PERUGIA (A. T., 24-25-26 bis)
Città dell'Umbria, una delle più notevoli dell'Italia centrale per tradizioni storiche, per ricchezza di monumenti e per bellezze naturali, capoluogo di provincia; sorge sopra un colle alto 493 m. s. m. e costituito da una potente formazione di argille, sormontata da strati di sabbie quasi orizzontali e da ciottoli e conglomerati più o meno cementati del Pliocene lacustre (materiali accumulati sul fondo dell'antico Lago Tiberino). L'erosione incise sui fianchi del colle una serie di piccole valli, nelle quali discesero le sabbie e i ciottoli, formando sulle argille uno strato di terreno permeabile e assai inclinato. Ciò ha dato luogo a numerose e pericolose frane alla periferia della città. Il colle su cui sorge Perugia, situato a 13 km. E. dal Lago Trasimeno, domina verso oriente la valle del Tevere da circa 300 m. di altezza relativa, ed è chiuso tutt'intorno da altri colli argillosi e sabbiosi e da basse montagne calcaree (tra le quali, a nord, il M. Tezio, 961 m.; verso SE. si vede il Subasio con Assisi); il panorama è amplissimo e assai vario.
Il clima risente della posizione della città nell'interno della penisola e dell'altezza, che abbassa le temperature invernali (media del gennaio 3°,9), ma dà il vantaggio delle estati fresche (media del luglio, 23°,1). Assai forte è lo scarto tra massimi e minimi assoluti (rispettivamente 34°,2 e −9°,9). Le precipitazioni (925 mm. annui) hanno un massimo autunnale e un minimo estivo; i giorni piovosi sono in media 126, quelli nevosi 8; si sono riscontrati gruppi di anni con numerose nevicate alternati con altri di scarsa nevosità; per le grandinate, che sono accompagnate generalmente da vento di SO., si va da un minimo di 1 a un massimo di 17 giorni all'anno. Prevalgono i venti di N. e di S. (questi da maggio a luglio).
Perugia è formata dal nucleo della città etrusco-romana, e da tre diramazioni che si sono sviluppate sulla cresta di alcuni speroni formati dalle vallecole che, come si è detto, l'erosione ha inciso sui fianchi della collina. L'asse di queste diramazioni è a N. il Corso Garibaldi, a NE. il Corso Bersaglieri e a SE. il Corso Cavour. La topografia della città risulta assai irregolare: le strade sono per lo più tortuose, strette e in pendio, questo talvolta così forte che è stato necessario provvederle di cordonate.
Le costruzioni etrusche e i numerosi edifici medievali che tuttora vi si ammirano conferiscono a Perugia un aspetto vetusto assai suggestivo.
Come lo sviluppo topografico, così quello demografico è stato piuttosto lento: in qualche periodo, anzi, la popolazione è andata diminuendo: essa era infatti di 16.045 ab. nel 1701 e risultò discesa a 13.997 ab. nel 1736. Nel 1881 risultò poi di 17.395 ab., saliti a 20.580 nel 1901, a 24.133 nel 1921 e a 30.741 nel 1931.
Perugia ha un discreto movimento commerciale (specialmente di prodotti agricoli e di bestiame), e possiede varie industrie, tra le quali quelle delle paste alimentari e l'industria molitoria, del cioccolato e affini, dei confetti, dei tessuti di lana e di cotone, dei fiammiferi, delle carrozzerie d'automobile, degli oggetti di ferro battuto, delle ceramiche, dei ricami, dei mobili artistici di legno, e infine l'industria tipografica. Perugia è toccata dalla linea ferroviaria Terontola-Foligno, che si unisce da una parte alla Roma-Chiusi-Firenze e dall'altra alla Roma-Ancona; la stazione (presso la quale è sorto il sobborgo di Fontivegge) si trova ai piedi del colle, a 303 m. s. m., e dista 3 km. dalla città, cui è collegata da una tranvia elettrica. Giunge proprio fino alla città un tronco (Perugia S. Anna-Perugia Scalo-Ponte S. Giovanni) della elettrica Ferrovia centrale umbra (Terni-Todi-Ponte S. Giovanni-Umbertide). Vi sono poi linee automobilistiche per Gubbio, Petrignano, Spina, Gualdo Tadino, Agello, Bettona, Assisi, Corciano, Marsciano, Chiusi, Panicale e Pozzuolo, Todi, Deruta.
Il comune di Perugia è uno dei più vasti dell'Umbria (449,30 kmq.) e comprende in prevalenza territorî di collina e di media montagna; la maggior parte della sua superficie (i ¾) si trova fra i 200 e i 400 m. d'altezza. La popolazione risultò di 79.270 ab. nel 1931 (176 per kmq.; 44.130 ab. nel 1861, 51.323 nel 1881, 61.385 nel 1901, 72.971 nel 1921), dei quali 36.876 (il 46%) viventi in case sparse, e il resto nei centri, che sono in totale 41 (tra i quali, oltre il capoluogo, Ponte S. Giovanni, con 1391 ab., Ponte Felcino, con 1316 ab., e Ponte Valleceppi, con 1025 ab.; gli altri sono tutti piccoli villaggi). Delle persone di età superiore ai 10 anni, 17.004 risultarono occupate nell'agricoltura (compresa la silvicoltura e l'allevamento), 9248 nelle industrie, 2288 nel commercio, 1254 nei trasporti e nelle comunicazioni, ecc. La maggior parte del territorio comunale (72,4%) è occupata da seminativi, in assoluta prevalenza con piante legnose: i prati e pascoli naturali si estendono sull'8,3% della superficie comunale, i boschi sul 10,5%, le colture specializzate di piante legnose (vigneti, oliveti) sul 0,4%. La superficie sterile per natura o improduttiva perché occupata da edifici, strade, ecc., equivale all'8,4%. I prodotti agricoli di maggiore importanza sono i cereali (grano soprattutto), l'olio d'oliva, il vino, i legumi. Per le industrie è da ricordare che anche a Ponte S. Giovanni ha notevole importanza il pastificio.
