Vedi Polonia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Nella sua storia plurisecolare, la Polonia è stata al centro delle dinamiche geopolitiche e delle contese dei grandi imperi europei. Strategicamente collocato nel cuore del vecchio continente, nel Diciottesimo secolo il territorio polacco fu oggetto di successive partizioni da parte dei tre grandi imperi confinanti, prussiano, austriaco e russo, che nel 1795 portarono allo smembramento dello stato polacco preesistente. La Polonia riemerse come entità statuale autonoma nel 1918, all’indomani della Prima guerra mondiale, quando di fatto divenne uno stato cuscinetto, collocato strategicamente tra Germania e Russia. Nel settembre del 1939 è proprio l’invasione della Polonia a opera della Germania nazista l’atto scatenante la Seconda guerra mondiale, al termine della quale il territorio polacco – dopo aver subito una nuova spartizione tra Berlino e Mosca – assunse i confini odierni. Durante il periodo della Guerra fredda il paese fu governato da un regime di ispirazione socialista e vicino all’URSS, alla pari degli altri paesi dell’Europa centro-orientale. Negli anni Ottanta fu principalmente dalla Polonia che partì un’ondata di manifestazioni per le riforme che portarono, nel decennio successivo, all’implosione del blocco socialista, e quindi allo smantellamento della stessa Unione Sovietica. Al centro di questo grande movimento popolare ci fu il sindacato Solidarność, che riuscì a mobilitare la società civile sotto la guida di Lech Wałęsa. Nel 1990 Wałęsa divenne poi il primo presidente della Polonia post-comunista. Nel corso degli anni Novanta Varsavia si è impegnata in un profondo processo di riforme politico-economiche: il riconoscimento di questo percorso si è concretizzato nell’ammissione della Polonia alla Nato nel 1999), quindi all’Unione Europea (Eu) nel 2004. La Polonia, storicamente minacciata ad ovest dalla Germania e ad est dalla Russia, ha dunque cessato di considerare Berlino e Mosca come avversari, avviando un processo di normalizzazione che ha tuttavia conosciuto esiti non del tutto coincidenti. La Germania unita è ormai il primo partner commerciale di Varsavia e le relazioni bilaterali sono eccellenti: i due paesi mirano ad un partenariato forte in grado di determinare le politiche europee lungo linee condivise di politica economica e di sicurezza. Più complessi invece i rapporti con Mosca. Superata la fase di confronto sterile sperimentato sotto l’esecutivo conservatore di Diritto e giustizia (Prawo i Sprawiedliwość – Pis), il governo Tusk prima e quello Kopacz dopo hanno ricercato maggiormente il dialogo, senza mai superare però alcune diffidenze di fondo. La crisi ucraina e il revanscismo imperiale russo promosso da Vladimir Putin nel 2014 hanno nuovamente peggiorato le relazioni col Cremlino, risvegliando mai sopite preoccupazioni polacche. I due paesi rimangono divisi da un passato ingombrante, così come da un presente che non può ignorare posizioni e interessi discordanti – se non apertamente contrastanti. Assieme alla Svezia, la Polonia ha promosso in ambito Eu il cosiddetto Partenariato orientale, un accordo di associazione stretto tra l’Eu e Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldavia, Bielorussia e Ucraina. Le politiche comunitarie di vicinato nei confronti dell’Europa orientale e il tema dei corridoi energetici, entrambe priorità strategiche per la Polonia, sono altrettanti terreni di scontro con Mosca. Non a caso è soprattutto in chiave anti-russa che Varsavia ha coltivato, dopo il 1991, relazioni stabili e profonde con gli Usa, sia a livello bilaterale, sia nell’ambito della struttura transatlantica della Nato, che si stanno facendo nuovamente più strette nell’ottica del deterioramento dei rapporti con Mosca. La Polonia è inoltre tra i promotori, assieme a Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria, del Gruppo di Visegrád (anche detto V4), un’alleanza regionale volta a favorire una più stretta cooperazione tra i suoi membri. Priorità dell’azione diplomatica polacca è il tentativo di rinvigorire il cosiddetto Triangolo di Weimar, un accordo tra Polonia, Francia e Germania finalizzato a incrementare l’interdipendenza politica ed economica. Concluso già nel 1991, era stato congelato durante gli anni della presidenza di Lech Kaczyński.
