PIRATERIA
Diritto. - La pirateria va tenuta nettamente distinta dalla corsa. Sono corsari coloro che, autorizzati dallo stato al quale appartengono, concorrono in tempo di guerra alla lotta contro il commercio marittimo avversario, assalendo le navi commerciali nemiche e quelle neutrali soggette a cattura. La corsa, ancorché esercitata per i lucri privati derivanti dall'impossessamento delle navi catturate, viene dunque esercitata per autorizzazione dello stato, e serve in pari tempo anche per un interesse pubblico: la maggiore efficienza delle operazioni belliche marittime. Nella pirateria mancano invece tutti questi elementi. È pirata chiunque, senza autorizzazione di alcuno stato, anzi contro i divieti degli stati, naviga il mare per spirito di rapina aggredendo e depredando le navi che incontra. La pirateria, che continua ancora oggi sebbene in forma più ridotta, fu in altri tempi diffusissima (v. appresso), tanto da costituire il più grave pericolo per la navigazione commerciale. Perciò di essa si occuparono non solo gli stati nei loro diritti interni, ma anche le norme internazionali, affinché più efficaci e generali rimedî contro di essa fossero presi.
Per meglio reprimere la pirateria, gli stati hanno infatti consentito a una deroga alle comuni norme internazionali sull'alto mare. Mentre solitamente gli stati non hanno in alto mare alcuna giurisdizione sulle navi straniere, e non possono, almeno in tempo di pace, procedere alla loro visita e alla loro cattura, una norma generale consuetudinaria, derogativa a questo principio, dispone che le navi da guerra possano sempre visitare le navi che incontrano in alto mare, quando hanno il sospetto che si tratti di navi pirate; e, quando ciò risulti, possono condurle nei proprî porti e sottoporre i pirati a giudizio penale, qualunque sia la nazionalità della nave e di coloro che compongono il suo equipaggio. Si tratta di un'eccezionale potestà di giurisdizione riconosciuta a ogni stato nei confronti di cose e persone che non sono a esso soggette. L'eccezione è tuttavia giustificata dalle finalità che si perseguono e dai risultati che si raggiungono; la pratica internazionale l'ammette e l'esistenza della norma è sicura.
Poiché le leggi interne differiscono assai tra loro rispetto alle pene da applicare per il reato di pirateria, ne deriva che i pirati potranno essere più o meno severamente puniti, a seconda che il caso li abbia fatti imbattere nella nave da guerra dell'uno piuttosto che dell'altro stato. Si rilevò da molte parti questo inconveniente e si fecero proposte per ovviarvi; ma il male è di poca importanza; ciò che importa e soprattutto giova è che gli stati concorrano tutti insieme e solidariamente a quest'opera di repressione.
Bibl.: Gebert, Die völkerrechtliche Denationalisierung der Piraterie, in Niemeyers Zeitschrift, XXVI (1915), p. 8 segg.; Pella, La répression de la piraterie, in Recueil des Cours de l'Académie de droit internat. (1926), p. 149 segg. V. anche i progetti di codificazione per questo argomento e gli altri atti pubblicati dalla Harvard Law School, Cambridge, Massachusetts 1932.
Storia.
Antichità. - Una lucida e precisa notizia sulla pirateria fino al suo tempo è data da Tucidide (I, 4 seg.). I Greci e i barbari delle coste di terraferma e delle isole, egli dice, quando cominciarono a essere in più frequenti relazioni per mare si diedero alla pirateria (λῃστεία; πειρατής, lat. pirata, è usato solo dal sec. IV) e li guidavano capi potenti e per arricchirsi essi stessi e per dare sostentamento ai più deboli. E gettandosi sulle popolazioni indifese e sparse in villaggi, le saccheggiavano e da questo specialmente ricavavano i mezzi per vivere; e la cosa non era vergognosa, ma recava anzi onore. E ciò era dimostrato ancora al suo tempo dal fatto che alcune popolazioni del continente si gloriavano di ben pirateggiare e dagli antichi poeti, i quali, facendo che i naviganti si chiedessero incontrandosi se erano pirati, mostravano che la domanda non era ritenuta offensiva né da chi la faceva, né da chi la riceveva. E per questo le città più antiche erano poste a una certa distanza dal mare. Minosse fu il primo a costruire una flotta con la quale dominò l'Egeo e lo liberò dai pirati, assicurando il trasporto dei tributi a Creta. Le altre fonti confermano Tucidide. Nel Mediterraneo orientale, gli abitanti delle coste meridionali dell'Anatolia erano già nel II millennio audaci