Monumenti. - Antichità. - Della città etrusca avanza ancora in parte la cinta muraria di opera quadrata, simile a quelle di Chiusi e di Todi e databile nel sec. IV a. C.: ne rimane qualche tratto ben conservato di cortina con alcune porte, di cui le più notevoli sono il massicio "Arco di Augusto" (cosiddetto dall'iscrizione Augusta Perusia che si legge su questa porta come anche sulla porta Marzia), inquadrato da due torri a scarpata e decorato da un fregio dorico con metope adorne di scudi, e la porta Marzia, di cui resta solo la parte superiore, incorporata dal Sangallo nella Rocca Paolina, e decorata con un loggiato da cui si affacciano varie figure. La cronologia di queste porte, che alcuni riportano al principio del I sec. a. C., o anche più tardi, è tuttora soggetta a discussione. Della città romana si ha qualche avanzo di un edificio, probabilmente termale, con un musaico rappresentante Orfeo tra le belve. I dintorni di Perugia hanno dato numerosi resti della ricca necropoli etrusca, in cui caratteristico è l'uso dell'urna di travertino o di tufo, spesso adorna di una scena mitologica, con la rappresentazione, sul coperchio, del defunto sdraiato in atto di libare. Ne esiste una ricca collezione nel museo locale. Tra i monumenti superstiti vanno ricordati l'ipogeo di Villa Sperandio, con ricca suppellettile del sec. III-II a. C., ora a Firenze, il "Tempio di San Manno", camera ipogea rettangolare con vòlta a botte, costruita in blocchi squadrati, accuratamente commessi (sec. III-II a. C.), ma soprattutto l'ipogeo dei Volumnî, interessante per la pianta, imitata evidentemente da quella della casa etrusca. Esso è formato da una stanza centrale, con soffitto a duplice spiovente e decorazione a rilievo sopra le porte dei lati minori, da cui si accede a varî ambienti; quello di fondo, che ha il soffitto adorno di una testa di Medusa, contiene le urne sepolcrali. Le urne sono quasi tutte dello stesso tipo: la decorazione consiste in una testa di Medusa inquadrata da quattro borchie, mentre sul coperchio è rappresentato, come al solito, il defunto sdraiato sulla cline. L'urna più notevole è quella di Arunte Volumnio vegliata da due Lase di mirabile efficacia decorativa (vedi etruschi, XIV, tavola LXXXVII). L'ipogeo dei Volumnî si può datare nel sec. II a. C., ma le urne giungono fino al sec. I d. C.
Medioevo ed età moderna. - Sui resti dell'età etrusca s'innestano armoniosamente le costruzioni del Medioevo: la bella pietra calcarea che si raccoglie con tanta abbondanza nei dintorni, e soprattutto nelle cave del vicino Monte Subasio sovrastante Assisi, con le sue due tinte bianca e rosa conferisce una nota caratteristica alla città. Un fascino singolare le deriva poi dal numero ancora notevole di edifici medievali che, addossati l'uno all'altro, congiunti con archi e sorretti da contrafforti, e poggiati su vòlte ardite al di sopra delle strade, testimoniano di una vita dura e vigile, nella quale la preoccupazione e la necessità della difesa immediata, contro un nemico talora assai vicino, erano continue. Di queste costruzioni, che risalgono per lo più al Duecento e al Trecento, l'esempio più notevole è costituito dal complesso disordinato, ma estremamente pittoresco, di avanzi di fabbricati che arditamente si appoggiano a vicenda in Via delle Vòlte.
Molto interessante è anche il portico ogivale che ricopre un tratto di Via delle Stalle e meritevoli di ricordo sono la Torre degli Sciri con le case circostanti e una casa-torre sul Corso Vannucci dirimpetto al Palazzo comunale. Però la costruzione medievale di maggiore importanza è la chiesa di S. Angelo, che risale con ogni probabilità al sec. V o al VI. A quanto sembra, in origine doveva essere a croce greca con tiburio; una trasformazione operata in seguito, ma sempre in tempi assai remoti, l'ha ridotta a pianta circolare. Sedici colonne antiche, differenti fra loro di materia e di dimensioni, delimitano uno spazio anulare che circonda la parte centrale più elevata. A sostenere la copertura di questa si sono introdotte strutture gotiche in un successivo restauro. Alla seconda metà del sec. X rimonta la costruzione originaria della chiesa di S. Pietro, superstite nella pianta: le colonne che dividono le tre navate sono in gran parte provenienti da edifici antichi. La chiesa è stata trasformata durante il Rinascimento, il campanile, così tipico per le sue proporzioni snelle ed eleganti, è opera prevalentemente della seconda metà del Quattrocento.
La chiesa di S. Costanzo conserva ancora il portale del sec. XII, e l'altare del 1205; alla fine del Duecento ebbe inizio la costruzione di S. Ercolano; duecentesche sono anche, se pure rimaneggiate in seguito, le chiese di S. Giuliana, di S. Maria di Monteluce, di S. Agostino, con il caratteristico rivestimento esterno a quadrati di pietra rosa incorniciati da liste di pietra bianca. Un notevole edificio gotico, dell'ultimo quarto del Duecento, è la chiesa di S. Bevignate, accanto alla quale si deve ricordare la chiesa dell'abbazia di Montelabate, nel territoȧio del comune, adorna anche di un bel chiostro. Della chiesa duecentesca di S. Francesco al Prato si è rifatta di recente la facciata sul modello di quella originaria.
Nel periodo gotico sono state trasformate, impostandosi un arco ogivale sugli stipiti originarî, alcune porte dell'antica cinta etrusco-romana: la Porta Trasimena, la Porta della Mandorla, la Porta dei Gigli, l'Arco di S. Ercolano. Il più notevole edificio di questo periodo è senza dubbio il Palazzo dei priori, o Palazzo comunale. Già compiuto nella parte più antica alla fine del Duecento è stato più volte ampliato durante il Trecento e il Quattrocento. Sono soprattutto da notare la facciata più antica prospiciente la piazza, la porta sul Corso con le belle sculture trecentesche, l'atrio, e, all'interno, la Sala dei notari.
È, nella massima parte, del sec. XIV la piccola chiesa di S. Agata, gotica sopra una struttura originaria romanica, e ugualmente il campanile e il chiostro di S. Giuliana, opera quest'ultima attribuita a Matteo Gattapone da Gubbio. La chiesa di S. Domenico, iniziata ai primi del Trecento, è stata così radicalmente trasformata da conservare poco o nulla del suo carattere primitivo. La cattedrale (S. Lorenzo), incompiuta all'esterno, fu iniziata alla metà del Trecento e non venne finita che verso la fine del secolo successivo: è un'ampia e caratteristica chiesa gotica a tre navate di uguale altezza.
Graziose costruzioni civili del Trecento e del Quattrocento, più o meno conservate, si trovano qua e là, ma soprattutto nella Via Vecchia, lungo il Corso Garibaldi, nei pressi della chiesa di S. Domenico.
