Particelle elementari. Esperimenti
La fisica delle particelle elementari, detta anche delle alte energie, è nata e giunta a piena maturità nel corso del XX secolo. Esperimenti sempre più complessi hanno permesso di raggiungere una conoscenza dettagliata delle leggi fondamentali che governano il microcosmo: sappiamo che in natura esistono tre famiglie di particelle elementari, costituite da quark e leptoni, e che tre delle quattro interazioni fondamentali rientrano nell'ambito del cosiddetto Modello Stand_ard, sebbene non esista attualmente una teoria coerente che spieghi anche la forza di gravità. Vi sono due problemi irrisolti riguardanti il Modello Standard: da un lato, la particella elementare scalare detta bosone di Higgs non è stata osservata e, in sua mancanza, il modello prevede che tutte le altre particelle abbiano massa nulla; dall'altro non si comprende perché esistano tre, e solamente tre, famiglie di particelle, che si distinguono per una proprietà chiamata sapore. Esperimenti recenti o di prossima esecuzione mirano a fornire risposte a tali questioni cruciali. D'altronde, anche se la risoluzione di questi due problemi permettesse di descrivere esaurientemente il comportamento microscopico delle particelle elementari, rimarrebbero da spiegare riguardo all'Universo altri due risultati osservativi.
In primo luogo, sebbene durante il big bang sia avvenuta la trasformazione di pura energia in materia e antimateria in pari quantità, tutto ciò che osserviamo a scala macroscopica (noi stessi, i pianeti, le stelle, le galassie, ecc.) è costituito da materia e non da antimateria. Se una particella di materia e una di antimateria si incontrano, esse si annichilano e danno luogo a 'lampi' di luce, i cosiddetti fotoni. La radiazione di fondo cosmico non è altro che la traccia fossile lasciata dall'annichilazione dei prodotti del big bang; a ulteriore conferma del meccanismo appena descritto, vi è la constatazione che la luce predomina nell'Universo. Pur tuttavia, ogni 100 milioni di fotoni è sopravvissuto un protone, il che ha permesso la formazione dell'Universo come lo conosciamo oggi. Occorre dunque comprendere il meccanismo che rende lievemente diverse le proprietà della materia da quelle dell'antimateria: nell'ambito del Modello Standard, tale meccanismo è noto come violazione della simmetria di carica e parità (CP); si tratta di capire se la soluzione del mistero risieda in questo, oppure la si debba ricercare altrove. La seconda grande questione posta dall'osservazione dell'Universo è l'esistenza di un tipo di materia non rilevabile dagli esperimenti attuali. La velocità di rotazione delle galassie è infatti incompatibile con la quantità di materia osservabile, che costituisce stelle e pianeti; questo fatto può essere interpretato ipotizzando l'esistenza di una nuova forma di materia, non osservabile otticamente e chiamata perciò oscura (dark matter). Il Modello Standard non fornisce alcuna soluzione per questo problema: ciò pone l'esigenza di formulare altri modelli, che affrontino le questioni aperte e che tuttavia conservino i risultati di straordinario successo sin qui ottenuti nel predire le osservazioni sperimentali. Questo articolo si pone l'obiettivo di descrivere gli apparati sperimentali che sono stati o saranno costruiti per verificare le predizioni del Modello Standard e per mettere in evidenza eventuali deviazioni da esso.
Gli esperimenti di fisica delle alte energie studiano come le particelle elementari interagiscano tra loro o con la materia. I risultati sono tanto più accurati quanto maggiore è il numero di particelle disponibili e quanto migliore è la conoscenza delle loro proprietà. È possibile disporre in abbondanza di vari tipi di particelle: protoni, antiprotoni, pioni, muoni, kaoni, iperoni, elettroni, positroni, neutroni, fotoni e neutrini, così come esistono in natura oppure prodotte da acceleratori di particelle; alcune sono stabili, altre decadono, ma tutte vivono abbastanza a lungo per essere studiate.
Vi sono due categorie di acceleratori: quelli in cui un singolo fascio di particelle è fatto urtare contro un bersaglio fisso e quelli in cui due fasci sono portati a collidere tra loro; da qui il nome di collisori. È da notare che un determinato fascio, una volta prodotto, nella grande maggioranza dei casi è fatto circolare in percorsi chiusi e subisce un elevato numero di collisioni: ognuna coinvolge soltanto qualche particella e dovrebbero avvenirne molti miliardi perché il fascio sia impoverito significativamente. I collisori consentono urti a un'energia maggiore rispetto agli acceleratori a bersaglio fisso, ma, sebbene ciò rappresenti un netto vantaggio in molti esperimenti, vi sono casi nei quali è inevitabile ricorrere al fascio singolo, o perché le particelle sono instabili oppure perché, in quanto elettricamente neutre, hanno traiettorie che non possono essere curvate da campi magnetici.
Descriveremo ora ricerche sperimentali a bersaglio fisso condotte recentemente con fasci di kaoni neutri e di neutrini. Nell'esperimento KTeV presso il Fermilab National Laboratory (FNAL) di Chicago e in quello denominato NA48 presso il CERN (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire) di Ginevra, i kaoni neutri, o mesoni K0, sono ottenuti dall'urto di protoni accelerati fino a energie di qualche centinaio di GeV; è possibile ripulire il fascio dalle particelle cariche prodotte deviandole mediante campi magnetici. Più complessa è la produzione, anche in questo caso al FNAL e al CERN, di neutrini muonici, in quanto l'urto di protoni su bersaglio non produce direttamente neutrini, ma pioni carichi, che decadono in muoni e in neutrini di tipo muonico. Per separare i pioni dalle ulteriori particelle prodotte nell'urto, si impiegano campi magnetici molto complessi, mediante i quali i pioni sono focheggiati in una direzione e le altre particelle cariche deviate altrove; tuttavia, nel campione rimangono inevitabilmente kaoni che decadono, tra l'altro, in neutrini elettronici, contaminando il fascio. Un'ulteriore difficoltà deriva dal fatto che i muoni prodotti nel decadimento dei pioni possono a loro volta decadere in un elettrone e due neutrini, uno muonico e uno elettronico, con il conseguente rischio che, se non si riescono a eliminare i muoni, si ottenga un fascio in cui sono mescolate due specie di neutrini. Per ovviare a ciò, si ricorre a grandi schermi per fermare i muoni.
