participio
Il participio è un modo non finito del verbo (➔ modi del verbo), suddiviso in una forma detta passata (amato) e una presente (amante), entrambe continuazioni dirette delle forme equivalenti latine (amatus e amantem, accusativo di amans). Il participio presente si forma con la desinenza -nte, aggiunta alla radice del verbo, e la vocale tematica (-a per la prima coniugazione,-e per le rimanenti; ➔ coniugazione verbale). Il participio passato regolare si forma con l’aggiunta della desinenza -to alla radice del verbo con la vocale tematica.
Le irregolarità morfologiche del participio passato interessano in primo luogo i verbi in -ere con l’accento sull’antepenultima. Tali forme sono in prevalenza continuazioni dirette dei verbi corrispondenti latini, quali chiuso (< lat. clausum, inf. claudĕre), retto (< lat. rectum, inf. regĕre), espresso (< lat. expressum, inf. exprimĕre). Si aggiungono poche forme appartenenti alla coniugazione in -ire, come, per es., aperto (< lat. apertum, inf. aperīre). Tra le coniugazioni si verificarono passaggi, e, in alcuni casi, sono emerse in italiano forme doppie, quali perduto / perso (< lat. perditum) e veduto / visto (< lat. visum). Nell’uso volgare si diffonde la tendenza al troncamento di taluni participi, forme che restano frequenti nella lingua letteraria fino all’epoca rinascimentale.
(1) tal si levò il pagano a piè rimaso,
Angelica presente al duro caso
(Ariosto 1976: 17)
(2) Avendogli mostro un poco di quel modello di quel serrame che io avevo fatto in Firenze
(Cellini 1985: 109).
Il participio passato si usa come forma verbale: nei tempi e modi composti, vale a dire il ➔ passato prossimo, il ➔ trapassato prossimo, il ➔ trapassato remoto, il condizionale passato e il ➔ futuro anteriore; nelle costruzioni passive perifrastiche (➔ perifrastiche, strutture); in varie costruzioni in cui il participio esprime una predicazione secondaria, o libera o parte di un predicato complesso; nella proposizione relativa ‘ridotta’ (v. oltre); nella proposizione avverbiale (ivi incluso il participio detto assoluto; ➔ assolute, strutture; ➔ relative, frasi). Inoltre, il participio passato è spesso usato come forma aggettivale e nominale.
Il tempo composto formato con il verbo avere + participio passato (ho cantato) costituisce un’innovazione rispetto alla grammatica latina, in cui il tempo passato perfettivo era espresso con il perfetto (cantavi). Le prime attestazioni della costruzione perifrastica risalgono all’epoca classica. Tuttavia, un esempio quale «in ea provincia pecunias magnas collocatas habent» (Cicerone, Oratio pro lege Manilia VII, citato in Tekavčić 1972: § 835) è semanticamente ambiguo: lo si può interpretare sia come «hanno investito soldi» sia come «hanno soldi investiti». La costruzione d’origine, che descrive il possesso da parte del soggetto del risultato di un’azione avvenuta nel passato (Salvi 1982), sopravvive in lingua moderna, accanto al passato prossimo:
(3) Aveva petto, ventre e ginocchia impiastrati di fango (Fenoglio 1986: 96)
Nella lingua antica come in certe varietà dialettali, il passato prossimo denota un’azione nel passato immediato, ossia un momento nel passato ancora connesso al presente. Si ha, pertanto, un’opposizione tra sono andato al mare oggi e andai al mare un mese fa. Tuttavia, nella lingua standard odierna, specie nel parlato (➔ lingua parlata), il passato prossimo si va sostituendo al ➔ passato remoto (allo stesso modo di quel che accadde in francese; ➔ lingue romanze e italiano) e arriva così a indicare un tempo passato senza legame al momento dell’enunciato:
(4) sono andato al mare un mese fa
Nella ➔ lingua d’oggi, il participio passato del verbo intransitivo che seleziona l’ausiliare essere è accordato col soggetto (siamo tornati). Il participio del verbo transitivo è accordato con un pronome oggetto diretto, specie se nella terza persona (la ho vista, li ho visti), meno regolarmente con un oggetto diretto nella prima e seconda persona (ci hanno visti / ci hanno visto).