pirati; le loro scorrerie sono ricordate dai monumenti egiziani, e con loro gareggiavano i Fenici. In Omero i principi greci pirateggiano largamente, e l'esercito greco sotto Troia è mantenuto specialmente coi frutti della pirateria. Documenti assiri dei secoli VIII e VII ricordano pirati greci che si spingevano fino alla Siria. Nel sec. VII, le città industriali e commerciali greche crearono flotte da guerra a protezione del commercio marittimo, per prima Corinto (Tucid., I, 13); ciò frenò, ma non distrusse, la pirateria, che fu anzi esercitata in grande stile, p. es. da Policrate, signore di Samo. Conviene poi notare, che è difficile per l'antichità distinguere la pirateria, nel senso moderno, dalla guerra di corsa, dalla rappresaglia, dalla stessa guerra marittima: essa era alle volte anche una forma violenta di protezione del proprio commercio in taluni mari. I turbamenti prodotti dall'avanzata dei Persiani verso l'Egeo, diedero nuovi stimoli alla pirateria, e solo dopo la costituzione della lega di Delo la grande flotta ateniese assicurò la libertà dei mari greci, distruggendo fra l'altro alcuni pericolosi nidi di pirati nel nord dell'Egeo. Ma la guerra del Peloponneso fece rinascere la pirateria e la guerra da corsa, che, con brevi periodi di decrescenza, continuarono per tutto il sec. IV. Alessandro ordinò energiche azioni contro i pirati, ma le guerre dei suoi successori diedero nuovo incentivo al flagello. Come alleati o mercenarî, i pirati accorrevano in massa, al comando di famosi archipirati, a unirsi alle forze militari dei contendenti, e solo quando un nuovo equilibrio si stabilì nel Mediterraneo orientale, i Tolomei e specialmente Rodi (v.), centro del commercio marittimo dei secoli III e II, poterono ristabilire una certa sicurezza sul mare. Nel Mediterraneo orientale i centri maggiori dei pirati erano sulla costa della Cilicia, a Creta e nell'Etolia: nel Mediterraneo occidentale, le popolazioni indigene dell'Illirico e della Liguria esercitavano da tempi remoti la pirateria; e ad esse si aggiunsero poi Etruschi, Cartaginesi e Greci. Gli Etruschi erano pirati audacissimi, che si spingevano fino nei mari greci, tanto che nell'Egeo si chiamavano Tirreni tutti i pirati, per quanto a ciò contribuisse forse l'omonimia con i pirati Tirseni dell'Egeo settentrionale. I Greci, specialmente i Siracusani, sostennero dure lotte per contenere i pirati etruschi nel Tirreno e per batterli poi nello stesso loro mare. Dal sec. IV a. C. la difesa delle coste italiane fu assunta da Roma con le sue colonie e le navi degli alleati; e nel 229 una flotta romana dovette entrare nell'Adriatico per combattere i pirati illirici, che avevano sempre reso malsicuro quel mare, nonostante le misure di Atene e di Siracusa. Tuttavia la repressione della pirateria nell'Adriatico richiese quasi due secoli, sino alla guerra condotta sulle rive dell'Adriatico settentrionale da Augusto nel 35-4.
In Oriente, la decadenza o la scomparsa delle flotte ellenistiche in seguito alle grandi guerre coi Romani, e soprattutto la disgrazia di Rodi dopo la terza guerra macedonica, ebbero per conseguenza un rifiorire della pirateria, in proporzioni mai raggiunte per lo innanzi, sulle coste meridionali dell'Asia Minore, specialmente della Cilicia Aspra, che offrivano eccellenti basi alle navi pirate. Anche i Cretesi ripresero con ardore le loro antiche abitudini piratesche. I Romani, che non avevano flotta permanente, poco o nulla fecero per affrontare il male; anzi i pirati adempivano a un'importante funzione economica, come fornitori di masse di schiavi. Solo nel 102 il pretore M. Antonio fu inviato sulle coste della Cilicia, ove fu fondato uno stabile comando romano (provincia), ma con scarsi risultati. Mitridate, entrando nell'88 in guerra con Roma, chiamò a sé da ogni parte i pirati, che divennero suoi preziosi alleati e parte essenziale delle sue forze di mare. Dopo la guerra, Murena nell'82 e soprattutto P. Servilio Isaurico dal 77 al 75 ripresero con buon successo le operazioni per mare e per terra nella Cilicia e nella Pamfilia e sulle montagne del Tauro; ma nel 74 scoppiò la terza guerra mitridatica e si ristabilì l'alleanza fra il re del Ponto e i pirati. Furono gli anni del massimo sviluppo della pirateria, alla quale si davano tutte le vittime dei rivolgimenti politici del tempo. Organizzati in forti squadre, che comprendevano non più solo piccoli vascelli, ma anche