PIO IX papa
Nato a Senigallia il 13 maggio 1792, morto a Roma il 7 febbraio 1878. Uscito da famiglia marchigiana di modesta agiatezza e di modesta nobiltà, Giovanni Maria Mastai Ferretti compì i primi studî nel collegio degli scolopî a Volterra (1802-1809), donde poi passò a Roma per attendervi agli studî di filosofia e teologia. Costretto a lasciar Roma durante il periodo napoleonico (1810), vi tornò nel 1814, ma non poté farsi ricevere nel corpo delle guardie nobili pontificie, come era desiderio di suo Padre, perché soggetto ad attacchi epilettici. Allora, assecondando le proprie preferenze e le aspirazioni materne, terminò gli studî teologici, privatamente iniziati, nel Collegio romano, dove aveva fatto anche quelli di fisolofia, e il 10 aprile 1819 fu ordinato sacerdote. Profondamente buono e caritatevole d'animo, fu dapprima preposto alla direzione spirituale del popolare ospizio di Tata Giovanni; poi nel 1823 inviato nel Chile come uditore presso quel nunzio. Ma la sua carriera diplomatica non andò più oltre, e, tornato nel 1825, divenne canonico di S. Maria in Via Lata e direttore del ricovero di S. Michele, poi arcivescovo di Spoleto (21 maggio 1831), dove diede prove di tatto e di affettuosa fermezza durante i giorni della rivoluzione del 1831, consigliando anche opportune concessioni nel campo amministrativo. Il 17 febbraio 1832, Gregorio XVI lo assegnava al vescovato d'Imola, ove rimase sino al conclave che lo esaltò al pontificato.
Anche a Imola, uno dei più notevoli centri dello stato pontificio, il M. F., lontano certo da ogni solidarietà con gli elementi radicali, che vi erano particolarmente numerosi, seppe farsi apprezzare e amare da tutti i ceti sociali, andando incontro ai bisogni del popolo e dimostrandosi caritatevole e buono con tutti senza distinzione di parte. Così il M. F. (che, riservato in pectore il 23 dicembre 1839, veniva pubblicato cardinale prete dei Ss. Pietro e Marcellino il 14 dicembre 1840) non vide scossa la sua popolarità neppure negli ultimi anni del pontificato di Gregorio XVI, turbati nelle Legazioni da congiure, sommosse, repressioni e condanne; e poté mantenere contatti e rapporti con uomini di parte liberale, che ne apprezzavano lo spirito, la capacità amministrativa e la volontà di bene. Dotato di certa naturale intelligenza, conobbe allora, per mezzo di amici, il movimento neoguelfo alle primissime mosse. E forse non nascose moderate critiche all'ordinamento dello stato e ai criterî politico-amministrativi, così poco rispondenti alla promessa dei tempi nuovi, fatta all'alba del pontificato di Gregorio XVI. Anche al M. F., come ai migliori cardinali, non potevano non apparire chiari i segni della profonda crisi dello stato: erario consunto, debito pubblico accresciuto, imposte raddoppiate, anarchia legale. Ogni volontà di trasformazione e di miglioramento s'era dimostrata vana. L'eccessiva riservatezza di Gregorio XVI non gli aveva conciliato l'animo dei sudditi; e quel "muro di bronzo tra liberali e papato", di cui parla il non sospetto G. Spada, aveva impedito al govermo romano di rendersi conto delle reali necessità e delle legittime aspirazioni del popolo. Né gl'interventi stranieri potevano avere accresciuto il prestigio e l'autorità pontificia. Un'aspettazione ansiosa e un desiderio di rinnovamento a ogni costo e con qualunque mezzo erano in tutti gli animi: i ribelli di Rimini e Gli ultimi casi di Romagna, spirito di rivolta e aspirazioni moderate cooperavano allo stesso fine: indurre a mutamenti sostanziali il governo di Roma.
