PODESTÀ
. Storia del diritto. - A capo del comune cittadino, nell'Italia centrale e settentrionale, fin oltre la metà del secolo XII, sta normalmente una magistratura plurima: il consolato. In modo altrettanto generale si può dire che a capo di questo comune, nella prima metà del sec. XIII, si trova invece un magistrato unico: il podestà (chiamato anche, da più fonti, rector civitatis).
Questa riforma del regimen è anzi presa a elemento distintivo di un nuovo periodo, giacché si contrappone il "comune consolare" al successivo "comune podestarile". Ma, guardando agli elenchi dei magistrati cittadini in un periodo intermedio (1180-1230), si rileva che la comparsa e la sostituzione del nuovo organo all'antico non furono né simultanee nelle varie città né, per ciascuna di esse, fino verso la metà del sec. XIII, definitive. Talvolta consolato e podesteria si alternarono, talaltra coesistettero, figurando però il potestas come preordinato ai consoli. E così pure, nelle menzioni più remote di unico potestas o rector civitatis (1150-1160), si dubita possa ravvisarsi un magistrato uguale - almeno quanto a fonte e natura del potere - al podestà del Duecento. Infatti, se negli anni 1151-1154, cioè prima dell'effettiva reazione federiciana, Bologna appare governata da Guido del Sasso "Dei gratia Bononiensium rector et potestas", e il comune di Siena (1151) è retto da un unico dominus civitatis che sostituisce i consoli, e si deve ritenere equivalente al potestas aretino del 1153, o a quello pistoiese del 1158, o agli altri podestà o rettori unici di quel decennio (Ferrara, 1151; Imola, 1153; Reggio, 1154; Faenza 1155), resta pur sempre il dubbio che la fonte dei poteri di essi, anziché nel comune sia da cercarsi nell'imperatore o nel vescovo o in altro signore feudale. Il dubbio è rafforzato dal fatto che dopo la dieta di Roncaglia (1158), nella quale l'imperatore volle a sé rivendicata la potestas constituendorum magistratuum ad iusticiam expediendam, cioè gli organi della giurisdizione, egli impose sistematicamente in quasi tutte le città dei potestates di propria nomina (furono spesso tedeschi), scomparendo allora, per lo più, i consoli. Inoltre, dopo la vittoria della Lega, quando i rettori di essa (marzo-maggio 1183) avanzarono le loro richieste per la pace, inclusero anche, a favore delle città, la facoltà di eleggere il podestà (habere consulatum vel potestatem); ma nella clausola corrispondente della pace di Costanza, che seguì poco dopo, l'imperatore non concesse che il consolato (salva investitura imperiale o del vescovo conte), riservandosi di tenere in ogni distretto un nuntius, come organo della propria potestas.
Perciò, raccogliendo le varie ipotesi fatte circa l'origine del magistrato unico comunale, è bensì da ammettersi che in alcune città si possa essere arrivati a esso come frutto di una evoluzione del consolato (a un suo membro, considerato come il prior consulum, sarebbero stati conferiti dal parlamento o delegati dai colleghi poteri speciali) e in altre città la podesteria possa essere stata creata dall'attivo e mobile potere costituente del comune, come istituto nuovo, a imitazione della dittatura romana o del baiulo meridionale; ma perché questo magistrato unico possieda il mero e misto imperio ed eserciti quei poteri che un tempo erano stati del conte e dei messi regi - tali le attribuzioni del podestà, nel pieno sviluppo dell'istituto - bisogna attendere che il comune acquisti anche quelle prerogative che la pace di Costanza pareva ancora voler riserbare all'imperatore. E ciò avviene soprattutto negli anni dell'impero di Enrico VI, quando l'imperatore largheggia con le città, per ottenere i mezzi per la spedizione di Sicilia; e poi, dopo la sua morte, quando l'effettiva vacanza dell'impero rende, oltre che possibile, necessaria la comunalizzazione del podestà. Solo Federico II, nell'ultimo suo decennio, cerca d'imporre alle città un podestà (altre volte un capitano) di propria nomina. Ma ormai l'istituto si è radicato nella costituzione del comune, e, come permane nonostante il sorgere dell'autonoma organizzazione del popolo e nonostante i poteri concorrenti e politicamente soverchianti del capitano, così, al costituirsi delle signorie, viene mantenuto, per lo più come organo giudiziario, e non altera la propria struttura anche se assoggettato alla nomina da parte del signore. In tali ridotte funzioni continua poi, con modificazioni sempre più rilevanti, nella gran parte dei principati e - dove non muta nome - nello stesso periodo delle preponderanze straniere.