Nella costruzione col si impersonale il participio è normalmente al plurale se il predicato è un verbo passivo o un verbo intransitivo che seleziona essere come ausiliare:
(5) Quando si è morti [*quando si è morto] non si hanno più voglie (Pavese 1949: 64)
Se, invece, il predicato è un verbo intransitivo che seleziona avere, il participio è accordato al singolare:
(6) ieri si è parlato di tutto
L’accordo del participio con un oggetto diretto in posizione finale (ho scritta la lettera), oppure nella frase relativa che dipende dall’oggetto diretto (la lettera che ho scritta, le persone che ho viste), non appartiene più al registro standard ma si limita alla lingua letteraria e antiquata e alle varietà dialettali (inter alia Lucchesi 1962-1963; Loporcaro 1998):
(7) Non ho mai toccato la roba altrui, non ho mai conosciuta la donna (Deledda 1950: 171)
(8) Tastò il muro per ritrovare la carabina che vi aveva appoggiata e faticosamente si rizzò dalla panca (Fenoglio 1986: 35)
In italiano moderno, l’ordine delle parole è generalmente il seguente: ausiliare - participio - complementi, diversamente da quanto avviene in un’altra lingua neolatina come il francese, in cui i ➔ quantificatori indefiniti si collocano prevalentemente tra l’ausiliare ed il participio:
(9) a. j’ai tout vu «ho visto tutto» (lett. «ho tutto visto»)
b. je n’ai rien vu «non ho visto niente» (lett. «non ho niente visto»)
Si hanno esempi simili nella lingua letteraria italiana:
(10) venivano su con le loro donne e i loro figli, ed erano tristi e lieti in pari tempo perché avevano tutto perduto e tutto salvato (Deledda 1950: 184)
Nelle fasi antiche della lingua italiana, fino a ➔ Giovanni Boccaccio, il complemento ➔ oggetto si colloca spesso prima del participio (➔ italiano antico). Tale tendenza si perde nel secolo successivo, ma è di nuovo introdotta nella lingua letteraria dalle norme bembesche (➔ Bembo) e si riscontra non di rado nella prosa cinquecentesca:
(11) hai tu mai testimonianza niuna falsa detta contra alcuno (Boccaccio 1985: 40)
(12) Avea così detto messer Federigo, e tacendo mostrava d’avere la sua risposta fornita (Bembo 1966: 89)
In tali costruzioni si attesta l’enclisi pronominale al participio passato in una struttura coordinata (➔ parole enclitiche):
(13) noi abbiamo costui tratto dalla padella e gittatolo nel fuoco (Boccaccio 1985: 94)
(14) sono certo le avete già considerate e fattovene uno abito (Guicciardini 1994: 35)
Infine, il tempo composto può comparire in forma scissa (participio passato + che … + verbo), come in (15):
(15) Raggiunto che ebbi il pianerottolo, sostai un momento (Bassani 1991: 388).
