mondiale, Prima guerra
Conflitto di dimensioni intercontinentali, combattuto dal 1914 al 1918. Innescata dalle pressioni nazionalistiche e dalle tendenze imperialistiche coltivate dalle potenze europee a partire dalla seconda metà del 19° sec., coinvolse 28 Paesi e vide contrapposte le forze dell’Intesa (Francia, Gran Bretagna, Russia, Italia e loro alleati) e gli imperi centrali (Austria-Ungheria, Germania e loro alleati). Assunse una dimensione mondiale anche dal punto di vista dei teatri degli scontri: si combatté, oltre che in Europa, nell’impero ottomano, nelle colonie tedesche in Asia e su tutti i mari. Le battaglie decisive si svolsero in Europa, su 5 fronti: quello occidentale, tra Francia e Germania, lungo la Marna e la Somme; l’orientale, o russo, esteso e privo di barriere naturali; il meridionale, o serbo; l’austro-italiano, sulle Alpi orientali e in Carnia; il greco, a N di Salonicco.
Nei primi anni del 20° sec. andarono delineandosi due blocchi contrapposti: Francia e Gran Bretagna, da una parte, saldarono la loro alleanza nell’Intesa cordiale (1904) e portarono nel loro campo, progressivamente, Russia, Giappone e Italia; dall’altra, gli imperi centrali, Austria-Ungheria e Germania, legarono a loro l’impero ottomano. Negli stessi anni le crisi internazionali si fecero ricorrenti, in particolare a seguito dell’annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell’Austria-Ungheria (1908), che alimentò gli scontri nei Balcani, principale focolaio di tensioni insieme con la competizione franco-tedesca, accesa dalla sconfitta francese di Sedan del 1870. La questione di Alsazia e Lorena, la rivalità navale anglo-tedesca, l’indebolimento dell’impero ottomano dopo le guerre balcaniche e il problema degli stretti (➔ Dardanelli), gli irredentismi balcanici, la crisi dell’impero austro-ungarico e le aspirazioni italiane erano tutti fattori che minacciavano la pace europea. La causa scatenante della guerra fu l’assassinio, a Sarajevo, per mano di un’organizzazione patriottica e nazionalista serba, dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono austro-ungarico (28 giugno 1914). Dopo l’attentato, l’Austria-Ungheria, ottenuta mano libera dalla Germania, lanciò un ultimatum (23 luglio 1914) alla Serbia, ritenendola corresponsabile. Mentre le cancellerie europee, specie il ministro degli Esteri britannico E. Grey, si impegnavano per trovare una soluzione pacifica, il 28 luglio l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. La catena delle alleanze fece precipitare la situazione: la Russia rispose con una mobilitazione generale. La Germania dichiarò guerra alla Russia (1° ag.), poi alla Francia (3 ag.), quindi violò la neutralità di Lussemburgo e Belgio (1°-4 ag.); questo atto di forza decise l’ingresso in guerra della Gran Bretagna contro la Germania. Poche settimane dopo (23 ag.) anche il Giappone entrò nel conflitto, in quanto alleato della Gran Bretagna; Francia, Gran Bretagna e Russia sanzionarono con il patto di Londra (4 sett. 1914) una vera e propria alleanza. La Turchia, timorosa della Russia e legata alla Germania, decretò la chiusura degli stretti (29 sett.) alla navigazione commerciale e si unì (12 nov.) agli imperi centrali. Il Portogallo si schierò a fianco dell’Intesa. Sia in Francia sia in Germania la soluzione militare fu appoggiata anche dai partiti socialisti, inizialmente su posizioni neutraliste. Alleata degli imperi centrali, l’Italia rimase neutrale; la mancata consultazione da parte degli alleati e il carattere offensivo della guerra ne giustificavano giuridicamente la posizione.
