guerra mondiale, Prima
La grande guerra
Le origini della Prima guerra mondiale risalgono agli anni Settanta del 19° secolo, cioè all'avvento della cosiddetta età dell'imperialismo. A scatenare il conflitto fu l'attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914, che provocò la morte dell'arciduca austriaco Francesco Ferdinando e contrappose fino al 1918 due schieramenti guidati da un lato dalla Germania e dall'Austria-Ungheria e dall'altro dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dalla Russia, a cui si aggiunsero l'Italia nel 1915 e gli Stati Uniti nel 1917. Con un bilancio di quasi dieci milioni di morti, la guerra si concluse con la sconfitta degli imperi centrali, ponendo già le premesse dello stesso secondo conflitto mondiale (1939-45)
La Prima guerra mondiale prese avvio da una grave crisi nei rapporti tra l'Impero austro-ungarico e la Serbia. Essa, tuttavia, fu il prodotto di cause ben più profonde: da un lato le crescenti rivalità imperialistiche tra le grandi potenze europee, impegnate da decenni in un conflitto latente per il potere mondiale e per la costruzione o il consolidamento dei propri imperi coloniali, dall'altro le dinamiche della politica europea a partire dagli anni Settanta e soprattutto Novanta del 19° secolo. In questa prospettiva, le ragioni della guerra vanno dunque ricercate nei contrasti che già da tempo opponevano, in un clima di montante militarismo, la Germania e la Gran Bretagna, la Francia e la Germania, l'Austria-Ungheria e la Russia e che avevano portato alla formazione della Triplice Alleanza (Germania, Austria-Ungheria, Italia) e della Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia), alle crisi marocchine del 1905 e del 1911 e alle due guerre balcaniche del 1912-13.
La Prima guerra mondiale ebbe caratteri sostanzialmente inediti rispetto alle guerre dei secoli precedenti. Si svolse, infatti, su una scala di enormi dimensioni e, soprattutto, nel segno di una vera e propria mobilitazione totale di immensi eserciti, delle strutture produttive e industriali degli Stati belligeranti, delle opinioni pubbliche nazionali, degli intellettuali, degli apparati propagandistici e della stampa. In essa giocarono un ruolo decisivo per un verso le ideologie del nazionalismo e dell'imperialismo, che divennero ideologie di massa, e per un altro le capacità produttive ed economiche dei paesi in guerra, che risultarono essenziali per reggere allo sforzo di un conflitto durato quattro lunghissimi anni e determinanti per la vittoria.
Come già detto, fu una crisi locale a innescare il primo conflitto mondiale. Essa prese avvio il 28 giugno 1914 con l'assassinio a Sarajevo dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell'Impero austro-ungarico, da parte di uno studente membro di un'organizzazione nazionalista serba. In risposta a questo attentato l'Austria, con il sostegno della Germania (che ebbe le più pesanti responsabilità nello scoppio della guerra), inviò alla Serbia, il 23 luglio, un ultimatum e, senza accogliere alcuna mediazione, attaccò il paese il 28 luglio. Ne derivò, nel giro di pochi giorni, un'escalation che, con l'eccezione dell'Italia (dichiaratasi per il momento neutrale), portò tutte le grandi potenze europee ‒ la Germania e l'Austria da un lato, la Francia, la Russia, la Gran Bretagna dall'altro ‒ a entrare in guerra. Ebbe così inizio quello che, con il successivo intervento di altre potenze europee ed extraeuropee, doveva diventare il primo conflitto mondiale della storia.
Fu la Germania, sulla base di un piano bellico che prevedeva una guerra rapida sul fronte occidentale e in un secondo momento una guerra con tutte le forze disponibili contro la Russia, a prendere l'iniziativa delle operazioni militari e a invadere il Belgio (4 agosto 1914). Il piano tedesco fallì già con la battaglia della Marna contro i Francesi (settembre 1914) e poi con la battaglia delle Fiandre contro i Franco-Britannici (ottobre-novembre 1914).
