Vedi Polonia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Nella sua storia plurisecolare, la Polonia è stata al centro delle dinamiche geopolitiche e delle contese dei grandi imperi europei. Strategicamente collocato nel cuore del vecchio continente, nel Diciottesimo secolo il territorio polacco fu oggetto di successive partizioni da parte dei tre grandi imperi confinanti, prussiano, austriaco e russo, che nel 1795 portarono allo smembramento dello stato polacco preesistente. La Polonia riemerse come entità statuale autonoma nel 1918, all’indomani della Prima guerra mondiale, quando di fatto divenne uno stato cuscinetto, collocato strategicamente tra Germania e Russia. Nel settembre del 1939 fu proprio l’invasione della Polonia a opera della Germania nazista l’atto scatenante la Seconda guerra mondiale, al termine della quale il territorio polacco – dopo aver subito una nuova spartizione tra Berlino e Mosca – assunse i confini odierni.
Durante il periodo della Guerra fredda il paese fu governato da un regime di ispirazione socialista e vicino all’Urss, alla pari degli altri paesi dell’Europa centro-orientale. Negli anni Ottanta fu principalmente dalla Polonia che partì un’ondata di manifestazioni per le riforme che portarono, nel decennio successivo, all’implosione del blocco socialista, e quindi allo smantellamento della stessa Unione Sovietica. Al centro di questo grande movimento popolare ci fu il sindacato Solidarność, che riuscì a mobilitare la società civile sotto la guida di Lech Wałęsa. Nel 1990 Wałęsa divenne poi il primo presidente della Polonia post-comunista eletto in libere elezioni. Negli anni Novanta Varsavia si è impegnata in un profondo processo di riforme politico-economiche: il riconoscimento di questo percorso si è concretizzato nell’ammissione della Polonia alla Nato nel 1999 e all’Unione Europea (Eu) nel 2004.
La Polonia, storicamente minacciata ad ovest dalla Germania e ad est dalla Russia, ha dunque cessato di considerare Berlino e Mosca come avversari, avviando un processo di normalizzazione che ha tuttavia conosciuto esiti non del tutto coincidenti. La Germania unita è ormai il primo partner commerciale di Varsavia e le relazioni bilaterali sono eccellenti: i due paesi mirano a un partenariato forte in grado di determinare le politiche europee lungo linee condivise di politica economica e di sicurezza.
Più complessi invece i rapporti con Mosca. Superata la fase di confronto sterile sperimentata sotto l’esecutivo conservatore di Diritto e giustizia (Prawo i Sprawiedliwość – Pis), il governo Tusk prima e quello Kopacz dopo hanno ricercato maggiormente il dialogo, senza mai superare però alcune diffidenze di fondo. Dopo le elezioni dell’ottobre 2015, il ritorno al potere del Pis non lascia presagire una distensione dei rapporti. La crisi ucraina e il revanscismo russo promosso da Vladimir Putin nel 2014 hanno infatti peggiorato le relazioni col Cremlino, risvegliando mai sopite preoccupazioni polacche. I due paesi rimangono divisi da un passato ingombrante, così come da un presente che non può ignorare posizioni e interessi discordanti, se non apertamente contrastanti. Assieme alla Svezia, la Polonia ha promosso in ambito Eu il cosiddetto Partenariato orientale, un accordo di associazione stretto tra l’Eu e Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldavia, Bielorussia e Ucraina. Le politiche comunitarie di vicinato nei confronti dell’Europa orientale e il tema dei corridoi energetici, entrambe priorità strategiche per la Polonia, sono altrettanti terreni di scontro con Mosca. Non a caso, è soprattutto in chiave anti-russa che Varsavia ha coltivato, dopo il 1991, relazioni stabili e profonde con gli Usa, sia a livello bilaterale, sia nell’ambito della struttura transatlantica della Nato; relazioni che si stanno facendo nuovamente più strette nell’ottica del deterioramento dei rapporti con Mosca.
La Polonia è inoltre tra i promotori, assieme a Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, del Gruppo di Visegrád (anche detto V4), un’alleanza regionale volta a favorire una più stretta cooperazione tra i suoi membri. Priorità dell’azione diplomatica polacca è il tentativo di rinvigorire il cosiddetto Triangolo di Weimar, un accordo tra Polonia, Francia e Germania finalizzato a incrementare l’interdipendenza politica ed economica. Concluso già nel 1991, era stato congelato durante gli anni della presidenza di Lech Kaczyński.