Nel periodo di maggior fiore, cioè nei secoli XIII e XIV, l'istituto presentò, nelle varie costituzioni cittadine dell'Italia settentrionale e centrale, alcune caratteristiche, che si possono dire costanti, nonostante le eccezioni introdotte specialmente per influsso di partiti o per volontà di signori.
Così, oltre il nome comune, vi sono, come caratteri distintivi, la unicità del magistrato (si ricordano tuttavia città che erano governate da 2 o anche 3 podestà); la temporaneità della carica (da principio, in molte città, 2 anni; poi generalmente, 1 anno; infine, a cominciare dalla metà circa del Duecento, in moltissime città, un semestre; però, specialmente nel periodo di formazione delle signorie, si ricordano podestarie eccezionali conferite per un triennio, un decennio, e anche a vita o ereditarie); inoltre, normalmente, la cittadinanza forestiera del podestà; l'elettività; la responsabilità del podestà, che veniva accertata da un sindacato finale.
Quanto alla nomina (a prescindere dai comuni "non liberi", nei quali spetta a un superior che è, di solito, o il vescovo o il signore feudale o un comune egemone), il podestà comunale fu dapprima - probabilmente - designato dal predecessore; più tardi, acclamato dall'arengo, o nominato dal consiglio maggiore o da un collegio di ufficiali comunali assistiti da appositi sapientes. Infine, nella maggioranza delle città, prevalse un sistema di elezione di secondo grado, per il quale il consiglio maggiore designava una commissione di elettori, e questa, a sua volta, sceglieva in una lista dì candidati sottopostale dal consiglio stesso, oppure proponeva a quest'ultimo una lista di sua composizione, restando al voto del consiglio o all'estrazione a sorte la designazione dell'eletto, o, infine, era autorizzata fare la designazione, con o senza ulteriore convalida da parte di altri organi del comune. A maggior garanzia fu introdotto ìn alcuni comuni il sistema del conclave, con l'aggiunta di espedienti per sollecitare la decisione della commissione. In qualche caso il comune deferì la designazione a poteri estranei, come l'imperatore, il papa, un comune amico. In parecchie città, in periodi rivoluzionarî, si rimette invece la designazione a una fazione, o ai suoi capi, o, addirittura, si moltiplicano i podestà, da designarsi ciascuno da una parte in lizza (3 a Brescia, nel 1211).
Nell'ordine normale, gli statuti non si rimettono all'arbitrio degli elettori, ma pongono requisiti per l'eleggibilità. Tali, l'età (per lo più, 30 anni; e, in certi statuti, non più di 60), lo stato nobiliare, la cittadinanza forestiera. Veramente, in un primo periodo, i podestà furono anche cittadini; ma poi, a garanzia d'imparzialità, si vollero scelti al di fuori, fissandosi sovente la distanza minima dalla loro patria, o anche imponendo agli elettori un elenco tassativo di città. Perciò quella del podestà divenne quasi una professione, tradizionale in certe famiglie nobili. Onde il formarsi di una prassi, che fu descritta da scrittorí politici dei secoli XIII e XIV in appositi trattatelli; e il diffondersi, da città a città, di nuovi istituti, frutto dell'esperienza di quei podestà di mestiere. Il podestà non doveva avere parenti o affini di dato grado in città, né doveva portarne con sé; per molti statuti, nemmeno la moglie. Era infine vietata, generalmente, l'immediata rielezione.
All'eletto veniva fissato un termine per l'accettazione; e, ancor prima di assumere la carica, egli doveva giurare l'osservanza degli statuti, sul libro chiuso, cioè senza restrizioni mentali. Talvolta doveva recarsi nella città, come privato, per un periodo di tirocinio, a lato del podestà in carica. Con l'ingresso solenne avveniva il passaggio dei poteri, simboleggiato dalla consegna del bastone (baculum).
Il podestà prestava allora un nuovo giuramento, lo faceva prestare dai collaboratori e dipendenti forestieri, che aveva recato seco, e, a sua volta, riceveva il giuramento di sudditanza e fedeltà (sequimentum) da parte dei consigli, degli ufficiali e, collettivamente, delle milizie, delle arti, di tutto il popolo.
Era vietato al podestà, durante la carica, di acquistare immobili, commerciare, contrarre mutui nel comune. Aveva l'obbligo di ufficio, con orario di udienza (di solito fissato dagli statuti), nel palazzo podestarile. Doveva risiedere in città, e per assentarsi aveva bisogno del permesso del consiglio. Riceveva uno stipendio fisso (feudum), anche elevatissimo, e, talvolta, una percentuale sulle multe, e minori regalie. Il comune gli forniva l'alloggio, o gli corrispondeva un'indennità. Gli dava indennità di viaggio. Gli garantiva inoltre l'incolumità (anche con ostaggi); lo dichiarava inviolabile fino a scadenza della carica; e si impegnava a riscattarlo da prigionia e scomunica.