Il participio passato compare nelle costruzioni passive perifrastiche formate con essere, venire e andare (➔ passiva, costruzione):
(16) Ninco Nanco era stato ammazzato (Levi 1987: 67)
(17) adempiendo, sempre con gran voglia, e con gran cura, gli ufizi che gli venivano ordinariamente assegnati, di predicare e d’assistere i moribondi, non lasciava mai sfuggire un’occasione d’esercitarne due altri (Manzoni 1987: 93)
(18) Nell’ipotesi di cessazione dell’attività la dichiarazione annuale va presentata entro i normali termini (www.fiscoetasse.it)
Mentre la costruzione passiva con il verbo andare denota un obbligo, quella formata con venire (➔ ausiliari, verbi; ➔ movimento, verbi di) tende a descrivere un’azione generica, abitualmente ripetuta o protratta nel tempo. I verbi reggenti venire e andare, in questo contesto, compaiono nelle forme semplici, ma non in quelle composte (i compiti venivano assegnati, *i compiti sono venuti assegnati). Si noti, pertanto, la differenza tra la passiva formata con venire nella lingua odierna e la costruzione illustrata in (19), diffusa nella lingua antica e letteraria, il cui significato si avvicina a quello espresso dai verbi succedere, capitare:
(19) era venuto detto un dì a una sua brigata sé avere un vino sì buono che ne berebbe Cristo («a un suo compagno era capitato di dire che aveva un vino così buono che ...») (Boccaccio 1985: 65).
Il participio passato può diventare un mezzo per esprimere una predicazione secondaria. Essa può far parte di una costruzione perifrastica, come in (20) (si veda anche 19):
(20) e allora mi scappò detto una bugia, e il naso cominciò a crescermi (Collodi 1981: 215)
Nell’italiano dialettale e regionale (spec. siciliano; ➔ Palermo, italiano di) si hanno inoltre costruzioni participiali perifrastiche formate, il più delle volte, con un verbo reggente modale (➔ modali, verbi), del tipo voglio pagato, voglio fatto un caffè, voglio sbucciata la mela.
Il participio predicativo libero può riferirsi al soggetto (21-22):
(21) Ivan riprese a pensare, fumando accelerato per finir la sigaretta (Fenoglio 1986: 24)
(22) Il colonnello era ormai stanco morto, ma continuava ostinato il cammino (Buzzati 1993: 79)
o all’oggetto (23-24):
(23) Lo scorse sotto un pino, seduto per terra, che disponeva le piccole pigne cadute al suolo (Calvino 1985: 23)
(24) Appoggiata alla vasca vedevo spesso una ragazza, anche lei molto giovane (Pratolini 1991: 115).
Il participio passato attributivo che segue un nome può equivalere a una frase relativa (➔ relative, frasi):
(25) E tirò fuori le monete avute in regalo da Mangiafoco (Collodi 1981: 67)
(26) Dopo la piazza, la strada saliva superava un costone, e ridiscendeva in un’altra minuscola piazzetta, circondata di case basse (Levi 1987: 47)
Eventuali pronomi clitici si realizzano in enclisi al participio:
(27) s’accorse per la prima volta che il servo si era mal ridotto, vecchio, grigio, con le vesti divenutegli larghe (Deledda 1950: 145)
(28) Io appartenevo a mio padre, alla nonna inglese scappata di casa abbandonando tre figlie e il marito per andare vagabondando fino a Bagdad e poi sposatasi per amore a Firenze (Maraini 1993: 108)
La relativa participiale ha lo stesso valore temporale di una frase relativa di modo finito. Vale a dire che, in un esempio come (29), il participio trasformati può esprimere un’azione che segue nel tempo quella della principale:
(29) Qui i Fenici costruirono templi preziosi in onore di Iside, di Baal, di Tanit, poi trasformati dai Greci in templi a Zeus, a Poseidone [= «templi che in seguito sarebbero stati trasformati ...»] (Maraini 1993: 136)
Infine, la participiale può essere negata come una relativa di modo finito:
(30) Il colonnello, non visto, si fermò le prime volte ad osservare con curiosità i ragazzi intenti a incomprensibili faccende (Buzzati 1993: 88).