Il conflitto ebbe inizio con l’offensiva tedesca contro la Francia attraverso il Lussemburgo e il Belgio, secondo il piano elaborato nel 1905 da A. von Schlieffen, accolto dal capo di stato maggiore H.J. von Moltke. La Germania, impegnata su due fronti, mirava a conseguire una rapida vittoria sul fronte occidentale, puntando su Parigi. Le offensive in Lorena e verso le Ardenne (18 ag.) e quella in direzione di Sarrebourg e di Morhange (14-19 ag.) lanciate dal generale francese C.-J.-J. Joffre fallirono. Nella battaglia delle frontiere (22-25 ag.), lungo il confine franco-belga, la V armata francese e il corpo di spedizione britannico furono battuti e costretti a ritirarsi. La capitale francese fu salvata dal contrattacco di Joffre (battaglia della Marna 5-10 sett.), che costrinse i tedeschi a ripiegare a N del fiume Aisne. Dopo la battaglia dell’Aisne (13-17 sett.), che arrestò la spinta franco-inglese, le forze contrapposte diedero inizio a una serie di manovre in direzione dello stretto di Calais, per guadagnare il controllo dei porti sulla Manica. La cosiddetta corsa al mare si arrestò nelle Fiandre: respinti fino allora dai tedeschi i tentativi di aggiramento franco-inglesi, nelle battaglie dell’Yser (18 ott.-10 nov.) e di Ypres (23 ott.-15 nov.), gli Alleati riuscirono a evitare lo sfondamento nemico e a stabilizzare il fronte. Il bilancio delle perdite fu all’incirca di 200.000 uomini in ciascuno schieramento. Il fronte occidentale si fissò su una linea trincerata che tagliò il continente dalla costa belga fino alla neutrale Svizzera; alla guerra di movimento dei primi mesi sarebbero seguiti circa tre anni di guerra di logoramento condotta dalle trincee e punteggiata da sortite offensive che si concludevano in carneficine di inusuali proporzioni, senza significativi avanzamenti militari. A E, le forze russe avanzate nella Prussia orientale dopo la vittoria di Gumbinnen (19-20 ag.) subirono la catastrofe di Tannenberg (26-30 ag.) e la battaglia dei Laghi Masuri (9-14 sett.) determinò la loro ritirata dalla Prussia. Dopo la prima offensiva russa di Galizia (18 ag.-11 sett.; i cosacchi a cavallo si spinsero in Ungheria), la gravità della disfatta austriaca indusse i tedeschi a intervenire accanto agli austriaci, ma furono costretti al ripiegamento (20 ott.), mentre i russi sferravano la seconda offensiva in Galizia, fra Leopoli e Przemyśl (18 ott.-2 nov.). Con la seconda offensiva di Polonia, culminata nella battaglia di Łódź (17-26 nov.), i tedeschi impedirono l’invasione del proprio territorio, bloccando nel contempo l’offensiva dell’avversario contro gli austriaci. Il 23 genn. 1915 gli austriaci, appoggiati dalle forze tedesche, accerchiarono e distrussero la X armata russa ad Augustów (17 febbr.). Caduta Przemyśl, la terza grande offensiva russa contro gli austriaci (22 marzo-10 apr. 1915), culminata nella battaglia di Pasqua, costrinse l’armata di E. Boehm Ermolli a ripiegare dietro il crinale dei Carpazi, dove si stabilizzò temporaneamente il fronte. Il 9 dic. 1914 il governo italiano, in base all’art. 7 del Trattato della Triplice, chiese all’Austria compensi territoriali per la sua avanzata nei Balcani, che furono rifiutati. Dal settembre aveva intanto avviato trattative con le potenze dell’Intesa, precisando le sue richieste territoriali (i territori compresi entro l’arco alpino, fino al Quarnaro, e un certo regime di autonomia per gli italiani di Dalmazia), che il ministro degli Esteri S. Sonnino portò poi avanti con maggiori pretese sull’Adriatico, per garantire all’Italia la sicurezza marittima, fino alla conclusione del patto segreto di Londra del 26 apr. 1915, con cui l’Italia si impegnò ad aprire le ostilità contro l’Austria entro 30 giorni dalla firma del protocollo. Denunciata il 3 maggio la Triplice, la guerra all’Austria fu dichiarata il 24. L’Austria aveva predisposto un solido schieramento difensivo sulle posizioni di confine lungo l’Isonzo e le alture del Carso e i mezzi offensivi dell’esercito italiano erano scarsi, per cui la guerra assunse dall’inizio carattere di logoramento: quattro offensive sull’Isonzo (23 giugno-7 luglio; 18 luglio-3 ag.; 21 ott.-4 nov.; 10 nov.-5 dic.), guidate dal generale L. Cadorna, non spezzarono la difesa nemica, ma l’Austria fu obbligata a inviare sul nuovo fronte forze sempre più numerose. Dopo lo sfondamento tedesco sul fronte (battaglia di Gorlice-Tarnów, 1°-3 maggio 1915) e la successiva riconquista di Przemyśl e Leopoli, il 25 ag. cadde anche Brest-Litovsk, massima fortezza del versante occidentale dell’impero russo. Il capo di stato maggiore E. von Falkenhayn ordinò (25 sett.) a gruppi dell’esercito tedesco di passare sulla difensiva a causa della pressione prodotta dall’offensiva francese nella Champagne e della necessità di forze disponibili nei Balcani. La Germania aveva conseguito un grande successo: i russi avevano perso circa la metà degli effettivi, con relativi armamenti, e avevano dovuto abbandonare circa 500.000 km2 di territorio; tuttavia, non erano stati indotti alla pace separata, come speravano i generali P.L. Hindenburg e F. Conrad. L’ingresso della Bulgaria in guerra a fianco degli imperi centrali (14 ott. 1915) segnò il crollo della Serbia (battaglia di Kosovo, 24-29 nov.), attaccata da ogni parte. Fallite in primavera anche le azioni franco-inglesi nei Dardanelli e a Gallipoli, progettate da W. Churchill in primo luogo per aprire una via di comunicazione diretta con la Russia, il 1915 si chiuse con il rafforzamento delle posizioni degli imperi centrali a oriente.
