pluralismo
Contro l’onnipotenza dello Stato e il conformismo sociale
Il pluralismo è un orientamento politico affermatosi, dapprima in polemica con l’assolutismo e poi, dopo le Rivoluzioni americana e francese, per criticare le possibili degenerazioni dispotiche dei regimi e delle società democratiche. Il suo principio essenziale è che tra lo Stato e gli individui devono esistere e operare gruppi intermedi e poteri concorrenti di vario tipo, che siano in grado di contrastare i due rischi opposti dell’onnipotenza statale e dell’atomismo sociale
Il termine pluralismo viene usato in differenti contesti, ma ha assunto un particolare significato soprattutto nel lessico politico e sociale moderno e contemporaneo. In questo quadro, esso indica quelle dottrine che teorizzano un modello di società fondato su una pluralità di gruppi, di associazioni, di partiti e di poteri concorrenti in grado di bilanciarsi reciprocamente e di limitare due tendenze assai pericolose per la libertà degli uomini: quella dello Stato moderno verso la concentrazione e l’unificazione dei poteri e quella delle società moderne verso l’uniformità e il conformismo.
Presupposto del pluralismo è che le società atomizzate, fondate cioè su un rigoroso individualismo anziché sull’associazione tra gli individui, non siano in sé stesse desiderabili e non siano in grado di porre un freno alla tendenziale onnipotenza dello Stato. Secondo tali dottrine, tra l’individuo e lo Stato devono dunque esistere e operare gruppi intermedi di vario tipo, che contrastino le due tipiche espressioni del dispotismo: l’atomismo sociale e l’accentramento del potere statale. Il pluralismo si basa sull’idea che l’antagonismo tra individui, gruppi, partiti, classi sociali e la varietà di interessi, valori, credenze costituiscano una fonte di progresso per le società organizzate. In questo, e nella sua esigenza di porre un freno alla concentrazione dei poteri, esso mostra uno stretto legame con il liberalismo.
Il pluralismo ha iniziato a definirsi a partire dal 18° secolo. Esso si è sviluppato dapprima in polemica con i principi dell’assolutismo e la realtà dello Stato assoluto, che incarnavano in modo evidente la tendenza delle moderne organizzazioni statali alla concentrazione e all’unificazione dei poteri. Dopo le Rivoluzioni americana e francese, invece, esso si è rivolto in primo luogo contro gli assetti emergenti del governo popolare e delle società democratiche, considerate particolarmente esposte, per la loro stessa natura, al rischio di degenerazioni «dispotiche».
Charles-Louis de Montesquieu, con la teoria dei «corpi intermedi», fissata in Lo spirito delle leggi (1748) in stretta relazione con la dottrina della divisione dei poteri, fu uno dei principali interpreti del pluralismo antiassolutistico. Fu invece Alexis de Tocqueville, in La democrazia in America (1835-40), a indicare nel pluralismo, nella moltiplicazione delle «associazioni», uno dei principali antidoti di cui giovarsi contro le nuove forme del «dispotismo democratico», inteso come miscela esplosiva di potere burocratico centralizzato, atomismo sociale e conformismo.
Nel corso del Novecento, soprattutto dopo l’esperienza dei totalitarismi, il pluralismo è diventato parte essenziale delle teorie e dei sistemi liberaldemocratici contemporanei. Esso occupa un posto importante anche nelle teorie della società di massa, di regola criticata in quanto società standardizzata, uniforme, a una dimensione, e dunque tutt’altro che plurale.
In anni più recenti la riflessione sul pluralismo si è arricchita di nuove prospettive in relazione al tema della globalizzazione. Diversi critici, infatti, vedono in questa un processo di omologazione planetaria delle culture e delle civiltà che sta distruggendo ogni residuo di una ‘umanità plurale’. Pur collocandosi al di là dell’orizzonte delle teorie pluralistiche tradizionali, queste riflessioni mostrano come il pluralismo sia oggi considerato una dimensione essenziale delle società contemporanee.