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PIRATERIA

di Rachele Cera - Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)
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PIRATERIA.

Rachele Cera

– La pirateria marittima. La pirateria aerea. Bibliografia

Costituisce pirateria l’atto di rapina, o altra attività violenta o di depredazione, compiuti per fini privati in alto mare o in zone non soggette alla giurisdizione di nessun Stato, dall’equipaggio di una nave o di un aereo privato ai danni di altra nave o dell’aeromobile.

La pirateria marittima. – Attività diffusa sin dai tempi antichi nel Mar Mediterraneo nell’ambito del commercio marittimo, la p. ha avuto la sua epoca d’oro nel 17° sec. nelle acque dei Caraibi e delle colonie americane. Sebbene drasticamente ridotta nel 19° sec., la prassi del sequestro di navi e aerei si è evoluta alla fine del 20° sec. in una nuova forma di p. associata al terrorismo. Tale affinità si è particolarmente palesata in seguito al sequestro della nave italiana da crociera Achille Lauro avvenuto nel 1985 da parte di militanti palestinesi. Nello stesso periodo, la p. marittima si è nuovamente diffusa nei mari del Sud-Est asiatico e dell’Africa orientale, dove gli atti di p. sono commessi da o in cooperazione con organizzazioni criminali coinvolte nel traffico di armi o droga e in altre attività illegali. I fattori che hanno determinato la recrudescenza del fenomeno sono molteplici: in primo luogo, il progressivo deterioramento della situazione economica in alcuni Paesi, che ha spinto parte della popolazione a dedicarsi alla p. per ricavarne introiti; in secondo luogo, l’aumento dei traffici marittimi, determinato dallo sviluppo delle economie di alcuni Paesi, in particolare di quelli asiatici; in terzo luogo, la ridotta presenza negli spazi marini delle flotte militari statunitense e sovietica a seguito della fine della guerra fredda, circostanza che ha fatto venir meno un forte deterrente. Su queste radici essenzialmente economiche, si è poi innestata la matrice terroristica, concretizzandosi sia in operazioni di terrorismo vero e proprio contro le navi, come nel caso degli attentati al cacciatorpediniere americano USS Cole nel Golfo Persico nel 2000 e alla nave Limburg al largo dello Yemen nel 2002, oppure nell’utilizzo dei ricavi delle azioni di p. per finanziare gruppi terroristici o comunque gruppi combattenti.

La dimensione terroristica del fenomeno ha messo in luce la sua pericolosità per la navigazione marittima internazionale, non solo dal punto di vista della regolarità del commercio globale, ma anche per la sicurezza delle vite umane in mare, come dimostrato dall’incidente della petroliera Enrica Lexie, avvenuto nel 2012 al largo delle coste indiane del Kerala.

L’incremento degli atti di p. ha evidenziato, inoltre, i limiti del regime internazionale di lotta alla p., tanto delle norme di diritto internazionale consuetudinario in materia, quanto di quello convenzionale. Per consuetudine risalente, l’interesse alla repressione della p. giustifica una deroga al principio della libertà dell’alto mare, in base al quale le navi che si trovano in acque internazionali o sottratte alla giurisdizione di qualunque Stato sono sotto-poste all’esclusiva autorità dello Stato della bandiera. Tale deroga è confermata nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, adottata a Montego Bay, che ha codificato le norme di diritto internazionale applicabili alla p. agli artt. 100 e segg., sostanzialmente riproduttivi dei contenuti delle pertinenti disposizioni contenute nella Convenzione di Ginevra sull’alto mare del 1958. Secondo l’art. 105 della Convenzione di Montego Bay, infatti, la nave pirata può essere catturata, e il suo equipaggio arrestato, dalla nave da guerra o comunque adibita a pubblico servizio (se autorizzata) di qualsiasi Stato. Agli stessi Stati è inoltre consentito l’arresto dei pirati e la confisca dei beni a bordo della nave, nonché ogni ulteriore decisione sulle sanzioni da applicare e sulla sorte delle navi o dei beni appresi.

Non tollera, invece, deroga alcuna il principio in virtù del quale, assente il consenso dello Stato sovrano, è fatto divieto a Stati terzi di penetrare in acque territoriali altrui e ivi porre in essere atti di coercizione. Pertanto, l’azione di repressione degli atti di armed robbery che avvengono nelle acque territoriali (o interne), ovvero l’inseguimento e la cattura dei pirati che in quegli stessi spazi detengano le navi e le persone sequestrate in alto mare, rientra nella potestà esclusiva delle locali autorità. La distinzione tra le due fattispecie ha evidenti conseguenze sul potere repressivo degli Stati. Solo la prima, infatti, cioè la p. vera e propria, in quanto commessa in alto mare, autorizza ogni Stato, anche diverso da quello di bandiera della nave pirata o della nave vittima, a perseguire i presunti pirati; mentre la seconda esclude l’applicabilità del principio della giurisdizione universale a favore di quella dello Stato costiero nelle cui acque territoriali si è verificato l’atto violento. Tuttavia, in molti casi gli Stati costieri sono incapaci o riluttanti a perseguire i pirati, costituendo un indubbio ostacolo all’intervento di repressione. Nella maggioranza dei casi, infatti, gli attacchi delle navi pirata avvengono all’interno del mare territoriale di Stati in cui manca un adeguato pattugliamento delle coste (Caraibi, Sud-Est asiatico) oppure non viene eseguito alcun pattugliamento (Nigeria), o ancora nel mare territoriale di Stati falliti dove, in assenza di un’effettiva autorità centrale di governo, i pirati trovano rifugio (Somalia).

