rivoluzioni russe
Le giornate che sconvolsero la storia del Novecento
La rivoluzione del 1905 e le due rivoluzioni del 1917, l’una di febbraio che provocò la caduta dello zarismo e l’altra di ottobre che condusse al potere i bolscevichi, costituiscono le fasi distinte di un unico processo che portò la Russia, il più arretrato tra i grandi paesi d’Europa, a diventare il primo Stato socialista della storia, considerato dai suoi sostenitori come la patria dei lavoratori di tutto il mondo e dai suoi nemici come la prima espressione di società totalitaria
Nella seconda metà dell’Ottocento, il governo degli zar si mostrò incapace di evitare il rafforzamento delle tendenze rivoluzionarie che miravano a distruggerlo. Esso oscillò tra un riformismo inadeguato e incoerente, l’immobilismo e la reazione. L’abolizione della servitù della gleba, voluta dallo zar Alessandro II nel 1861, fallì l’obiettivo di dar vita a una diffusa proprietà nelle campagne, sicché i grandi proprietari continuarono a sfruttare le grandi masse dei contadini poveri e privi di diritti. Si crearono così le condizioni che fecero guadagnare sempre più terreno alle correnti rivoluzionarie. Gruppi di giovani idealisti, per lo più studenti e intellettuali, animarono negli anni Settanta un movimento politico-umanitario, definito populismo poiché si poneva l’obiettivo di ‘andare al popolo’. Il populismo auspicava il riscatto dei contadini e la loro educazione mediante un contatto diretto con le masse agricole; sennonché, non capito dagli stessi contadini, andò incontro a un completo insuccesso. Una parte dei giovani impegnati nel movimento, disillusa, diede allora vita a organizzazioni segrete, come la Libertà del popolo, abbracciando il terrorismo nella convinzione che non vi fosse altra via possibile per cambiare la Russia. Nel 1881 Alessandro II cadde vittima di un attentato.
A loro volta, gli anarchici, come Michail A. Bakunin, teorizzavano la violenza rivoluzionaria come unico mezzo per abbattere lo zarismo. Il regno del successore, Alessandro III, fu improntato a un cieco conservatorismo. A lui, nel 1894, successe Nicola II, colui che sarebbe stato l’ultimo zar.
Negli ultimi due decenni dell’Ottocento anche la Russia aveva conosciuto un processo di industrializzazione, che aveva portato alla costituzione di grandi fabbriche con la presenza nei primi anni del Novecento di oltre due milioni di operai. Questi operai, che non godevano di alcun diritto politico e sindacale e vivevano in miseria, divennero un terreno fertile per la propaganda dei partiti rivoluzionari clandestini. Nel 1898 sorse il Partito operaio socialdemocratico russo, di orientamento marxista (Marx, Karl), che considerava la classe operaia come la forza rivoluzionaria per eccellenza e auspicava un rapido sviluppo capitalistico quale premessa del socialismo. Nel 1902, raccogliendo l’eredità del populismo, venne fondato il Partito socialrivoluzionario, che si batteva per un socialismo agrario in linea con le tradizioni comunitarie dei contadini russi. Anche gli anarchici potevano contare su propri punti di forza.
Le correnti liberali, invece, erano quanto mai deboli in Russia, così come poco sviluppata era la borghesia imprenditoriale. I socialdemocratici russi si divisero nel 1903 tra un’ala maggioritaria (bolscevichi) e una minoritaria (menscevichi), la prima guidata da Vladimir I. Lenin, sostenitore di un partito centralizzato e diretto in maniera autoritaria da rivoluzionari di professione, la seconda da Martov, che avversava tale impostazione.
La prima delle tre rivoluzioni russe venne favorita dalla guerra russo-giapponese del 1904-05, che per le sconfitte subite indebolì gravemente la Russia e lo zarismo, mentre attivò enormemente i conflitti interni. La rivoluzione ebbe inizio a San Pietroburgo il 22 gennaio 1905, in quella che passò alla storia come la domenica di sangue, quando la polizia uccise un migliaio di persone nel corso di una manifestazione per presentare una petizione allo zar. In breve tempo la rivoluzione si estese ad altri luoghi coinvolgendo operai e soldati, che diedero vita a soviet («consigli») con la partecipazione dei partiti socialisti. Nelle campagne nel frattempo si diffuse la rivolta dei contadini poveri.