La scomparsa di papa Gregorio (i giugno 1846), del quale i liberali avevano fatto il rappresentante e il simbolo della reazione e dell'oscurantismo, apparve promessa certa di tempi nuovi. Fu subito un fiammeggiare di previsioni, di speranze, d'illusioni. Da ogni parte dello stato si mandarono suppliche e memoriali per far presente al conclave imminente e al papa futuro i desiderî delle popolazioni, la necessità di riforme politiche, l'opportunità di un'amnistia. Tra questo ardore d'implorazioni e di speranze, si riunì il conclave (14 giugno 1846). Tutti si aspettavano lunghi e difficili scrutini per il contrasto tra le varie fazioni cardinalizie e per le preoccupazioni dell'ora, gravi anche nel resto d'Europa, ove le divergenze tra i maggiori stati, la lotta tra l'assolutismo e il liberalismo, la crisi profonda della monarchia di Luigi Filippo erano motivi d'incertezza e di timore. Invece la decisione fu rapida, dopo breve lotta tra il Lambruschini, già segretario di stato del defunto papa, e l'arcivescovo d'Imola, che la sera del 16 giugno raggiunse 36 voti contro 10 dati al primo. E con molta riluttanza, il M.F. s'indusse ad accettare la tiara con il nome di Pio IX.
Al mattino seguente fu dato l'annuncio al popolo, che subito acclamò ed amò questo papa, che pochi conoscevano, ma del quale molti asserivano uscisse da una famiglia nella quale antico era il favore agli ordini liberi e cittadineschi, così che un fratello di lui aveva sopportato il bando nel'31. Queste voci e la dolce natura e la viva pietà del nuovo eletto incoraggiarono nell'accesa atmosfera di quei giorni le sorte speranze, e la folla, già disposta a dar nome di liberale a ogni prelato che si fosse mostrato un po' conciliante, raccogliendo e colorendo le notizie e gli aneddoti della vita di Pio IX, fece di questo un modello di virtù evangeliche e civili e creò fin dai primi momenti del regno la leggenda del papa liberale, riformista, innovatore, al quale si doveva guardare come a colui che avrebbe iniziata la rigenerazione italiana. Leggenda presto consolidata dai ricordi del contegno mite e tollerante tenuto dal M. F. a Spoleto nel 1831, dalla voce corsa di un minacciato veto austriaco alla sua elezione, del quale avrebbe dovuto essere latore il cardinale Gaysruck, e più tardi dalla notizia che si ebbe della sua amicizia per il conte G. Pasolini, dei discorsi tenuti in casa di questo e della lettura del Primato e degli Ultimi casi fatta per suo consiglio. Era, in realtà, il nuovo pontefice un pio sacerdote, animato da profondo zelo religioso, amante dei proprî sudditi e conscio, come s'è detto, delle tristi condizioni nelle quali versavano, e della necessità d'un serio riordinamento e d'una pacificazione durevole dei cuori. Non era, però, un neoguelfo.
Ma questa fama lo spingerà suo malgrado a compiere atti e affermazioni compromettenti. Alle speranze e alle voci di amnistia Pio IX rispose con l'editto del perdono del 16 luglio, che suscitò feste e tripudî grandissimi. Si dimenticarono le amnistie precedenti, non si apprezzarono le limitazioni ed esclusioni di questa, né la gravità della dichiarazione richiesta agli amnistiati, che trovava l'approvazione del vecchio Metternich, né le ammonitrici parole del papa. Ma chi poteva pensare a futuri contrasti? Non era il papa vaticinato dal Gioberti? E, da allora, il nome di Pio IX risuonò per tutta l'Italia, pretesto e segno di una cospirazione spontanea intesa a ottenere riforme da Pio IX e dagli altri principi.