Mentre gli anglo-francesi erano costretti ad attendere l’inizio dell’estate per lanciare un’offensiva sulla Somme (per difetto di materiali bellici e non essendo in grado gli allea;ti russi e italiani di prestare loro aiuto prima), Falkenhayn prese l’iniziativa di una grande battaglia di logoramento sul fronte di Verdun, tenuto dai francesi, nella persuasione che la Francia, demoralizzata, avrebbe chiesto la pace. La battaglia di Verdun, svoltasi fra il 21 febbr. e il 24 giugno 1916, risultò una grande vittoria difensiva francese e simbolo dell’invincibilità dell’Intesa, anche se la Germania inflisse all’esercito nemico molte più perdite di quante ne subì, riducendo insieme la partecipazione dei francesi alla battaglia della Somme. Il disimpegno di Verdun venne dall’offensiva scatenata dagli anglo-francesi il 1° luglio, nella quale i mezzi messi in opera si rivelarono i maggiori fino ad allora impegnati e apparve un’arma nuova, il carro armato. La battaglia della Somme (1° luglio-23 nov. 1916) comportò perdite imponenti di uomini e mezzi, mentre in nessun punto si avanzò più di 5 km, su un fronte di 8-9 km. In aprile il maresciallo austriaco F. Conrad avviò una grande offensiva sul Trentino contro gli italiani, con la finalità di sfondare il fronte dell’Isonzo. L’offensiva fu bloccata dalla difficoltà dell’artiglieria pesante a seguire, in terreno difficile, il progresso della fanteria; il 14 giugno iniziò la controffensiva italiana, conclusasi il 25 con il ripiegamento generale degli austriaci. Superata la minaccia sul Trentino, Cadorna spostò uomini e mezzi (27 luglio-4 ag.) dal Trentino sull’Isonzo e attaccò di sorpresa gli austriaci, le cui forze erano relativamente scarse anche per i prelevamenti fatti a favore del fronte orientale. L’attacco del 6-17 ag. (sesta battaglia dell’Isonzo) portò alla conquista di Gorizia, senza perdere però il suo carattere di battaglia di logoramento. Venuta meno la rottura del fronte a E di Gorizia, la settima (14-16 sett.), l’ottava (9-12 ott.) e la nona (31 ott.-4 nov. 1916) battaglia dell’Isonzo rientrarono nello schema degli impegni di logoramento. A E, tra il 4 giugno e il 27 ag. su un fronte di 350 km fu sferrata in Volinia l’offensiva di A. Brusilov, la quarta e ultima grande offensiva russa, concepita in origine in funzione di alleggerimento del fronte italiano. I risultati, quasi nulli contro il settore tedesco, furono grandiosi contro gli austriaci, a danno dei quali i russi conseguirono notevoli vantaggi territoriali e soprattutto militari. Intanto avvenivano importanti mutamenti nell’Alto comando delle potenze centrali: Falkenhayn fu sostituito il 27 ag. da P. von Hindenburg ed E. Ludendorff, esponenti della concezione strategica dell’annientamento. Entrata la Romania in guerra contro gli imperi centrali il 27 ag. 1916, il comando russo si preparò a un attacco d’impeto con il concorso delle truppe romene contro l’Ungheria e la Galizia con la speranza di infliggere alle potenze centrali una sconfitta decisiva. Conformemente alla strategia del comando russo, i romeni portarono il massimo sforzo offensivo in Transilvania. Ma Hindenburg aveva formato due potenti gruppi di armate: uno a N, in Transilvania, sotto il comando di Falkenhayn, e uno a S, sul Danubio, agli ordini di A. von Mackensen. Minacciato di invasione sulla sua frontiera meridionale, lo stato maggiore romeno arrestò l’offensiva in Transilvania e trasferì parte delle sue truppe verso il fronte meridionale. Falkenhayn il 29 sett. passò all’offensiva e in 18 giorni, dopo tre battaglie, la Transilvania era liberata. Nonostante la ripresa dell’offensiva di A.A. Brusilov (1°-15 ott.), delle operazioni francesi per la riconquista del territorio perduto intorno a Verdun, e di azioni italiane con l’ottava e la nona battaglia dell’Isonzo, lo stato maggiore tedesco diede inizio a una vasta operazione che, dopo la battaglia dell’Argeş (1°-3 dic.) e il ricongiungimento delle due grandi armate, si concluse con l’occupazione di Bucarest (6 dic.). Nel Caucaso, in Iran e in Mesopotamia, russi e britannici agivano in direzione di Baghdad. Gli eserciti dello zar avanzarono, in seguito a più successi, fino ai laghi di Van e Urmia (Iran), mentre i britannici, spintisi fino a Kut al-Amarah, sulla sponda sinistra del fiume Tigri, vi furono accerchiati e battuti il 26 apr. 1916. I turchi nel 1915-16 incontrarono tre insuccessi nel tentativo d’insediarsi sul Canale di Suez; dopo l’ultimo scacco (ag. 1916), i britannici passarono alla controffensiva, giungendo alle soglie della Palestina.