Per far fronte al pericolo rivoluzionario lo zar Nicola II in ottobre promise la concessione di un sistema parlamentare e di maggiori libertà. In dicembre insorsero gli operai di Mosca, ma la sollevazione venne sanguinosamente repressa e la reazione prese il sopravvento.
Tra il 1906 e il 1914, anno di inizio della Prima guerra mondiale, la Russia ebbe una sorta di regime semirappresentativo, le libertà politiche e civili vennero parzialmente riconosciute, ma il regime zarista si mostrò incapace di affrontare la questione agraria, la miseria dei contadini e degli operai. Il tentativo del primo ministro Pëtr A. Stolypin di favorire la creazione di un solido ceto di medi e piccoli proprietari, fortemente osteggiato dai conservatori, ebbe termine quando nel 1911 un terrorista lo uccise.
Nel 1911-12 il paese fu scosso da un’ondata di agitazioni operaie e contadine. Il governo zarista, dominato dalle cricche di potere, dava prova di inerzia e incapacità.
Nell’agosto 1914 l’Impero russo entrò in guerra contro l’Austria-Ungheria e la Germania a fianco di Francia e Gran Bretagna, contando su una rapida vittoria. Dopo alcuni successi iniziali contro gli Austriaci, l’esercito zarista dimostrò la propria totale inadeguatezza ad affrontare in primo luogo un esercito potente come quello tedesco. L’inefficienza, la corruzione, l’autoritarismo degli ufficiali che trattavano i soldati come servi, la fame delle masse nelle città, le sconfitte sempre più gravi aprirono le porte alla seconda Rivoluzione russa.
Tra il 23 e il 27 febbraio 1917 (secondo il calendario russo, tra l’8 e il 12 marzo secondo quello occidentale adottato anche in Russia l’anno seguente) gli operai di Pietrogrado insorsero affiancati da reparti militari ribelli e costituirono un soviet. Il 2 marzo Nicola II abdicò e poco dopo venne instaurata di fatto la repubblica. L’insurrezione si estese dilagando nelle campagne. Fu formato un governo provvisorio, dominato da aristocratici e borghesi di orientamento liberale, che dovette però dividere il potere con i soviet degli operai e dei soldati, diretti dai socialrivoluzionari, dai menscevichi e dai bolscevichi.
La Russia restava in guerra, ma il fronte andava sfaldandosi e decine di migliaia di contadini disertavano e tornavano nelle campagne. La definizione del futuro politico del paese venne affidata a un’assemblea costituente, da riunirsi dopo elezioni a suffragio universale. In aprile tornò dall’esilio il capo dei bolscevichi, Lenin, il quale incitò i soviet a prendere nelle loro mani tutto il potere, i contadini a impadronirsi della terra (cosa che essi stavano già facendo), gli operai e i soldati a imporre la pace immediata.
In luglio-agosto il governo provvisorio lanciò un’offensiva contro i Tedeschi, che si risolse in una sconfitta. Quindi procedette a perseguitare i bolscevichi per il loro disfattismo. Ma quando il generale Lavr G. Kornilov, tentò un colpo di Stato reazionario, il governo, diretto dal socialrivoluzionario Aleksandr F. Kerenskij, si unì ai bolscevichi per respingerlo.
La sconfitta di Kornilov allargò enormemente l’influenza dei bolscevichi sulle masse degli operai e dei soldati, ed essi conquistarono la maggioranza nei soviet. L’autorità del governo provvisorio era a pezzi e i bolscevichi costituivano l’unico partito saldamente organizzato, mentre i socialrivoluzionari e i menscevichi erano in uno stato di sbandamento. In quelle condizioni Lenin ritenne che il suo partito fosse in grado di conquistare il potere. Appoggiato da Lev D. Trockij, presidente del soviet di Pietrogrado, vincendo le esitazioni e le opposizioni di alcuni dei maggiori dirigenti bolscevichi, il 24-25 ottobre 1917 (6-7 novembre) egli ordinò alle truppe rivoluzionarie di occupare le sedi del governo e di stroncare le forze a esso fedeli. Le resistenze furono assai deboli e l’intera operazione risultò quasi incruenta. Questa fu la terza Rivoluzione russa, passata alla storia come la Rivoluzione di ottobre.