Per quel che riguarda i collisori, esistono due categorie di esperimenti: una con fasci e+e− di elettroni e positroni (fig. 2), l'altra con collisori adronici, in cui almeno uno dei due fasci è costituito da protoni. Entrambi i tipi di macchine hanno vantaggi e svantaggi. Da un lato, aumentare l'energia dei fasci nelle macchine e+e− è enormemente costoso; d'altro canto, per effettuare misurazioni di precisione occorre produrre un numero elevato di particelle con proprietà note, come avviene nelle macchine e+e− che impiegano fasci molto intensi, all'energia strettamente necessaria per produrre lo stato che interessa indagare. Rientrano in questa categoria di macchine: DAFNE presso i Laboratori Nazionali di Frascati (LNF), impiegata nello studio dei mesoni K e dotata di un'energia corrispondente alla massa del mesone Φ; KEK-B a KEK in Giappone e PEP-II allo Stanford Linear Accelerator Center (SLAC) a Stanford in California, dedicate allo studio dei mesoni B. Come termine di confronto, la luminosità di questi ultimi due acceleratori è dieci milioni di volte maggiore di quella di Adone, il primo grande acceleratore costruito a Frascati e rimasto in funzione fino al 1993. Un collisore e+e− estremamente complesso sotto il profilo tecnologico e primo esempio di 'laboratorio mondiale' è in stato di progettazione: si tratta dell'International linear collider (ILC), in cui saranno fatti collidere elettroni e positroni provenienti da due acceleratori lineari.
Dal canto loro, i collisori adronici sono tali che gli eventi spuri sono molto più numerosi e traggono origine dai due quark - dei tre che costituiscono ciascun protone - che rimangono esclusi dalla collisione. Oltre a permettere di raggiungere energie elevate in maniera assai più semplice, essi traggono vantaggio dal fatto che i quark contenuti negli adroni non hanno un'energia fissa, il che consente di studiare, a un tempo, un ampio intervallo di energie. Sono dunque particolarmente adatti alla ricerca di particelle di cui non si conosca a priori la massa, tant'è vero che, storicamente, è accaduto che gli esperimenti con fasci di adroni abbiano portato alla scoperta di nuove particelle, i cui dettagli sono stati indagati successivamente da macchine e+e−: è il caso dei bosoni vettoriali W e Z, osservati mediante il collisore adronico Spp_S al CERN e studiati al LEP (Large electron and positron collider) e allo SLC. Presso il FNAL è attivo un collisore pp_ chiamato Tevatron, che raggiunge energie di 2000 GeV e ha già permesso di osservare il quark top. Il Large hadron collider (LHC) del CERN raggiungerà 14.000 GeV. Se a tali energie si osserveranno nuove particelle, come molti modelli prevedono, la macchina e+e− che ne completerà lo studio sarà l'ILC. Un diverso tipo di collisore (HERA), attivo presso i laboratori del Deutsches Elektronen Synchrotron (DESY) di Amburgo, permette uno studio dettagliato della struttura del protone mediante gli urti di elettroni contro protoni. Riguardo agli sviluppi futuri, si confida di far collidere anche fasci di muoni: sebbene si tratti di particelle instabili, la dilatazione dei tempi prevista dalle trasformazioni di Lorentz fa sì che la loro vita media possa dilatarsi quanto basta a immagazzinarle nell'acceleratore e farle urtare prima che decadano.
Nei luoghi più turbolenti dell'Universo, dove avvengono i collassi di stelle, le esplosioni che danno vita a supernovae o alla formazione di buchi neri, esistono campi elettrici e magnetici di enorme intensità, veri e propri acceleratori naturali che emettono particelle con energie che è impensabile ottenere in laboratorio. Esse viaggiano per tempi confrontabili anche con la vita dell'Universo; alcune raggiungono il limite superiore dell'atmosfera terrestre e lì, con un'unica, notevole eccezione, danno luogo a cascate di particelle secondarie, che si propagano talvolta fino alla superficie della Terra. La notevole eccezione è costituita dai neutrini, la cui probabilità di interazione è talmente bassa che, di fatto, in grande maggioranza proseguono fino ai nostri laboratori. Gli esperimenti che sfruttano sorgenti extraterrestri di particelle, i cosiddetti esperimenti di astroparticelle, possono indagare i prodotti dell'interazione con l'atmosfera, approfondire lo studio dei neutrini e anche avere apparati di rilevazione posizionati all'esterno dell'atmosfera.
Per 'vedere' una particella elementare sarebbe necessaria luce con lunghezza d'onda troppo piccola per essere percepita dall'occhio umano e con un'energia tale che la traiettoria del corpuscolo materiale ne risulterebbe modificata. È dunque necessario lasciar interagire la particella con la materia e rilevare, mediante strumenti elettronici, i segnali emessi. L'insieme del materiale con cui la particella interagisce e dell'apparato elettronico necessario a produrre il segnale osservabile è chiamato rivelatore. È da notare che in generale una particella, nell'interagire con il rivelatore, può mutare caratteristiche: dall'entità di tale effetto dipende, in molti casi, la qualità del risultato.