In conseguenza dell’accordo franco-britannico del nov. 1913, la flotta britannica ebbe la difesa di tutti gli oceani, in particolare del Mare del Nord, del Passo di Calais e del bacino orientale del Mediterraneo; alla flotta francese fu affidata la difesa della Manica occidentale e del bacino occidentale del Mediterraneo. Il 29 luglio 1914, la flotta da battaglia britannica aveva raggiunto Scapa Flow (Orcadi), base adatta per intervenire tempestivamente contro la flotta tedesca. Nel 1914 ebbero luogo il 1° nov. la battaglia di Coronel (Cile), nella quale l’ammiraglio tedesco M. von Spee inflisse ai britannici una dura sconfitta, e l’8 dic. 1914 quella delle Falkland, in cui l’ammiraglio F.C.D. Sturdee annientò le unità tedesche. Nella guerra sul mare i tedeschi si avvalsero di una nuova arma, quella del sottomarino (Unterseeboot, da cui U-Boot), che fece la prima comparsa il 22 sett. 1914, all’altezza di Hook of Holland, dove tre incrociatori corazzati britannici furono affondati in pochi minuti. La guerra sottomarina si rivelò più fruttuosa di quella di corsa, ma dopo l’affondamento del piroscafo statunitense Lusitania (7 maggio 1915), per evitare complicazioni con gli USA la Germania la sospese sulle coste occidentali delle isole britanniche e nella Manica, mantenendola solo nel Mediterraneo. Nel marzo 1916 E. von Capelle, succeduto alla guida della Hochseeflotte ad A. von Tirpitz, teorico della guerra sottomarina illimitata, decise di impegnare le unità di superficie in una condotta di guerra offensiva contro la flotta britannica: il 31 maggio 1916 si svolse la battaglia navale dello Jutland, la sola grande battaglia navale del conflitto. La marina tedesca inflisse alla flotta britannica più danni di quelli ricevuti, ma l’effetto strategico della battaglia fu a favore della Gran Bretagna, perché la Hochseeflotte non si arrischiò più in mare aperto. La guerra contro il traffico sul mare sarà ripresa dalla Germania il 31 genn. 1917, ma per opera dei soli sommergibili, impiegati per la prima volta senza restrizioni.
L’offensiva generale prevista dalle potenze dell’Intesa per la primavera del 1917 non poté contare sul concorso della Russia, sconvolta dalla rivoluzione di febbraio: l’attacco di R.-G. Nivelle (9 apr.-5 maggio), finalizzato alla rapida rottura del fronte tedesco, ne rimase irrimediabilmente compromesso. I francesi si impossessarono dello Chemin-des-Dames a prezzo di sacrifici tali che l’offensiva, lungi dal raggiungere lo scopo, demoralizzò profondamente l’esercito; non si riuscì nemmeno a concentrarlo con l’azione sul fronte italiano, dove la decima battaglia dell’Isonzo (12 maggio-7 giugno) fu sferrata dopo la fine dell’offensiva franco-britannica. Gli inglesi, molto più forti dei francesi, insistettero per la continuazione della lotta con finalità di sfondamento, ma il nuovo comandante in capo delle truppe francesi H.P. Pétain vi si oppose. Fra le operazioni parziali intraprese dai francesi, furono importanti la ripresa del Mort-Homme, presso Verdun (20-25 ag.), e la battaglia della Malmaison (21-26 ott.). Gli inglesi, pressati dalla guerra sottomarina a oltranza, avevano interesse ad allontanare i tedeschi dalle coste del Belgio e, forti dell’aiuto fornito loro dall’impero coloniale, furono in grado di assumere da soli l’iniziativa: le truppe britanniche non realizzarono che progressi locali, ma il comando e l’esercito tedesco ne risultarono duramente provati. L’attacco di Cambrai (la prima battaglia, 20-23 nov., in cui i carri d’assalto furono utilizzati in massa) consentì di realizzare un’avanzata di 10 km di profondità in 10 ore; ma la controffensiva tedesca del 23 annullò di colpo i vantaggi conseguiti dagli avversari. L’attacco russo sferrato il 1° luglio nonostante il graduale dissolvimento dell’esercito il 19 luglio si arrestò del tutto sotto l’azione della controffensiva degli imperi centrali e l’occupazione tedesca di Riga (3 sett.) segnò lo sfacelo definitivo dell’esercito russo. Il 26 nov. i bolscevichi saliti al potere chiesero di trattare l’armistizio, stipulato il 15 dicembre. I negoziati di pace si conclusero il 3 marzo 1918: con la Pace di Brest-Litovsk la Russia rinunciava alle province baltiche, alla Polonia e all’Ucraina. L’8 febbr. anche l’Ucraina concluse la pace, e il 7 maggio la Romania.