La Polonia è una repubblica parlamentare con un sistema legislativo bicamerale, composto dalla Camera bassa, il Sejm (460 seggi), e dal Senato (100 seggi). La legislatura ha una durata di quattro anni e l’accesso al parlamento è limitato da una soglia di sbarramento equivalente al 5% dei voti per i partiti e all’8% per le coalizioni. Sebbene i suoi compiti siano essenzialmente cerimoniali, il presidente della repubblica è eletto direttamente dal popolo per un mandato quinquennale. Nell’aprile 2010, l’allora presidente Lech Kaczyński è morto in un incedente aereo nei pressi di Smolensk, in Russia. Furono allora indette nuove elezioni presidenziali anticipate, che portarono all’elezione di Bronisław Komorowski, appartenente al partito di governo della ‘Piattaforma civica’ (Platforma Obywatelska, Po), contro il gemello dell’ex presidente, Jaroslaw Kaczyński del partito Pis, un evento che ha segnato un forte cambiamento negli equilibri politici nazionali. Alla scadenza del mandato quinquennale, a maggio 2015, il paese si è recato nuovamente alle urne per eleggere il nuovo presidente: dallo scrutinio è emerso vincitore Andrzej Duda, rappresentante del Pis, che ha sconfitto il presidente uscente Komorowski.
Nonostante sia il Po che il Pis afferiscano all’area di centrodestra, quest’ultimo presenta in maniera più marcata tratti anti-europeisti e nazionalisti. Le elezioni parlamentari dell’ottobre 2015 hanno confermato questa tendenza da parte dell’elettorato polacco, che ha scelto per il 37,5% di votare per il Pis. Il secondo partito è stato poi il Po, che ha ottenuto il 24% delle preferenze, seguito a debita distanza da un partito di destra radicale di nuova formazione, il Kukiz’15, guidato dal cantante punk Paweł Kukiz e che ha sorprendentemente ottenuto l’8,8%, facendo breccia soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione. Nel nuovo Sejm non vi è alcuna forza politica riconducibile alla sinistra o al centro-sinistra. Per la prima volta in Europa negli ultimi vent’anni, la sfida a candidato premier si è tenuta fra due donne – il caso precedente risaliva alle elezioni parlamentari norvegesi del 1993 –: Beata Szydło del Pis e Ewa Kopacz per il Po, la quale ricopriva la carica dopo che il collega di partito Donald Tusk era stato chiamato nel settembre 2014 a svolgere il ruolo di presidente del Consiglio Europeo. Da novembre 2015 Szydlo è il nuovo primo ministro della Polonia.
La Polonia è lo stato più popoloso tra i paesi dell’Europa orientale che fanno parte dell’Eu. Tuttavia la popolazione è in calo dal 1995 e si stima che, dagli attuali 37,9 milioni di abitanti, il paese continuerà a scendere fino a 36,8 milioni nel 2030. Il tasso di fecondità rimane piuttosto basso (1,3 figli per donna); negli anni numerosi polacchi si sono trasferiti in altri paesi europei, soprattutto a partire dal 2004, anno di ingresso nell’Eu. La popolazione polacca è piuttosto omogenea, benché vi siano esigue minoranze tedesche, ucraine, bielorusse e rom. Nonostante le minoranze siano tutelate dalla legge e sostenute finanziariamente, la minoranza rom è stata a volte vittima di discriminazioni. La maggioranza della popolazione è cattolica (94%). Esistono alcune minoranze di cristiani ortodossi, testimoni di Geova, luterani ed ebrei. La tradizione cattolica è una componente centrale nella società polacca. Il sistema educativo é solido: già durante l’epoca sovietica l’istruzione era una priorità e il tasso di alfabetizzazione era elevato.
Argomento molto dibattuto negli ultimi mesi è stato quello dell’immigrazione: la Polonia si è opposta a lungo, assieme ad altri stati dell’Europa orientale, al sistema di redistribuzione dei rifugiati proposto da Bruxelles di fronte alla crisi del 2015. Alla fine del suo mandato governativo il Po aveva però dato il proprio via libera all’accettazione del nuovo piano europeo: resta ora da vedere se il Pis deciderà di ottemperare agli impegni presi dal precedente governo.
