passato prossimo
Il passato prossimo (denominato anche, raramente, perfetto composto) è uno dei ➔ tempi composti dell’➔indicativo, che ha come principale significato quello di indicare un evento concluso nel passato. Il processo che il passato prossimo esprime è avvenuto in genere prima del momento dell’enunciazione, ma, a differenza del ➔ passato remoto, in certe condizioni può essere situato in altri punti dell’asse cronologico, cioè anche dopo il momento dell’enunciazione (Bertinetto 1986 e 1991).
Dal punto di vista morfologico il passato prossimo ha la seguente struttura: una forma del presente indicativo dell’ausiliare (essere o avere; ➔ ausiliari, verbi) + participio passato del verbo lessicale, eventualmente accordato per ➔ genere e ➔ numero (➔ accordo):
(1) i giovani hanno mangiato
(2) le ragazze sono partite
Il passato prossimo è impossibile coi verbi cosiddetti difettivi (ad es., urgere, soccombere, vertere, prudere), così denominati proprio perché privi del participio passato (➔ coniugazione verbale). Ciò vale anche per il passato remoto (Bertinetto 1991: 88).
In una parte dei suoi usi, il passato prossimo indica una localizzazione temporale e quindi ha la funzione di indicare il tempo (cioè deittica; ➔ deittici). Nell’italiano standard a base toscana, esso esprime, come s’è detto, eventi passati anteriori al momento dell’enunciazione. Si tratta soprattutto di eventi che, pur avendo caratteristiche di compiutezza (➔ aspetto), hanno ancora effetti sul momento dell’enunciazione. Gli avverbi di tempo (➔ temporali, avverbi), se ci sono, si riferiscono al momento dell’enunciazione: oggi, adesso, X tempo fa ecc. (Bertinetto 1991).
Siccome il passato prossimo esprime il risultato di un evento successo nel passato il cui effetto perdura al momento dell’enunciazione, la distanza tra il momento dell’evento e quello dell’enunciazione può essere di qualunque lunghezza: un evento vicino al momento dell’enunciazione non sarà meno compiuto di un evento lontano. Eppure, se il contesto generale è al presente, l’evento sembra più vicino al momento dell’enunciazione, soprattutto se manca ogni avverbio temporale. Questa struttura è usata soprattutto nel riferire una notizia fresca:
(3) evviva! ho preso 10 in matematica
In (4) l’enunciato isolato, accompagnato da un avverbio temporale che delimita l’azione rispetto al momento dell’enunciazione (nel 2008), va interpretato come un evento il cui effetto perdura: Carla, cioè, si trova ancora a Londra:
(4) nel 2008 Carla è partita per Londra
Rispetto al passato prossimo, il passato remoto (partì per Londra) denota invece un passato il cui risultato non persiste più. Se l’evento al passato è un’azione conclusa prima del momento dell’enunciazione, senza persistenza rispetto al momento dell’enunciazione e senza alcuna possibile riattualizzazione dell’evento, abbiamo a che fare con il significato generalmente codificato dal passato remoto.
La seconda frase di (5) contiene un avverbio che separa la prima azione dalla seconda, impedendo in tal modo l’accezione risultativa dell’evento della prima frase:
(5) nel 2008 Carla è partita / partì per Londra; nel 2009 ha raggiunto / raggiunse il suo compagno a Leeds: oggi si trova a Roma
Il passato prossimo con persistenza del risultato ricorre spesso nel ➔ discorso diretto:
(6) «Sono già venuti, Ubertino» disse Guglielmo, mostrando il suo saio di francescano, «ma non hanno ancora vinto, è il momento che l’Anticristo, pieno di furore, comanderà di uccidere Enoch ed Elia e i loro compari perché ognuno possa vederli e tema di volerli imitare. Così come volevano uccidere me …» (Eco, Il nome della rosa, p. 61).
La forma si trova anche nei racconti strutturati al presente:
(7) Ma è arrivata solo una lettera di Michele dall’Inghilterra e la mamma l’ha portata a tavola perché tutti ne possano godere. Adone incluso. I ragazzi ascoltano distratti, molto più importanti le patate fritte (Loy, La bicicletta, p. 73).