A tale lacuna del regime di contrasto della p. non sopperiscono le norme contenute nella Convenzione per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione, adottata a Roma nel 1988 in risposta al dirottamento dell’Achille Lauro. Pur ampliando la nozione di pirateria ricomprendendovi gli atti di terrorismo, e pur imponendo agli Stati contraenti l’obbligo di procedere all’estradizione del colpevole o, in alternativa, di esercitare nei suoi confronti la propria competenza giurisdizionale (secondo il principio aut dedere aut judicare), la Convenzione di Roma lascia impregiudicata la giurisdizione esclusiva dello Stato costiero nel proprio mare territoriale. Inoltre, la Convenzione, non avendo origine consuetudinaria come la Convenzione di Montego Bay, si applica esclusivamente agli Stati contraenti.

Pirati somali nell'Oceano Indiano

Il riscontro pratico della lacuna normativa si è manifestato in tutta la sua gravità nella lotta alla p. nel Corno d’Africa, al largo delle coste della Somalia. Per farvi fronte, in seguito alla richiesta somala di assistenza, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione nr. 1814 (2008) che ha esteso al mare territoriale somalo l’ambito di applicazione della norma sulla giurisdizione universale contenuta nell’art. 105 della Convenzione di Montego Bay. Qualificando la situazione interna della Somalia una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali, la risoluzione ha così legittimato l’azione degli Stati nel mare territoriale somalo. La risoluzione, tuttavia, si applica esclusivamente al caso somalo, lasciando quindi insoluto il vuoto giuridico esistente nel diritto internazionale del mare.

Un ulteriore aspetto problematico delle azioni contro la p. concerne il trattamento dei pirati catturati, tanto che, anche qualora sia esercitabile la giurisdizione universale, gli Stati mostrano scarsa propensione a processare i pirati, preferendo piuttosto allontanarli o rilasciare prontamente quelli catturati. Uno degli ostacoli all’esercizio della giurisdizione è la distanza tra il luogo della cattura e la sede fisica del tribunale competente, in quanto impone il trasferimento dei pirati nel territorio dello Stato cattore (o catturatore) e l’impiego di risorse.

A dissuadere lo Stato cattore dall’esercitare la propria giurisdizione contribuiscono inoltre il timore che i pirati possano chiedere asilo come rifugiati politici secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, nonché le difficoltà connesse alla detenzione nelle proprie carceri di individui catturati all’estero dallo status giuridico incerto. Altrettanto poco praticabile risulta l’estradizione dei pirati vero lo Stato d’origine in quanto potrebbe confliggere con l’obbligo di non-refoulement previsto dai trattati sui diritti umani, che impone agli Stati parti di non inviare gli individui in Paesi dove potrebbero essere sottoposte a torture, abusi o altre pratiche inumane e degradanti.

La pirateria aerea. – Il fenomeno della p. aerea si è sviluppato a partire dagli anni Sessanta del 20° secolo.

Gli atti di p. aerea sono commessi da persone che si trovano a bordo dello stesso aereo e hanno soprattutto uno scopo politico (come pubblicizzare una causa o estorcere concessioni politiche), oppure vengono utilizzati per colpire altri obiettivi, come nel caso degli attacchi al World trade center a New York l’11 settembre 2001.

La relativa disciplina internazionale di contrasto ricalca, nelle sue linee generali, quella della pirateria marittima. Il primo strumento giuridico internazionale adottato per far fronte al fenomeno è stata la Convenzione di Tōkyō del 1963, che tende unicamente alla tutela degli specifici interessi dell’aviazione civile, concentrando la sua portata normativa nell’obbligo della restituzione dell’aeromobile e nelle agevolazioni in favore dei passeggeri e dell’equipaggio ai fini della prosecuzione del viaggio interrotto dall’atto criminoso. A essa è seguita la Convenzione dell’Aja del 1970 per la repressione della cattura illecita di aeromobili, esplicitamente diretta a disciplinare la cooperazione internazionale per la repressione dell’impossessamento di aeromobili, del dirottamento di essi e dei ricatti che possono essere conseguentemente rivolti agli Stati. Tale cooperazione si concreta nell’obbligo degli Stati di punire essi stessi gli autori del crimine, ovvero di concederne l’estradizione. A completamento di questo trattato, la Convenzione per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza dell’aviazione civile, adottata a Montréal nel 1971, stabilisce lo stesso obbligo alternativo di aut dedere aut judicare con riguardo ai delitti di sabotaggio e agli altri atti pregiudizievoli all’aviazione civile.

Bibliografia: Legal challenges in maritime security, ed. M.H. Nordquist, R. Wolfrum, J.N. Moore et al., Leiden 2008; I. Shearer, Piracy, in Max Planck Encyclopedia of public international law, 8° vol., Oxford 2010, ad vocem; Piracy and maritime crime. Historical and modern case studies, ed. B.A. Ellemann, A. Forbes, D. Rosenberg, Newport 2010; I.R. Pavone, La giurisdizione penale sui pirati tra rispetto dei diritti umani ed esigenze di contrasto efficace alla pirateria moderna, «Il diritto marittimo», 2013, pp. 721-44.

Vedi anche
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