Gli applausi e gli evviva popolari indussero poco per volta Pio IX, dopo un periodo di titubanza e d'incertezza (culminato nell'enciclica del 9 novembre 1846 con la quale lamentava e condannava gli attentati al cattolicismo), a concedere il 15 marzo 1847 una limitata libertà di stampa, il 15 aprile una consulta di stato, ristretta assemblea di rappresentanti delle provincie scelta dal governo, che parve allora un primo passo verso l'ordinamento parlamentare, il 5 luglio la guardia civica, il 29 dicembre un consiglio dei ministri. Naturalmente, sempre più alti gl'inni, le esaltazioni, le dimostrazioni, e anche le domande, fino a suscitare in molti elementi conservatori timori e preoccupazioni. Di qui l'ostile atteggiamento austriaco e l'occupazione di Ferrara (13 agosto 1847). Ma questa violenza, apparsa e proclamata come una violenta sopraffazione, irritò maggiormente gli animi già riscaldati, provocò le proteste del papa e diede al moto, fino allora riformistico, carattere antiaustriaco e nazionalista. Impensate solidarietà si manifestarono: Carlo Alberto, Garibaldi, Mazzini, che l'8 settembre chiedeva a Pio IX "Unificate l'Italia, la patria vostra... Diteci: l'Unità d'Italia deve essere un fatto del sec. XIX - e basterà: opereremo per Voi...". Certamente non si può negare in Pio IX l'intenzione di una coalizione politica degli stati italiani senza spargimento di sangue; a essa appunto tendeva la proposta lega doganale mandata a fondo dall'Austria, ma poi, vedendo spingersi troppo oltre le sue intenzioni, egli tentò di fermarsi, e invano l'8 febbraio 1848 cercò di guadagnar tempo, invocando le necessità dello stato, davanti ai rappresentanti del municipio. In Roma e nelle provincie, l'agitazione cresceva e la stessa allocuzione pontificia del 10 febbraio veniva interpretata come promessa di grandi, prossimi eventi. E dell'allocuzione si volle ricordare solo l'invocazione famosa: "Benedite, gran Dio, l'Italia!", e nel papa, che invocava da Dio per l'Italia il dono della conservazione della fede, si volle vedere un Giulio II benedicente la guerra. Si nominò una commissione prelatizia, incaricata di studiare "quei sistemi governativi che fossero compatibili con l'autorità del Pontefice e i bisogni dei tempi"; il 10 marzo si ebbe il primo ministero Recchi-Antonelli, nel quale entrarono liberali assai noti; il 14 fu pubblicato lo statuto. L'equivoco fondamentale continuò, aggravandosi, e gli elementi popolari vollero la partecipazione alla guerra nazionale.
Ma a questo punto il papa, al quale sgradivano quel carattere e quel nome di crociata per la civiltà e per la Chiesa, che in pubbliche manifestazioni e in articoli di giornali si davano alla guerra contro l'Austria, mutò rotta. E con l'allocuzione famosa del 29 aprile 1848, affermò di non potere, quale rappresentante del Dio di pace, far guerra a un popolo cristiano e riprese il suo ufficio naturale di padre di tutti i fedeli, rinunciando, in ritardo ma per sempre, alla parte fin qui più o meno volutamente assunta di animatore del moto nazionale italiano. Così il papato tornava alla sua funzione internazionale; ma venivano colpite a morte le illusioni neoguelfe, la concordia fattasi nel nome di Pio, la popolarità del papa. La delusione e l'ira presero il posto degli antichi entusiasmi. Il papa tentò di attenuare con un proclama (2 maggio) la gravità dell'allocuzione, lasciò di fatto le sue truppe al campo, mandò mons. Corboli Bussi a trattare con Carlo Alberto e mons. Morichini a invocare impossibili rinunzie dall'imperatore d'Austria, chiamò al potere T. Mamiani, fece aprire il parlamento. Ma la debolezza e l'incertezza del governo (al Mamiani successe il vecchio scrittore di tragedie E. Fabbri), l'invasione austriaca dell'Emilia, cui rispose l'improvvisa vampata popolare dell'8 agosto a Bologna, inasprirono gli animi. Il papa cercò di rimediare chiamando al potere Pellegrino Rossi (settembre-novembre 1848); ma i provvedimenti energici del nuovo ministro, intesi a rafforzare il governo costituzionale, la sua severità, il suo liberalismo dottrinario, guizotiano, gli eccitarono contro e l'odio degli esaltati e l'antipatia dei reazionarî, mentre la sua diffidenza per la politica piemontese (egli voleva una lega tra eguali non una confederazione dominata dal Piemonte) e l'avversione alla ripresa della guerra gli alienavano l'animo degli albertisti. Così le buone qualità dell'uomo, troppo tardi invocato, si logorarono in una fatica inutile. Il 15 novembre 1848 egli cadeva pugnalato.
