Opera («Sentenze di Paolo») della giurisprudenza postclassica romana, che un tempo si riteneva ispirata ad altra precedente del giurista classico Paolo Giulio, ma che oggi si fa per lo più risalire, almeno nella sua prima stesura, a un’età compresa tra la fine del 3° e l’inizio del 4° sec. d.C. Contiene non solo passi di Paolo e di altri giuristi romani, ma anche epitomi di costituzioni imperiali, alcune delle quali emanate nel 5° sec., a testimonianza dei numerosi interventi di integrazione e aggiornamento che essa certamente subì, nel corso del tempo. Ebbero ampia fortuna in quell’epoca di decadenza degli studi giuridici, giacché, essendo redatte con particolare semplicità e chiarezza, si prestavano a facilitare l’applicazione del diritto. Per lo stesso motivo numerose altre fonti (in particolare, la lex Romana Wisigothorum) le fecero proprie, così da trasmetterle, nella forma in cui oggi si leggono, ordinate in 5 libri, divisi a loro volta in capitoli. In diverse occasioni l’autorità imperiale ne sancì la piena validità, autorizzandone la citazione in giudizio: in tal senso si espressero, per esempio, sia Costantino, in una costituzione del 327, sia Valentiniano III, circa un secolo dopo, nella celebre legge delle citazioni.