Con queste battaglie, in cui combatterono milioni di soldati, la guerra di movimento, teorizzata dai Tedeschi sul modello della guerra-lampo franco-prussiana del 1870-71, si trasformò infatti in una lunga e drammatica guerra di logoramento condotta lungo un fronte immenso di trincee. In tal modo, i Tedeschi dovettero dividere le proprie forze sui due fronti essenziali della guerra: quello occidentale e quello orientale. Il tutto, mentre la flotta britannica attuava un blocco navale destinato a gravare in modo durissimo sui rifornimenti tedeschi. Sempre nel 1914, la Germania e l'Austria riuscirono a infliggere pesanti sconfitte ai Russi in Oriente e a fare intervenire nel conflitto, al loro fianco, la Turchia. La guerra, però, aveva ormai assunto un profilo assai diverso da quello previsto inizialmente.
L'evoluzione tecnologica aveva posto a disposizione delle potenze belligeranti strumenti perfezionati. Anzitutto armi leggere e pesanti assai efficaci: mitragliatrici, potenti cannoni, mortai, lanciafiamme, bombe a mano. Gli eserciti potevano ora contare sui veicoli a motore, usati per trasportare truppe, ma che, in versione corazzata, potevano anche essere adoperati in battaglia. Aveva fatto poi la sua comparsa l'aviazione, sfruttata per ricognizioni, bombardamenti, assalti: alcuni degli eroi del conflitto, Francesco Baracca, il Barone Rosso, furono proprio piloti d'aeroplani. Anche le forze navali si erano nel frattempo trasformate: erano adesso disponibili il sottomarino e navi molto più agili e specializzate. Le comunicazioni erano facilitate dall'uso del telegrafo e del telefono e fecero la loro apparizione anche le devastanti armi chimiche. Fu la Germania a fare per prima uso di gas asfissianti.
Tanti strumenti d'offesa erano messi a disposizione di eserciti di dimensioni del tutto inedite. Nel 1914, solo in Europa, gli eserciti potevano contare su 3÷4 milioni di soldati, un numero destinato rapidamente a crescere. La mentalità dei comandi, e non solo di quelli, si rivelò però dapprima tutt'altro che disposta al cambiamento e alla modernità. I soldati italiani e francesi all'entrata in guerra non avevano in dotazione elmetti, almeno però gli Italiani indossavano divise grigio-verdi, mentre i transalpini mantennero per un po' ancora i tradizionali pantaloni rossi, che li rendevano facilmente individuabili. Un ministro francese aveva proposto di abbandonare le tinte vistose, ma aveva suscitato violente proteste. Un giornale di Parigi aveva scritto che "privare il nostro soldato di ogni nota di colore, di tutto quanto rende vivace il suo aspetto, significa violare contemporaneamente il buon gusto francese e la funzione stessa dell'esercito". Si potrebbe continuare a lungo. Per esempio, il 2° corpo di armata italiano possedeva allo scoppio del conflitto solo un'automobile, quella del comandante; nel contempo gli Austro-Ungarici schierarono alcuni reparti che erano ancora armati di fucili non a ripetizione e che andavano ricaricati dopo ogni sparo. La durezza del conflitto costituì una rapida scuola.
Non era solo l'organizzazione degli eserciti a essere arretrata: anche le strategie militari lo erano e si faticò non poco a mutare mentalità. Il conflitto si tramutò presto in una logorante guerra di posizione. Gli eserciti presidiavano le linee, riparati nelle trincee. Periodicamente, però, i generali li lanciavano in offensive condotte col metodo dell'assalto frontale. I soldati venivano scaraventati fuori dalle buche e costretti ad avanzare sotto il fuoco nemico, di cui erano facile bersaglio. Una strategia, questa, che causò perdite gravissime e garantì pochissimi vantaggi.
Solo alla fine del conflitto si comprese come sfruttare al meglio l'enorme potenziale bellico. Se nel 1914 i belligeranti non possedevano più di 20.000 mezzi motorizzati, nel 1918 questi erano 400.000. Gli aerei erano nel 1914 meno di un migliaio, nel corso del conflitto ne vennero messi in produzione 200.000. La guerra di uomini divenne insomma una guerra di macchine; la guerra di posizione si tramutò in guerra di movimento.
Le flotte inglese e tedesca si affrontarono senza esclusione di colpi. A essere attaccati erano i convogli militari, ma anche le navi mercantili, allo scopo di bloccare i rifornimenti. Nel febbraio 1917 la Germania decise di ricorrere per la prima volta ai sottomarini per ottenere il blocco totale del traffico navale nemico, civile e militare. Furono impiegati 398 sottomarini che affondarono 6.000 navi nemiche. Tale indiscriminata aggressività sui mari spinse però all'intervento nel conflitto gli Stati Uniti, che rompevano così una lunga tradizione di isolamento. La partecipazione americana mutò le sorti della guerra. L'arma più devastante a disposizione della Germania si rivelò pertanto determinante per la sconfitta degli imperi centrali.