Il participio passato può svolgere la funzione di una subordinata avverbiale (➔ subordinate, frasi):
(31) Colpita da mille disgrazie, si è gravemente ammalata e non ha più da comprarsi un boccon di pane (Collodi 1981: 229)
Il participio può svolgere infatti tutte le funzioni di una subordinata avverbiale di verbo finito. Ha spesso valore temporale, facoltativamente introdotto da avverbi temporali come una volta e dopo (non da altri avverbi di tempo):
(32) Senza darci appuntamento, arrivavamo sempre intorno alle due, subito dopo mangiato (Bassani 1991: 411)
(33) immagino che si sia buttata per terra, come continuò a fare in seguito, anche dopo sposata, e abbia urlato e si sia contorta in preda a un parossismo nervoso (Maraini 1993: 90)
Gli avverbi una volta o appena sono, in questo contesto, marche di immediatezza e di perfettività; segnalano, cioè, che l’azione espressa dalla principale segue immediatamente quella descritta dal participio e che questo codifica un evento compiuto:
(34) Neanche il giovane Enrico però, una volta sposato, poté accettare che la moglie facesse la “lirica” (Maraini 1993: 90)
(35) Questo non gli impedì di buttarsi, appena arrivato, a divorare con straordinaria voracità le focaccette avanzate (Levi 1987: 58)
Il participio in funzione di condizionale o causale è facoltativamente introdotto dalle rispettive congiunzioni, come in (36-37):
(36) Soltanto se guidato da Longhi avrei potuto combinare qualcosa di buono (Bassani 1991: 430)
(37) e senza neanche poter visitare l’interno del castello perché sprovvisti del permesso scritto di non so quale istituto romano di credito, ci sentivamo profondamente scontenti (Bassani 1991: 339)
Sono obbligatori, invece, la congiunzione come, perché il participio abbia interpretazione comparativa, e l’avverbio pure, perché esprima valore concessivo:
(38) Eravamo tutti fissi, come ipnotizzati, e la maestra non si ribellava più (Fenoglio 1986: 138)
(39) Fece così pur convinto che era tardi (ivi, p. 130)
(40) L’ascesso si stava rimarginando, e il tuo male misterioso, seppure non più curato, dava segni insperati di miglioramento (Pratolini 1991: 128)
Sempre in funzione di frase avverbiale, il participio può essere introdotto da un elemento interrogativo (come, dove, quando, ecc.):
(41) Chissà da dove venuto, verso le 22,15, un piccolo vento rabbioso, sconosciuto in quella vallata, cominciò a strisciare nel canalone facendo tormenta (Buzzati 1993: 139)
Nella lingua letteraria, infine, si registra anche la frase participiale introdotta da una congiunzione relativa:
(42) Era di luglio nel 1758, non so qual giorno, quando io lasciai la casa materna la mattina di buonissima ora. Piansi durante tutta la prima posta; dove poi giunto, nel tempo che si cambiava i cavalli, io volli scendere nel cortile (Alfieri 1996: I, 5)
Sono varianti della participiale avverbiale la costruzione in cui il participio, insieme a eventuali complementi, è retto dalla preposizione a, e quella presentativa, in cui lo si introduce con l’avverbiale ecco:
(43) Eravamo entrati a spettacolo già cominciato (Bassani 1991: 572)
(44) Ed eccovi raccontato come qualmente voi, tirando su la fune, avete trovato un burattino vivo, invece d’un ciuchino morto (Collodi 1981: 207)
Sono, in origine, participiali avverbiali anche diverse locuzioni fisse quali dopo mangiato, detto fatto, considerato che. Della stessa natura sono espressioni e frasi fatte come per grazia ricevuta, a cose fatte, ecc.