Una particella dotata di carica elettrica è soggetta a interazioni elettromagnetiche, i cui effetti permettono di misurare dove e quando essa sia passata, e dunque di ricostruirne la traiettoria. Ciò avviene in particolari rivelatori detti tracciatori, i più comuni dei quali sono le camere a deriva che sfruttano la ionizzazione prodotta quando una particella carica di elevata energia strappa da un atomo un elettrone. Quest'ultimo è accelerato mediante un campo elettrico ed è probabile che ionizzi un altro atomo posto sul suo cammino; si innesca così un processo a valanga, che a sua volta induce un segnale elettrico, dal quale si può ricostruire da dove provenisse l'elettrone iniziale. È possibile rilevare la posizione della particella svariate volte durante il suo cammino all'interno del rivelatore. Se il tracciatore è immerso in un campo magnetico è possibile misurare, oltre alla posizione e alla direzione di volo, anche l'impulso delle particelle cariche, che descrivono una traiettoria elicoidale, la cui generatrice è una superficie cilindrica con raggio inversamente proporzionale all'intensità del campo e direttamente proporzionale all'impulso.
Tra i vari tipi di particelle studiate, soltanto un piccolo numero ha una vita media sufficientemente lunga da poter essere osservato con i tracciatori. Le restanti percorrono al più qualche decimo di millimetro prima di decadere in particelle che, a loro volta, possono essere anche instabili. La massa invariante dei prodotti di decadimento, espressa dalla
[1] formula
dove Ei sono le energie e pi gli impulsi delle particelle prodotte, assume un valore ben determinato, uguale alla massa della particella decaduta. In molti esperimenti è di cruciale importanza individuare la posizione in cui è avvenuto il decadimento, ricostruita a partire dalle traiettorie dei prodotti stabili. La risoluzione delle camere a deriva, generalmente di circa un decimo di millimetro, non è sufficientemente accurata e spesso è necessario ricorrere a rivelatori, detti microvertici, costituiti da strati di silicio spessi una frazione di millimetro, sulla cui superficie il passaggio delle particelle cariche provoca la formazione di coppie elettrone-lacuna: i punti di raccolta del segnale sono talmente ravvicinati che è possibile raggiungere una risoluzione di qualche millesimo di millimetro.
Per le misurazioni di energia si ricorre a rivelatori detti calorimetri, in cui la particella rilascia in linea di principio tutta la propria energia. Le caratteristiche variano a seconda del tipo di interazione. Particelle come elettroni e fotoni, soggette a interazioni elettromagnetiche ma non a quelle forti, quando incontrano materiali di elevata densità producono cascate elettromagnetiche: in presenza di atomi, un fotone può tramutarsi in un elettrone e un positrone, che a loro volta possono cedere una frazione della propria energia ed emettere fotoni in un processo detto di Bremsstrahlung (radiazione di frenamento). L'energia inizialmente posseduta da una sola particella è suddivisa tra molte e infine convertita in un segnale rilevabile con strumenti elettronici. Per gli adroni, soggetti a interazioni forti, intervengono meccanismi molto più complessi e risulta più difficoltoso associare all'energia delle particelle originarie quella rilasciata nei calorimetri adronici. I loro sciami sono ben più lunghi di quelli elettromagnetici, in quanto l'interazione degli adroni coinvolge i nuclei, che sono molto più piccoli degli atomi, ed è dunque molto improbabile.
La grande maggioranza delle particelle elementari è instabile e può essere identificata solamente a partire dai prodotti di decadimento. La massa e i meccanismi di decadimento delle particelle instabili, nonché le interazioni dei prodotti stabili possono essere studiati soltanto identificando le particelle prodotte. Per distinguere le varie particelle si sfruttano per lo più le differenti impronte lasciate nei rivelatori (fig. 4). Elettroni e fotoni generano uno sciame elettromagnetico nei calorimetri; agli elettroni è associata anche una traccia nei rivelatori tracciatori. Gli adroni danno origine a uno sciame adronico; quelli carichi, pioni, kaoni e protoni, sono rilevati anche dai tracciatori, mentre quelli neutri, i neutroni e i kaoni neutri, sono visibili soltanto nel calorimetro adronico. I muoni, soggetti alle sole interazioni elettromagnetiche, a causa della loro grande massa hanno una probabilità molto contenuta di Bremsstrahlung e attraversano i calorimetri senza provocare cascate.
L'unica ulteriore distinzione, che rende necessario il ricorso a un rivelatore diverso da quelli descritti finora, è tra pioni, kaoni e protoni e si può ottenere sfruttando l'emissione della cosiddetta luce Čerenkov. Il valore che la velocità della luce assume nel vuoto rappresenta il limite irraggiungibile per qualunque particella dotata di massa, ma nella materia la velocità della luce diviene più piccola e diventa dunque possibile che una particella si muova con velocità maggiore. In tal caso, con un meccanismo analogo a quello che provoca il boato di un aereo che superi la velocità del suono, attorno alla direzione del moto si forma un cono di luce, la cui ampiezza è legata alla velocità della particella. Dalla velocità v così determinata e dal valore p dell'impulso misurato nei tracciatori si ricava, attraverso la relazione p=mv, la massa della particella e si stabilisce dunque la sua natura.