Il passato prossimo può denotare un’esperienza del soggetto verificatasi almeno una volta durante un periodo di tempo passato, incluso il momento dell’enunciazione. L’esperienza può riferirsi a un asse temporale molto vasto e non precisato:
(8) non siamo mai stati a Roma
(9) Maria ha letto la Divina Commedia tre volte
L’uso del passato remoto in un contesto come in (9) implica che l’esperienza è ormai conclusa, senza possibilità di tornare a verificarsi. L’esperienza può anche essere delimitata tra due punti temporali, o valere come una regolarità:
(10) Antonio ha sempre preso le vacanze dal 20 luglio al 20 agosto
(11) mi sono sempre seduta a questo posto, io.
Il passato prossimo ha aspetto prevalentemente perfettivo, ma esistono casi in cui ha valore imperfettivo: ad es., quando l’evento può esser percepito come non concluso al momento di riferimento; è la cosiddetta accezione inclusiva. Essa si ottiene con verbi durativi (continuativi e stativi: lavorare, stare) e avverbi che includono il momento dell’enunciazione, come finora, sempre. L’es. (12) implica che Fassino ha lavorato e continua a lavorare per il governo di unità nazionale:
(12) *MUS: c’è stato un errore di Fassino / il quale / per la verità / ha lavorato per tutto l’opposto / in questi mesi //cioè per il governo di unità nazionale /
(Cresti 2000, vol. II: 234).
Negli ultimi trent’anni, data la sua natura insieme temporale e aspettuale, il passato prossimo è andato diffondendosi a scapito del passato remoto. Evidente soprattutto nel parlato, questa tendenza si nota anche nello scritto (Bertinetto 1991; Bertinetto & Squartini 1996):
(13) a. Napoleone è nato a Ajaccio
b. Giulio Cesare ha invaso la Britannia.
2.4.1 Il passato prossimo aoristico. Nel neostandard appaiono sempre più spesso passati prossimi con significato di passato aoristico, che cioè designa un processo interamente concluso, per il quale non si possono considerare attuali le conseguenze, né gli eventi si possono ricondurre al momento dell’enunciazione (Bertinetto 1991). Questa costruzione si nota anzitutto nelle aree d’Italia in cui il dialetto o la varietà regionale locale mancano di passato remoto, e spesso nei testi orali. Si tratta di strutture dovute alla ➔ semplificazione del sistema temporale, in atto dalla seconda metà del XX secolo.
Nelle frasi in (14) non è possibile individuare gli eventi come risultati, bensì come eventi aoristici (cioè dai contorni indefiniti dal punto di vista della perfettività), senza legame con il momento dell’enunciazione:
(14) a. nel 1969 si sono sposati /si sposarono Alfredo e Maria, ma nel 1975 si sono separati / si separarono
b. nel 2000 Maria si è sposata / si sposò con Giovanni: oggi è separata
L’accettabilità del passato prossimo in siffatti contesti, in cui si userebbe piuttosto il passato remoto, varia a seconda delle regioni e dei parlanti. Il comportamento degli italiani regionali rispecchia grosso modo quello dei dialetti corrispondenti (Bertinetto & Squartini 1996). Nel Novecento la preferenza si è accentuata fino al declino del passato remoto, soprattutto nel parlato conversazionale (Loporcaro 2009). Alcuni autori usano il passato prossimo aoristico in segno di prossimità al parlato regionale, tipico del Nord. Si noti l’avverbiale senza collegamento con il momento dell’enunciazione (il giorno della partenza):
(15) Il giorno della partenza, aspettando il treno nella minuscola stazione, mi ha abbracciato e mi ha bisbigliato in un orecchio: «In quale vita ci siamo già conosciuti?» (Tamaro, Va’ dove di porta il cuore, p. 121).
L’uso di questa forma, che si diffonde anche nel resto del paese, tranne in Toscana, è influenzata dagli usi del passato prossimo nei mass media e riprende uno schema che si affermò in francese già nel secolo scorso (➔ lingue romanze e italiano). In molti testi giornalistici il passato prossimo è il tempo passato più frequente:
(16) sono stati fucilati nel 1934 e due sono stati giustiziati durante la guerra civile spagnola («Gazzetta di Parma» 1990; cit. in Bonomi, 2002: 204 segg.)
In generale esiste una differenza tra testi su carta e testi radio-televisivi o on line: nei secondi prevale il passato prossimo, anche per eventi accaduti nel passato recentissimo. Espressioni di fatti compiuti in un passato lontano appaiono con entrambe le forme e quando appare il passato prossimo esprime l’evento concluso (Bonomi 2002).