Il termine participio assoluto si usa talvolta, in accezione tradizionale, per indicare il participio passato provvisto di un proprio soggetto diverso da quello della principale. Nei participi degli esempi seguenti, i soggetti io (45), l’inverno (46) e l’interesse (47) sono realizzati all’interno della costruzione participiale:
(45) Rimasto dunque io solo di tutti i figli nella casa materna, fui dato in custodia ad un buon prete (Alfieri 1996: I, 2)
(46) Venuto l’inverno, scese grande neve (Buzzati 1993: 98)
(47) Attenuatosi col tempo l’interesse o perché un richiamo più forte lo sollecitava, egli non poteva sottrarsi brutalmente alla vecchia relazione (Pratolini 1988: 58)
Di conseguenza, la definizione di assoluto dipende da come si analizza in tali costruzioni la ➔ diatesi del verbo. In (48), se il participio è analizzato come passivo, la frase participiale, provvista del proprio soggetto la bugia, è da intendersi come assoluta. Se, invece, il participio è analizzato come forma attiva del verbo, la bugia compie la funzione di oggetto diretto mentre il soggetto resta implicito. In tal caso (48) non è una costruzione assoluta:
(48) – Le ho perdute! – rispose Pinocchio; ma disse una bugia, perché invece le aveva in tasca. Appena detta la bugia, il suo naso, che era già lungo, gli crebbe subito due dita di più (Collodi 1981: 96)
Nella lingua antica e letteraria, è evidente come il participio possa assumere valore sia attivo sia passivo. È da analizzare come forma attiva il participio formato con un verbo quale pensare in (49), mentre è indubbiamente passivo il participio accompagnato dal complemento d’agente come in (50):
(49) – Sta bene – disse il maestro; e sopra ciò pensato alquanto, si dispose di volere la terza volta riveder l’orina (Grazzini 1989: 66)
(50) Detta dalla giovane cantatrice questa canzone, la minore [...] in questa guisa le rispose (Bembo 1966: 319)
Tuttavia, la costruzione participiale avverbiale ha subito qualche cambiamento nel corso dei secoli (sulla questione della voce del participio in italiano moderno, si veda inter alia Belletti 1990 e Loporcaro 2003).
Nella lingua moderna, tutti i complementi del participio, come anche il soggetto, normalmente seguono il verbo, mentre, nella lingua antica e letteraria, essi potevano precederlo:
(51) e per comandamento di lei, Dioneo preso un liuto e la Fiammetta una viuola, cominciarono soavemente una danza a sonare (Boccaccio 1985: 30)
(52) In età di oltre cinquantacinque anni invaghitosi di mia madre, la quale, benché giovanissima, era allora già vedova del marchese di Cacherano, gentiluomo astigiano, la sposò (Alfieri 1996: I, 1)
(53) Venuta dal Cile alla fine del secolo scorso col padre ambasciatore, aveva studiato pianoforte e canto a Parigi (Maraini 1993: 89)
Nella lingua moderna, il participio è accordato con il soggetto (oppure con l’oggetto diretto, ammessa l’analisi attiva del costrutto). Questa tendenza predomina nella lingua antica, mentre dal Trecento si diffonde la forma non accordata che caratterizza la prosa quattro-cinquecentesca (Škerlj 1932):
(54) serrato le finestre se ne andarono a scaldarse e a mutarse, lasciando i gioveni nella corte (Grazzini 1989: 50)
(55) Intanto, a lui passato la stizza e a me la paura, sotto la fede di certi gran gentiluomini romani che il detto non mi offenderebbe [...] giunsi in casa del detto monsignore (Cellini 1985: 133)
Il soggetto implicito del participio s’identifica con il tema del discorso, il quale, normalmente ma non sempre, è soggetto della frase principale (Salvi 1986). È comune, inoltre, il riferimento al soggetto del discorso precedente:
(56) Gli sembrava infatti di camminare sempre. Saliva un monte, attraversava una tanca; ma arrivato al confine di questa ecco un altro monte, un’altra pianura; e in fondo il mare (Deledda 1950: 219)
(57) Come Marcello tornò a Roma, dell’episodio del gatto e di quelli che l’avevano preceduto, non gli restava ormai che una diafana, quasi evanescente rimembranza. Come di una esperienza che egli aveva forse vissuto ma in un’altra vita con la quale, appunto, non aveva altri rapporti che di ricordo irresponsabile e senza conseguenze. All’oblio, poi, contribuì anche, una volta tornato in città, l’eccitazione dell’ingresso a scuola (Moravia 1981: 29).