La loggia di Braccio Fortebraccio, sul fianco della cattedrale, è del 1423, e potrebbe essere opera di Fioravante da Bologna. Nel corso del Quattrocento continuano a prediligersi forme gotiche, com'è attestato dal Palazzo del collegio dei notari che è della metà del secolo. L'architettura del Rinascimento non riesce a imporsi che per opera del fiorentino Agostino di Duccio, architetto e scultore, che nel 1451 inizia il lavoro della facciata di S. Bernardino, nella quale all'armonia delle linee si associano l'incanto dei bassorilievi delicatissimi e una tenue policromia dei marmi. Più tardi lo stesso maestro condusse a termine la Porta di S. Pietro, e come scultore lasciò ancora un altare in S. Domenico e un altro nella cattedrale, di cui si conservano alcuni frammenti, e la decorazione della facciata della chiesa detta la Maestà delle Vòlte, della quale rimangono avanzi notevoli nella pinacoteca. Altre belle costruzioni quattrocentesche sono il Palazzo del capitano del popolo e il Palazzo dell'università vecchia. Dei primi del Cinquecento sono da ricordare la loggetta costruita sopra l'Arco etrusco, detto "Arco d'Augusto", e la chiesa di S. Maria della Luce.
Paolo III nel 1540, per contenere l'audacia dei Perugini, fece costruire la famosa Rocca che da lui prese nome. La superba mole circondò e ricoprì un ampio quartiere nel quale sorgevano le case dei Baglioni e chiese e un monastero, protendendosi in basso con un'ampia tenaglia atta a proteggere eventuali sortite di truppe. Nel 1848, col ridestarsi degl'ideali di libertà, s'iniziò la demolizione della Rocca Paolina, che, interrotta l'anno successivo col ristabilimento del dominio pontificio, fu ripresa e condotta a termine nel 1860. Venne così a sparire una delle più grandiose opere di architettura militare del Rinascimento, ideata da Antonio da Sangallo il Giovane e ricca di decorazioni pittoriche. Restano ora solo alcuni colossali muraglioni, che formano sostegno al piano su cui è stato edificato il Palazzo del governo; una passeggiata tra le fondazioni e nei sotterranei della Rocca permette tuttora di riconoscere vie ed edifici preesistenti alla costruzione.
A Perugia nel corso del Cinquecento nasce e svolge una parte della sua attività un grande architetto, Galeazzo Alessi. Gli si attribuiscono, con buon fondamento, la superstite facciata della chiesa di S. Maria del Popolo ora trasformata in Loggia dei mercanti, la porta nel fianco della cattedrale, la chiesetta di S. Angelo della Pace, che in origine era aperta a mo' di loggia, il rifacimento del campanile di S. Maria Nuova, la villa di Colle del Cardinale nei dintorni della città.
Nel Seicento è stato a Perugia, per la trasformazione della chiesa di S. Domenico, Carlo Maderno, senza lasciare però in quest'opera un'orma notevole della sua arte. Buone costruzioni del Settecento sono il palazzo Donini e il palazzo Gallenga, già Antinori, condotto quest'ultimo sui disegni di Francesco Bianchi architetto romano, e ora sede della R. Università italiana per stranieri. A Perugia è nato uno dei migliori architetti della seconda metà dell'Ottocento, Guglielmo Calderini: in patria ha lasciato un buon saggio dell'arte sua nel palazzo Cesaroni.
Nel suo complesso edilizio ed urbanistico, Perugia si presenta come una città che, dopo avere dapprima utilizzata e quindi ampliata la cerchia delle mura etrusco-romane, con la fine del Duecento inizia una notevole fase di sviluppo. Attorno al Palazzo dei priori, centro ideale e materiale della vita cittadina, si viene ordinando la rete stradale che i secoli successivi hanno rispettato nelle linee fondamentali: Perugia, mentre conserva pressoché intatte molte stradette medievali anguste e ripide, ha vie spaziose come il Corso Vannucci, e piazze ampie - abbellite da monumenti insigni - come Piazza Quattro Novembre e Piazza Garibaldi.
Quanto a sculture, oltre alle opere già rammentate perché in funzione ornamentale su edifici, non molte altre sono da ricordare. Nella chiesa di S. Prospero si conserva il ciborio originario che reca una caratteristica decorazione e rimonta con probabilità al sec. VIII. Di un'importanza veramente singolare è la Fontana Grande o di Piazza, ideata da fra Bevignate e ornata da Nicola e Giovanni Pisano. Armoniosa l'architettura, di grande bellezza le sculture che tra l'altro rappresentano storie bibliche e i lavori agricoli dei varî mesi. Nella pinacoteca si conservano mirabili frammenti di scultura attribuiti con tutta verosimiglianza ad Arnolfo di Cambio, e provenienti, secondo una vecchia tradizione, da una seconda fontana ugualmente sulla piazza.
Nella chiesa di S. Domenico è il monumento sepolcrale di papa Benedetto XI, morto a Perugia nel 1304: vi si trovano quei caratteri gotici, d'importazione francese, che in quel tempo erano diffusi sopra tutto a Siena.
Per il periodo del Quattrocento, oltre alle sculture già indicate di Agostino di Duccio, restano ancora da ricordare il tabernacolo marmoreo della chiesa di S. Pietro, attribuito a Mino da Fiesole, e l'altro della chiesa di S. Maria di Monteluce (1487), che è opera di Francesco di Simone Ferrucci da Fiesole. Nel secolo successivo Vincenzo Danti, nativo di Perugia, lascia un'opera notevolissima con la sua statua in bronzo di Giulio III (1555), collocata sulla gradinata nel fianco della cattedrale.
A Perugia, come del resto in tutta l'Umbria, l'interesse artistico si concentra soprattutto nella pittura. La piccola chiesa suburbana di S. Prospero conserva un ciclo di rozzi affreschi con la data 1225 e la firma di un pittore Bonamico. Affreschi della seconda metà del Duecento sono ancora superstiti nelle chiese di S. Giuliana, di S. Bevignate, di S. Matteo, e nella Sala dei notari entro il Palazzo dei priori, e ci palesano riflessi della magnifica attività pittorica che si andava svolgendo in quegli anni ad Assisi e più che altro delle opere di Cimabue, del Cavallini e degli altri romani.
Le vicende ulteriori della pittura umbra e perugina si possono seguire soltanto nella pinacoteca (v. sotto: Istituti di cultura). Alcuni preziosi dipinti del cosiddetto "Maestro di San Francesco" mostrano l'influsso esercitato in Umbria anche dall'arte di Giunta Pisano, che ha lavorato ad Assisi. Ma dalla seconda metà del Duecento Siena domina, dapprima attraverso opere inviate direttamente a Perugia, poi attraverso l'attività dei Senesi che dipingono ad Assisi (pinacoteca: tavole di Vigoroso da Siena, del 1269; di Duccio; di Meo da Siena).