USA. La ripresa della guerra marina illimitata (febbr.) da parte dei tedeschi affrettò l’intervento in guerra degli USA, che una stretta comunanza di interessi economici legava alle potenze dell’Intesa; il 6 apr. 1917 il governo di Washington dichiarò guerra alla Germania. Mentre i sondaggi di pace da parte degli imperi centrali fallivano per mancanza di accenni concreti alle rivendicazioni italiane (marzo-maggio 1917), gli esponenti delle nazionalità dell’impero austroungarico premevano in senso antiasburgico e il 20 luglio 1917 il Patto di Corfù fissava le linee per la creazione di uno Stato serbo-croato-sloveno. In Germania il desiderio di pace trovò espressione nella mozione votata al Reichstag il 19 luglio 1917 e anche il papa Benedetto XV invocò la conclusione della pace (1° ag. 1917). Ma i punti di vista erano ancora troppo lontani perché si giungesse a un accordo. L’Intesa, che con i Quattordici punti formulati dal presidente degli Stati Uniti T.W. Wilson, si era data un programma di grande efficacia propagandistica e morale e si era orientata verso la dissoluzione dell’impero austroungarico, riuscì a respingere l’estremo sforzo austro-tedesco concentrato sui fronti francese e italiano, determinando finalmente il prevalere degli ambienti politici tedeschi favorevoli alla pace. Un peso non indifferente in questi sviluppi politico-militari aveva avuto la politica militare delle nazionalità, svolta soprattutto da Russia, Francia e Italia, con la costituzione e l’impiego di unità nazionali polacche, ceche, romene, iugoslave, formate con prigionieri di guerra. Sul fronte italiano, il generale Cadorna intraprese nella primavera l’offensiva stabilita con gli Alleati, ma la decima battaglia dell’Isonzo, pur superando di gran lunga, sotto ogni riguardo, le precedenti, non conseguì lo sfondamento. Nell’undicesima battaglia (17 ag.-15 sett.), l’attacco fece realizzare una penetrazione di 10 km nella difesa austriaca. Le perdite degli italiani risultarono maggiori di quelle del nemico, che, tuttavia, ne risentì più duramente per il progressivo affievolirsi delle risorse generali dopo tre anni di guerra. Mentre in Austria, per i complementi, si doveva ricorrere soprattutto ai feriti guariti, in Italia vi erano ancora larghe risorse nelle classi giovanissime e nelle anziane (senza considerare le risorse materiali, sterminate dopo l’intervento statunitense). Una massiccia offensiva austro-tedesca finalizzata ad allontanare il pericolo su Trieste e respingere gli italiani di là dalla frontiera dell’Isonzo ebbe inizio il 24 ott.: l’attacco austro-germanico penetrò in profondità, travolgendo le difese e raggiungendo lo stesso giorno Caporetto. Cadorna diede l’ordine di ritirata e la linea d’arresto fu stabilita, dopo il convegno interalleato di Peschiera e la sostituzione di Cadorna con A. Diaz, sul Piave; gli italiani riuscirono ad arrestare l’offensiva austro-tedesca scatenata il 10 nov. sull’altopiano d’Asiago e sviluppatasi sul Piave e sul Monte Grappa. Fra le varie conferenze militari interalleate, particolare importanza aveva avuto quella di Chantilly del 15-16 nov. 1916 in cui si era deciso il principio del mutuo appoggio tra i fronti occidentali, italiano e balcanico. Così, nell’ott. 1917 fu inviata in Italia un’armata anglo-francese, che si attestò sul Mincio a imbastirvi una linea di difesa su cui combattere, nel caso di un ulteriore cedimento di quella del Piave. L’offensiva austro-tedesca aveva mostrato l’importanza di un’unione sempre più stretta fra gli Alleati; nel convegno di Rapallo del 7 novembre, i tre primi ministri di Gran Bretagna, Francia e Italia decisero l’istituzione di un Consiglio superiore della guerra interalleata, nuovo passo lungo la via dell’unità di comando. Nel settore balcanico il solo avvenimento importante sul piano strategico fu l’entrata in guerra della Grecia a fianco delle forze dell’Intesa il 27 giugno. In Mesopotamia, gli inglesi occuparono l’11 marzo Baghdad. In Palestina il generale E. Allenby, travolta la linea turca di Bersabea (1° ott.), prese Gaza, Giaffa e Gerusalemme. L’avanzata di Allenby sulla Palestina era stata appoggiata efficacemente dall’azione di guerriglia condotta nella regione da T.E. Lawrence (Lawrence d’Arabia), animatore della rivolta araba contro l’impero ottomano. La guerra sottomarina illimitata raggiunse il massimo dell’intensità nell’apr. 1917, quando fu affondato circa un milione di tonnellate di naviglio mercantile. Se i sommergibili avessero potuto continuare con un tale ritmo di distruzione, la Gran Bretagna non avrebbe potuto sopravvivere e gli USA non avrebbero potuto trasportare in Europa gli eserciti, i viveri e i materiali, che furono poi fattore essenziale di vittoria nel 1918. Ma i mezzi di difesa si mostrarono sempre più efficaci; il trasporto dell’esercito statunitense in Europa costituì il trionfo del sistema dei convogli scortati. Dall’estate 1917 i mezzi offensivi aumentarono i rischi dei sottomarini: nel Mare del Nord fu stabilito uno sbarramento di mine su un’estensione di 400 km; speciali navi pattuglia munite di ecogoniometri scaricavano contro i sottomarini tedeschi granate esplodenti.