Non più frenate, le passioni popolari proruppero allora in nuovi tumulti e nuovi eccessi. Un ministero democratico Muzzarelli-Galletti, con programma liberale e nazionale, fu imposto il 16 novembre al pontefice, che pochi giorni dopo (24 novembre), consigliato dall'Antonelli, fuggì a Gaeta, mentre a Roma si adunò un'Assemblea costituente che il 9 febbraio 1849 dichiarò decaduto (e fu la quarta volta in cinquant'anni) il potere temporale e proclamò la repubblica romana. Il papa invocò allora l'aiuto delle potenze cattoliche, Francia, Austria, Spagna e Napoli. Cadde la repubblica romana (luglio 1849) e il 12 aprile 1850 il papa rientrava nella sua capitale, ormai alieno da ogni concessione liberale. Con l'aiuto del suo abilissimo segretario di stato, card. G. Antonelli, cercò di lottare strenuamente contro il trionfante sentimento nazionale, che aveva trovato il suo rappresentante e la sua guida nel governo sardo. Ma gli avvenimenti del triennio 1846-49 avevano scosso le basi dello stato, la rinnovata duplice occupazione straniera indeboliva il prestigio del governo, l'atteggiamento ambiguo della Francia non giovava al mantenimento del potere temporale; all'interno dello stato, l'opposizione liberale cresceva e lo stesso viaggio del ponteficie nelle provincie (1857) rivelò al di là dell'entusiasmo ufficiale preoccupanti segni d'inquietudine. Invano uomini di parte moderata, invano il governo francese invocavano temperatissime riforme: il papa non intendeva ripetere l'esperimento liberale. Ma questo gli alienò definitivamente le simpatie dei moderati ed esasperò l'opposizione degli estremisti. Colpito a morte dallo spirito dei tempi, il potere temporale non ebbe modo di difendersi quando l'alleanza franco-piemontese provocò la caduta dei minori stati italiani e preparò le vie all'unificazione della penisola. La guerra del 1859 e la partenza degli Austriaci dall'Emilia e dalle Romagne favorirono la perdita delle provincie settentrionali dello stato (settembre 1859). Invano protestò il pontefice: il suo destino di sovrano temporale era segnato. Nel 1860 perdeva anche le Marche e l'Umbria, invano difese dal Lamoricière. La nuova Italia assorbiva lo stato pontificio. Tenace la resistenza del pontefice che rispondeva "non possumus" ad ogni tentativo d'accordo. Ma il crollo del Secondo Impero e il ritiro della guarnigione francese gli facevano perdere anche Roma (20 settembre 1870), che diveniva la capitale del regno d'Italia. Il contrasto tra il pontefice e il nuovo regno non cessò con la fine del potere temporale. Pio IX non accettò la legge delle guarentigie (15 maggio 1871), non riscuotendo la rendita assegnatagli, e respinse ogni altro tentativo di accordo.