La Costituzione polacca garantisce la libertà di espressione e vieta la censura. I media sono in gran parte privati e di proprietà di stranieri, ma la televisione di stato domina il settore. Nel dicembre 2015, il governo ha emanato una legge che dà al ministero del Tesoro il potere di nominare i vertici del servizio radio-televisivo pubblico. La corruzione è diffusa e spesso impunita. Le donne, pur essendo impiegate in numerosi settori professionali, sono poco presenti e meno remunerate nelle posizioni dirigenziali pubbliche e sottorappresentate nelle principali istituzioni politiche, nei tribunali e nelle università. L’alto tasso di violenza domestica rappresenta un grave problema sociale.
La Polonia è l’ottava economia dell’Eu. Il pil pro capite, pur rimanendo ancora piuttosto basso, è aumentato negli ultimi anni fino a raggiungere i 26.000 dollari. Con la transizione all’economia di mercato negli anni Novanta i servizi hanno registrato il maggior sviluppo e contribuiscono oggi al 63,5% del pil. L’agricoltura, che conta per il 3,3% del pil, è ancora un settore di rilievo, poiché impiega circa il 12,6% della popolazione attiva. Proprio il settore primario ha potuto ampiamente beneficiare di fondi ricevuti nell’ambito della politica agricola comune dell’Eu. L’industria ha visto diminuire il proprio peso sull’economia del paese fin dalla metà degli anni ’90: contribuisce oggi per il 33,2% del pil e produce prevalentemente autoveicoli, macchinari e prodotti alimentari. Le regioni occidentali del paese sono più ricche e hanno attratto più investimenti – le prime quattro regioni più produttive della Polonia, sulle sedici totali, contribuiscono insieme a circa la metà dell’intero pil nazionale.
Dall’inizio del Ventunesimo secolo la Polonia ha registrato una crescita sostenuta: persino nel 2009, anno di crisi per la maggior parte delle economie europee, il pil polacco è cresciuto del 2,6%. Tra i fattori che hanno permesso tale risultato vi è la riduzione del deficit della bilancia commerciale, grazie alla diminuzione delle importazioni e a nuovi investimenti nel settore delle esportazioni. Per il 2015 la crescita si è attestata al 3,5%, un ottimo risultato nel contesto delle economie europee.
Elemento di rischio per l’economia del paese, rimane invece il deficit di bilancio, che resta ancora elevato (3,2% sul pil nel 2014). Il paese continua ad essere al di sopra dei parametri di Maastricht, necessari per un eventuale accesso alla zona euro.
Per ridurre il deficit di bilancio, sostenere lo sviluppo e diminuire le disparità socioeconomiche tra ovest ed est del paese, il governo ha studiato un pacchetto di misure utili, da un lato, a favorire la solvibilità del credito, dall’altro a garantire crescita e attrazione degli investimenti esteri: un nuovo piano di rilancio degli investimenti (prevalentemente nel settore infrastrutturale), l’annullamento di alcune agevolazioni fiscali, l’introduzione di imposte per settori specifici (per esempio le accise sui carburanti e sul tabacco), alcune modifiche sulle aliquote di imposta Iva e l’avvio di riforme strutturali (pensioni e privatizzazioni di aziende statali, in primis).
Per quanto concerne il commercio internazionale, la Polonia esporta tradizionalmente materiali grezzi e prodotti semilavorati. Recentemente, le esportazioni si sono estese a macchinari, prodotti alimentari, tessili e d’arredamento. Principale partner commerciale è la Germania, seguita da Italia e Francia. L’Eu nel suo complesso è il principale partner commerciale già dagli anni Novanta, anche se la Russia è ancora un grande fornitore di energia e gli scambi commerciali con la Cina sono in costante aumento.
La Polonia è un’importante produttrice di carbone (che fornisce il 52,4% dell’energia consumata dal paese). Produce anche piccole quantità di gas e petrolio. Varsavia ha inoltre iniziato a portare avanti un piano di sviluppo di estrazione di shale gas, di cui dispone in grandi riserve (fra le maggiori in Europa). Tuttavia, le nuove restrittive norme a livello europeo in materia di fracking potrebbero ridimensionare le possibilità di esplorazione dei giacimenti di idrocarburi non convenzionali.