Dopo l’eliminazione della Russia e della Romania dal conflitto, il comando tedesco passò alla messa a punto di un piano strategico, elaborato da Ludendorff, per conseguire l’annientamento del nemico attraverso una serie di battaglie preparatorie. Tra marzo e giugno furono lanciate tre offensive, con grande dispiegamento di uomini e mezzi, che tuttavia non portarono a nessuno degli obiettivi strategici intravisti da Ludendorff: né la separazione degli inglesi dai francesi, né la sconfitta degli inglesi sui porti della Manica, né la conquista di Amiens, né il controllo della valle dell’Oise. Nel frattempo gli statunitensi, per la pressione alleata, decuplicavano gli effettivi in Europa: tra maggio e giugno sbarcarono in Francia 520.000 soldati. Da marzo si era realizzato il comando unico nella persona del generale F. Foch, al quale furono affidate anche facoltà di coordinamento sul fronte italiano. La prima offensiva iniziò il 21 marzo con un attacco in Piccardia che in 15 giorni di battaglia guadagnò ai tedeschi un’avanzata di 60 km su circa altrettanti di larghezza, con 300.000 uomini perduti dai soli inglesi. Il 9 apr. Ludendorff scatenò un attacco nelle Fiandre, con obiettivo la conquista dei porti del Passo di Calais; nella nuova offensiva di Ypres sul principio il successo fu notevole; ma il 25, dopo la conquista del Monte Kemmel, con l’affluire delle riserve, in gran parte francesi, i tedeschi sospesero l’offensiva. Per assestare un nuovo colpo ai francesi, nella parte opposta a quella dove era dislocato il grosso degli Alleati, Ludendorff scelse la posizione dello Chemin-des-Dames, naturalmente forte, ma debolmente occupata. L’offensiva, iniziata il 27 maggio nel tratto compreso fra Soissons e Reims, riuscì in pieno, anche per l’impiego di iprite, e il 1° giugno i tedeschi giungevano sulla Marna minacciando la stessa capitale francese: Foch fermò, tuttavia, l’avanzata concentrando la riserva lungo le principali direttrici d’urto del nemico. Sebbene la situazione strategica non fosse sostanzialmente migliorata per la Germania, i tre successi di primavera avevano scosso l’opinione pubblica, specie in Francia, che li considerava presagi di vittoria definitiva. Mentre si compivano i preparativi per il quarto attacco, gli austriaci scatenarono l’offensiva sul fronte italiano. In febbr.-marzo 1918 le unità dell’esercito italiano potevano considerarsi ricostituite: 300.000 uomini e 3000 cannoni avevano rafforzato il fronte. Il giorno dell’attacco, gli austriaci avanzarono contemporaneamente sul fronte montano e su quello del Piave; sul primo, la difesa italiana impose al nemico di desistere dall’offensiva in grande già la sera stessa del 15 giugno; sul secondo fronte, la sera del 16 giugno l’intervento delle riserve italiane bloccò anche l’attacco austriaco sul Montello, dove il 19 ebbe inizio la controffensiva di A. Diaz, che in pochi giorni indusse il nemico alla ritirata. Gli italiani avevano perduto 90.000 uomini, gli austriaci 150.000, con enorme consumo di materiali bellici.