La Polonia è una repubblica parlamentare con un sistema legislativo bicamerale, composto dalla Camera bassa, il Sejm (460 seggi), e dal Senato (100 seggi). La legislatura ha una durata di quattro anni e l’accesso al parlamento è limitato da una soglia di sbarramento equivalente al 5% dei voti per i partiti e all’8% per le coalizioni. Sebbene i suoi compiti siano essenzialmente cerimoniali, il presidente della repubblica è eletto direttamente dal popolo per un mandato quinquennale. L’ultima elezione presidenziale risale al luglio 2010, indetta anticipatamente a seguito della scomparsa dell’ex presidente, Lech Kaczyński, in un incidente aereo nei pressi di Smolensk, in Russia. L’elezione alla presidenza di Bronisław Komorowski, appartenente al partito di governo della Piattaforma civica (Platforma Obywatelska, Po), contro il fratello dell’ex presidente, Jaroslaw Kaczyński del partito Pis, ha rappresentato la conferma del cambiamento degli equilibri politici nazionali. Nonostante sia il Po che il Pis afferiscano all’area di centrodestra, gli anni di governo di quest’ultimo (2005-07) sono stati caratterizzati da un forte anti-europeismo e dal ritorno a una politica nazionalista. All’opposto, la nomina a primo ministro di Donald Tusk del Po, a seguito delle elezioni parlamentari del 2007, i cui risultati sono stati confermati da quelle dell’ottobre del 2011, ha modificato le direttrici della politica estera polacca, rilanciando i rapporti con l’Ue. Per quanto riguarda il governo, Janusz Piechociński, ministro dell’economia e Tomasz Siemoniak, ministro della difesa sono i due vice primo ministro. Nel settembre 2014, Tusk è stato chiamato a sostituire Herman Van Rompuy come presidente del Consiglio d’Europa, sostituito nella carica di primo ministro da Ewa Kopacz, il presidente della Camera uscente. Rafforzato da un risultato moderatamente positivo alle elezioni europee del maggio 2014 – nelle quali il Po si è confermato primo partito con il 32,2% – il nuovo premier ha dunque il compito di transitare il paese attraverso le prossime elezioni presidenziali, previste per la metà del 2015, dove però il Pis si presenta come favorito.
La Polonia è lo stato più popoloso tra i paesi dell’Europa orientale che fanno parte dell’Eu. Tuttavia la popolazione è in calo e si stima che, dagli attuali 38,5 milioni di abitanti, il paese scenderà a 36,8 milioni nel 2030. Il tasso di crescita – negativo dal 1995 – appare destinato a rafforzarsi a causa del basso tasso di fecondità (1,3 figli per donna). Al contempo numerosi polacchi si sono trasferiti in altri paesi europei, soprattutto dal 2004, anno di ingresso nell’Eu. La popolazione polacca è piuttosto omogenea, benché vi siano esigue minoranze tedesche, ucraine, bielorusse e rom. Nonostante le minoranze siano tutelate dalla legge e sostenute finanziariamente, la minoranza rom è vittima di discriminazioni, tanto che nel 2010 la commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro la Polonia per la mancata attuazione di alcune disposizioni di tutela. La maggioranza della popolazione è cattolica (94%). Esistono alcune minoranze di cristiani ortodossi, testimoni di Geova, luterani ed ebrei. La tradizione cattolica è una componente centrale nella società polacca. Il sistema educativo é solido: già durante l’epoca sovietica l’istruzione era una priorità e il tasso di alfabetizzazione era elevato. Tuttavia, la formazione era incentrata attorno alle necessità di un’economia pianificata e non ai settori importanti per un’economia emergente, quali la finanza e l’information technology.
La Costituzione polacca garantisce la libertà di espressione e vieta la censura. I media polacchi sono numerosi (tra di essi si contano circa 300 testate giornalistiche), per la gran parte privati e di proprietà di stranieri. La televisione di stato domina il settore, ma la concorrenza di canali privati e stranieri è sempre più incalzante. La corruzione è diffusa e, spesso, impunita. Le donne, pur essendo impiegate in numerosi settori professionali, sono poco presenti e meno remunerate nelle posizioni dirigenziali pubbliche; inoltre sono sottorappresentate nelle principali istituzioni politiche, nei tribunali e nelle università. L’alto tasso di violenza domestica rappresenta un grave problema sociale.