Il petrolio è attualmente importato prevalentemente dalla Russia tramite l’oleodotto Druzhba, ‘amicizia’, (tra gli anni Sessanta e la fine degli Ottanta il gasdotto collegava infatti l’Unione Sovietica ai paesi europei del Patto di Varsavia) e che transita attraverso la Bielorussia. Con l’obiettivo di diversificare i propri partner energetici la Polonia sostiene assieme ad altri paesi europei (Austria, Slovacchia e Ungheria) l’estensione dell’oleodotto Odessa-Brody. Le emissioni di anidride carbonica e di gas serra sono state fortemente ridimensionate dal declino dell’industria pesante nonché dall’introduzione di una più solida legislazione ambientale. Tuttavia, Varsavia è al quinto posto nell’Eu per emissioni di CO2.
Nonostante la Polonia abbia espresso la volontà di ridurre la quota di carbone nell’energia consumata, questo resta l’unica alternativa al gas e al petrolio russi e contribuisce per oltre il 90% alla produzione di elettricità. Il paese ha espresso forti dubbi sugli obiettivi ambientali della strategia ‘Europa 2020’, che prevedono di ridurre entro quella data le emissioni di CO2 del 20% e di ottenere il 20% di energia tramite fonti rinnovabili. Varsavia rivendica la necessità di poter disporre di tempi maggiori: nel caso polacco il raggiungimento degli obiettivi nei tempi prefissati potrebbe comportare prezzi troppo elevati per l’energia elettrica, e quindi per lo sviluppo economico, o aumentare eccessivamente la dipendenza energetica da Mosca.
Storicamente, Varsavia ha da sempre convissuto con le mire espansionistiche dei suoi vicini e con l’accerchiamento di potenze ostili: per questo, la sicurezza dei confini figura ancora oggi in prima linea tra gli interessi vitali di politica estera del paese. Attualmente, i rapporti transatlantici con gli Usa rappresentano la prima garanzia per la sicurezza e l’ingresso nella Nato nel 1999 è stato strumentale a garantirsi la protezione statunitense nel quadro della difesa transatlantica comune. Sebbene l’ex presidente statunitense George W. Bush avesse avviato un progetto per l’installazione di sistemi anti-missilistici sul territorio polacco – progetto che incontrava il favore di Varsavia – l’attuale amministrazione Obama ha cancellato la proposta, permettendo alla Polonia di avviare la distensione dei rapporti con la Russia.
Una brusca frenata al processo di riavvicinamento a Mosca è però arrivata in occasione della crisi che ha interessato l’Ucraina all’inizio del 2014. La controversia circa la firma o meno dell’Accordo di associazione con l’Unione Europea da parte di Kiev; la seguente risposta russa a favore dell’allora governo di Janukovyč; l’annessione della Crimea da parte di Mosca e il persistere di uno stato di conflitto nelle zone orientali dell’Ucraina hanno destato crescente preoccupazione da parte della Polonia. Quest’ultima, del resto, aveva prontamente appoggiato le proteste filo-europee e anti-russe nelle piazze di Kiev, tentando di volgere la situazione contro Mosca. La politica polacca nei confronti della Russia si è fatta dunque più assertiva e Varsavia ha guidato fin dalla prima ora il fronte dei ‘falchi’ all’interno dell’Eu per inasprire l’atteggiamento da tenere nei confronti di Mosca. La Germania, seguita da tutti i paesi Eu, dopo le divisioni e i tentennamenti iniziali, si è di fatto allineata alla posizione polacca. A seguito della crisi recente, la Polonia è stata uno dei membri più attivi nel richiedere un ridispiegamento di truppe dell’alleanza atlantica nell’Europa dell’est, così come l’istituzione di una forza d’interposizione rapida – istituita nell’autunno 2014 – in cui figura tra i principali contributori. Il congelamento del progetto dello scudo anti-missile non ha del resto destato preoccupazione o risentimenti nei confronti di Washington e la Polonia ha dimostrato di voler mantenere gli stretti legami con gli Stati Uniti.
Il governo Tusk, responsabile della decisione di ritirare il contingente polacco dall’Iraq nel 2008 (nonostante l’opposizione dell’allora presidente Kaczyński), aveva incrementato il contingente schierato in Afghanistan, rispondendo positivamente all’appello con cui Barack Obama chiedeva un maggiore sforzo da parte di tutti i partecipanti alla missione Isaf della Nato. Il governo polacco ha scelto di concentrarsi maggiormente sulle missioni militari in ambito Eu e Nato, ritirando i propri contingenti da tutte le missioni delle Nazioni Unite, come quelle in Libano, in Ciad e sulle alture del Golan. In tal modo la Polonia ha potenziato la cooperazione in ambito europeo e transatlantico, ma a discapito del suo impegno sul fronte del peacekeeping internazionale. Attualmente la Polonia è impegnata nella missione Resolute Support in Afghanistan con 200 soldati, in Kosovo con Kfor, dove ha dispiegato 246 militari, nonché con contingenti minori nelle missioni Eufor in Repubblica centrafricana e in Bosnia Erzegovina, e con Eutm in Mali.