Tranne qualche nota discordante, che è soprattutto rappresentata da affreschi della fine del Trecento nelle chiese di S. Agostino e di S. Domenico, sino alla metà circa del secolo XV, la corrente senese ha un dominio che possiamo dire incontrastato, col continuo affluire di artisti e di opere senesi. Azione minore ebbe nella pittura perugina l'arte di Gentile da Fabriano (pinacoteca: Madonna), seguita da Lello da Velletri in un polittico ora nella chiesa di S. Agata. Sulla metà del Quattrocento un mutamento radicale di tendenze si manifesta quasi all'improvviso, per merito dei grandi pittori fiorentini venuti a lavorare in Umbria. Di alcuni di questi la pinacoteca conserva opere importanti (Beato Angelico, Benozzo Gozzoli, Piero della Francesca), mentre il rinnovamento della pittura, anche sotto altre influenze, vi è evidente nei dipinti di Giovanni Boccati da Camerino, di Nicolò di Liberatore da Foligno, di Matteo da Gualdo e soprattutto in quelli dei due maggiori e più caratteristici maestri perugini già maturi all'arte sulla metà del secolo, Bartolomeo Caporali e Benedetto Bonfigli, del quale ultimo la cappella dei Priori (che ora fa parte della pinacoteca) conserva anche preziosi affreschi. Del Bonfigli occorre aggiungere che nelle chiese di Perugia sono abbastanza frequenti i gonfaloni dipinti da lui (a S. Francesco, a Santa Maria Nuova, a S. Fiorenzo, al Carmine). Infine nella pinacoteca bisogna ricercare i lavori di Fiorenzo di Lorenzo (v.).
Del Perugino sono nella città opere presso il conte Emanuele Ranieri, nella chiesa di S. Pietro, nella cappella attigua alla chiesa di S. Severo, nel convento di S. Agnese. Meritevole soprattutto di ricordo è la decorazione a fresco della sala d'udienza nel Collegio del Cambio, con scene sacre e figurazioni allegoriche: vi si legge la data 1500, e vi si trova l'autoritratto del maestro. Numerosi nella pinacoteca i dipinti del Perugino, ma non tra le sue cose più notevoli se si tolgono l'Adorazione dei Magi, che è una delle sue opere più giovanili (circa 1475), e la squisita Pietà (1494), che è certamente la più bella pittura sua rimasta a Perugia.
Del Pinturicchio si conservano in pinacoteca la giovanile Madonna col Bambino, assai rovinata, e la grande ancona dipinta per Santa Maria de' Fossi (1495). Luca Signorelli, tanto legato per la sua formazione e per la sua arte all'Umbria, è rappresentato a Perugia da un quadro assai rovinato della pinacoteca e da una notevolissima tavola con la Vergine, il Bambino e Santi (1484) nel Museo dell'Opera del duomo.
Dopo l'esodo di opere famose - che oggi sono a Roma, a Leningrado, a Londra, a New York - non rimane a Perugia di Raffaello che l'affresco della SS. Trinità (1505) nella cappella attigua alla chiesa di S. Severo, su quella medesima parete che, rimasta incompleta nella parte inferiore, veniva condotta poi a termine, dopo la sua morte, dal Perugino nel 1521.
Di Giovanni Spagna, accorso dalla patria lontana alla scuola del Perugino, si conserva il Cristo che porta la croce, nel monastero della Beata Colomba. Di tutti gli altri scolari esistono dipinti degni di ricordo nella pinacoteca e nelle chiese: basterà menzionare i nomi di Giovanni Battista Caporali, Eusebio da S. Giorgio, Berto di Giovanni, Mariano d'Austerio, Sinibaldo Ibi, Tiberio d'Assisi, Domenico Alfani, ma si dovrà fare cenno a parte di Giannicola di Paolo, autore della decorazione nella cappella del Collegio del Cambio.
Morto il Perugino (ma già finita la tradizione pittorica umbra avanti la sua scomparsa per la defezione dei seguaci, attratti prima da Raffaello e poi da Michelangelo), a Perugia si cade in un manierismo non molto differente da quello che imperversa in gran parte d'Italia. Resta a parte Bernardino di Mariotto, che muove dal Pinturicchio e dal Perugino e poi subisce influssi diversi. Viene a Perugia, tra gli altri, Giorgio Vasari che lascia sue opere nella chiesa di S. Pietro, e vengono alcuni manieristi stranieri: tra questi il più notevole è forse Arrigo Fiammingo, che del Vasari sembra sia stato aiuto a Roma.
Dal 1567 al 1569 vive in Perugia - e vi ritorna in seguito - un artista di ben altra statura, Federico Barocci, e la sua presenza non è inutile per i pittori contemporanei del luogo. Di lui resta nella cattedrale, uno dei quadri più celebrati, la Deposizione. E, prima che finisca il secolo, Antonio Vassillachi, detto l'Aliense, scolaro del Tintoretto, dipinge in S. Pietro undici grandissimi quadri, portando anche a Perugia, nell'ultimo decennio del Cinquecento, un vivido riflesso della pittura di Venezia.
Durante i secoli XVII e XVIII l'importanza di Perugia nel campo della pittura è pressoché trascurabile. Basterà per il Seicento ricordare Giovanni Domenico Cerrini, Luigi Scaramuccia e Pietro Montanini. Andrea Carlone, da Genova, è riuscito con le sue decorazioni del Gesù e della Chiesa Nuova a determinare qualche carattere della pittura del secolo successivo: da lui dipende Francesco Appiani, che lavora in cattedrale, a S. Pietro e in altre chiese di Perugia. Dei pittori del Settecento possiamo ricordare Giacinto Boccanera, Marcello Leopardi, Francesco Mancini, dei quali si trovano opere in pinacoteca e nelle chiese. Per il sec. XIX sarà sufficiente fare i nomi di Domenico Bruschi e Annibale Brugnoli.
Durante il Medioevo, e sino a tutto il Cinquecento, a Perugia fu assai coltivata la miniatura: saggi notevolissimi si possono ammirare soprattutto nel Museo dell'Opera del duomo, nella Biblioteca comunale, nella sagrestia di S. Pietro.
