Pompei ed Ercolano
Due città sepolte dalla lava
Pompei ed Ercolano erano due città di medie dimensioni situate poco a sud di Napoli, nelle immediate vicinanze della linea di costa dell’epoca, considerevolmente più arretrata rispetto all’attuale. I due insediamenti, posti sul Golfo di Napoli, erano sovrastati dal cono del vulcano Vesuvio, che con la sua mole domina tutto il Golfo. Il 24 agosto del 79 d.C. il Vesuvio eruttò e le due città furono travolte dalla lava, dal fumo e dalle ceneri che uccisero tutti gli abitanti. Nel corso del 18° secolo gli scavi hanno riportato alla luce i resti delle due città, siti archeologici tra i più importanti al mondo
Da quando la Campania era entrata nell’orbita politica di Roma, a partire cioè dai secoli 4°-3° a.C., la bellezza del Golfo di Napoli aveva fatto sì che sulle sue coste venissero costruite le splendide ville dei ricchi senatori romani. L’immediato entroterra, poi, con il fertilissimo suolo derivato dalla decomposizione del materiale lavico, costituiva uno dei distretti agricoli più celebri di tutto il mondo antico.
Tuttavia il Vesuvio, che così tanto aveva contribuito a rendere unico quel Golfo e fertile quella terra, a un certo momento spazzò via quel meraviglioso e irripetibile mondo. Nel pomeriggio del 24 agosto del 79 d.C., all’improvviso, si avvertì una violenta oscillazione del suolo, mentre dalla cima del Vesuvio si innalzò una fitta colonna di fumo, lava e detriti, che assunse nel cielo la strana forma di un pino. Alcuni giorni prima dell’eruzione vera e propria vi erano stati segnali che qualcosa di strano stava avvenendo nelle viscere della Terra: per esempio, tutti i pozzi d’acqua della città di Pompei improvvisamente si seccarono. Tuttavia, non si avevano le conoscenze scientifiche per comprendere la gravità di quel segnale che aveva inviato la natura.
I molti dettagli che abbiamo oggi di quella immane catastrofe ci sono forniti da un testimone oculare di eccellenza, Plinio il Giovane. Rampollo di una potente famiglia senatoria, divenuto celebre per averci tramandato un’importantissima raccolta di lettere, Plinio il Giovane era in quel momento a Miseno, all’estremità settentrionale del Golfo di Napoli: aveva seguito suo zio, Plinio il Vecchio, anche lui grande letterato e autore di una grandiosa Storia naturale, il quale era allora comandante della flotta di stanza in quella località. Plinio il Vecchio morì eroicamente cercando di portare soccorso con la flotta agli infelici sfollati a causa dell’eruzione.
Alcuni anni dopo la tragedia, il grande storico Tacito chiese a Plinio il Giovane di raccontargli come era morto il suo celebre zio, affinché egli potesse riferirne nelle sue Storie. Questa parte dell’opera di Tacito non ci è pervenuta, ma possediamo il resoconto – vivace e drammatico – che di quegli eventi ci ha lasciato Plinio il Giovane. Tale racconto ha consentito, sulla base delle nostre conoscenze scientifiche e dei resti archeologici, di ricostruire nel dettaglio gli avvenimenti di quel terribile 24 agosto del 79 d.C.
Quel fumo che si vide da molto lontano era in realtà una micidiale miscela di anidride carbonica, zolfo, ceneri, lava che – spinti in alto dalla spaventosa energia sprigionata dal vulcano – dapprima si innalzarono nel cielo, quindi ricaddero velocemente sulla Terra. Evidentemente in quel momento spirava una leggera brezza di terra, perché vennero investite in particolare le località di Ercolano e Pompei, sulla costa, e, secondo la testimonianza di Plinio il Giovane, di Stabia, posta subito a sud di Pompei e anch’essa sulla costa. Le tre località vennero però colpite in maniera diversa. Probabilmente a Ercolano e a Stabia le ceneri laviche vennero precedute da una nube tossica che uccise gli abitanti, cogliendoli di sorpresa. In particolare a Ercolano sono stati ritrovati molti scheletri di persone che cercavano disperatamente di mettersi in salvo su quella che allora era la spiaggia. A Ercolano poi si accumulò uno spesso strato di ceneri vulcaniche che avrebbe fissato per secoli lo scenario di quella terribile giornata. Il giorno dopo, passata la nube tossica, furono rinvenuti molti corpi e tra questi quello di Plinio il Vecchio: «Il suo corpo fu trovato intatto, illeso, e vestito con gli abiti che aveva quando partì; il suo aspetto era più simile a quello di un uomo addormentato, che a quello di un morto», scrive il nipote.