Nel Sud si verifica l’opposto: il passato remoto è usato in contesti in cui l’italiano avrebbe il passato prossimo. Tuttavia il passaggio dal passato prossimo al passato remoto ha diversi gradi di accettabilità a seconda della distanza tra il momento dell’enunciazione e quello dell’evento: rispetto a un parlante di Catania, un napoletano accetta maggiormente lo slittamento della forma a scapito del passato remoto (Loporcaro 2009). In napoletano, l’opposizione tra passato prossimo e passato remoto si mantiene con le funzioni di perfetto e aoristo: oggi ho mangiato male contro ieri mangiai male. Oggi le tendenze del neostandard si fanno notare, sicché si registra anche ieri ho mangiato male. La Calabria, influenzata dalla tendenza accennata, ha praticamente eliminato il passato remoto per il risultativo: l’ha fatto, e non più lo fece.
In Sicilia e in Calabria troviamo il passato prossimo di tipo inclusivo (17) che si oppone a (18):
(17) ’amu circatu tutta a mattinata [= «lo abbiamo cercato tutta la mattinata e continuiamo a farlo»]
(18) ’u circammu tutta a mattinata [= «lo cercammo tutta la mattinata», detto, per es., la sera del giorno stesso, con una distanza minima tra momento dell’enunciazione e momento dell’avvenimento]
In Sicilia si trova anche il passato prossimo esperienziale (19) contrapposto a espressioni come in (20):
(19) questo film l’ho visto tre volte in vita mia
(20) questo film lo vidi stamattina
L’uso del passato prossimo esperienziale e inclusivo è dunque da considerare come piuttosto omogeneo, da nord a sud (Rohlfs 1969: 48; Bertinetto & Squartini 1996; Loporcaro 2009: 148; 153).
Gli usi non deittici del passato prossimo esprimono una relazione generica tra il momento passato e il momento dell’enunciazione. Gli avverbi, se presenti, alludono vagamente al momento dell’enunciazione (ad es., già, sempre, quando, ecc.).
Nelle frasi subordinate (➔ subordinate, frasi) esistono costruzioni in cui il passato prossimo indica anteriorità rispetto ad altri tempi; l’evento che esso esprime è cioè presentato come compiuto nel futuro rispetto al tempo nella principale. In questi casi esso può essere sostituito dal ➔ futuro anteriore, come in (21):
(21) quando avranno corretto le prove potremo giudicare chi ha vinto [= «chi avrà vinto»] il concorso
A volte il passato prossimo appare in costruzioni in cui potrebbe essere interpretato come relativo a un evento che ha avuto luogo prima del momento dell’enunciazione. Le circostanze pragmatiche dell’enunciato permettono di interpretare l’azione come compiuta al momento dell’enunciazione:
(22) quando incontrerai Silvana le spiegherai che siamo venuti a darle una mano
Nelle subordinate il passato prossimo può assumere il significato di anteriorità rispetto a eventi passati espressi nella principale. La forma corrisponde in sostanza al ➔ trapassato prossimo:
(23) l’avevamo ben capito che sei arrivato [= «che eri arrivato»].
In alcuni casi il passato prossimo non si riferisce a un particolare momento dell’enunciazione: si tratta di una forma affine al perfetto risultativo, che esprime puramente compiutezza, non deittico. Esso denota un evento successo nel passato senza che ci sia un riferimento temporale che lo delimiti. L’anteriorità si riferisce dunque a un momento generico: l’evento è accaduto, il risultato permane ed è valido indipendentemente dal momento dell’enunciazione. Il tempo di base è normalmente il presente intemporale (nella terminologia di Bertinetto 1986) o onnitemporale:
(24) una persona che ha raggiunto la maggiore età può prendere la patente.
Quando il passato prossimo esprime un evento che si ripete in modo regolare, senza che il momento indicato coincida con il momento dell’enunciazione, abbiamo a che fare con un’accezione abituale (➔ imperfetto):
(25) ogni volta che lo incontriamo, Giovanni parla dell’ultimo film che ha visto.
In registri non formali, soprattutto nel parlato colloquiale dialogico, ritroviamo in un contesto al presente il passato prossimo che si riferisce al futuro, simile al significato imminenziale del presente pro futuro (➔ presente). In tali costruzioni l’avverbio (o sintagma avverbiale) che dà il riferimento temporale, se c’è, è necessariamente in posizione iniziale:
(26) la settimana prossima ho finito il lavoro, prometto!