La pittura su vetro, come in tutti i centri nei quali ha avuto una vitalità prolungata e fiorente l'architettura gotica, fiorì anche a Perugia. Un bel saggio del Trecento, un frammento proveniente da S. Agostino, si trova in pinacoteca, ed è attribuito a Giovanni di Bonino d'Assisi. Un interessante esempio del principio del Quattrocento è costituito dalla grandiosa vetrata absidale di S. Domenico; per il Cinquecento si deve ricordare la vetrata della cappella di S. Bernardino in cattedrale eseguita da Agostino di Rosato Spalletta su cartone di Arrigo Fiammingo. Questa tecnica, per lungo tempo caduta in oblio, è stata rimessa in onore dopo pazienti indagini dal pittore Francesco Moretti, il quale, oltre che lodati restauri, ha eseguito vetrate originali per la cattedrale, per altre chiese, per palazzi.
In varî luoghi dell'Umbria fiorirono, dal Quattrocento al Seicento, fabbriche di maiolica; un interessante avanzo di pavimento della fabbrica di Deruta è ancora oggi nella chiesa di S. Angelo (cappella del Crocifisso) e frammenti, pure di Deruta, si conservano nella pinacoteca.
Particolarmente in onore fu l'oreficeria, legata anch'essa - nel Trecento e nella prima metà del Quattrocento - a modelli gotici provenienti da Siena (calice di Cataluccio da Todi e reliquiario di S. Giuliana, del 1376, in pinacoteca). Ma frutto del Rinascimento è nella cattedrale il reliquiario del Santo Anello, opera di Federico Roscetto (1511). Belli sono anche i ferri battuti del Trecento e Quattrocento.
Una caratteristica è data a Perugia anche dai numerosi e pregevolissimi lavori d'intaglio in legno, arricchiti talora da intarsî. Ricordiamo per il secolo XV gl'intagli della sala del Collegio della Mercanzia, i cori di S. Maria Nuova, di S. Domenico e della cattedrale; per il sec. XVI il coro di S. Agostino (principio del Cinquecento), e soprattutto quello di S. Pietro (terminato nel 1535), che sulla porta di fondo ha quattro delicatissime tarsie di fra Damiano da Bergamo. È celebre il bancone del tribunale nel Collegio del Cambio, opera di Domenico del Tasso da Firenze (1492-93), e, ivi, il rivestimento intarsiato delle pareti di Antonio da Mercatello.
Infine meritano un cenno le cosiddette tovagliette perugine, tessuti in bianco e turchino con minute ornamentazioni tipicamente stilizzate riproducenti motivi geometrici e floreali o figure di uomini e animali, talora accompagnate da scritte (raccolta donata dal pittore Mariano Rocchi, in pinacoteca).
Nel Museo archeologico sono resti di sculture e di ornamentazioni architettoniche del Medioevo; il Museo dell'Opera del duomo raccoglie dipinti, manoscritti miniati, parati sacri e altri oggetti interessanti.
Oggi alcune industrie artistiche sono ancora vive a Perugia, grazie alla genialità e all'intelligenza di artisti e di artigiani. Si dipingono abilmente le vetrate, e si lavorano con raffinatezza il legno e il ferro; fioriscono l'arte delle maioliche e la fabbricazione delle tovagliette e di altri tessuti, fra cui caratteristici quelli a punto fiamma. Anche le ornamentazioni in pietra sono eseguite con diligenza e con buon gusto.
V. tavv. CCIX-CCXVIII.
Storia. - Antichità classica. - Prima di essere etrusca, Perugia fu certamente città degli Umbri, e degna di fede si può quindi considerare la tradizione riportata da Servio che essa sarebbe stata fondata dai Sarsinati. La civiltà etrusca non si affermò in Perugia che in epoca relativamente tarda poiché, tranne qualche sporadico trovamento avvenuto nel suo territorio e riferibile al sec. VI a. C. (lamine di carro di Castel S. Mariano; tripodi Loeb di Monaco), la vera fioritura della civiltà etrusca nella città s' inizia con il secolo IV, quando, cioè, essa accrebbe sulle città vicine il vantaggio, che le risultava già dalla sua posizione elevata e dominante sui dintorni, con una ben munita cerchia di mura. Alla fine del sec. IV a. C., a detta di Livio, Perugia era considerata, con Cortona e Arezzo, una delle principali città etrusche e doveva essere già compresa nella federazione delle 12 lucumonie che si riuniva al Fanum Voltumnae. Nel 310 a. C. avvenne il primo contatto della città coi Romani, che, sotto la guida di Fabio Rulliano, avevano oltrepassato la selva Ciminia: sconfitta, la città fu costretta a chiedere una tregua. Ma poco dopo essa, rompendo i patti, fu di nuovo in guerra coi Romani che presto la costrinsero a chiedere una seconda tregua. Attiva fu la parte che dovette avere Perugia, alleata, insieme con le altre città etrusche, con Umbri e Sanniti, nella guerra che terminò con la sconfitta di Sentino (295 a. C.): questa volta i Perugini riportarono gravissime perdite e furono costretti a concludere a caro prezzo un'altra tregua di 40 anni. Fedele a Roma si mantenne Perugia durante la guerra annibalica: essa inviò rinforzi all'esercito romano e fornì grano e legnami per l'impresa di Scipione del 205 (Liv., XXVIII, 45, 18). Rimase città federata sino alla guerra sociale; da allora ebbe la cittadinanza e fu municipio retto da quattuorviri.
Nel 41-40 a. C. Ottaviano e i suoi generali assediarono dentro le sue mura L. Antonio che, dopo lunga resistenza, fu costretto ad arrendersi: i Perugini pagarono cara la loro defezione, e, mentre la città fu data alle fiamme, i principali cittadini vennero uccisi. Ricostruita da Augusto e compresa nella VII regione, Perugia dovette godere un periodo di benessere, del quale poco sappiamo dalle fonti. Pare che l'imperatore C. Vibio Treboniano Gallo (251-253 d. C.) abbia dato alla città lo ius coloniae e da questo deriverebbe il nome di Colonia Vibia Augusta Perusia che si legge sulla Porta Marzia. Fu ascritta alla provincia Tuscia. Incerte sono le origini del cristianesimo nella città e la serie dei suoi primi vescovi.