Nel 2009 la Polonia è divenuta l’ottava economia dell’Eu in termini di pil. Il pil pro capite del paese rimane tuttavia piuttosto basso – poco oltre i 22.000 dollari – rispetto alla media europea di oltre 31.000. Con la transizione all’economia di mercato negli anni Novanta i servizi hanno registrato il maggior sviluppo e contribuiscono oggi al 64,8% del pil. L’agricoltura, che conta per il 3,5% del pil, è ancora un settore di rilievo, poiché impiega circa il 13% della popolazione attiva. Proprio il settore primario ha potuto beneficiare di più di 13 miliardi di euro, ricevuti nell’ambito della politica agricola comune dell’Eu. L’industria, che contava ancora per il 37,5% del pil nel 1996, contribuisce oggi per il 31,6% e produce prevalentemente autoveicoli, macchinari e prodotti alimentari. Le regioni occidentali del paese sono più ricche e hanno attratto più investimenti – le prime quattro regioni più produttive della Polonia, sulle sedici totali, contribuiscono insieme a circa la metà dell’intero pil nazionale.
Dall’inizio del Ventunesimo secolo la Polonia ha registrato una crescita sostenuta: persino nel 2009, anno di crisi per la massima parte delle economie europee, il pil polacco è cresciuto dell’1,6%. Tra i fattori che hanno permesso tale risultato vi è la riduzione del deficit della bilancia commerciale (-4,3 miliardi di dollari nel 2009), grazie alla diminuzione delle importazioni e a nuovi investimenti nel settore delle esportazioni. Nel corso del 2012, il pil è cresciuto dell’1,5% per merito di una forte domanda interna e delle esportazioni.
Nel 2013 la recessione protratta dell’area euro, unita alla diminuzione della domanda interna, hanno infine provocato una decelerazione della crescita economica polacca. Le cattive performance dell’economia nazionale hanno portato a un cambio al vertice al ministero delle finanze: Jacek Rostowski è stato sostituito da Mateusz Szczurek, un economista vicino all’ex premier Tusk. Coinvolti nel rimpasto di governo altri sette ministeri, tra cui Sławomir Nowak ai trasporti e Marcin Korolec all’ambiente, sostituiti rispettivamente con Elżbieta Bieńkowska e Maciej Grabowski. Un elemento di rischio per l’economia del paese, che pure non è mai caduta in recessione, è il deficit di bilancio, che resta ancora elevato (4% sul pil nel 2013). Il paese non riesce a ottemperare ai criteri di Maastricht che gli permetterebbero di accedere alla zona euro. Tale obiettivo, inizialmente previsto per il 2012 dal governo, non sembra destinato a realizzarsi prima del 2015.
Per ridurre il deficit di bilancio, sostenere lo sviluppo e diminuire le disparità socioeconomiche tra ovest ed est del paese, il governo ha studiato un pacchetto di misure utili, da un lato, a favorire la solvibilità del credito, dall’altro a garantire crescita e attrazione degli investimenti esteri: un nuovo piano di rilancio degli investimenti (prevalentemente nel settore infrastrutturale), l’annullamento di alcune agevolazioni fiscali, l’introduzione di imposte per settori specifici (per esempio le accise sui carburanti e sul tabacco), alcune modifiche sulle aliquote di imposta iva e l’avvio di riforme strutturali (pensioni e privatizzazioni di aziende statali, in primis).
Per quanto concerne il commercio internazionale, la Polonia esporta tradizionalmente materiali grezzi e prodotti semilavorati. Recentemente, le esportazioni si sono estese a macchinari, prodotti alimentari, tessili e d’arredamento. Principale partner commerciale è la Germania, seguita da Italia e Francia. L’Eu nel suo complesso è il principale partner commerciale già dagli anni Novanta, anche se la Russia è ancora un grande fornitore di energia e gli scambi commerciali con la Cina sono in costante aumento.