A Pompei le cose andarono diversamente: il vento sospinse in pochissimi secondi una palla infuocata di ceneri incandescenti che istantaneamente ricoprì tutto, anche gli infelici abitanti di quella città, i cui corpi vennero sepolti nelle pose e negli atteggiamenti che avevano nel momento in cui vennero raggiunti dalle ceneri. Col passare dei secoli, poi, i resti umani sparirono, lasciando nelle ceneri ormai pietrificate l’immagine in negativo dei corpi. Facendo colare del gesso nelle cavità si sono potuti così recuperare dei calchi umani che hanno quasi l’aspetto di statue, fissate nei movimenti che le vittime dell’eruzione stavano compiendo.
La riscoperta di Pompei avvenne nel 1599, ma si dovette aspettare la metà del 18° secolo perché iniziassero serie indagini archeologiche sia a Ercolano (1738) sia a Pompei (1748). Da allora gli scavi si sono succeduti senza sosta facendo di questi centri due dei siti archeologici più importanti al mondo. La tragica e improvvisa fine di queste due città ha fatto sì che un numero eccezionalmente alto di edifici si sia conservato in uno stato che non ha eguali. Inoltre l’eruzione vulcanica ha impedito che il loro tessuto urbanistico venisse modificato e stravolto nei secoli successivi.
La pianta di Pompei, che si conosce oramai integralmente, può essere considerata tipica di una città romana di età imperiale: il suo tracciato non è regolare, a causa della conformazione accidentata del terreno, ma all’interno della zona urbana il tessuto stradale è regolare, e ruota su due strade principali – il cardine e il decumano – che si intrecciano ortogonalmente con altre strade creando degli isolati che i latini chiamavano insulae. Lo scavo di Ercolano e Pompei ha consentito il recupero di edifici la cui tipologia è poco documentata – perché poco riconoscibile – altrove. Se infatti è relativamente facile riconoscere una grande villa patrizia, è spesso assolutamente impossibile cogliere nel dettaglio l’uso di edifici e locali produttivi privi di elementi che li rendano chiaramente identificabili. Sia a Ercolano sia a Pompei, invece, si sono spesso reperite insegne di negozi e indicazioni di uso di vari edifici. La conservazione di una quantità vastissima di suppellettili, ma soprattutto di pitture parietali e di affreschi, ha consentito una conoscenza altrimenti impensabile di numerosi dettagli della vita di ogni giorno di una città romana, nonché della pittura romana.
Lo studio degli affreschi rinvenuti all’interno di tanti edifici di Pompei ha portato all’identificazione di un certo numero di stili pittorici, chiamati appunto pompeiani, centrali nello studio della storia dell’arte antica. Le pitture pompeiane sono per lo più caratterizzate da un ornato molto ricco e vi sono rappresentate scene di vario tipo: paesaggi, battaglie, ritratti, scene mitiche o erotiche.
In un grande edificio di Ercolano, la cosiddetta Villa dei papiri, è stata scoperta addirittura una biblioteca. Gli scaffali di legno ospitavano numerosi rotoli di papiro contenenti per lo più opere letterarie, molte delle quali sarebbero andate altrimenti perdute. I rotoli sono ovviamente carbonizzati, ma con le più moderne tecniche di lettura a infrarossi e a raggi X è possibile, in molti casi, un difficilissimo recupero di porzioni più o meno ampie di scrittura. La grande ricchezza delle abitazioni, l’opulenza delle suppellettili, la spensieratezza con la quale venivano vissute le relazioni interpersonali – si trattasse della pubblicità elettorale di un candidato alle elezioni municipali, la pubblicità di una bottega di calzolaio o quella di un bordello – testimoniano come gli abitanti di Ercolano e di Pompei abbiano vissuto allegramente fino alla loro improvvisa e tragica fine.