducato romano, anche dell'Esarcato, della Pentapoli e dei territorî intermedî di Amelia, Todi e Perugia.
Quale patricius Romanorum, Carlo, tuttavia, acquistò una certa autorità su Roma e sui territorî papali, non quale esercitava sul regno longobardo e sui ducati di Spoleto e Benevento, ma sempre tale che gli permetteva di intervenire come protettore nelle vicende interne e nelle relazioni esterne dei territorî papali. Delle ingerenze indebite degli agenti di Carlo, A. si lamentò più volte con lui nelle sue lettere; e ci volle tutta la molta sua longanimità ed abilità diplomatica, per impedire conflitti spiacevoli, e conservare inalterata l'amicizia col re. Adriano si adoperò presso Carlo anche per la riforma della Chiesa franca. A questo scopo gli inviò la collezione dei canoni ecclesiastici, compilata da Dionigi il piccolo, ed il Sacramentario gregoriano per l'unificazione della disciplina e della liturgia. Quanto alle relazioni con l'Oriente, A. sostenne l'imperatrice Irene ed il patriarca Tarasio nel loro sforzo di ristabilire il culto delle immagini; inviò suoi legati al secondo concilio ecumenico di Nicea (787), attese a che i canoni di quel concilio fossero accolti anche nel regno di Carlo. Ma l'infelicissima versione latina degli atti del concilio, la quale conteneva gravi errori in materia di fede, fu causa di non lieve turbamento fra i teologi franchi; in nome dei quali e del re, Alcuino redasse, per confutarli, i cosiddetti Libri carolini. A. rispose, ribattendo alcuni argomenti; ma senza decidere la questione, che rimase sospesa, finché verso l'850 Anastasio bibliotecario fece una nuova e più esatta versione del testo greco degli atti (cfr. Monum. Germ. Histor., Epist., V, p. 5 segg. e, per i Libri carolini, Monum. Germ. Histor., Concilia, II, suppl.). Adriano morì il 25 dicembre 795 e fu sepolto in Vaticano. Ci rimane di lui un gruppo di lettere comprese nel Codex Carolinus.
Bibl.: Liber Pontificalis, ed. Duchesne, I, Parigi 1886, p. 486 segg., lunga e pregevole biografia; Codex Carolinus, in Monum. Germ. Hist., Epist. Carol., I, p. 567 segg.; Duchesne, Les premiers temps de l'État Pontifical, Parigi 1911, p. 148 segg.; Hefele-Leclercq, Histoire des Conciles, III, Parigi 1910, pp. 741, 974 segg.; Jaffé, Regesta Pontif. Roman., Lipsia 1885, I, p. 289 segg.; F. Gregorovius, Storia di Roma nel Medioevo, Roma 1900, I, p. 580 segg.; IV, 4, 2; B. Malfatti, Imperatori e papi ai tempi della signoria de Franchi in Italia, Milano 1876, II.