La Polonia è un’importante produttrice di carbone (che fornisce il 53,7% dell’energia consumata dal paese). Produce anche piccole quantità di gas e petrolio. Varsavia ha iniziato a portare avanti un piano di sviluppo di estrazione di shale gas, di cui dispone di grandi riserve, fra le maggiori in Europa. Tuttavia, le nuove norme eccessivamente restrittive a livello europeo in materia di fracking e l’eccessiva lentezza della burocrazia polacca potrebbero ridimensionare l’esplorazione dei giacimenti di idrocarburi non convenzionali.
Il petrolio è attualmente importato prevalentemente dalla Russia tramite l’oleodotto Druzhba (letteralmente ‘amicizia’, dal momento che tra gli anni Sessanta e la fine degli Ottanta il gasdotto collegava l’Unione Sovietica ai paesi europei del Patto di Varsavia), che transita attraverso la Bielorussia. In vista di una diversificazione dei partner petroliferi la Polonia, assieme ad altri paesi europei interessati al progetto (Austria, Slovacchia e Ungheria), sostiene la costruzione dell’oleodotto Odessa-Brody-Danzica. Il declino dell’industria pesante ha provocato una contrazione nelle emissioni di anidride carbonica e di gas serra, e lo stesso effetto è stato accelerato dall’introduzione di una più solida e ponderata legislazione ambientale. Tuttavia, Varsavia resta al sesto posto nell’Eu per emissioni di CO2.
La Polonia mira a ridurre la quota di carbone nell’energia consumata, ma quest’ultimo resta l’unica alternativa al gas e al petrolio russi e contribuisce alla produzione di circa il 94% dell’elettricità. Il paese ha espresso forti dubbi sugli obiettivi ambientali della strategia Europa 2020, che prevedono di ridurre entro quella data le emissioni di CO2 del 20% e di ottenere il 20% di energia tramite fonti rinnovabili. Varsavia rivendica la necessità di poter disporre di tempi maggiori: nel caso polacco il raggiungimento degli obiettivi nei tempi prefissati potrebbe comportare prezzi troppo elevati per l’energia elettrica, e quindi per lo sviluppo economico, o aumentare eccessivamente la dipendenza energetica da Mosca.
Storicamente, Varsavia ha sempre avvertito le minacce delle mire espansionistiche dei suoi vicini e l’accerchiamento di potenze ostili: per questo, il paese pone a tutt’oggi la sicurezza dei confini in prima linea tra gli interessi vitali di politica estera. Attualmente, i rapporti transatlantici con gli Usa rappresentano la prima garanzia per la sicurezza, e l’ingresso nella Nato nel 1991 è stato strumentale a garantirsi la protezione statunitense nel quadro della difesa transatlantica comune. Sebbene l’ex presidente statunitense George W. Bush avesse avviato un progetto per l’installazione di sistemi anti-missilistici sul territorio polacco – progetto che incontrava il favore di Varsavia – l’attuale amministrazione Obama aveva cancellato la proposta, permettendo alla Polonia di avviare la distensione dei rapporti con la Russia.
Una brusca frenata al processo di riavvicinamento a Mosca è però arrivata in occasione della crisi che ha interessato l’Ucraina all’inizio del 2014. La controversia circa la firma o meno dell’Accordo di associazione con l’Unione Europea da parte di Kiev e la seguente risposta russa a favore dell’allora governo di Janukovyč hanno destato crescente preoccupazioni da parte della Polonia. Quest’ultima, del resto, aveva prontamente appoggiato le proteste filo-europee e anti-russe nelle piazze di Kiev, tentando di volgere la situazione contro Mosca. Nel momento in cui il governo russo ha reagito alla deposizione di Janukovyč, con l’invio di proprie truppe direttamente in suolo ucraino, occupando e annettendo la Crimea, la politica polacca nei confronti della Russia si è fatta più assertiva. Varsavia ha guidato fin dalla prima ora il fronte dei ‘falchi’ all’interno dell’Eu per inasprire l’atteggiamento da tenere nei confronti di Mosca. La Germania, seguita da tutti i paesi Eu, dopo le divisioni e i tentennamenti iniziali, si è di fatto allineata alla posizione polacca, a fronte dell’escalation militare attuata dal Cremlino dell’Ucraina orientale. A seguito della crisi recente, la Polonia è stata uno dei membri più attivi nel richiedere un ridispiegamento di truppe dell’Alleanza Atlantica nell’Europa dell’est, così come l’istituzione di una forza d’interposizione rapida – istituita nell’autunno 2014 – di cui figura tra i principali contributori. Il congelamento del progetto dello scudo anti-missile non ha del resto destato preoccupazione o risentimenti nei confronti di Washington e la Polonia ha dimostrato di voler mantenere gli stretti legami con gli Stati Uniti, che si sono sviluppati nell’ultimo decennio.