Preso il potere i bolscevichi costituirono un governo, anch’esso provvisorio, formato da commissari del popolo, con l’appoggio dei soli socialrivoluzionari di sinistra. Intanto era stata eletta l’Assemblea costituente, cui sarebbe spettato di decidere del futuro della Russia, del suo tipo di governo e di chi lo avrebbe diretto. I risultati furono sfavorevoli ai bolscevichi, che con 175 seggi su 707 rimasero assai indietro rispetto all’insieme dei partiti avversari e, in particolar modo, ai socialrivoluzionari, risultati con 410 seggi di gran lunga il primo partito grazie al consenso delle masse contadine. Tuttavia il partito bolscevico, il quale aveva ottenuto la maggioranza dei voti nelle città e nei quartieri operai, sostenne per bocca di Lenin che era impensabile che la classe operaia, la classe più avanzata della società, cedesse il potere alle arretrate masse contadine e ai ceti conservatori. Il 18 gennaio 1918 Lenin ordinò alle guardie rosse di sciogliere con la forza l’Assemblea costituente.
La pressione militare tedesca, intanto, si faceva insostenibile, per cui Lenin e Trockij, con l’opposizione dei socialrivoluzionari che li avevano sostenuti al governo e di una parte degli stessi bolscevichi, imposero la pace, firmata a Brest Litovsk il 3 marzo, la quale comportò durissime perdite territoriali per la Russia.
Per protesta i socialrivoluzionari di sinistra abbandonarono il governo, che acquistò anche formalmente il carattere della dittatura del solo partito bolscevico. Secondo la teoria ufficiale in Russia era in atto la dittatura del proletariato, diretta contro le classi ostili al nuovo potere e sostenuta dalla democrazia dei soviet operai e contadini; ma in effetti ogni forma di partecipazione democratica venne rapidamente eliminata e il partito bolscevico stabilì la sua dittatura sull’intero corpo sociale, classe operaia compresa. Contro tutti gli avversari venne scatenato il terrore rosso, di cui strumento essenziale diventò la Ceka, la polizia politica costituita fin dal dicembre 1917.
Quando i bolscevichi presero il potere, la situazione economica della Russia era già catastrofica in seguito agli effetti della guerra e della rivoluzione. Essa si aggravò ulteriormente in conseguenza dello scoppio della guerra civile, che infuriò nell’ex impero zarista tra la fine del 1917 e il 1921 opponendo il governo bolscevico e il suo esercito (l’Armata rossa) a governi controrivoluzionari formatisi in successione in varie parti dell’immenso paese, alle loro armate ‘bianche’ e alle truppe inviate dai governi inglese, francese, italiano, americano e giapponese.
Il governo di Lenin, di cui gli avversari interni ed esterni ritenevano sempre imminente la caduta, affrontò la drammatica emergenza con estrema decisione e con la determinazione a non cedere a ogni costo.
Per eliminare ogni speranza nella restaurazione dello zarismo, nel luglio del 1918 lo zar Nicola II e i membri della sua famiglia vennero uccisi. Squadre armate provvidero a strappare le scarsissime riserve alimentari ai contadini, al fine di rifornire la popolazione stremata delle città e le armate della rivoluzione. Ogni opposizione venne stroncata senza pietà.
Contrariamente a tutte le previsioni, il governo bolscevico non solo sopravvisse, ma riuscì a sconfiggere completamente i suoi avversari ‘bianchi’ e le truppe straniere. Lenin aveva creduto fermamente che la Rivoluzione di ottobre avrebbe dato inizio alla rivoluzione internazionale, a partire dalla Germania. Ma si trattò di un’illusione. Pertanto la Russia sovietica vittoriosa rimase isolata dal resto del mondo, con il solo sostegno dei comunisti esteri e di altre correnti minori del socialismo mondiale che si erano uniti ai bolscevichi nel 1919 dando vita alla Terza Internazionale.