Le particelle accelerate dagli acceleratori vengono fatte collidere per studiare il risultato degli urti tra di loro. Tali urti producono una grande varietà di stati finali. È perciò necessario misurare e identificare su intervalli di energia molto ampi le particelle prodotte negli acceleratori e, al contempo, fare in modo che i rivelatori perturbino le loro traiettorie il meno possibile. Sebbene le tecnologie adottate dipendano dalle energie delle collisioni, la strutura degli esperimenti è per lo più comune: in prossimità del punto in cui avviene l'interazione tra i fasci è collocato un microvertice, circondato da una camera a deriva; a seguire sono posizionati il calorimetro elettromagnetico e quello adronico. Un rivelatore di particelle cariche esterno permette infine di identificare i muoni, le uniche particelle cariche in grado di attraversare grandi spessori di materia. Negli esperimenti in cui è necessario identificare i kaoni, si pone un rivelatore Čerenkov tra il tracciatore e il calorimetro. I rivelatori hanno dimensioni di diversi metri.
Il trionfo del Modello Standard è rappresentato dalle misurazioni effettuate con il collisore LEP al CERN. I bosoni vettoriali intermedi W e Z erano stati scoperti negli esperimenti UA1 e UA2 condotti presso il Spp_S e le loro proprietà già erano approssimativamente note. Per ottenere però una verifica accurata del Modello Standard era necessario confrontare le previsioni teoriche con misure estremamente precise dei parametri dei bosoni intermedi: intensità degli accoppiamenti, massa, larghezza e polarizzazione. Servivano dunque una grande quantità di bosoni vettoriali, per una buona precisione statistica, e assenza di contaminazioni dovute a eventi spuri, per una buona precisione sistematica. Queste richieste sono state soddisfatte da macchine e+e− con energia nel centro di massa pari alla massa dello Z: il LEP al CERN e SLC a SLAC.
Il collisore LEP ha funzionato per un lungo periodo all'energia dello Z e successivamente, per produrre coppie W+W−, a un'energia pressoché doppia. Nella prima fase sono stati ottenuti risultati di straordinario rilievo. La misurazione della probabilità di decadimento Z→ν+ν_ ha permesso di stabilire che le famiglie di neutrini sono tre e quindi che il numero di repliche, o generazioni, di leptoni e quark è limitato a tre, almeno nell'ambito del Modello Standard. I valori sperimentali di un elevato numero di parametri sono stati confrontati con quelli predetti dal modello, ma il successo più brillante è stato che il LEP ha permesso di predire, ancor prima che il quark top fosse osservato, il valore della sua massa, il che ha richiesto una formidabile precisione nella misurazione degli osservabili sperimentali. Il quark top, prodotto per lo più in coppie nell'interazione tra un protone e un antiprotone, decade prevalentemente in un bosone W e in un quark bottom (detto anche beauty). A sua volta, il bosone W può decadere in un leptone e in un neutrino oppure in due quark, che, per un principio fondamentale della cromodinamica quantistica, non possono esistere da soli ma si uniscono ad altri quark e formano getti di adroni. Ciò comporta che, nella maggioranza dei casi, eventi con quark top si presentino come una coppia di leptoni di carica opposta e due getti di particelle, oppure come un solo leptone e tre getti di particelle. Sebbene i neutrini non siano rilevabili, se si sfrutta l'ipotesi che siano stati prodotti due mesoni W si riesce a ricostruire la massa dei quark top, la cui esistenza si è manifestata per la prima volta nell'esperimento CDF a Tevatron di fig. 6. La massa del top (mt=173±3 GeV) è sorprendentemente alta: circa 35 volte quella del quark bottom, 190 quella di un protone, il doppio di quella di un bosone vettoriale intermedio.
I mesoni K hanno giocato un ruolo fondamentale nella fisica moderna delle particelle elementari. Scoperti nei raggi cosmici, si presentarono immediatamente con quello che al tempo era noto come θ−τ puzzle: due particelle di massa identica che decadevano sia in due sia in tre pioni carichi, violando la parità P, una quantità che allora si pensava conservata (e che renderebbe i processi elementari invarianti se osservati in uno specchio). Queste particelle sono anche conosciute come 'strane', perché al momento della scoperta erano le uniche che fossero prodotte nell'urto tra adroni per il tramite di interazioni forti, ma che decadessero per il tramite di interazioni deboli. Perché ciò avvenisse era necessario che il decadimento forte fosse impedito dalla conservazione di un numero quantico (qualcosa di analogo alla carica elettrica), che fu chiamato stranezza. In termini di quark, i mesoni K0 sono formati da un quark strange e un quark down, mentre i mesoni K+ e K− sono formati da un quark strange e un quark up. Si osservò, successivamente, un altro fenomeno specifico di queste particelle. Nelle interazioni forti la stranezza è sempre conservata, quindi un K neutro strano (K 0) deve essere prodotto insieme all'antiparticella neutra antistrana (K_0):
[2] formula
[3] formula.
Fino ai primi anni Sessanta del Novecento si pensava che il prodotto di simmetria di carica e parità CP fosse conservato, il che implica che K1 può decadere soltanto in due pioni e K2 in tre pioni. Poiché produrre tre pioni è più complesso che produrne due, K2 ha una vita media maggiore che gli consente di percorrere un cammino più lungo (15,5 m) che non K1 (2,7 cm): è così che si riescono a distinguere i due stati K1 e K2, chiamati Kshort e Klong rispettivamente. Poiché le interazioni forti generano esclusivamente stati K0 e K_0, e gli stati Kshort e Klong evolvono in modi diversi, la proporzione dei K0 e K_0 presenti in un fascio cambia. Questo fenomeno, noto come mescolamento, fu osservato per la prima volta appunto con i mesoni K ed è un'indicazione inequivocabile della natura ondulatoria delle particelle.
Nel 1964 emerse un dato ancor più singolare e imprevisto: si osservano infatti anche pochi mesoni che decadono in due pioni dopo un lunghissimo cammino, anziché in tre come i Klong avrebbero dovuto. La simmetria di CP era, seppur in maniera quasi impercettibile, violata! L'osservazione, tuttavia, poteva essere il risultato di due distinti fenomeni. Da un lato, poteva essere attribuita a una leggera sovrapposizione di stati; più esattamente:
[4] formula
[5] formula.