Il governo Tusk, responsabile della decisione di ritirare il contingente polacco dall’Iraq nel 2008 (nonostante l’opposizione dell’allora presidente Kaczyński), aveva incrementato il contingente schierato in Afghanistan, rispondendo positivamente all’appello con cui Barack Obama chiedeva un maggiore sforzo da parte di tutti i partecipanti alla missione Isaf della Nato. Nel corso del 2014-15 anche la Polonia ritirerà le sue truppe dal paese (nel 2014 ammontavano a 304 unità). Inoltre, il governo polacco ha scelto di concentrarsi maggiormente sulle missioni militari in ambito Eu e Nato, ritirando i propri contingenti da tutte le missioni delle Nazioni Unite, come quelle in Libano, in Ciad e sulle alture del Golan. In tal modo la Polonia ha potenziato la cooperazione in ambito europeo e transatlantico, ma a discapito del suo impegno sul fronte del peacekeeping internazionale
Il Gruppo di Visegrád è stato costituito nel 1991 da Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, tre paesi dell’Europa centro-orientale che condividevano comuni radici culturali e un recente passato di soggezione all’influenza sovietica. Nel 1993, alla Cecoslovacchia sono subentrati i due stati in cui si è suddivisa, la Repubblica Ceca e la Slovacchia. La costituzione del gruppo tendeva a superare le reciproche diffidenze e instaurare una stretta cooperazione politico-economica, volta a facilitare la transizione verso il libero mercato e la democrazia e ad accelerarne il processo di integrazione europea. Nei primi anni Novanta il Gruppo ha avuto un ruolo di rilievo nello sviluppo dei negoziati con l’EU e la NATO. In seguito, però, la cooperazione ha subito un rallentamento, anche per l’ammissione nell’EU di tutti e quattro i paesi, nel 2004. Recentemente la Polonia ha ripreso a promuovere la cooperazione nell’ambito del gruppo, proponendo una sorta di ‘cooperazione rafforzata’ nell’ambito della comune appartenenza all’EU. Allo stato attuale i membri di Visegrád possono disporre di 58 voti al consiglio dell’Unione Europea. Nel 2011 la presidenza semestrale del consiglio è stata prima ungherese e poi polacca. Le priorità, come indicate anche nella Dichiarazione di Bratislava del febbraio 2011, sono la competitività economica, l’attrazione di investimenti, la sicurezza energetica, la politica di vicinato con i paesi dell’Europa dell’est e dei Balcani, i rapporti euro-atlantici e il legame con la NATO. Nell’ottobre 2012, sotto la presidenza polacca, si è svolta una riunione fra i ministri degli esteri del gruppo con gli omologhi dei Balcani occidentali per accelerare l’adesione dei paesi balcanici all’EU. Nell’aprile dello stesso anno il Gruppo di Visegrád ha emesso una dichiarazione (‘Responsibility for a Strong NATO’) in cui i quattro paesi partecipanti ribadiscono la loro disponibilità a contribuire ai tre compiti chiave dell’Alleanza, ossia difesa collettiva, crisis management e sicurezza cooperativa.
La religione è un elemento fondamentale dell’identità polacca. La Polonia è un paese prevalentemente cattolico e ciò lo differenzia dai vicini tedeschi, in gran parte protestanti, e dai russi, ortodossi. La Chiesa cattolica, ben ramificata su tutto il territorio con una fitta rete di parrocchie, rappresenta non soltanto un punto di riferimento religioso, ma anche culturale e sociale. Quest’ultimo aspetto è emerso durante gli anni della Guerra fredda e del regime comunista, in particolare dopo l’elezione a pontefice del cardinale polacco Karol Wojtyła, nel 1978. Da quel momento il ruolo della Chiesa come elemento aggregante della protesta anti-comunista si è andato sempre più intensificando, anche grazie al sostegno offerto al movimento Solidarność. Ancora oggi le parrocchie fungono da perno della vita sociale e garantiscono servizi di assistenza alla popolazione in ambito sociale, sanitario ed educativo. La Chiesa svolge un ruolo attivo anche in politica, e la società civile polacca risulta spesso divisa sulla sua ingerenza nella vita pubblica. La polemica sull’influenza della Chiesa si riflette anche in ambito legislativo: Varsavia, per esempio, dispone di una delle leggi più restrittive sull’aborto in Europa. Nel 2009, inoltre, la Polonia ha ratificato il Trattato di Lisbona con una clausola di esenzione (opting out) nei confronti della Carta sui diritti fondamentali dell’Unione Europea in quanto il Pis temeva che il paese potesse perdere la propria sovranità su alcune materie come aborto, matrimoni tra persone dello stesso sesso ed eutanasia.
