Pisa
Potente città marinara, in espansione dall’11° sec. in tutto il Mediterraneo, P. si dette i primi statuti agli inizi del 12° secolo. Nel 13° sec., coinvolta nelle lotte tra guelfi e ghibellini, seguì di solito la parte filoimperiale; fra l’altro, i pisani contribuirono valorosamente alla vittoria ghibellina di Montaperti (4 sett. 1260). Nella seconda metà del secolo P. iniziò a conoscere un certo declino economico che divenne più acuto soprattutto dopo la pesante sconfitta navale della Meloria (6 ag. 1284) a opera della flotta genovese. Le sorti della città vennero risollevate dall’energico governo di Guido di Montefeltro, nominato capitano generale nel 1289; ma la pace con Genova (1299) tolse comunque a P. molti dei suoi possedimenti sulla terraferma, oltre alla Corsica e a una parte della Sardegna. Nel 1312, l’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, in viaggio verso Roma, si fermò a P.; l’anno dopo vi promulgò le famose Constitutiones. Dal 1313 al 1316, P. fu retta da Uguccione della Faggiuola (citato da M. in Istorie fiorentine II xxv). Gli subentrò Gaddo della Gherardesca (1316-20), il cui governo prese le vesti di un blando regime signorile, che lasciava una certa autonomia alle istituzioni comunali. Nel periodo 1323-25 P. tentò più volte, senza riuscirvi, di riprendere la Sardegna, caduta in mano agli aragonesi; con la perdita dell’isola, dopo un dominio di circa tre secoli, si concluse anche il governo di Ranieri della Gherardesca (1320-25). Dopo due anni di forte instabilità politica, nel 1327 la città capitolò di fronte alle truppe dell’imperatore Ludovico IV il Bavaro. Nel frattempo proseguiva inarrestabile l’ascesa del lucchese ghibellino Castruccio Castracani degli Antelminelli, il quale, nel 1328, riuscì a diventare vicario imperiale di P. (La vita di Castruccio Castracani, §§ 39-60, e Istorie fiorentine II xxvi). La sua impresa di maggior rilievo fu la conquista di Pistoia (1328). Poco dopo Castracani morì e P., come tutte le città che erano state sotto il suo dominio, tornò autonoma. Il governo fu assunto da Bonifazio (Fazio) della Gherardesca, che dal 1329 al 1340 assicurò anni di relativa pace alla città toscana. Nel 1341-42 i pisani condussero una vittoriosa campagna contro i fiorentini, conclusasi con la conquista di Lucca, capitolata il 2 ottobre 1342, dopo un lungo assedio. La dura guerra contro i Visconti, duchi di Milano, nel 1344, e la morte di Ranieri della Gherardesca, ultimo membro di tale casata, nel 1347, aprirono una nuova fase turbolenta nella storia di Pisa. Il governo della città fu conteso tra due partiti, l’uno più conservatore (raspanti) e l’altro timidamente innovatore (bergolini). Andrea Gambacorta, capo della fazione dei bergolini e membro di una delle più ricche e prestigiose famiglie del ceto mercantile, alla fine del 1347 riuscì ad assumere il controllo di tutte le cariche cittadine più importanti. Alla sua morte gli subentrò il nipote Francesco che nel 1355 accolse a P. il nuovo imperatore Carlo IV di Lussemburgo, venuto in Italia per ricevere la corona imperiale, di cui venne cinto a Roma il 9 aprile. Nel viaggio di ritorno l’imperatore si fermò una seconda volta a P., ma in questa occasione volle alimentare la discordia tra le fazioni, nell’intento di consolidare l’autorità imperiale sulla città. Francesco fu giustiziato e i raspanti si assicurarono il predominio sulla città toscana. Seguirono nuovi anni di guerre per P.: dopo aver soffocato una ribellione a Lucca, che cercava di liberarsi dal dominio pisano, nel 1361 si riaprirono le ostilità con Firenze. La guerra divampò in tutta la Toscana e le due città si avvalsero dei più celebri condottieri del tempo. I pisani assoldarono John Hawkwood (→ Acuto, Giovanni), mentre i fiorentini avevano arruolato Galeotto Malatesta: questi nel 1364 sconfisse l’Acuto, ponendo fine alla guerra. Nel 1369 i Gambacorta tornarono dall’esilio e ripresero, con Pietro, il controllo della città, che si attenne quindi a una politica di neutralità nei confronti di Firenze e di Milano. Ma nel 1389 ripresero a soffiare venti di guerra: la fazione filomilanese si rafforzò, poiché Gian Galeazzo Visconti riuscì a portare dalla propria parte Iacopo da Appiano, segretario del Gambacorta, il quale era invece più favorevole a un riavvicinamento a Firenze. Nel 1392 il Gambacorta fu ucciso durante una rivolta (ne riferisce M. in Discorsi III vi 4). Assunto il controllo di P., l’Appiano non consegnò la città ai Visconti, come aveva promesso, ma cercò di restare neutrale; solo alla sua morte (1399), il figlio Gherardo vendette P. ai milanesi per 200.000 fiorini d’oro. Il 3 settembre 1402 morì Gian Galeazzo Visconti; un suo figlio illegittimo, Gabriele Maria ricevette in eredità P., dove impose severissime misure fiscali, per poi rivendere la città ai fiorentini (1405). P. tentò di resistere, ma fu costretta a capitolare il 9 ottobre 1406. La signoria fiorentina durò sino al 1494, anno in cui P. si ribellò, profittando della crisi del potere mediceo seguita al passaggio in armi del re di Francia, Carlo VIII (→). Firenze riuscì a riconquistarla solo nel 1509.