La presenza di una piccola frazione di K1 in un Klong permette che quest'ultimo decada in due pioni, anziché in tre. Un'altra interpretazione era che il decadimento non conservasse CP, in modo che K2 potesse, a tutti gli effetti, decadere in due pioni. Il parametro che quantifica questo secondo effetto è ε′. La misurazione decisiva per risolvere questo problema richiese svariati decenni; un pieno successo è stato raggiunto soltanto alla fine degli anni Novanta, grazie allo sforzo congiunto degli esperimenti KTeV al Fermilab e NA48 al CERN. Per verificare sperimentalmente la violazione di CP nelle interazioni deboli occorre misurare ampiezze che conducano, attraverso cammini diversi, allo stesso stato finale osservabile. Sono state ricavate le ampiezze di decadimento del Kshort (KS) e del Klong (KL) nello stesso canale, misurando, in particolare, la quantità:
[6] formula,
dove Re(ε′/ε)=(1−R)/6. Il risultato ‒ Re(ε′/ε)=(14,7± 2,2)∙10−4 ‒ ha mostrato che esistono entrambi i fenomeni di violazione di simmetria CP descritti sopra.
Il problema successivo è se la violazione della simmetria di CP sia dovuta a una nuova interazione fondamentale, non ancora manifestatasi altrove, o se sia piuttosto un fenomeno peculiare delle interazioni deboli. Perché queste ultime possano rendere conto dei valori di ε e ε′ misurati, occorre che esistano tre repliche delle famiglie fondamentali di particelle. In tal caso un quark di carica positiva (q, che può indicare un quark up, charm oppure top) interagisce con una sovrapposizione di quark di carica negativa i coefficenti dei quali sono gli elementi di una matrice detta di Cabibbo-Kobayaski-Maskawa (CKM). Il quadrato degli elementi di questa matrice (Vqq′) è dunque proporzionale alla probabilità che un dato quark di carica positiva (q) interagisca con il quark di carica negativa (q′). L'intensità dell'interazione tra due quark è proporzionale al quadrato del modulo dell'elemento di matrice corrispondente. La violazione della simmetria CP è possibile se almeno un elemento della matrice VCKM è complesso. Date le caratteristiche degli stati quantici, nel caso in cui vi siano tre sole coppie di quark esiste un unico parametro che regola le parti immaginarie di tutti gli elementi, il che vuol dire che tutti i possibili fenomeni di violazione di CP sono correlati tra loro e la conoscenza di uno di essi predice gli altri.
Questo modello, che esclude la presenza di altre interazioni oltre a quelle deboli, prevede che, nei decadimenti del mesone K, ε e ε′ siano entrambi diversi da zero e che il primo sia molto maggiore del secondo. Da questo punto di vista le misure confermavano la teoria. Non sono però escluse deviazioni da questo modello, perché quantificare le predizioni teoriche per i mesoni K è difficile, dal momento che le correzioni apportate dalle interazioni forti alle ampiezze di decadimento sono, di fatto, a tutt'oggi non calcolabili. Al più si possono stimare gli ordini di grandezza, ma certamente non fare confronti precisi come quelli ottenuti al LEP. Studi di precisione sulla violazione della simmetria CP sono invece possibili utilizzando mesoni B.
La fisica dei mesoni K ha gettato le fondamenta per lo studio di oscillazioni e di violazione della simmetria CP, ma non è in grado di fornire misure di precisione in questo campo. È dunque essenziale ottenere ulteriori prove della violazione di CP, così da verificare che il Modello Standard sia corretto, che il meccanismo della violazione sia effettivamente quello qui illustrato e che esistano tre sole coppie di quark. A tal fine si sono studiati i decadimenti dei mesoni che contengono il quark bottom: il mesone B0, costituito da un antiquark bottom e un quark down, il B+, contenente un quark bottom e uno up, nonché i corrispondenti antimesoni B__0 e B−. Dal loro studio ci si aspettava di osservare una violazione di CP particolarmente pronunciata.
Per circa vent'anni a partire dal 1980 gli esperimenti CLEO, presso il Cornell electron storage ring (CESR) negli Stati Uniti, e ARGUS, presso l'acceleratore DORIS-II a DESY, hanno prodotto coppie di mesoni B0B__0 e B+B− in grandi quantità e hanno misurato numerose caratteristiche dei mesoni contenenti il quark bottom, che hanno permesso di ricavare i moduli di tre elementi di VCKM (Vub, Vcb e Vtd). Tra le tante pietre miliari di questi esperimenti ricordiamo l'osservazione del mescolamento tra mesoni B0 e B__0, analogo a quello dei mesoni K: la fig. 7 mostra un evento ricostruito dell'esperimento ARGUS in cui, sebbene fosse stata prodotta una coppia B0B__0, i due mesoni ricostruiti erano uguali. Tali esperimenti non erano però in grado di misurare dopo quanto tempo dalla loro produzione i due mesoni decadessero. Ciò rendeva impossibile osservare una diversa probabilità di decadimento tra B0 e B__0, e quindi riscontrare violazione di CP con i mesoni B neutri. Poiché i due stati di mesone oscillano dall'uno all'altro, la probabilità media che un mesone decada è sempre la stessa. Si sono allestiti perciò due esperimenti, Belle presso l'acceleratore KEK-B in Giappone e BaBar presso PEP-II allo SLAC negli Stati Uniti, in cui i due fasci hanno energie diverse: i due mesoni sono sufficientemente veloci da percorrere distanze misurabili, prima di decadere, sebbene queste siano talmente corte (in media un sesto di millimetro) da rendere necessario il ricorso a microvertici molto accurati. Gli esperimenti sono cominciati nel 1999 e, già nel 2001, hanno misurato di quanto la simmetria CP sia violata in un particolare decadimento. La fig. 8 mostra che, negli eventi in cui uno dei due mesoni è identificato come B0, il tempo dopo il quale l'altro mesone decade è diverso rispetto ai casi in cui il mesone identificato è un B__0. In seguito la violazione di CP è stata osservata in molti altri canali e gli elementi di matrice VCKM sono stati determinati con grande accuratezza, confermando integralmente quanto previsto dal Modello Standard sull'esistenza di tre sole coppie di quark. Non vi è però spiegazione ai valori assunti dagli elementi di matrice, né all'esistenza di tre repliche. Ulteriori misurazioni sono previste negli esperimenti con collisori adronici, due già in corso, CDF e D0 al Fermilab negli Stati Uniti, e uno, LHCb, al CERN, il cui inizio è previsto per il 2008. Oltre ad avere a disposizione una statistica molto elevata di mesoni B0 e B__0, vi si possono studiare anche i mesoni Bs, composti da un antiquark bottom e un quark strange, e ricavarne un altro elemento di matrice, Vts.