Il participio passato è facilmente rianalizzato (➔ rianalisi) come aggettivo:
(58) Era quello l’unico luogo, nello spazio consentito, dove non ci fossero case (Levi 1987: 67)
Varie forme aggettivali sono emerse in analogia con participi. Sono da analizzare come puramente aggettivali forme come malintenzionato, sconosciuto, timorato; la derivazione verbale si esclude per via dell’assenza di infiniti quali *malintenzionare, *sconoscere (nel significato pertinente), *timorare. Si aggiunge a questa categoria il participio incinta, vista la scomparsa, nell’italiano moderno, dell’infinito incignere.
Anche se la forma aggettivale del participio di regola è di interpretazione passiva, si hanno casi di diatesi attiva:
(59) Poli sembrava un po’ bevuto. Come sempre, del resto (Pavese 1949: 23)
(60) Anche la zia Felicita nel suo libro parla di questo quadro, ammirata (Maraini 1993: 142)
A questo modello si conformano espressioni colloquiali come venite mangiati, ecc. Nell’ambito del participio nominalizzato bisogna operare una distinzione tra i casi in cui il participio è pienamente rianalizzato, vale a dire è nome a tutti gli effetti (abitato, isolato, partito, spremuta, trattato, ecc.), da quelli in cui conserva proprietà verbali anche quando è nucleo di un sintagma nominale. In (61), il secondo participio nominalizzato è modificato da un avverbio anziché da un aggettivo:
(61) ciascuna delle ragazze vedeva il segno di un rispetto che la induceva a credersi lei l’eletta, e la veramente amata (Pratolini 1988: 60).
In italiano moderno, il participio presente è prevalentemente forma aggettivale (assente, circostante, morente, presente, ubbidiente) o nominale (dirigente, conoscente, parente, tangente, vedente). Il participio presente è da analizzare come verbo qualora compaia con il complemento diretto (il presidente la commissione, una signora amante la musica), mentre è analizzabile solo come aggettivo quando regge un complemento preposizionale (una signora amante della musica).
Così come avviene altrove nell’ambito romanzo, il participio presente verbale in italiano è in larga parte sostituito dal gerundio già nel periodo medievale (Lýer 1934) e continua ad essere usato prevalentemente in contesti latineggianti:
(62) come si potrà dire che ad alcuno popolo, avente due lingue, l’una più degna dell’altra e più onorata, egli non si convenga vie più lo scrivere nella più lodata che nella meno? (Bembo 1966: 81)
(63) Ne’ tempi nostri, regnante Alessandro VI, Oliverotto Firmiano, sendo più anni innanzi rimasto piccolo, fu da uno suo zio materno, chiamato Giovanni Fogliani, allevato (Machiavelli 1961: 43)
Il participio presente verbale, in italiano moderno, si riscontra solo nei registri formali e talvolta nella lingua letteraria. Compie normalmente la funzione sintattica di una relativa ed è accordato al numero della testa nominale cui si riferisce:
(64) si accorse che gli correvano dietro tutti e due, sempre imbacuccati nei loro sacchi, e grondanti acqua come due panieri sfondati (Collodi 1981: 81)
(65) l’accampamento nel sonno era il regno dei corpi, una distesa di vecchia carne d’Adamo, esalante il vino bevuto e il sudore della giornata guerresca (Calvino 1985: 14)
(66) non era senza molto timore, ricordo, che andavo a sporgermi dal parapetto delimitante il piazzale dalla parte della campagna (Bassani 1991: 383)
È da intendersi come forma verbale anche il participio presente accompagnato da un pronome clitico, il quale è realizzato in enclisi al participio:
(67) Rumore di un uccello grande levantesi ogni tanto a volo con alto frastuono d’ali (Buzzati 1993: 81).
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