Dal 1498, M. fu direttamente coinvolto – nelle sue funzioni di Segretario della seconda cancelleria, ma anche in numerose missioni diplomatiche – nella lunga e difficile lotta per la riconquista di P., considerata assolutamente decisiva per ragioni strategiche, sia militari sia economiche. Per ragioni simmetriche, gli avversari di Firenze (anzitutto Milano e Venezia) sostenevano la ribellione. Nell’aprile del 1499, Venezia accettò di abbandonare la difesa di P. in cambio di una cospiscua somma. Poche settimane dopo, in un Discorso sopra Pisa, M. prendeva in esame due modi per recuperare la città ribelle: «o [...] per assedio o che ella vi venga nelle mani voluntaria»; ma, poiché «non si puote né debbe a nessun modo credere che per sé medesimi [i pisani] mai venghino voluntarii sotto el iugo vostro», concludeva con nettezza: «non si vede alcuna via che Pisa, sanza usare forza, sia per ricuperarsi» (§§ 2, 6, 11). L’idea tornerà ad affiorare nel Principe (v 7), dove M. riflette sul modo di governare le repubbliche conquistate, e conclude che l’unica soluzione sicura è nel «disfarle» (politicamente, se non materialmente): altrimenti esse si ribelleranno sempre in nome della libertà, «come fe’ Pisa dopo cento anni che la era suta posta in servitù da’ fiorentini». Un’importante articolazione della «regola» è proposta in Discorsi II xxiv 37, dove si dice che una città come P., «stata sempre inimica del nome fiorentino, vissuta libera e che ha alla rebellione per rifugio la libertà, era necessario, volendola tenere, osservare il modo romano: o farsela compagna o disfarla».
La ricerca di alleanze, da parte di Firenze, si svolgeva in un contesto reso molto delicato dall’imminenza di un intervento francese contro il duca di Milano Ludovico Sforza, detto il Moro. Il 6 luglio 1499 M. scrisse a Pier Francesco Tosinghi, commissario fiorentino nella guerra contro P., che il duca di Milano aveva accettato di venire in sostegno di Firenze contro P., ma esigeva «300 uomini d’arme et 2000 fanti»; i fiorentini prendevano tempo, cercando di non venire allo scoperto nemmeno con il re di Francia: «et se in questo mezo si potessi riavere Pisa [...] potrebbesi sanza tanto pericolo [...] declararsi; o vero sanza avere paura di essere forzati starsi di mezo et lasciare un poco giucare gli altri» (Lettere, pp. 11-12). In agosto P. sembrava sul punto di capitolare, quando il comandante delle forze fiorentine, Paolo Vitelli (→), ordinò la ritirata, con grande disappunto dei commissari fiorentini. Poco dopo Vitelli, insieme al fratello Vitellozzo, fu accusato di tradimento, e, arrestato e condotto in Firenze, venne decapitato (1° ott. 1499); M. rievocò l’episodio in uno scritto polemico nei confronti del governo lucchese: «lo esercito fiorentino si accostò a Pisa sì gagliardo e sì bene pagato e con tale progresso in pochi dì [...] che se la fraude vitellesca non vi intercedeva, né noi ci dorremmo della perdita, né voi ve ne rallegreresti» (M. a un cancelliere di Lucca, 5 ott. 1499, Lettere, pp. 19-20).