Il ramo della fisica delle alte energie che ha subito le evoluzioni più rilevanti negli ultimi anni è la fisica del neutrino, che da strumento per esplorare la struttura dei nucleoni si è gradualmente trasformata in un laboratorio di entusiasmanti successi nello studio dei neutrini. Sin dalla scoperta dei neutrini elettronici e muonici, cui si aggiunsero più tardi quelli associati al leptone τ, si è sfruttata la loro particolarità di essere soggetti, unici tra tutte le particelle conosciute, alla sola interazione debole. I neutrini sono stati impiegati per esplorare l'interno dei nucleoni e negli anni Settanta e Ottanta del Novecento sono stati lo strumento più efficace per 'fotografare', in particolare, la composizione del protone: permettono di stabilire come sono distribuiti i partoni al suo interno, in che misura il protone sia costituito dai tre quark di valenza (uud) e da coppie qq_ e, per differenza, il contributo dei gluoni, con cui i neutrini non interagiscono. I neutrini sono stati soppiantati in questo loro ruolo dall'entrata in funzione del collisore HERA, presso DESY, in cui avviene la collisione di un fascio di elettroni (o positroni) polarizzati e di alta energia (30 GeV) con un fascio di protoni di altissima energia (800 GeV). Lo studio della struttura del protone e delle cosiddette funzioni di struttura ha raggiunto livelli di precisione straordinari, che i neutrini, data la difficoltà di farne un fascio (impossibile per altro da guidare o concentrare), non avrebbero mai consentito.
Esistevano due anomalie che continuavano a rendere però i neutrini oggetti molto interessanti. La prima consisteva nell'apparente assenza di massa, caratteristica che, se nel caso del fotone era giustificata dalla conservazione della carica elettrica, per i neutrini si presentava come un mero accidente. La seconda anomalia riguardava i neutrini solari, il cui numero, misurato nella miniera di Homestake negli Stati Uniti, era molto inferiore rispetto a quanto previsto dal modello di funzionamento del Sole. Vi erano però anche ragioni per non preoccuparsi troppo di questa seconda difficoltà: esistevano seri dubbi sul modello solare che prediceva il flusso aspettato e mancava un procedimento campione mediante il quale verificare la validità del risultato, ottenuto con una complessa tecnica sperimentale che permetteva di valutare il numero di nuclei di 37Ar prodotti nell'interazione tra neutrini solari e nuclei di 37Cl.
Due risultati, uno dei quali totalmente inaspettato, hanno sconvolto e cambiato definitivamente rotta alla fisica del neutrino. Il primo è stato ottenuto presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, in un esperimento denominato Gallex e poi trasformatosi in GNO (Gallium neutrino observatory): sfruttava la trasformazione del gallio in germanio indotto dalle interazioni di neutrini ed era sensibile a una porzione dello spettro di emissione dei neutrini solari più ampia rispetto agli esperimenti di Homestake. Anche in questo caso si osservò un difetto di interazioni di neutrini solari e con ciò furono rimossi i dubbi sulla tecnica sperimentale. A parte l'eventualità che il modello solare sia errato, un'altra ipotesi, ben più affascinante, è che i neutrini oscillino tra loro, mescolandosi come fanno per esempio i K0 o i B0: sulla Terra arriverebbero neutrini di tipo diverso rispetto a quelli in grado di produrre le reazioni cercate, e in questo starebbe la spiegazione del minor numero di neutrini osservati.
L'ipotesi dell'oscillazione dei neutrini, introdotta da Bruno Pontecorvo, implica che i neutrini abbiano massa. Ciò ha trovato conferma in modo del tutto inaspettato nell'esperimento SuperKamiokande in Giappone: nelle viscere di una montagna è stata ricavata un'immensa vasca contenente alcune decine di migliaia di tonnellate di acqua, circondata da una superficie ricoperta di fotomoltiplicatori, rivelatori di luce. L'esperimento era stato concepito per la ricerca di un fenomeno predetto da alcune teorie ma mai osservato, il decadimento del protone. Il principio è estremamente semplice: i prodotti di decadimento dell'eventuale, rarissimo processo p → π0+e+ produrrebbero elettroni che, nell'acqua, emetterebbero luce Čerenkov. Il rivelatore deve essere in grado di identificare gli eventi spuri, per lo più dovuti alle interazioni di neutrini atmosferici: quando i raggi cosmici primari interagiscono con l'atmosfera terrestre, generano cascate adroniche in cui sono presenti anche pioni e muoni. Ogni pione della cascata genera un muone e un neutrino di tipo muonico (π+→ μ++νμ) e ogni muone due neutrini, uno muonico e uno elettronico (μ+→ e++νe+ν_μ). Il rivelatore non distingue l'interazione di un neutrino da quella di un antineutrino, ma riconosce quella del neutrino muonico da quella del neutrino elettronico: il rapporto dovrebbe essere di circa due interazioni di neutrini muonici per una di neutrino elettronico e non dovrebbe dipendere dall'energia dei neutrini. Non soltanto non è questo ciò che si osserva, ma i dati sono consistenti con un'oscillazione di neutrini muonici in neutrini che non sono di tipo elettronico.