Medioevo ed età moderna. - Durante le guerre del VI sec. Perugia fu quasi sempre in mano dei Greci; cadde per opera di Totila (548), ma venne ripresa da Narsete. Sotto i Longobardi fu sede di un ducato, il quale però non raggiunse mai molta importanza, per la vicinanza della potente Spoleto; il primo duca del quale si sappia il nome è Maurizio, che tenta di dare Perugia all'esarca bizantino, ma viene decapitato (593) da Agilulfo. Ma poco appresso Perugia torna ugualmente in mano dei Greci, forse per patti. Nel sec. VIII troviamo il nome di Agatone duca. Rachi assedia la città, ma rinuncia ad espugnarla, sembra per l'intervento di papa Zaccaria (749). Seguono secoli di calma, se possiamo arguirlo dal silenzio delle fonti storiche relativamente a Perugia; ad ogni modo pare probabile che la città continuasse a governarsi con l'ordinamento bizantino e si mantenesse sostanzialmente indipendente, fra il ducato di Spoleto e il nuovo dominio ecclesiastico, subendo tuttavia maggiormente l'influenza del papa. Cominciano ben presto i buoni rapporti di Perugia con il pontefice: così nel 1065 Perugia e Orvieto insieme gli riacquistarono Chiusi, e per tutto il resto della contesa delle investiture Perugia ebbe in Umbria una funzione di equilibrio, che mantenne poi sempre, corrispondente all'importanza che veniva acquistando sempre più. Ma anche con l'imperatore manteneva buoni rapporti: Corrado il Salico vi soggiornò nel 1037; non troviamo Perugia fra le città che furono devastate dalle truppe del Barbarossa nel 1174. Nel 1130 sono menzionati i primi consoli di Perugia (in numero di 10); nel 1177 Ranieri "potestas Perusiae" partecipa alla pace di Venezia; nel 1186 Enrico VI rilascia alla città un importante documento nel quale le concede il diritto di nominarsi da sé i consoli, le riconosce varî privilegi e il dominio del contado. Da quel tempo il numero delle terre e città sottoposte a Perugia cresce rapidamente, con la sottomissione di Città di Castello (1180), Gubbio (1184), Castel della Pieve (1188), Assisi (1194). Nel 1198 fu accolto solennemente nella città papa Innocenzo III, che le confermò i diritti già concessi dall'imperatore; da allora l'amicizia col papa divenne più salda, e fondamentale per la politica perugina. Innocenzo III vi morì nel 1216, e in Perugia ebbe luogo anche il conclave per l'elezione del successore, il primo dei cinque conclavi che si tennero in Perugia.
Nemmeno Perugia poté sottrarsi alle lotte di parte, malamente infrenate dal governo cittadino, retto, dal 1303 al 1540, dal collegio dei dieci priori delle arti. Le fazioni perugine furono dette dei Raspanti e dei Beccherini (e avevano per emblema un gatto e un falcone). I primi, che seguivano generalmente la parte della Chiesa, ebbero il sopravvento nel 1220, quando le corporazioni delle arti mandarono al bando molte famiglie di nobili, fecero leggi contro il clero e cercarono in ogni modo di staccare Perugia dal papa. Ma Giovanni Colonna, legato del papa, sciolse le corporazioni nel 1223 e ricondusse la quiete in Perugia, che divenne il tradizionale asilo dei papi, anche se cercò sempre di mantenere buoni accordi con l'imperatore. Immutata devozione ebbe Perugia per il comune di Roma, della quale città si proclamò sempre figlia fedele, e ne desunse leggi e magistrati. La metà del sec. XIV segna l'apogeo della potenza di Perugia, popolosa, ricca, signora di molte città e terre dell'Umbria, benché continuamente in guerra con i comuni limitrofi che cercano di contrastarne l'espansione: tra gli altri, l'osteggiò Pietro dei Tarlati, vescovo di Arezzo, dal 1335 al 1337, quando Arezzo si diede a Firenze; non perciò ebbe termine l'amicizia, tradizionale, di Perugia con Firenze, mentre con Siena i rapporti si guastarono a causa di Montepulciano, e i Senesi furono sconfitti a Torrita (1358). Le contese cittadine durarono ininterrotte per tutto il secolo, innestate ora sul contrasto guelfo-ghibellino (in genere Perugia tenne per i guelfi), ora sull'antagonismo di potenti casate, come i Baglioni e gli Oddi. Ma l'indipendenza di Perugia non doveva aver più lunga durata: ad essa miravano parimenti i Visconti e il papa; quelli sul momento non vi riuscirono, ma sì il pontefice, che, ritornato da Avignone, prese a osteggiare Perugia, e l'ebbe nel 1370, valendosi delle discordie cittadine. Tristamente famoso per il suo tirannico governo restò il vicario papale, l'abate di Monmaggiore, che però il 31 dicembre 1376 dovette abbandonare il suo munitissimo castello e la città, che aderiva al movimento di ribellione detto degli Otto Santi. Dopo la riconciliazione con la Santa Sede (1378), seguirono anni particolarmente travagliati per Perugia. Nel 1377 erano stati banditi i nobili, sette anni dopo i Raspanti li fecero rientrare, ma furono essi stessi cacciati nel 1389, e nel 1393 dopo un breve ritorno in patria. Perugia è ormai matura per la sua signoria. Nel 1393 ne assume il governo un popolarissimo condottiero, Biordo Michelotti, che la regge per quanto non in veste di signore fino al 1398, quando viene assassinato. Due anni dopo Perugia si dà a Gian Galeazzo Visconti; prima ancora che questi morisse al papa (1403); poi, per far cessare le mene dei fuorusciti, a Ladislao di Durazzo (1408-1414). Nel 1416, dopo vani tentativi di prenderla a forza, il valoroso condottiero e fuoruscito Braccio Fortebracci l'ottiene in spontanea dedizione, e la domina fino alla morte col titolo di luogotenente della Chiesa (1424). Poi la città, suddita del papa ma sempre nominalmente, fu retta da un'oligarchia nobiliare, nella quale primeggiavano i Baglioni, gli Oddi, i della Corgna, i della Staffa, i Ranieri, ecc. Le contese fra queste famiglie, principalmente fra Baglioni e Oddi, per quanto congiunti da matrimonî, insanguinarono più volte Perugia, particolarnente negli anni 1488, 1491, 1495; nel complesso predominarono i Baglioni, fino a che non scoppiò un funesto dissidio familiare che finì con lo sterminio di tutta la casata (14 luglio 1500). Si salvò Gian Paolo Baglioni, che si vendicò poi ferocemente e riprese il dominio sulla città. Nel 1503 dovette per breve tempo cederlo al Valentino; anche di fronte all'energico Giulio II non si poté reggere, mentre Leone X preferì spartire con lui l'effettivo dominio su Perugia, finché non lo ebbe in mano e lo fece decapitare a Roma (1520). Ma in Perugia continuarono fra congiure e delitti a dominare effettivamente i Baglioni, tragica famiglia, che fu paragonata ai mitici Atridi. Dopo la morte di Malatesta Baglioni, il traditore di Firenze (1531), Paolo III decise di farla finita con questa singolare posizione di Perugia di fronte allo Stato della Chiesa. Gliene diede il destro la ribellione armata opposta nel 1540 dai Perugini all'introduzione di una tassa sul sale (guerra del sale), ribellione che significa in realtà l'ultimo tentativo d'indipendenza di fronte all'assolutismo papale. Il 5 giugno di quell'anno il papa aveva Perugia e vi costruiva la formidabile Rocca Paolina (v. sopra: Monumenti). Nel 1859 Perugia, ribellatasi, ebbe a patire massacri e saccheggi dalle milizie pontificie; ma il 14 settembre dell'anno successivo vide entrare le truppe italiane.