Nel 1500, come ricorda M. in Principe xiii 5, Firenze tentò di nuovo, e invano, di espugnare P., con il sostegno di Luigi XII re di Francia. Firenze ignorò una proposta di accordo presentata dai pisani (decisione criticata da M. in Discorsi I xxxviii 3), e il forte contingente franco-svizzero, comandato da Charles de Beaumont, si accampò sotto P. il 29 giugno. M. seguiva l’esercito dal 10 giugno e, nelle sue lettere alla Signoria (in LCSG, 1° t., pp. 370 e segg.), richiedeva pronti invii di viveri e denari. Non ricevendo il soldo, infatti, i mercenari guasconi e svizzeri finirono per sbandarsi (come si legge nella lettera del 7 luglio) o ammutinarsi (lettera dell’11 luglio), facendo fallire nuovamente l’impresa. Il disastro fu argomento di discussione nel corso della prima legazione di M. in Francia, dal luglio al dicembre del 1500 (si vedano, per es., le lettere del 29 luglio e del 26 sett.). Nella lettera del 7 agosto M. narra del lungo colloquio avuto con il re di Francia e con i suoi principali collaboratori che rinfacciarono ai fiorentini soprattutto di non aver fornito vettovaglie e munizioni a sufficienza; ma alla fine Luigi ammise che i contingenti guasconi e svizzeri avevano tenuto un pessimo comportamento e che Beaumont «non era suto di quella obbedientia bisognava, et che se uno altro di più obedientia esservi stato, che la ’mpresa non si perdeva» (LCSG, 1° t., pp. 409-16).
Anche durante le due missioni presso Cesare Borgia nel 1502-03 (si vedano, per es., le lettere ai Dieci dell’8 nov. e 6 dic. 1502) M. ebbe modo di parlare di Pisa. In particolare, nella lettera ai Dieci del 20 novembre, egli riferisce un suggerimento strategico del Borgia: se si dislocassero truppe dalle parti di Siena, da lì «sarebbe facile girare in un tratto a Pisa e, trovandola sprovista, li sarebbe facilissimo l’occuparla: ma bisognerebbe governare la cosa secretamente» (LCSG, 2° t., pp. 456-57).
Quando nel 1508 fu stipulata la lega di Cambrai (→), in cui le potenze europee si allearono contro la Repubblica di Venezia, una delle clausole del trattato prevedeva che P. sarebbe tornata in possesso di Firenze. Anche stavolta Firenze dovette comprare l’assenso di Luigi XII e del re di Spagna Ferdinando il Cattolico con l’impegno a versare una ingente somma di denaro. Fu stretto anche un patto con Lucca per impedire l’arrivo di rifornimenti nella città assediata. Alla fine di marzo del 1509, M. scrisse un documento, Provvedimenti per la riconquista di Pisa, sul modo migliore per portare l’assalto finale: «Ad ultimare l’impresa di Pisa, bisogna averla o per assedio e fame, o per espugnazione, con andare con l’artiglieria alle mura» (§ 1); M. si chiede se «lo assedio basti senza la forza» (§ 18), e risponde negativamente, data la diffusa speranza tra i pisani di poter resistere sino al nuovo raccolto. Dal gennaio al giugno dello stesso anno M. fu inviato in missione al campo ed ebbe un ruolo decisivo nelle fasi conclusive dell’assedio e nelle trattative per la capitolazione (4 giugno). Nella lettera del 15 febbraio, per es., i Dieci riconoscono a M.: «abbiamo posta in sulle spalle tua tutta cotesta cura» (LCSG, 6° t., p. 270).
Parecchi riferimenti alla guerra per P. si trovano nel primo e nel secondo Decennale; nel primo, in particolare, la mancata riconquista di P. limita la lode di Alamanno Salviati (→): «La quarta piaga non possé far sana / di questo vostro corpo, ch’a guarillo / volea più tempo e più felice mana» [cioè, la ‘mano’ di Piero Soderini], vv. 370-72.
Bibliografia: O. Banti, Appiani Gherardo Leonardo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 3° vol., Roma 1961, ad vocem; O. Banti, Appiani Iacopo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 3° vol., Roma 1961, ad vocem; G. Benvenuti, Storia della repubblica di Pisa, 2 voll., Pisa 1961, 19824; M. Luzzati, Castracani degli Antelminelli Castruccio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 22° vol., Roma 1979, ad vocem; M.L. Ceccarelli Lemut, Della Gherardesca Bonifazio (Fazio Novello), in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 37° vol., Roma 1989, ad vocem; M.L. Ceccarelli Lemut, Della Gherardesca Ranieri Novello, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 37° vol., Roma 1989, ad vocem; D. Busolini, Gambacorta Piero, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 52° vol., Roma 1999, ad vocem; F. Ragone, Gambacorta Andrea, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 52° vol., Roma 1999, ad vocem; F. Ragone, Gambacorta Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 52° vol., Roma 1999, ad vocem; F. Ragone, Gambacorta Pietro (Piero), in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 52° vol., Roma 1999, ad vocem.