La Polonia sarà il primo paese a produrre gas di scisto in Europa. Dall’estate 2013 il pozzo di Lebrok a Łebien, nei pressi di Danzica, ha iniziato a produrre giornalmente 8000 metri cubi di gas di scisto. Secondo i rilevamenti dell’Istituto geologico polacco (Pig) e dell’Agenzia per l’informazione sull’energia (Eia), le riserve di gas di scisto del paese ammonterebbero a 768 miliardi di metri cubi, più della Francia che, fra l’altro, ne ha recentemente bandito l’attività estrattiva. Il governo di Varsavia ha concesso i permessi di esplorazione a una decina di compagnie petrolifere straniere – principalmente statunitensi –, che agiscono in joint-venture con il gruppo nazionale Pgnig. Questa situazione permetterebbe al paese di ridurre la dipendenza dalla Russia e, allo stesso tempo, produrrebbe ricadute positive sull’economia polacca, che sarà in grado di creare almeno 100.000 posti di lavoro. Inoltre diminuirebbe il ricorso al carbone, molto più inquinante, che copre gran parte della produzione di energia elettrica. A livello mondiale, finora, solo due nazioni hanno le conoscenze tecnologiche in grado di estrarre ricchezza dalle rocce scistose: Usa e Canada. Altri paesi europei stanno esplorando il sottosuolo per valutarne le riserve: tra questi, il Regno Unito, la Danimarca e la Norvegia
Oltre a essere un forte consumatore del gas e del petrolio russi, la Polonia è anche un paese di transito di entrambe le risorse energetiche, che, in gran parte, sono dirette verso l’Europa occidentale attraverso il gasdotto Yamal Europa e l’oleodotto Druzhba. La Russia, tuttavia, ha interesse a diversificare le rotte energetiche verso l’Europa occidentale al fine di evitare il transito da Ucraina, Bielorussia e Polonia, paesi che a oggi beneficiano di prezzi del gas scontati proprio in virtù dei diritti di transito. Per questo la Russia ha così fortemente sostenuto il progetto di gasdotto sottomarino Nord Stream, che collega dal 2011 direttamente Russia e Germania (anche quest’ultima forte consumatrice del gas russo) passando dal Mar Baltico. Allo stesso tempo, nel novembre 2010 Russia e Polonia hanno firmato un nuovo contratto per la fornitura e il transito di gas russo, che dovrebbe aumentare la fornitura di metano a Varsavia di circa 11 miliardi di metri cubi tra il 2012 e il 2022. Nel 2012 Gazprom ha ridotto il prezzo per le forniture di gas di circa il 15%, e ciò dovrebbe far risparmiare alla Polonia circa 1 miliardo di dollari all’anno.
L’escalation della crisi in Ucraina, e il consguente taglio alle forniture di gas come strumento di ritorsione economica, aveva portato la Polonia e altre nazioni di transito chiave (Ungheria e Slovacchia) ad invertire i flussi verso Kiev, che si trovava in una situazione critica visto il basso livello di riserve di gas. Tuttavia, nel settembre 2014, Mosca, attraverso la compagnia Gazprom, aveva interrotto per alcuni giorni le forniture di gas anche verso i paesi di transito, che si rifornivano principalmente dal gasdotto bielorusso Yamal. La momentanea interruzione – seppur smentita ufficialmente dalla compagnia controllata dal Cremlino - è stata interpretata come un segnale d’avvertimento, e ha portato Polonia, Ungheria e Slovacchia a interrompere il reverse flow verso l’Ucraina.