Istituti di cultura e biblioteche. - R. Università degli studî. - Trae le proprie origini dal sec. XIII ed ebbe riconoscimento concreto di Studio Generale nel 1308 in forza di una bolla di Clemente V. Ebbe varie sedi attraverso i secoli e fu sempre oggetto di sollecitudine da parte dei magistrati cittadini. Caduto, nel 1860, il dominio pontificio, essa diveniva libera, amministrata da una giunta di vigilanza. Nel 1925 venne inclusa nelle università regie, gruppo B. Comprende le facoltà di giurisprudenza, medicina, scienze politiche, e le scuole di farmacia e di ostetricia.
R. Istituto superiore agrario. - Ha sede nei vasti e monumentali locali dell'ex-monastero abbaziale di S. Pietro, il cui cospicuo patrimonio fondiario con la legge speciale del 10 luglio 1887 passò all'ente morale autonomo Fondazione per l'istruzione agraria, che trasferisce in massima parte le proprie rendite all'Istituto agrario e mette a sua disposizione per gli scopi didattici e sperimentali i vasti possessi terrieri, già del monastero. Annessi all'istituto sono varî gabinetti scientifici e musei, e una biblioteca di circa 10.000 volumi. La fondazione possiede un importante archivio storico con documenti e manoscritti dal sec. X al XVIII e una biblioteca di 5000 volumi.
R. Istituto superiore di medicina veterinaria. - Dalla scuola di veterinaria, istituita nel 1864 in seno alla libera università, poi riordinata nel 1896, trasformata ancora in facoltà di medicina veterinaria, ha tratto origine, nel 1925, al tempo del passaggio dell'università allo stato, questo importante istituto, assai ben dotato di gabinetti scientifici e di ogni sussidio pratico.
R. Università italiana per stranieri. - È stata fondata nel 1926 per la maggiore diffusione della lingua e della cultura dell'Italia all'estero. Vi si tengono varî corsi estivi: di linguistica, storia, letteratura, storia dell'arte, storia della musica, delle scienze, letture dantesche, etruscologia. Ha una magnifica sede nel palazzo Gallenga e in pochi anni di vita ha conseguito uno sviluppo notevole, giungendo, nel 1933, ad avere oltre 500 iscritti stranieri di 34 nazionalità diverse.
Accademia di belle arti. - Fondata nel 1573, essa è lentamente ma costantemente progredita salvo nel non breve periodo di chiusura lungo il sec. XVIII. Costituita da varie scuole speciali, vive quasi esclusivamente a carico del comune.
Biblioteca comunale. - Fondata dal letterato ed erudito perugino Prospero Podiani sulla fine del sec. XVI, si è venuta arricchendo con cospicui lasciti e con i fondi bibliografici provenienti dalle soppresse corporazioni religiose. Ha carattere prevalente di cultura storica, letteraria, artistica. Possiede circa 150.000 unità bibliografiche, codici, incunabuli: l'antico archivio del comune vi è annesso. È situata nel Palazzo dei priori.
Galleria nazionale dell'Umbria. - Con la suppellettile artistica proveniente dal passaggio al demanio nel 1860 e con quella già raccolta presso l'Accademia di belle arti fu istituita nel 1863 la Pinacoteca comunale Pietro Vannucci, che poi nel 1918 passò tra le gallerie nazionali e fu sistemata nel Palazzo dei priori.
Museo etrusco-romano. - Fondato sulla fine del sec. XVIII si arricchì con la suppellettile fornita dalla circostante regione e con i fondi di materiale archeologico avuti in dono. È collocato nel palazzo della R. Università degli studî.
Museo preistorico. - Istituito da pochi anni, è radunato anch'esso presso la R. Università degli studî, possiede molte testimonianze delle più antiche civiltà, specie dell'Umbria. Il nucleo principale è formato dalla raccolta Giuseppe Bellucci.
R. Deputazione umbra di storia patria. - Sorta nel 1894, per iniziativa di alcuni cultori di studî patrî, come Società umbra di storia patria, fu, nel 1896, eretta in R. Deputazione. Possiede una biblioteca di circa 4000 volumi e pubblica un Bollettino. Ha sede nel Palazzo dei priori.
Arte della stampa. - Braccio di Malatesta Baglioni dovette incoraggiare l'inizio della stampa a Perugia: egli infatti, insieme con Matteo Baldeschi, appare socio dei tedeschi Pietro da Colonia e G. A. da Bamberga, che pubblicarono opere giuridiche dal 1471 al 1473: edizioni prive di note tipografiche, ma che le ricerche d'archivio di Adamo Rossi hanno permesso d'identificare. Il libro del Rossi non vide mai la luce e dei fogli già tirati, andati distrutti dopo la sua morte (1868), si salvarono soltanto pochissimi esemplari. Continuò il tedesco Giovanni Vydenast, che era anche bidello dell'università, e a lui vengono attribuiti una diecina di volumi dal 1475 al 1479, rarissimi, come del resto tutti gl'incunabuli perugini. Verso il 1475 apparve l'Itinerario in Terra Santa di Gabriele Capodilista, forse stampato da Enrico Clayn di Ulma; e sono del 1481 alcune interessanti opere impresse da Stefano Arndes, quali il Quadriregio del Frezzi, i Fioretti di S. Francesco, le Constitutiones Marchiae Anconitanae e il De raptu Proserpinae di Claudiano.
La provincia di Perugia. - Comprende tutta la parte settentrionale e centrale dell'Umbria, e ha una superficie di 6357 kmq., una popolazione (1931) di 514.996 ab. (81 per kmq.), ed è divisa amministrativamente in 59 comuni. Prima del marzo 1923 essa s'identificava con l'Umbria e comprendeva pure la maggior parte della Sabina, cioè il circondario di Rieti, che ne venne staccato in tale data; nel gennaio 1927 ne furono staccati poi il circondario di Terni, 12 comuni del circondario di Orvieto e un comune del circondario di Perugia (che andarono a formare la nuova provincia di Terni); nel marzo 1927 le furono aggregati due comuni della provincia di Arezzo. Il comune di Visso, aggregatole nel gennaio 1927, tornò alla provincia di Macerata nel gennaio 1929.
Il territorio prevalentemente collinoso e montuoso della provincia è coltivato soprattutto a frumento, mais, orzo, avena, olivi e viti (in coltura promiscua; la coltura specializzata è poco estesa); notevole l'allevamento (molto apprezzati i bovini). Le industrie si concentrano a Perugia e negli altri maggiori centri (Foligno, Spoleto, Città di Castello, Umbertide, Assisi, Gubbio, Spello, Gualdo Tadino, Todi, Norcia, Montefalco, Città della Pieve, ecc.: per ulteriori notizie sulla provincia, v. umbria.
Bibl.: M. Briccoli, Climatologia agraria del territorio di Perugia, in Annali di tecnica agraria, IV (1930), pp. 465-524; R. Bilancini, La uniformità delle distribuzioni anemologiche su Perugia e Ischia, in La meteor. pratica, XI (1930), pp. 233-238; P. Miliani, Distribuzione della grandine nel territorio di Perugia, in La meteor. pratica, XIII (1932), pp. 10-12; L. De Gasperi, La neve a Perugia dal 1811 al 1930, in La meteor. pratica, XIII (1932), pp. 275-278; id., Le grandinate a Perugia dal 1811 al 1930, in La meteor. pratica, XIV (1933), pp. 28-32.
Sulla città nell'età antica: E. H. Bunbury, in Smith, Dict. of anc. geogr., II, (1868), s. v.; E. Bormann, in Corp. Inscr. Lat., XI (1888), p. 352; H. Nissen, Ital. Landesk., II, i, Berlino 1902, pp. 321-23; F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia, I, Firenze 1927, pp. 548-552. - Sui monumenti della città antica: G. C. Conestabile, Di G. B. Vermiglioli, de' monumenti di Perugia etrusca e romana, della letteratura e bibliografia perugina, voll. 4 e atlante, Perugia 1855-70; G. Dennis, Cities and cemeteries of Etruria, 3ª ed., III, Londra 1883, pp. 413-51; A. Solari, Topografia storica dell'Etruria, voll. 3, Pisa 1914-18. - Sulle urne etrusche di Perugia; H. Brunn-G. Koerte, I rilievi delle urne etrusche, voll. 3, Roma-Berlino 1870-1916; G. Bellucci, Guida alle collezioni del museo etrusco-romano di Perugia, Perugia 1910.
Sulle mura e porte di Perugia: F. Noack, Griechisch-etrukische Mauern, in Röm. Mitt., XII (1897), pp. 161-200, tavv. VIII-IX; L. Fiocco, Perugia, sue origine, cinta delle mura e porte, Perugia 1926; P. J. Riis, The Etruscan city gates in Perugia, in Acta Archaeologica, V (1934), pp. 65-98.
Ipogeo di Villa Sperandio: F. Moretti e L. Savignoni, in Not. scavi, 1900, pp. 553-561. - Tempio di S. Manno: F. Speroni, Su di un'antica fabbrica etrusca esistente nel territorio di Perugia, ecc., Perugia 1834; G. Koerte, Das Volumniergrab bei Perugia, Berlino 1909.
Bibliografia archeologica di Perugia, in A. Mau-E. v. Merklin, Kat. d. Bibliotek, I, i, Roma 1913, pp. 461-462; Suppl. (F. Matz), Berlino-Lipsia 1930, pp. 212-213.
Sulla città e sui monumenti nel Medioevo e nell'età moderna: C. Crispolti, Perugia Augusta, Perugia 1648; B. Orsini, Guida al forestiere per l'augusta città di Perugia, ivi 1784; S. Siepi, Descrizione topologico-istorica della città di Perugia, ivi 1822; G. B. Rossi Scotti, Guida illustrata di Perugia, ivi 1867; M. Guardabassi, Indice-guida dei monumenti pagani e cristiani... dell'Umbria, ivi 1872; R. Gigliarelli, Perugia antica e Perugia moderna, ivi 1907; F. Briganti e M. Magnini, Guida di Perugia, 5ª ed., ivi 1925; W Bombe, Perugia, Lipsia 1914; R. A. Gallenga Stuart, Perugia (coll. Italia artistica), 2ª ed., Bergamo 1929; L. Pascoli, Vite dei pittori, scultori e architetti perugini, Roma 1782; U. Gnoli, Pittori e miniatori nell'Umbria, Spoleto 1923; A. Lupatelli, Storia della pittura in Perugia, Foligno 1895; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, Milano 1901 segg., passim; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I: Il Medioevo, Torino 1927.
Sulla storia di Perugia: Cronache della città di Perugia, a cura di A. Fabretti, Torino 1887-88, voll. 2; Cronaca della città di Perugia dal 1309 al 1491, nota col nome di Diario del Graziani, a cura di A. Fabretti, in Arch. stor. ital., XVI (1850); Inventario e spoglio dei registri della tesoreria apostolica di Perugia e dell'Umbria del R. Arch. di stato di Roma a cura di L. Fumi, Perugia 1901; P. Pellini, Historia di Perugia, Venezia 1664; L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, voll. 2, Perugia 1875-79; W. Heywood, A history of Perugia, Londra 1910; A. Briganti, Le corporazioni delle arti nel comune di Perugia (sec. XIII-XIV), Perugia 1910; G. B. Vermiglioli, Della zecca e delle monete perugine, ivi 1816; P. Balan, La ribellione di Perugia nel 1368 e la sua sottomissione nel 1370 narrata secondo i documenti degli Archivi Vaticani, in Studi e doc. di storia e diritto, I (1880). Numerosi studî, di varia mole ed importanza, sono pubblicati nel Boll. della Società umbra di storia patria (dal 1896 Regia Deputazione di storia patria), I, 1895 segg.
Sull'arte della stampa in Perugia: G. B. Vermiglioli, Principi della stampa in Perugia, Perugia 1820; A. Rossi, L'arte tipografica in Perugia durante il sec. XV e la prima metà del XVI, ivi 1868; G. Fumagalli, in Lexicon typograph. Italiae, Firenze 1905, s. v.; H. O. Lange, I più antichi tipografi a Perugia (in lingua danese), Copenaghen 1908; K. Haebler, Die deutschen Buchdrucker des XV. Jahr. im Auslande, Monaco 1924, pp. 60-64.