La lotta per la difesa del potere temporale, che assorbì la più gran parte dell'attività e del pontificato di Pio IX, ha fatto spesso dimenticare altre attività e più sicure benemerenze di questo pontefice. La legislazione riformatrice dei rapporti tra Stato e Chiesa, che ebbe aspetti e momenti così drammatici in Piemonte durante i ministeri D'Azeglio e Cavour, provocò anche altrove dissidî gravi e asprezza di relazioni. Il concordato concluso col Baden nel 1859 fu revocato il 7 aprile 1860 da quel granduca, per l'opposizione protestante. Egualmente accadde nel Württemberg (13 giugno 1861). Il concordato concluso con la Russia nel 1847 non ebbe mai pratica esecuzione e non impedì le persecuzioni contro il clero polacco: tanto che nel 1866 i rapporti tra il Vaticano e Pietroburgo s'interruppero. Persino i rapporti con la cattolicissima Austria, regolati dal concordato del 18 agosto 1855, s'intorbidarono per la questione del matrimonio civile (1868); e nel 1870 fu revocato il concordato stesso da parte del governo austriaco, che quattro anni dopo avocava a sé la trattazione degli affari ecclesiastici. Era questo il tempo in cui in Germania cominciava il Kulturkampf (v.), in Svizzera si perseguitavano i vescovi cattolici e si espelleva il nunzio (1874). Migliori i rapporti con i paesi iberici dell'America latina: concordati con la Spagna (16 marzo 1851), Costarica e Guatemala (1852), San Salvador, Honduras, Venezuela, Ecuador (1862). La Colombia e il Messico, invece, obbligarono il pontefice a denunciare (1852-1860) le persecuzioni inflitte in quei paesi al clero. Grande attività fu consacrata da Pio IX a migliorare le condizioni dei cattolici nei paesi protestanti: nel 1850 fu ristabilita la gerarchia cattolica in Inghilterra, nel 1853 in Olanda, contemporaneamente all'aumento delle diocesi negli Stati Uniti d'America. E alla penetrazione del cattolicismo in America dedicò grandi cure (fondazione del collegio latino-americano a Roma nel 1853, di quello degli Stati Uniti nel 1859, incremento delle missioni). Profondamente sincero nella sua fede, Pio IX lottò tenacemente contro tutte le idee e i sistemi che gli apparvero pericolosi per la religione e per la Chiesa (enciclica Quanta cura e Syllabus errorum), ponendosi risolutamente contro lo spirito del secolo e condannando in ottanta proposizioni l'indirizzo filosofico-politico liberale (1864). Le critiche, i sarcasmi, gli attacchi contro il suo atteggiamento non lo arrestarono. Con la bolla Aeterni Patris (29 giugno 1869) convocò quel Concilio vaticano, che, interrotto dagli avvenimenti politici, il 18 luglio 1870 proclamò dogma (già l'8 dicembre 1854 Pio IX aveva proclamato quello dell'Immacolata Concezione di Maria) l'infallibilità pontificia, suscitando opposizioni vivissime tra gli stessi padri del concilio (v. vaticano, concilio).
Impetuoso e ardente, ma sinceramente buono e generoso, Pio IX, se vide durante il suo pontificato crollare il potere temporale, minato ormai da più d'un secolo, seppe insieme accrescere il prestigio della Chiesa ed estenderne l'influenza nel mondo.
Bibl.: Copiosi riferimenti bibliog. in G. Mollat, La question romaine de Pie VI à Pie XI, Parigi 1932; J. Schmidlin, Papstgeschichte der neuesten Zeit, II, Monaco 1934; I.A. Helfert, Gregor XVI. und P. IX., Praga 1895; P. Roffer, Souvenirs d'un prélat romain sur Rome et la cour pontificale aux temps de Pie IX, Parigi 1896; R. De Cesare, Roma e lo Stato del papa dal ritorno di P. IX al 20 settembre, voll. 2, Roma 1907; R. Ballerini, Le prime pagine del pontificato di P. IX, Roma 1909; F. Hayward, Le dernier siècle de la Rome pontificale, voll. 2, Parigi 1927-28; A. Monti, Pio IX nel Risorgimento italiano, Bari 1928; E. Vercesi, P. IX, Milano 1930. Sulla giovinezza di P. v. G. Pontrandolfi, Pio IX e Volterra, Volterra 1928.