Tra il 1915 e il 1916 le sorti del conflitto non fecero progressi sostanziali. Un importante elemento di novità fu l'intervento dell'Italia in guerra nel maggio 1915. Ma non a fianco degli imperi centrali, come prevedeva la Triplice Alleanza, bensì delle potenze dell'Intesa. L'intervento fu il prodotto di una graduale e realistica scelta antiaustriaca e prese corpo attraverso una profonda divisione tra neutralisti e interventisti.
Nel 1916 lo stallo e l'orrore della guerra emersero con particolare evidenza nella battaglia di Verdun tra Francesi e Tedeschi nella quale, senza apprezzabili risultati, persero la vita oltre 600.000 uomini. Anche la spedizione punitiva dell'Austria contro l'Italia e l'offensiva della Russia contro l'Austria non produssero alcun progresso significativo. Nel frattempo, mentre altre potenze entravano in guerra, il teatro delle operazioni si estese ai Balcani, alla Palestina, alla Mesopotamia e alla penisola dello Jutland, dove i Tedeschi si scontrarono sul mare con i Britannici. Andò peraltro crescendo l'ostilità delle masse verso la guerra. E i socialisti presero posizioni sempre più decise per una "pace senza annessioni e senza indennità" (ossia le riparazioni per i danni di guerra).
Il 1917 fu un anno di profondi mutamenti. Due eventi, in particolare, incisero significativamente sulle sorti del conflitto. Il primo fu, nell'aprile del 1917, l'intervento degli Stati Uniti in guerra a fianco delle potenze dell'Intesa. Il secondo fu la crisi del fronte russo in seguito alla Rivoluzione di febbraio ‒ che abbatté lo zarismo ‒ e alla Rivoluzione d'ottobre ‒ che portò al potere i bolscevichi (Rivoluzioni russe) ‒. Un altro evento di rilievo fu la disfatta italiana di Caporetto nell'ottobre del 1917.
Fu tuttavia il 1918 l'anno decisivo del conflitto. Dopo l'uscita della Russia dal conflitto in seguito alla pace di Brest-Litovsk (marzo), i Tedeschi volsero infatti tutte le proprie forze a occidente, dove cominciavano ad affluire uomini e mezzi statunitensi, e scatenarono la loro ultima offensiva con la seconda battaglia della Marna (luglio). La battaglia di Amiens (agosto) segnò tuttavia l'inizio della controffensiva franco-britannica. E i Tedeschi dovettero ritirarsi dalla Francia e dal Belgio, mentre all'interno si consumava la crisi delle istituzioni imperiali. Negli stessi mesi gli alleati della Germania uscirono progressivamente dal conflitto. L'Austria fu definitivamente sconfitta dagli Italiani a Vittorio Veneto nell'ottobre. Tra il 3 e l'11 novembre furono firmati gli armistizi con l'Austria e la Germania, e la guerra ebbe fine.
I trattati di pace con le potenze sconfitte furono siglati, dopo dure trattative, tra il 1919 e il 1920. Essi ridisegnarono radicalmente la carta geopolitica mondiale e soprattutto misero in ginocchio gli imperi centrali, in preda peraltro a gravi crisi interne. In particolare la Germania dovette accettare una vera e propria pace punitiva, che avrebbe gettato ombre pesanti sul futuro del paese. Per volontà del presidente americano Wilson, che già nel 1918 aveva enunciato i suoi "14 punti" per la ricostruzione di un nuovo ordine mondiale ispirato ai principi della democrazia e dell'autodeterminazione dei popoli, fu istituita nel 1919 la Società delle nazioni. Un'organizzazione sovrannazionale, al di sopra dei singoli Stati, dotata di alcuni poteri autonomi e con il compito di garantire la pace e la sicurezza. La struttura e il funzionamento della Società delle nazioni, che fu tra l'altro privata dell'appoggio degli Stati Uniti per la scelta del Congresso americano di non aderirvi, avevano tuttavia limiti evidenti, che si manifestarono in pieno tra le due guerre mondiali.