Il Gruppo di Visegrád è stato costituito nel 1991 da Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, tre paesi dell’Europa centro-orientale che condividevano comuni radici culturali e un recente passato di soggezione all’influenza sovietica. Nel 1993, alla Cecoslovacchia sono subentrati i due stati in cui si è suddivisa: la Repubblica Ceca e la Slovacchia. La costituzione del gruppo tendeva a superare le reciproche diffidenze e instaurare una stretta cooperazione politico-economica, volta a facilitare la transizione verso il libero mercato e la democrazia e ad accelerarne il processo di integrazione europea. Nei primi anni Novanta, il Gruppo ha avuto un ruolo di rilievo nello sviluppo dei negoziati con l’Eu e la Nato. In seguito, però, la cooperazione ha subito un rallentamento, anche per l’ammissione nell’Eu di tutti e quattro i paesi, nel 2004. Recentemente la Polonia ha ripreso a promuovere la cooperazione nell’ambito del gruppo, proponendo una sorta di ‘cooperazione rafforzata’ nell’ambito della comune appartenenza all’Eu. Allo stato attuale i membri di Visegrád possono disporre di 58 voti al Consiglio dell’Unione Europea. Nel 2011 la presidenza semestrale del Consiglio è stata prima ungherese e poi polacca. Le priorità, come indicate anche nella Dichiarazione di Bratislava del febbraio 2011, sono la competitività economica, l’attrazione di investimenti, la sicurezza energetica, la politica di vicinato con i paesi dell’Europa dell’est e dei Balcani, i rapporti euro-atlantici e il legame con la Nato. Nell’ottobre 2012, sotto la presidenza polacca, si è svolta una riunione fra i ministri degli esteri del gruppo con gli omologhi dei Balcani occidentali per accelerare l’adesione dei paesi balcanici all’Eu. Nell’aprile dello stesso anno il Gruppo di Visegrád ha emesso una dichiarazione (‘Responsibility for a Strong Nato’) in cui i quattro paesi partecipanti ribadiscono la loro disponibilità a contribuire ai compiti chiave dell’alleanza, ossia difesa collettiva, crisis management e sicurezza cooperativa.
La religione è un elemento fondamentale dell’identità polacca. La Polonia è un paese prevalentemente cattolico e ciò lo differenzia dai vicini tedeschi, in gran parte protestanti, e dai russi, ortodossi. La Chiesa cattolica, ben ramificata su tutto il territorio con una fitta rete di parrocchie, rappresenta non soltanto un punto di riferimento religioso, ma anche culturale e sociale. Quest’ultimo aspetto è emerso durante gli anni della Guerra fredda e del regime comunista, in particolare dopo l’elezione a pontefice del cardinale polacco Karol Wojtyła, nel 1978. Da quel momento il ruolo della Chiesa come elemento aggregante della protesta anti-comunista si è andato sempre più intensificando, anche grazie al sostegno offerto al movimento Solidarność. Ancora oggi le parrocchie fungono da perno della vita sociale e garantiscono servizi di assistenza alla popolazione in ambito sociale, sanitario ed educativo. La Chiesa svolge un ruolo attivo anche in politica, e la società civile polacca risulta spesso divisa sulla sua ingerenza nella vita pubblica. La polemica sull’influenza della Chiesa si riflette anche in ambito legislativo: Varsavia, per esempio, dispone di una delle leggi più restrittive sull’aborto in Europa. Nel 2009, inoltre, la Polonia ha ratificato il Trattato di Lisbona con una clausola di esenzione (opting out) nei confronti della Carta sui diritti fondamentali dell’Unione Europea, in quanto il Pis temeva che il paese potesse perdere la propria sovranità su alcune materie come aborto, matrimoni tra persone dello stesso sesso ed eutanasia.