Doveva costituire la propria curia e familia (giudici, notai, milites, berrovieri) con elementi forestieri e pagarli del suo.
Le attribuzioni del podestà coincidono, in parte, con gli antichi poteri del conte, al quale il comune si è sostituito; ma, in ogni atto amministrativo importante, è vincolato dal parere o dal voto di altri organi del comune. Il podestà non può scostarsi dal disposto degli statuti; ed eccezionale è il conferimento del potere di emendarli o la dispensa dall'osservanza. Può però emanare ordinanze, con sanzioni limitate a tenui multe. Convoca i consigli del comune e ne fissa l'ordine del giorno; però, generalmente, su parere di altro organo comunale (consiglio minore per quello maggiore; anziani, ecc.). È il supremo organo esecutivo del comune; lo rappresenta nelle relazioni con l'estero; comanda l'esercito cittadino (salvo deleghe diverse da parte del consiglio). Precipua sua funzione rimane, in ogni periodo, quella giudiziaria (esercitata direttamente o delegata ai suoi giudici). Il podestà, giudice ordinario, è fornito del mero e misto imperio, e gli spettano anche gli atti della giurisdizione onoraria, proprî un tempo dei messi regi. Come giudice dei crimini può dal comune essere dotato dell'arbitrium, cioè della facoltà di irrogare pene a sua discrezione, quando non le fissassero gli statuti (cioè con dispensa dal diritto comune). Più tardi tale arbitrium ebbe, in talune città, una portata illimitata. Ma, altrove, fu vietato di concederglielo. Allo scadere dalla carica, il podestà e i suoi giudici dovevano rimanere per qualche tempo in città per essere assoggettati al sindacato.
Il nome di podestà fu pure, in certi ordinamenti, attribuito, oltre che ai magistrati di minori comunità (castelli, borghi, ville), a capi di fazione, a capi di corpi mercantili o artigiani, e, infine, più recentemente, a capi di amministrazioni locali, non dotati di giurisdizione.
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Diritto pubblico moderno.
L'amministrazione dei comuni che, dalla legge comunale e provinciale 2 agosto 1848 del regno di Sardegna e successive estensioni al regno d'Italia, fino al testo unico del 4 febbraio 1915 n. 148, si era imperniata su di una triplice categoria di organi (consiglio comunale, giunta municipale e sindaco) con funzioni rispettivamente diverse, venne, con la legge 4 febbraio 1926 n. 237, e con i regi decreti legge 15 aprile 1926 n. 765 e 3 settembre 1926 n. 1910, a riassumersi in un organo unico, il podestà, al quale fanno attualmente capo le funzioni che in passato erano ripartite fra i predetti tre organi.
Le cause determinanti della riforma furono, per una parte, d'indole generale, in relazione ai principî fondamentali del regime fascista, e, per altra parte, d'indole particolare, cioè in relazione alle condizioni speciali, di carattere sia permanente sia contingente, degli enti autarchici locali. In relazione ai principî fondamentali del regime fascista, si è sostituito al principio della rappresentanza elettiva degli organi comunali, della loro collegialità e pluralità, il criterio della nomina governativa, sotto il riflesso che l'amministrazione dell'ente, concentrata in un'autorita singola, debba rispondere dei suoi atti soltanto verso l'autorità governativa di vigilanza e di controllo, senza alcun vincolo o dipendenza dagli elettori. Più specialmente l'istituto del podestà si ravvisò opportuno per rinsaldare più efficacemente i vincoli che debbono intercedere tra gli enti locali e lo stato, di guisa che i medesimi, pur mantenendo il carattere di enti autarchici, e cioè di enti che hanno un'amministrazione propria, agiscano però in armonia con le direttive dell'azione statale, cooperando alle finalità che lo stato si prefigge. L'opportunità di siffatta riforma venne per di più giustificata col fatto che, specialmente dopo la guerra mondiale, occorreva un'azione più rapida e sicura per dare assetto ai comuni, per i quali si rendeva urgente il riordinamento dei servizî e delle finanze dissestate, e con la considerazione che occorreva sottrarli alle vicende delle lotte di partito e delle fazioni locali.
La nuova denominazione di podestà, in luogo di quella di sindaco, attribuita alla persona preposta al comune, non ha però, salvo l'omonimia, corrispondenza con quella in uso nel Medioevo. I comuni medievali erano non soltanto enti amministrativi, ma altresì enti politici, e il podestà aveva una maggiore ampiezza di poteri, in relazione alle attribuzioni di carattere politico, che rientravano nella competenza del comune. Il comune moderno, per contro, è soggetto alla sovranità dello stato ed esplica soltanto funzioni amministrative, onde il podestà è un semplice funzionario, il quale agisce entro i limiti della legge, e secondo le direttive dell'autorità governativa, per quelle attribuzioni che gli sono delegate dalla stessa.