(27) abbiamo concluso, un attimo solo!
In altri termini, l’evento che sta per essere compiuto si presenta, con una metafora, come se già lo fosse.
La scelta del passato prossimo o del passato remoto è influenzata da fattori discorsivi e legati al singolo parlante. Nel dialogo o nelle narrazioni personali, prevale il passato prossimo deittico, soprattutto con la prima persona. La terza persona, nelle narrazioni impersonali, storiche e nelle fiabe sembra ancora preferire il passato remoto (Bertinetto & Squartini 1996; Centineo 1991). L’uso del passato prossimo nei testi letterari appare spesso in monologhi e dialoghi:
(28) Io l’ho detto una volta, a Pehnt… sa, lui scrive quel quadernetto, ogni giorno, per sapere tutte le cose… io gliel’ho detto che la vita… gli ho detto, quel che di bello c’è nella vita è sempre un segreto… per me è stato così… le cose che si sanno sono le cose normali (Baricco, Castelli di rabbia, p. 92)
Il passato prossimo appare anche nella prosa diaristica, ove il narratore in prima persona descrive gli eventi che accadono giorno dopo giorno, ora dopo ora:
(29) a. Ore 22. Giacinto è rientrato con una enorme razza dalla pelle lucida a macchie marroni. Santino ha portato una rete piena di ricci. Neri, con riflessi verdognoli e violetti. Muovono gli aghi cercando un appiglio, lenti e lucidi. Santino ne ha afferrato uno, l’ha sistemato nella mano a conca (Maraini, Donna in guerra, p. 25)
b. Ore 24. Alle sette e mezza siamo scesi in piazza. Ho subito notato la famiglia dei vicini al completo (ivi, p. 61)
Nei racconti (➔ testi narrativi) accade che il passato prossimo svolga la funzione di valutazione finale, offrendo una valutazione globale degli eventi presentati (Centineo 1991):
(30) Un giorno, attraversando il corridoio, lo scorsi, dall’uscio semiaperto […]. Più tardi, ho dovuto ripensare molto a queste cose; ma in quei primi mesi del fatale anno, essi mi si facevano dimenticare subito, passando, nella lor astruseria, come misteri secondari (Morante, L’isola di Arturo, p. 230).
La forma composta del passato prossimo risale al latino classico. In Plauto troviamo ad es. omnes res relictas habeo «tutte le cose abbandonate ho». In tardo latino la costruzione avere + participio passato indicava l’acquisizione del risultato dell’azione espressa dal verbo: habeo litteram scriptam «tengo la lettera scritta». Tale costruzione risultativa arriva via via ad assumere il significato di compiutezza nel passato rispetto al momento dell’enunciazione:
(31) Sono caduti ne la fossa de la falsa oppinione, de la quale uscire non sanno (Dante, Conv. I, xi, 5; cit. in Brambilla Ageno 1978: 224)
In italiano antico la maggior parte delle costruzioni con avere + participio appare con il significato di tempo composto del verbo, ma questi passati prossimi possono anche assumere un significato risultativo, indicando l’acquisizione di un risultato derivante da un’azione passata. Il risultato può riferirsi al soggetto o all’oggetto, senza che l’ordine delle parole (vale a dire la posizione dell’oggetto diretto rispetto al participio perfetto) o l’accordo participiale possa distinguere in modo chiaro l’un significato dall’altro (Egerland 2010: 893):
(32) a. non veggiono, per ciò che hanno chiusi li occhi (Dante, Conv. I, iv, 16)
b. sì come afferma chi ha li occhi chiusi (Dante, Conv. II, iv, 17)
Negli usi del passato prossimo l’evento è trasferito sul piano del presente indicando principalmente un’azione senza tempo:
(33) Qual è quel toro che si slaccia in quella
c’ha ricevuto già ’l colpo mortal […]
(Dante, Inf. XII, 2-3)
In Dante si trovano passati prossimi con accezione inclusiva (cfr. § 2.3):
(34) Solvetemi, spirando, il gran digiuno
che lungamente m’ha tenuto in fame
(Dante, Par. XIX, 25-26)
ma anche il passato prossimo abituale (cfr. § 3.3) o iterativo:
(35) Quante volte, del tempo che rimembre
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato, e rinovate membre!
(Dante, Purg. VI, 145-147).
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