La Russia sovietica veniva attaccata sia dalle forze conservatrici internazionali sia dalla socialdemocrazia, le quali consideravano la dittatura bolscevica alla stregua di un regime dispotico che opprimeva in primo luogo gli operai e i contadini del paese.
Vinti i loro nemici, nel 1921 i bolscevichi si trovarono saldamente installati al potere. Ma il paese era al collasso: la produzione industriale e agricola era ai minimi termini, la rete dei trasporti quasi interamente distrutta. Lo Stato, che si era assunto il compito di gestire le leve della produzione, aveva introdotto nel 1918-20 il cosiddetto comunismo di guerra, che altro non era se non la distribuzione coatta delle scarsissime risorse disponibili.
Tra l’autunno del 1920 e la primavera del 1921 scoppiarono agitazioni nelle fabbriche e nelle campagne, causate dall’esasperazione dovuta alla carestia che aveva iniziato a mietere milioni di vittime. Nello stesso partito bolscevico sorsero correnti di opposizione che denunciavano l’accentramento del potere nelle mani di una ristretta oligarchia e chiedevano spazio per la democrazia operaia. Il potere bolscevico si trovava a questo punto minacciato all’interno della sua stessa base sociale.
La situazione precipitò quando, nel marzo 1921, i marinai della base navale di Kronstadt, in passato convinti sostenitori dei bolscevichi, insorsero invocando la fine della dittatura e la restaurazione della democrazia sovietica tradita. La risposta di Lenin e di Trockij fu la spietata repressione dell’insurrezione e il soffocamento di ogni corrente nel partito. Al fine però di favorire la ripresa della produzione, fu varata, sempre nel 1921, la Nuova politica economica (NEP), la quale, mentre lasciava nelle mani dello Stato il commercio estero, la finanza e la grande industria, affidava nuovamente all’iniziativa dei privati il commercio interno, le piccole e medie imprese artigianali, industriali e agricole (in attesa di un rilancio della collettivizzazione dell’economia su scala generalizzata in una fase più favorevole). La NEP ebbe un notevole successo.
Lenin, il capo della rivoluzione e della Russia sovietica, cadde gravemente malato nel 1923 e morì nel gennaio 1924. Durante la sua malattia si scatenò la lotta per la successione. I due principali contendenti furono Trockij, che accanto a Lenin era stato il maggior artefice della rivoluzione e della vittoria nella guerra civile, e Josif V. Džusgašvili, soprannominato Stalin, emerso come un dirigente di primo piano solo nel 1922 quando Lenin lo aveva scelto come segretario generale del partito per le sue doti di organizzatore. La lotta tra i due, sostenuti alternativamente dagli altri maggiori dirigenti, fu spietata. Il primo affermava che senza la rivoluzione internazionale la Russia arretrata e isolata non sarebbe stata in grado di costruire una società socialista e invocava il rilancio della democrazia nel partito per impedire una degenerazione burocratica; il secondo sosteneva per contro che il regime sovietico era sano e che, anche senza la rivoluzione internazionale (che realisticamente a lui appariva, in quel momento, del tutto improbabile), la Russia sarebbe riuscita a creare «il socialismo in un paese solo».
Nel 1927 Stalin – risultato il pieno vincitore della lotta per la successione con l’eliminazione politica di tutti i suoi oppositori all’interno del partito bolscevico (eliminazione che in seguito sarebbe diventata anche fisica) – diede inizio alla costruzione della propria dittatura personale e pose fine alla NEP affidando il controllo dell’economia alla burocrazia statale. Così la Rivoluzione di ottobre aveva trovato il suo esito. Il sogno di costruire una società fondata sulla democrazia delle masse aveva lasciato il posto nell’Unione Sovietica a un sistema compiutamente totalitario.