Poiché le specie di neutrini sono tre, l'ipotesi più accreditata è che il neutrino muonico oscilli in quello tauonico. Visto che all'energia di SuperKamiokande quest'ultimo non può rilasciare alcun segnale, l'ipotesi è credibile, ma non confermata direttamente. Infine, la sparizione di neutrini atmosferici è stata confermata da un esperimento compiuto con neutrini artificiali, prodotti dall'acceleratore di KEK in Giappone, poi inviato presso il rivelatore SuperKamiokande.
Progressi straordinari sono stati ottenuti anche nel settore dei neutrini solari, in cui i risultati degli esperimenti cosiddetti radiochimici hanno trovato conferma in osservazioni condotte con mezzi più convenzionali. Di particolare importanza è lo SNO (Solar neutrino observatory) in Canada, in grado non soltanto di valutare la carenza dei neutrini elettronici provenienti dal Sole rispetto alle previsioni del modello ‒ che nel frattempo ha acquisito credibilità tale da essere chiamato Modello solare standard ‒, ma addirittura di osservare le interazioni cosiddette di corrente neutra, a cui sono soggetti tutti e tre i tipi di neutrini in uguale misura: emerge con chiarezza che i neutrini elettronici sono emessi dal Sole nella quantità che ci si aspetta, ma che una parte cambia natura lungo il cammino. Anche ai risultati riguardanti i neutrini solari si trova conferma sfruttando neutrini artificiali: l'esistenza di una carenza numerica è attestata pure dall'esperimento KAMLAND, in cui si misura il flusso dei neutrini e degli antineutrini prodotti da alcune centrali nucleari giapponesi e coreane e lo si confronta con il valore da attendersi sulla base della potenza elettrica prodotta. Nel 2006 un fascio di neutrini prodotto artificialmente è stato inviato attraverso il sottosuolo dal CERN verso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso; a questo primo esperimento ne seguirono altri, per studiare le proprietà dei neutrini. In definitiva, quindi, i neutrini sono simili ad altre particelle elementari e in particolare agli altri leptoni. Il valore estremamente piccolo della loro massa, però, rende dubbia l'ipotesi che essa sia generata mediante il meccanismo di Higgs e suggerisce piuttosto qualche processo che coinvolga particelle di massa elevata non incluse nel Modello Standard, fornendo quindi un ulteriore stimolo alla formulazione di modelli più generali.
L'enorme successo riscosso dal Modello Standard delle interazioni elementari è stato decretato dal fatto che le sue predizioni teoriche finora hanno trovato sempre conferma. Rimane da spiegare per quale motivo esistano tre famiglie di particelle, e diciannove parametri che assumono proprio i valori misurati; soprattutto, non è stata ancora osservata alcuna particella elementare scalare, in mancanza della quale il modello prevede che tutte le particelle siano prive di massa. Da quando è stata riconosciuta la sua necessità molti esperimenti l'hanno cercata; da ultimo il LEP, che sarebbe stato capace di vedere il bosone di Higgs se esso avesse avuto una massa minore di 115 GeV. Le particelle elementari, secondo il modello di Higgs, acquisiscono massa nell'interazione con il bosone omonimo. Ciò implica che quanto più una particella è pesante, tanto più è probabile che essa emetta tale bosone o che sia prodotta dal suo decadimento.
Come si presenterebbe all'osservazione un bosone di Higgs? Esso decadrebbe nella coppia di corpuscoli dotati di maggior massa tra quelli che gli sarebbero permessi; nell'intervallo di energia del LEP decadrebbe in una coppia di quark bottom. Il principio del confinamento, tuttavia, esclude che possano esistere quark isolati, per cui lo stato finale dovrebbe contenere due mesoni B e numerose altre particelle. Data l'alta energia disponibile e la breve vita media dei mesoni B, il decadimento del bosone di Higgs potrebbe essere riconosciuto dalla presenza di due getti di particelle, alcune provenienti da mesoni B.
In realtà, l'osservazione di un bosone di Higgs non sarebbe sufficiente a completare il modello, che ha gravi limitazioni teoriche: i calcoli necessari a giustificare i valori osservati delle masse appaiono ad hoc, ma tutti i modelli che sono stati sviluppati per cercare di porvi rimedio prevedono l'esistenza di almeno un bosone scalare neutro e di numerose altre particelle; in particolare, la supersimmetria (SUSY) prevede l'esistenza di una replica di tutte le particelle finora note, con le medesime cariche e gli stessi numeri quantici, a parte il momento angolare, e con masse maggiori. Questi modelli prevedono l'esistenza di bosoni di Higgs con carica elettrica non nulla, che decadono prevalentemente in un quark charm e in uno strange, oppure in un leptone τ e nel corrispondente neutrino. Simili particelle sono state ricercate invano al LEP e sono l'oggetto d'indagine delle macchine acceleratrici con protoni, il Tevatron al Fermilab e l'LHC al CERN.