Oltre a essere un forte consumatore del gas e del petrolio russi, la Polonia è anche un paese di transito di entrambe le risorse energetiche, che, in gran parte, sono dirette verso l’Europa occidentale attraverso il gasdotto Yamal Europa e l’oleodotto Druzhba. La Russia, tuttavia, ha interesse a diversificare le rotte energetiche verso l’Europa occidentale al fine di evitare il transito da Ucraina, Bielorussia e Polonia, paesi che a oggi beneficiano di prezzi del gas scontati proprio in virtù dei diritti di transito. Per questo la Russia ha così fortemente sostenuto il progetto di gasdotto sottomarino Nord Stream, che collega dal 2011 direttamente Russia e Germania (anche quest’ultima forte consumatrice del gas russo) passando dal Mar Baltico.
L’escalation della crisi in Ucraina, e il conseguente taglio alle forniture di gas come strumento di ritorsione economica, aveva portato la Polonia e altre nazioni di transito chiave (Ungheria e Slovacchia) ad invertire i flussi verso Kiev, che si trovava in una situazione critica, visto il basso livello di riserve di gas. Tuttavia, nel settembre 2014, Mosca, attraverso la compagnia Gazprom, aveva interrotto per alcuni giorni le forniture di gas anche verso i paesi di transito, che si rifornivano principalmente dal gasdotto bielorusso Yamal. La momentanea interruzione – seppur smentita ufficialmente dalla compagnia controllata dal Cremlino - è stata interpretata come un segnale d’avvertimento, e ha portato Polonia, Ungheria e Slovacchia a interrompere il reverse flow verso l’Ucraina.
La Polonia è stata il primo paese a produrre gas di scisto in Europa. Nell’estate 2013 il pozzo di Lebrok a Łebien, nei pressi di Danzica, ha iniziato a produrre giornalmente 8000 metri cubi di gas di scisto come test delle risorse. Secondo i rilevamenti dell’Istituto geologico polacco (Pig) e dell’Agenzia per l’informazione sull’energia (Eia), le riserve di gas di scisto del paese ammonterebbero a 768 miliardi di metri cubi, più della Francia che, fra l’altro, ne ha recentemente bandito l’attività estrattiva. Il governo di Varsavia ha concesso i permessi di esplorazione a una decina di compagnie petrolifere straniere – principalmente statunitensi –, che hanno agito in joint-venture con il gruppo nazionale Pgnig. Tuttavia le difficoltà tecniche, i costi eccessivi e le leggi restrittive in ambito europeo hanno portato molte compagnie ad abbandonare le esplorazioni di nuovi pozzi. A livello mondiale, finora, solo due nazioni hanno infatti le conoscenze tecnologiche in grado di estrarre ricchezza dalle rocce scistose: Usa e Canada. Altri paesi europei stanno esplorando il sottosuolo per valutarne le riserve: tra questi, il Regno Unito, la Danimarca e la Norvegia.
Il 2015 ha visto un netto ritorno della destra nella politica nazionale polacca. A maggio il presidente uscente Bronisław Komorowski, appartenente alla Piattaforma civica (Platforma Obywatelska, Po), è stato sconfitto alle elezioni presidenziali dallo sfidante Andrzej Duda, rappresentante del partito Libertà e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość – Pis). La vittoria di Duda ha rinfrescato il profilo del partito che nell’ottobre 2015 ha ottenuto un altro importante successo alle elezioni parlamentari, conquistando il 37,5% delle preferenze rispetto al 24% del partito rivale Po. L’esperienza della coabitazione tra il governo di Ewa Kopacz e la presidenza Duda è stata quindi molto breve e da novembre 2015 il nuovo primo ministro polacco è Beata Szydło, del Pis. Si tratta di un’inversione di tendenza radicale rispetto al governo degli ultimi anni, dettata in parte anche dalla reazione alla persistente crisi ucraina e ai crescenti timori relativi all’immigrazione. Se infatti sia il Po che il Pis afferiscono all’area di centrodestra, quest’ultimo presenta in maniera più marcata tratti anti-europeisti e nazionalisti; ugualmente la linea del partito verso Mosca è stata tradizionalmente più rigida. Una particolarità da segnalare rispetto alle ultime elezioni è l’ascesa del neonato partito Kukiz’15, fondato da Paweł Kukiz, cantante e musicista punk della scena della destra estrema polacca. Kukiz’15 si è affermato come terzo partito del paese, conquistando l’8,8% delle preferenze, facendo breccia soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione.