PIACENTINO
– Si presume sia nato a Piacenza verso il 1130. L’adozione del toponimico in luogo del nome ha impedito di identificare documenti di archivio che ne attestino l’attività negoziale o la presenza nelle città dove egli stesso racconta di avere operato. La ricostruzione della sua vita è dunque tutta affidata al disegno autobiografico che ha lasciato di sé nelle parti proemiali delle sue opere, nelle quali insiste sul successo ottenuto come autore di opere e come docente a Mantova, Montpellier, Bologna, Piacenza, ancora Montpellier.
Che la sua città di nascita fosse Piacenza, e che da essa aveva assunto il nome, lo attesta in un passaggio della Summa Codicis (in C.6.49 ad Senatusconsultum Trebellianum), mentre la notizia di un epitaffio perduto che lo voleva morto è stata dimostrata inaffidabile da André Gouron nel 1992.
Quanto agli studi, lo si è considerato vicino a Martino Gosia, ma potrebbe ben aver frequentato le scuole di Bulgaro, come si vedrà oltre.
A Mantova, dove a suo dire insegnava diritto a molti uditori, racconta di aver composto la sua Summa de varietate actionum, nella quale sostenne che l’azione non fosse che la manifestazione esteriore del diritto soggettivo. Qualche anno più tardi, sempre a Mantova, Giovanni Bassiano gli oppose una dottrina destinata ad affermarsi: che l’azione fosse uno strumento concesso dal potere pubblico ai soggetti privati perché potessero far valere in giudizio i propri diritti, e non potesse dunque semplicemente identificarsi con il diritto soggettivo.
Piacentino non racconta come sia arrivato alla cattedra mantovana, né come da Mantova sia approdato a Montpellier, né vi sono prove che abbia tenuto cattedra a Bologna una volta lasciata Mantova, come pure qualcuno ha ritenuto. Probabile che abbia lasciato Mantova e l’Italia verso il 1160 per stabilirsi in Provenza (Ennio Cortese). Seguiva le orme di Rogerio, il quale aveva pure studiato in Italia e poi si era trasferito in Francia. Piacentino condivideva con lui una cultura legata al mondo delle arti liberali, che in Provenza fiorivano intrecciandosi con il diritto: come Rogerio, ambienta un paio di opere nel mitico ‘ager Iustiniani’, dove mette in scena dialoghi di gusto letterario. Proprio per la struttura dialogica e per l’eleganza della prosa latina, Hermann Kantorowicz ha attribuito a Piacentino anche le Quaestiones de iuris subtilitatibus, che però oggi non sono ritenute opera sua.
Anche la struttura della sua opera più cospicua, la Summa sul Codice di Giustiniano lo lega a Rogerio, che fu il primo glossatore di formazione bolognese a tentare di farne una, sull’esempio della Summa Trecensis del provenzale Géraud. Rogerio però lasciò a metà il lavoro, poi proseguito da Piacentino. Introducendo la propria continuazione (in C.4.58, de aediliciis actionibus), Piacentino racconta che furono i suoi studenti di Montpellier a pregarlo di completare l’opera. Nel proemio della Summa Trium Librorum racconta che una volta giunto al termine decise di rifare anche la prima parte del lavoro, per superare definitivamente il testo di Rogerio e proporne uno tutto suo, dimostrando un orgoglio intellettuale piuttosto singolare nel suo tempo.
Era ancora a Montpellier quando intraprese la redazione della Summa Institutionum, dopo la quale si risolse di tornare a Piacenza. Vi restò solo due mesi, perché fu richiesto da esponenti della potente famiglia del Castello di trasferirsi a insegnare a Bologna. Qui – racconta – riscosse un successo straordinario: tanto che gli studenti abbandonarono le lezioni degli altri professori per accorrere ad ascoltarlo, suscitando le conseguenti invidie accademiche. Riferisce pure che gli fu chiesto di tenere un discorso sulle leggi, cosa a suo dire davvero ammirevole e sorprendente. In un celebre articolo del 1938, Kantorowicz pubblicò il testo di questo sermone, conservato in un manoscritto del primo Trecento, il cui incipit («Rem non novam aggredior», tratto da C.3.1.14), coincide con quello menzionato da Piacentino stesso.
Il soggiorno a Bologna durò due anni. Un passaggio di Roffredo Beneventano, una delle pochissime fonti non autobiografiche sulla sua vita, riferisce che la partenza fu precipitosa, conseguente a un’aggressione violenta compiuta di notte da un collega professore, il nobile Enrico da Baila, che Piacentino aveva criticato con espressioni offensive. Enrico lo assalì di notte, inducendolo a lasciare Bologna.
Piacentino tace di quest’episodio, preferendo raccontare che dopo i due anni trascorsi a insegnare nell’Alma mater, era tornato a Piacenza «cum tripudio et gaudio» per riposarsi, ma che era stato raggiunto dai suoi studenti di Bologna e da altri ancora, che gli chiesero di riprendere l’insegnamento nella sua città natale. Insegnò a Piacenza ancora quattro anni e poi tornò a Montpellier, dove intraprese la redazione della sua ultima opera, la Summa ai Tres Libri del Codice, che proseguì soltanto fino al titolo 10.38 quando la morte, avvenuta in quella città poco dopo il 1182, interruppe il suo lavoro.
Le ricerche della moderna storiografia giuridica, da Savigny fino a Dolezalek, hanno segnalato un numero significativo di manoscritti che contengono le principali Summae di Piacentino. Si direbbe che esse siano state considerate come un corpus piuttosto unitario già alla fine del XII e nel XIII secolo. Il manoscritto più rappresentativo, ad esempio, conservato a Düsseldorf, Universitäts- und Landesbibliothek, con la segnatura E 9a (digitalizzato per intero sul sito della biblioteca, ma meglio descritto da Gero Dolezalek, (http: //manu scripts.rg.mpg.de/jhs/de/manuscript/ details/1334#1) contiene la Summa Institutionum, seguita dalla De actionum varietate. Prosegue con la corposa Summa Codicis, integrata dalla Summa Trium Librorum incompiuta. Seguono sei trattatelli, presentati come summulae a singole norme, ma in realtà centrati intorno a problemi teorici affrontati con metodo dialettico-scolastico: Summula de restitutionibus, Summula de iuris et facti ignorantia, Distinctio de probationibus, Summula Placuit (C.3.1.8) sul rapporto fra diritto ed equità, Summula Si pacto (C.2.3.14) sulle obbligazioni, cui è dedicata anche la Summula de verborum obligationibus, che conclude la raccolta. Non si tratta dell’intera opera del Piacentino, tuttavia riflette l’immagine che di tale opera doveva avere la dottrina civilistica del Duecento, che ne legò il nome soprattutto alla compilazione di summae e summulae, che offrivano prospettive originali su temi cruciali, come quello del rapporto fra equità e legge nell’interpretazione del fenomeno normativo, e fra consenso sostanziale e forma contrattuale nel campo delle obbligazioni.
È probabile che Piacentino volesse suggerire alla cultura giuridica bolognese, molto legata al genere letterario della glossa, di aprirsi alla forma della summa, che come si è visto andava di moda in Provenza. In apertura della sua opera più cospicua, la Summa Codicis, vi sono quattro versi, attestati da molti manoscritti, in cui lo stesso autore porge in dono alla ‘dotta Bologna’ la propria opera, raccomandata a chi voglia diventare un ‘sapiens orator’ ma nello stesso tempo utile ai professionisti (causidici): Has legum summas, si quis vult iura tueri / perlegat, et sapiens si vult orator haberi / Hoc Placentinus tibi docta Bononia munus / gratum causidicis utile mittit opus.
Il suo esempio fu seguito da Azzone, che compose verso il 1200 la sua celebre raccolta di summae e summulae, destinata a diventare punto di riferimento della cultura giuridica per secoli, dapprima manoscritta e poi in decine di edizioni a stampa. Pur citandone le opinioni decine di volte nelle sue opere, Azzone vedeva in lui l’esponente di una cultura composita, che i giuristi avrebbero dovuto metter da parte per concentrarsi sulle loro fonti normative (Cortese).
Eppure Piacentino aveva contribuito sostanzialmente anche al perfezionamento del genere tipicamente bolognese degli apparati di glosse, che redasse senza trascurare alcuna parte del Corpus Iuris. Compose glosse anche ai Tres Libri, dove, secondo Azzone, «si trovano molte parole che non si capiscono»: erano termini dell’amministrazione bizantina, difficili da comprendere, ma essenziali per impostare una scienza del diritto pubblico su basi laiche. Fu Pillio da Medicina, probabilmente suo allievo, ad aggiungere le proprie glosse a quelle del maestro e a pubblicare tutto l’insieme in forma di apparato consolidato. Ai primi del Duecento questo apparato fu assorbito in quello di Ugolino dei Presbiteri, ed ebbe la sorte di esser pubblicato a stampa in coda alla Lectura Codicis di Azzone compilata da Alessandro di Sant’Egidio. Gli apparati di glosse corredate di sigle p. e pi., che indicano Piacentino e Pillio, ebbero sorte analoga a quella delle summae: non sopravvissero all’affermazione prepotente della glossa ordinaria di Accursio, nella quale però furono parzialmente accolti; così passarono anche a stampa.
Pensatore originale, talvolta radicale, Piacentino non fu sentito dai giuristi medievali più ortodossi come un corpo estraneo. Aveva anzi legato il proprio nome a una delle opere più diffuse di Bulgaro, l’apparato al titolo de regulis iuris del Digesto che egli corredò di proprie additiones. L’opera dei due giuristi fu apprezzata anche negli ambienti teologici e filosofici dell’Europa settentrionale, che gradivano le citazioni sofisticate, come quella dell’Ethica nova di Aristotele (Kantorowicz) o quella che definisce la giustizia seguendo non Ulpiano (D.1.10 pr. = Inst. 1.1 pr.) ma il Timeo di Platone tradotto da Calcidio (Stephan Kuttner). Una fonte più nota ai filosofi – come Giovanni di Salisbury, che in effetti la cita nel Policraticus (4.2) – che ai giuristi; e originale per la prospettiva che adotta, giacché dove Ulpiano insegnava che la giustizia è un’attitudine dello spirito apprezzata a priori (voluntas suum cuique tribuendi), Platone invece badava all’effetto che essa deve produrre: favorire i deboli nei confronti dei più potenti (quae multum prodest quibus minimum possunt).
Fonti e Bibl.: Placentini iurisconsultiu vetustissimi in Summam Institutionum… libri iiii., Eiusdem de varietate actionum libri vi., Moguntiae 1535; In Codicis domini Iustiniani… libros ix. summa a Placentino… conscripta…, Moguntiae 1536; G. Pescatore, Beiträge zur mittelalterlichen Rechtsgeschichte, Berlin 1889-97, rist. anast. Torino 1967, con le edizioni dei proemi alle Summae del Codice e delle Istituzioni, della Summula Placuit (da confrontare con le varianti segnalate da E. Cortese, La Summula Placuit piacentiniana e le aggiunte di Giovanni nel ms. Parigino 4546 (1965), ora in Id., Scritti, Spoleto 1999, pp. 233-247), della Summa Cum essem Mantue sive de accionum varietatibus (da confrontare con la successiva ma non migliore edizione Wahrmund, Innsbruck 1925); la Summa Trium Librorum, interrotta in C.10.38, proseguita da Pillio e integrata da frammenti di Rolando da Lucca è edita insieme alla raccolta delle Summae di Azzone (decine di edizioni incunabole e cinquecentine). Inserita da Rolando da Lucca nella propria Summa ai primi del Duecento, è edita in E. Conte - S. Menzinger, La Summa Trium Librorum di Rolando da Lucca. Fisco, politica, scientia iuris, Roma 2013 (parti in corsivo da C.10.1 a C.10.39); le opere manoscritte note sono elencate da Dolezalek: cfr. http://manuscripts. rg.mpg.de/; F.C. von Savigny, Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter, IV, Heidelberg 1850 (rist. Darmstadt 1956), pp. 244-285, 537-543; P. de Tourtoulon, Placentin, la vie, les oeuvres, Paris 1896; H. Kantorowicz, Studies in the glossators of the roman law (1938), rist. anast. con aggiunte a cura di P. Weimar, Aalen 1969, passim; Id., The poetical sermon of a medieval jurist, Placentinus and his “Sermo de legibus” (1938), ora in Id., Rechtshistorische Schriften, Karlsruhe 1970, pp. 111-135; S. Kuttner, A forgotten definition of justice (1976), ora in Id., The history of ideas and doctrines of canon law in the Middle Ages, London 1980, n. V; A. Gouron, La science du droit dans le Midi de la France au Moyen Âge, London 1984, ad ind.; Id., Études sur la diffusion des doctrines juridiques médiévales, London 1987, ad ind.; E. Conte, Tres libri Codicis. La ricomparsa del testo e l’esegesi scolastica prima di Accursio, Frankfurt am Main 1990; A. Gouron, La date de mort de Placentin, une fausse certitude, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis, CCCCLXXXI (1993), pp. 481-492; Id., Droit et coutumes en France au XIIe et XIIIe siècle, Aldershot 1993, ad ind.; E. Cortese, Il rinascimento giuridico medievale, Roma 1996, ad ind.; A.H. Lange, Römisches Recht im Mittelalter, I, Die Glossatoren, München 1997, pp. 207-214; A. Gouron, Placentin: une hypothèse d’identification, in Initium, II (2000), pp. 133-145; Id., Juristes et droits savants: Bologne et la France médiévale, Aldershot 2000, ad ind.; Id., Pionniers du droit occidental au Moyen Âge, Aldershot 2006, ad ind.; E. Cortese, Piacentino, in Dizionario biografico dei giuristi italiani, II, Bologna 2013, pp. 1568-1571.