triremi, al comando di στρατηγοί imbarcati su navi lussuosamente ornate, i pirati assaltavano e ponevano regolari assedî alle città, spargendo dappertutto il terrore e arrestando i commerci. Essi si spinsero nel Mediterraneo occidentale, dove aiutarono Sertorio; giunsero sino a distruggere a Ostia una flotta consolare, a interrompere il transito sulla via Appia, a rapire personaggi importanti; due pretori con i loro littori furono catturati ed è nota l'avventura del giovane Cesare fatto prigioniero dai pirati. L'approvvigionamento di Roma era gravemente ostacolato. Nel 74, un comando straordinario contro i pirati fu affidato al pretore M. Antonio, che fallì miseramente contro i Cretesi. Finalmente nel 67, sotto la minaccia della carestia, la legge Gabinia affidò poteri vastissimi su tutto il Mediterraneo a Pompeo, il quale, mediante una serie di energiche operazioni condotte con grandi mezzi, in pochi mesi liberò i mari dal flagello (v. pompeo). Per l'ultima volta, gli avanzi dei pirati si raccolsero sotto le insegne di Sesto Pompeo in Sicilia. L'impero costituì le due flotte di Ravenna e di Miseno, che, coadiuvate da squadre ausiliarie in Cirenaica, Egitto e Siria, esercitavano la polizia dei mari, che per quasi due secoli rimasero liberi dai pirati; la pirateria era confinata quasi esclusivamente nel Mar Rosso e nel Ponto Eusino. Ma nei primi anni del sec. III d. C., la pirateria ricomparve, segno dell'incipiente decadenza dell'impero; Severo Alessandro (222-235) dovette prendere misure contro di essa. E ben presto le scorrerie marittime dei Sarmati e dei Goti, che, salpando dalle coste settentrionali del Mar Nero, infestarono tutto il Mediterraneo orientale, preannunziarono le invasioni barbariche.
Bibl.: J. M. Sestier, La piraterie dans l'antiquité, Parigi 1880; Ch. Lécrivain, in Daremberg e Saglio, Dic. des antiq., IV, p. 486; W. Kroll, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, A, col. 1036; P. Stein, Über Piraterie im Altertum, Köthen 1891 e Zur Geschichte der Piraterie im Altertum, Bernburg 1894; H. A. Ormerod, Piracy in the ancient World, Liverpool 1924; E. Ziebarth, Beitr. zur Gesch. des Seeraubs und Seehandels im alten Griechenland, Amburgo 1929.
Medioevo ed età moderna. - Nel Medioevo la pirateria ebbe naturalmente un nuovo periodo di fiore: e anzi è difficile scernere, almeno per lunga pezza, quelli che sono veri e proprî movimenti di conquista, da parte di popoli, dal puro e semplice atto piratesco. Così i Normanni, nel loro movimento di espansione verso ovest, e specialmente nelle incursioni sulle coste dei Paesi Bassi e nell'interno della Francia per la via dei fiumi, appaiono, in un primo momento almeno, più pirati in traccia di bottino che non conquistatori in cerca di nuove sedi.
E, come già nell'antichità, così anche nel Medioevo popolazioni intere dedite alla pirateria si organizzano in forme rudimentali statali: è il caso per i Narentani che, annidati sulla costa orientale dell'Adriatico, costituiscono il primo duro ostacolo contro cui deve cozzare la nascente potenza di Venezia.
Ma, nel Mediterraneo, il maggiore nucleo di rifornimento dei pirati è costituito; dal sec. VIII in poi, dagli Arabi, per i quali pure, come per i Normanni, è talora impossibile distinguere azioni di conquista preordinata da semplici scorrerie di pirati. E nidi di pirati semplicemente sono quei nuclei di Saraceni stanziatisi per certo periodo a Fréjus e alle foci del Garigliano, da cui muovono per predare i paesi vicini. Poi, stabilitosi il dominio turco nel Mediterraneo orientale, la vita piratesca viene stabilmente ed efficacemente organizzata in quegli stati barbareschi che costituiscono, fino al secolo XIX, sia pure con sempre decrescente intensità, un pericolo per il commercio marittimo nel Mediterraneo (v. barbareschi, stati).
Fuori del Mediterraneo, la pirateria trova, nell'età moderna, il suo teatro di azioni più propizio, nel Mare delle Antille, in vicinanza delle ricche colonie spagnole, sulla rotta dei galeoni carichi d'oro e d'argento: e si hanno allora le gesta dei bucanieri (v.) e dei filibustieri (v.). Nell'età più recente, dal sec. XIX, spazzati via i barbareschi del Mediterraneo, la pirateria è divenuta fatto occasionale e sporadico, salvo che nell'Estremo Oriente, specie sulle coste meridionali e sui grandi fiumi della Cina, dove ancora sussistono nidi di pirati, mal combattuti e talora anzi protetti dalle autorità locali.