Alla quarta offensiva tedesca contro i francesi sferrata il 15 luglio contemporaneamente sulla Marna e a E di Reims e arrestata con forti perdite, il 18 Foch oppose un attacco contro la sacca nemica dello Chemin-des-Dames-Marna: l’unica via di comunicazione per le armate tedesche della Marna, quella Soissons-Fismey, era all’improvviso minacciata dal nemico. Ludendorff riuscì ad attuare un ripiegamento progressivo sulla Vesle e l’Aisne e quando (3 ag.) Foch ordinò la sospensione della controffensiva i tedeschi avevano perduto quasi tutti i guadagni realizzati con l’attacco dello Chemin-des-Dames del 1917. Prima che l’offensiva generale sul fronte occidentale avesse inizio, sul fronte dei Balcani il 15 sett. fu sferrata l’offensiva che costrinse i bulgari a chiedere l’armistizio, firmato il 29. In conseguenza di questo evento tutto il fianco meridionale dell’impero austroungarico era aperto all’invasione dell’armata d’oriente. In una situazione generale così favorevole Foch iniziò l’offensiva, preceduta da attacchi preparatori che determinarono la crisi morale dell’esercito nemico (più reparti si ammutinarono, molti si impegnarono debolmente): tra il 26 e il 29 sett. le armate alleate (forze ingenti statunitensi e britanniche erano ormai in Francia) eseguirono offensive concentriche dal Mare del Nord alla Mosa; il 10 ott. la linea di fortificazione Hindenburg era spezzata e superata ovunque. Tra ott. e nov. gli Alleati respinsero progressivamente le forze tedesche da tutto il fronte occidentale. L’attacco scatenato sul fronte italo-austriaco dalle forze italiane il 24 ott. incontrò resistenza sui monti a causa del terreno e, fino al 28, anche in pianura, per la piena del Piave, che paralizzò l’azione. Attraversato il fiume grazie a una brillante manovra del generale E. Caviglia, il 29 stesso fu liberata Vittorio Veneto. Il comando austriaco iniziò immediatamente trattative per la resa incondizionata, mentre le forze italiane raggiungevano Trento e, via mare, Trieste. In Turchia, il crollo russo aveva incoraggiato le mire dei Giovani Turchi lungo la fascia euroasiatica a N dell’Anatolia: a fine giugno, truppe turche occuparono Batum, Ardahan, Tabriz e Urmia; a sett. tolsero agli inglesi il centro petrolifero di Baku. Sul fronte della Mesopotamia, a nov. le forze britanniche occuparono la regione di Mossul. In Palestina, il 19 sett. il generale Allenby sferrò l’offensiva tra Rafat e il mare: caduti Tiberiade, Damasco, Beirut e Aleppo, i turchi sottoscrissero la resa incondizionata.
La Bulgaria concluse l’armistizio il 29 sett. 1918, seguita dalla Turchia (30 ott.). Il governo tedesco, su sollecitazione dello stato maggiore, iniziò il 3 ott. le trattative di pace sulla base dei Quattodici punti; ottenuto il consenso generico di T.W. Wilson a nome degli Alleati, il governo costituitosi dopo l’abdicazione di Guglielmo II firmò l’armistizio l’11 novembre. Il 3 a Villa Giusti, presso Padova, era stato firmato l’armistizio italo-austriaco; l’11 l’imperatore Carlo I, dopo un estremo tentativo di trasformare l’impero in uno Stato federale sulla base di quattro regni nazionali (Austria, Ungheria, Polonia e territori iugoslavi), abdicò e il 12 fu proclamata la Repubblica in Austria, il 16 in Ungheria. Le varie nazionalità si davano governi autonomi, sicché il vecchio impero asburgico cessava di esistere. Per stabilire le condizioni di pace fu riunita la Conferenza di Parigi, che ebbe inizio a metà genn. 1919. Vi erano rappresentati tutti gli Stati vincitori, ma solo alle grandi potenze – Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Giappone – era riservato di deliberare su tutte le questioni, mentre i minori intervenivano solo se direttamente interessati. Il programma di pace britannico, sostenuto da D. Lloyd George, mirava a rendere innocua la Germania e a prenderle le colonie; quello francese, impersonato da G. Clemenceau, tendeva a inferire un colpo decisivo al tradizionale nemico tedesco, che vendicasse il 1870 e desse alla Francia durevoli garanzie; quello statunitense, propugnato da Wilson, si concretava in una pace ispirata ai principi dei Quattordici punti, ma urtava contro una rete d’interessi che ne rendevano difficile l’applicazione; quello italiano tendeva ad assicurare all’Italia il confine alpino, la supremazia in Adriatico, una sfera d’influenza balcanica, compensi coloniali. Il poco entusiasmo mostrato, in nome dei grandi sacrifici sofferti, per i principi wilsoniani, finì con il creare all’Italia una situazione diplomatica difficile. Si giunse così ai vari trattati: di Versailles con la Germania (28 giugno 1919), di Saint-Germain con l’Austria (10 sett. 1919), di Neuilly con la Bulgaria (27 nov. 1919), del Trianon con l’Ungheria (4 giugno 1920), di Sèvres con la Turchia (10 ag. 1920). La Germania perse le colonie, la flotta militare e mercantile e alcuni distretti minerari; le fu imposto l’obbligo delle riparazioni e il divieto di tenere un esercito superiore a 100.000 uomini. Sorsero nuovi Stati: la Polonia, la Cecoslovacchia, la Iugoslavia, la Finlandia, la Lituania, la Lettonia, l’Estonia, l’Albania; e altri subirono profondi mutamenti di frontiere. L’Italia ottenne il confine alpino, ma rimasero insolute la questione adriatica con il nuovo Stato iugoslavo e quella dei compensi coloniali. Molte questioni furono rinviate e molte decisioni vennero modificate negli anni successivi, con conseguenti motivi di persistente agitazione e irrequietezza.