Anche gli esperimenti con i mesoni B offrono possibilità di ricerca dei bosoni di Higgs. Da diversi anni si è alla ricerca del decadimento del mesone B− in un leptone τ e nel corrispondente neutrino, che può avvenire se i due quark del mesone si fondono a formare un bosone W−. Il processo, però, potrebbe aver luogo anche per il tramite di un bosone di Higgs dotato di carica elettrica: se tale particella esistesse, la massa potrebbe essere ricavata sulla base delle deviazioni della probabilità di decadimento rispetto al caso in cui al processo partecipi il solo W. Ulteriori decadimenti utili nella ricerca di nuove particelle virtuali sono quelli in cui un leptone decade in uno di altro tipo senza emettere neutrini (LFV, Lepton flavour violation). Tali processi sono contemplati non dal Modello Standard, ma dalle estensioni che prevedono l'esistenza di repliche degli attuali leptoni. Gli odierni esperimenti con mesoni B, ossia BaBar e Belle, producono grandi quantità di leptoni τ, i più facili da ottenere in abbondanza e in un ambiente pulito, e stanno cercando attivamente, anche se per il momento senza successo, tracce di LFV.
Il Large hadron collider (LHC) del CERN si propone di raggiungere energie molto più elevate di quelle ottenute finora e dunque di cercare il bosone di Higgs, o altre particelle previste da nuovi modelli, esplorando intervalli di massa finora inaccessibili. Nel 2007 dovrebbe iniziare a produrre collisioni pp a 14 TeV nel centro di massa, mentre i due esperimenti ATLAS e CMS potrebbero registrare i primi segnali di nuove particelle già nel 2008. Questi esperimenti saranno decisivi per determinare le prospettive a lungo termine: se, per esempio, gli esperimenti dell'LHC non dovessero osservare alcuna nuova particella elementare, occorrerebbe rivedere il modello e cercare particelle o forme di interazione nuove a energie estremamente più elevate. Ciò sarebbe possibile esclusivamente sfruttando le particelle di altissima energia provenienti dal cosmo e prodotte al di fuori dell'atmosfera. Se invece si cominciassero a osservare nuove particelle elementari, come il modello prevede, la sfida successiva sarà comprendere in che modo gli stati osservati debbano essere abbinati alle particelle previste. A tal fine occorrerà progettare esperimenti ad hoc per studiare le proprietà di interazione e decadimento di questi nuovi corpuscoli, in quanto gli acceleratori adronici come l'LHC non forniscono un ambiente sufficientemente pulito: a questo scopo si sta progettando l'ILC.
Anche per la fisica dei neutrini si prevede un grande sviluppo nel prossimo decennio. Da un lato, il fatto che i neutrini abbiano massa e che avvenga il mescolamento tra le loro tre famiglie sono scoperte molto recenti che vanno confermate. Dall'altro, alcuni parametri del modello sono ancora completamente ignoti: si tratta dell'angolo di mescolamento, del grado di violazione della simmetria CP nei decadimenti dei neutrini e infine della scala assoluta della loro massa. Le misurazioni degli angoli di mescolamento avvengono tipicamente in esperimenti con neutrini generati da fasci di particelle o da reattori nucleari, e gli apparati di prossima generazione, come Opera, Minos, T2K e Kamland, sono già nella fase della raccolta dei dati, o comunque in costruzione. La misurazione assoluta della massa dei neutrini è invece affidata allo studio dei decadimenti di un nucleo con emissione di due elettroni, come per esempio nell'esperimento Cuore che sarà condotto presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Le prospettive a lungo termine per la fisica dei neutrini sono legate alla possibilità di creare fasci molto intensi, quali si possono ottenere dal decadimento radioattivo di nuclei accelerati o di muoni accumulati in un anello.
Per quel che riguarda la fisica dei mesoni K e B, si stanno ancora discutendo le finalità e le modalità della prossima generazione di esperimenti. A parte la necessità di raffinare le misure attuali, si è già evidenziato come lo studio di processi rari a bassa energia possa fornire informazioni su nuove particelle di masse molto superiori. In particolare, la ricerca del decadimento K → πνν_ o esperimenti con mesoni B ad altissima luminosità (le cosiddette super-B factories) potrebbero aiutare a comprendere la natura delle particelle eventualmente scoperte all'LHC molto prima che ciò sia permesso dall'ILC.
Aleph Collaboration 2006: ALEPH Collaboration e altri, Precision electroweak measurements on the Z resonance, "Physics reports", 427, 2006, pp. 257-454.
Bahcall 1972: Bahcall, John, The solar neutrino problem, "Comments in nuclear and particle physics A", 5, 1972, pp. 59-64.
Ellis 2003: Ellis, John, Particle physics: antimatter matters, "Nature", 424, 2003, pp. 631-634.
Green 2005: Green, Dan, High Pt physics at hadron colliders, Cambridge, Cambridge University Press, 2005.
Kleinknecht 1998: Kleinknecht, Konrad, Detectors for particle radiation, 2. ed., Cambridge, Cambridge University Press, 1998.
Lederman 1993: Lederman, Leon M., The God particle: if the universe is the answer, what is the question?, Boston, Mifflin, 1993.
Maiani 1998: La fisica delle particelle, a cura di Luciano Maiani, Milano, Le scienze, 1998.
Nir, Quinn 1992: Nir, Yosef - Quinn, Helen R., CP violation in B physics, "Annual review of nuclear and particle sciences", 42, 1992, pp. 211-250.
Sozzi 2005: Sozzi, Marco S., Status and prospects in kaon physics, "Physica scripta", 72, 2005, pp. 1-13.
Strumia, Vissani 2005: Alessandro Strumia - Francesco Vissani, Implications of neutrino data circa 2005, "Nuclear physics B", 726, 2005, pp. 294-316.
Weiglein 2004: Weiglein, Georg, From the top, "Nature", 429, 2004, pp. 613-615.