Il podestà venne dapprima istituito nei comuni minori, e cioè in quelli con popolazione non eccedente i cinquemila abitanti (legge 4 febbraio 1926, n. 237), salvo la possibilità di addivenire alla nomina di esso anche in comuni con popolazione superiore, qualora i medesimi, per essersi sciolto il consiglio comunale per due volte nel periodo di due anni, avessero dato prova d'incapacita ad amministrarsi con il regime consigliare.
Poco appresso, con r. decr. legge 15 aprile 1926 n. 765, l'istituto podestarile venne esteso, indipendentemente dal numero degli abitanti, ai comuni il cui territorio era in tutto o in parte riconosciuto come stazione di cura, di soggiorno e di turismo, e più tardi anche ai comuni delle regioni colpite dal terremoto, ritenendosi che, sia nell'uno sia nell'altro caso, l'ordinamento podestarile meglio assicurasse il conseguimento delle finalità che le condizioni particolari di detti comuni richiedevano. Infine, col r. decr. legge 3 settembre 1926 n. 1910, l'istituto del podestà venne esteso a tutti i comuni del regno, determinando la definitiva scomparsa degli organi amministrativi preesistenti e cioè del consiglio comunale, della giunta e del sindaco.
Il podestà, in coerenza ai criterî che informano l'ordinamento amministrativo dello stato fascista, è nominato con decreto reale su proposta del ministro degl'Interni, per la durata di cinque anni. Per la nomina a podestà, oltre i requisiti generali (essere cittadino, godere dei diritti civili, essere di buona condotta morale e politica, maggiore di età e saper leggere e scrivere: legge comunale e provinciale, testo unico 3 marzo 1934, n. 383, art. 7), occorre almeno il diploma di maturità classica o scientifica, o di abilitazione tecnica o magistrale, ovvero altro titolo del quale sia riconosciuta a tal fine l'equipollenza dal Ministero dell'educazione nazionale. Il titolo non è però necessario per coloro che abbiano partecipato alla guerra 1915-1918 col grado di ufficiale o sottufficiale presso truppe in zona d'operazione e per coloro che abbiano esercitato, per non meno di sei mesi, le funzioni di sindaco, di commissario regio o prefettizio, ovvero di segretario comunale. Non possono essere nominati coloro che si trovino nello stato d'incapacità previsto dall'art. 8 della legge comunale e provinciale (gl'interdetti o inabilitati per infermità di mente, i falliti, i ricoverati e coloro che sono abitualmente a carico della pubblica beneficenza, i condannati per alcuni reati), ovvero d'incompatibilità (gli ecclesiastici e ministri del culto, i funzionarî del governo incaricati della vigilanza sui comuni e gl'impiegati dei loro uffici, e in genere i dipendenti e gli aventi interessi in contrasto con quelli del comune).
Il podestà deve, prima di entrare in carica, prestare giuramento dinnanzi al prefetto, sotto pena di decadenza: può, per inosservanza dei doveri d'ufficio o per motivi di ordine pubblico, essere sospeso con decreto del prefetto o revocato con decreto reale. Come già in passato il sindaco, egli riassume in sé la duplice qualità di amministratore del comune e di ufficiale del governo: le sue attribuzioni, sia nell'una sia nell'altra qualità, sono elencate rispettivamente dagli articoli 52, 53 e 54 della legge comunale e provinciale, testo unico del 1934, che richiamano sostanzialmente le analoghe attribuzioni del sindaco di cui nella legge comunale e provinciale del 1915. L'ufficio è gratuito, salva l'indennità di carica in casi eccezionali. Il distintivo del podestà consiste in una fascia tricolore di seta, fregiata dello stemma dello stato, da portarsi intorno ai fianchi.
Egli può essere coadiuvato, nei casi previsti dalla legge, da uno o due vicepodestà, nonché da una consulta: ai vicepodestà e ai consultori il podestà può anche affidare speciali incarichi nell'amministrazione del comune.
Le sue deliberazioni, oltre ai casi in cui sia richiesta l'approvazione della Giunta provinciale amministrativa, o siano necessarî speciali controlli tutorî, sono di regola soggette al visto di esecutività del prefetto.
Bibl.: Celentano, La legge sul Podestà, in Riv. Dir. pubblico, 1926, p. 449; S. Molinari, Il Podestà e la consulta municipale, Milano 1926; E. Presutti, Istituzioni di diritto amm. italiano, 3ª ed., II, Messina 1934; R. Veroli, Il Podestà e la consulta municipale nell'ordinamento giuridico del comune, Milano 1928; G. Zanobini, L'amministrazione locale, 2ª ed., Padova 1935.