Sul terreno della strategia militare il primo conflitto mondiale segnò una svolta epocale a motivo, in primo luogo, della diffusione delle armi automatiche che resero estremamente dispendioso in termini di vite umane il tradizionale attacco di fanteria o di cavalleria alle postazioni nemiche; ciò determinò l’evoluzione dalla guerra di movimento alla guerra di posizione o di logoramento: luogo privilegiato dell’aspetto militare del conflitto fu dunque la trincea. Sul piano delle innovazioni tecnologiche nacque in questo periodo uno dei protagonisti dei futuri conflitti, il carro armato, adottato dai britannici nel 1916. Tra le altre novità relative agli armamenti vi furono i gas asfissianti (che imposero l’obbligo della maschera antigas), l’aeroplano (sebbene armato di mitragliatrice, fu usato prevalentemente a scopo ricognitivo), il sottomarino. L’esigenza di coordinare e muovere enormi contingenti su un fronte molto ampio diede luogo allo sviluppo delle telecomunicazioni e al massiccio impiego dei mezzi motorizzati. La leva di massa (furono mobilitati complessivamente 65 milioni di uomini) e le spese militari determinarono il fenomeno, in quella misura inedito, della mobilitazione totale del Paese belligerante: dalla produzione industriale stimolata dalle commesse statali al razionamento dei generi alimentari, dalla programmazione della produzione agricola alla censura sulla stampa, fino all’identificazione del territorio patrio come «fronte interno», la guerra penetrò in tutti i gangli sociali delle nazioni, determinando in particolare l’inasprimento del controllo repressivo statale. Questo assunse forme e contenuti particolarmente rilevanti attraverso la propaganda, l’imperio sui meccanismi produttivi, l’arresto dei dissidenti o dei pacifisti. L’adesione delle popolazioni alle rispettive politiche nazionali non fu omogenea né continua nel tempo: il 1917 fu l’anno di maggiore tensione sociale in molti Stati europei (inclusa l’Italia); in Russia il malcontento popolare si legò ai disastri del fronte e alla determinazione dei rivoluzionari generando la Rivoluzione d’ottobre. Il disagio del dopoguerra, connesso al venir meno del controllo sociale e alle difficili riconversioni delle economie di guerra, investì nuovamente le società europee nel loro insieme. Oltre alle rivendicazioni del movimento operaio (che assunsero ampiezza e radicalità inedite), vanno considerati i movimenti degli ex combattenti, i partiti e i movimenti contadini (soprattutto in Europa orientale), i movimenti delle donne (che avevano diffusamente sostituito alla produzione gli uomini mobilitati), le nuove formazioni politiche. In vari Paesi (tra i quali l’Italia, dove l’esplosione dei movimenti di massa segnò la fine del regime liberale e fu all’origine del fascismo), l’insieme di queste tensioni causò scompensi politici e istituzionali. L’Europa nel suo complesso uscì dal conflitto indebolita dalle vittime (circa 8 milioni di morti e 20 milioni di feriti), dalle distruzioni, dai debiti. Sulla scena mondiale, gli Stati Uniti per la prima volta erano usciti dall’isolazionismo (per rientrarvi con la sconfitta del partito di Wilson nel 1920) coinvolgendosi nelle vicende politiche europee, mentre la Russia sovietica rispondeva al tentativo di soffocamento durante la guerra civile con la fondazione dell’Internazionale comunista (1919). I trattati di pace non superarono le rivalità nazionali che erano state all’origine della guerra, creando le premesse per ulteriori conflitti; in particolare, la dissoluzione dell’Austria-Ungheria e le condizioni di resa imposte alla Germania riversarono le tensioni nazionali su molti dei nuovi Stati. Densi di tensioni si presentavano anche i rapporti tra le potenze vincitrici e la Germania, cui furono imposte condizioni politiche, economiche e militari talmente aspre da rivelarsi presto irrealistiche. Più in generale, fallì il tentativo della Società delle nazioni (istituita nel 1919) di costruire un organismo per un nuovo sistema di rapporti internazionali.
Si veda anche La prima guerra mondiale