probabilità
La misura dell’incertezza
Prevedere il futuro è un’aspirazione costante dell’umanità: si desidera sapere che tempo farà l’indomani, si consulta l’oroscopo nell’illusione di prevedere come sarà la settimana, ci si fa leggere la mano nella convinzione che vi sia scritto l’avvenire. Il futuro è il mondo dell’incertezza e la scienza affronta il problema di prevederlo in modo completamente diverso da maghi o ciarlatani. Se di un evento non si può sapere se e quando si avvererà, si può tuttavia misurare la probabilità che avvenga: si assegna cioè a tale evento un numero, che esprime il nostro grado di fiducia sul fatto che esso si verifichi. La scienza non elimina l’incertezza, ma la misura
Nell’antichità l’arte di predire il futuro era tenuta in grande considerazione. Tra gli Etruschi e i Romani, per esempio, vi erano veri e propri specialisti che interpretavano alcuni fenomeni naturali cercando i segni della volontà degli dei. Gli àuguri studiavano la direzione del volo degli uccelli, gli aruspici le viscere degli animali sacrificati: spesso la decisione di iniziare una battaglia era presa su tali basi.
Se non si crede che gli dei inviino agli esseri umani segni della loro volontà, che cosa si può dire del futuro? Sorgerà il Sole, domani? Pioverà? Sarò in grado di volare? Vincerò un giorno alla lotteria? Chissà...
Su un evento futuro si possono avanzare tre tipi di previsioni: è certo che avverrà (domani sorgerà il Sole); è impossibile che accada (domani saprò volare); è possibile che si verifichi (un giorno vincerò alla lotteria).
La possibilità è una condizione intermedia tra la certezza e l’impossibilità: due confini all’interno dei quali si situano diversi gradi di possibilità.
Come accade quando si misura la temperatura con il termometro e si fissano due numeri, 0 per indicare quando l’acqua diventa ghiaccio e 100 per indicare quando essa bolle, così si introduce anche una misura della possibilità, che viene chiamata probabilità e che è compresa tra due limiti invalicabili: 0 per un evento impossibile e 1 per un evento certo. La probabilità non può andare oltre questi confini e quindi è sempre indicata da un numero compreso tra 0 e 1.
Spesso si utilizza l’appellativo matematico per indicare un avvenimento certo. Per esempio, se una squadra di calcio di serie A ha dieci punti di vantaggio sulla seconda a tre giornate dalla fine del campionato, si dice che ha «matematicamente vinto» il campionato. Non è ancora ufficiale, perché il campionato non è finito, ma è certo che le sarà assegnato lo scudetto perché ogni vittoria regala alla squadra che la ottiene solo tre punti. Questo uso del termine matematico, tuttavia, non è del tutto pertinente perché la matematica si occupa anche degli avvenimenti incerti.
L’arbitro che all’inizio di una partita di calcio lancia una moneta per stabilire a quale squadra toccherà il calcio d’avvio non è interessato a conoscere la velocità con cui la moneta cade a terra, un valore numerico che, con una formula matematica, si potrebbe calcolare in modo certo. In quella situazione l’importante è stabilire se sarà ‘testa’ o ‘croce’, ma non c’è alcuna possibilità di sapere quale faccia della moneta uscirà a priori. È una situazione in cui la matematica è applicata a eventi dominati dal caso, dall’incertezza.
Nel caso della moneta non si è sicuri di ottenere ‘testa’, ma non è neppure impossibile. Dipende dal caso (caos e caso) e non c’è alcuna ragione di ritenere – se la moneta è perfettamente simmetrica – che sia favorita l’una o l’altra delle due facce. Se indichiamo con T l’evento ‘esce testa’, con C l’evento ‘esce croce’ e con prob la misura della fiducia che tale evento si verifichi, abbiamo:
prob(T)=1/2 prob(C)=1/2
Vale a dire che la probabilità di ‘testa’ è uguale a 1/2 e la probabilità di ‘croce’ è uguale a 1/2 .
Il numero associato (1/2=0,5) è compreso tra 0 e 1: si tratta di un numero tra l’impossibile e il certo; è una misura di probabilità.
Se si lancia un dado non c’è alcun motivo di ritenere che una delle sue sei facce sarà privilegiata rispetto alle altre. Tutte hanno la stessa probabilità pari a 1/6:
prob(1)=prob(2)=prob(3)=prob(4)=prob(5)=
prob(6)=1/6
Più in generale, la probabilità di un evento E si calcola facendo il rapporto tra il numero di casi favorevoli all’evento e il numero dei casi possibili (se, tra questi, nessuno è privilegiato):
Per esempio, nel gioco del lotto ogni settimana sono estratti 5 numeri su 90. Se si gioca un numero (cioè si scommette che uno dei numeri estratti sia quello da noi scelto), la situazione è la seguente:
• numero di casi possibili: 90;
• numero di casi favorevoli: 5 (il numero su cui abbiamo scommesso può uscire per primo, per secondo, … per quinto);
• probabilità=5/90=1/18=5,̅%.
Se si vince, si riceve circa 11 volte quanto si è giocato. Poiché 1/18 è minore di 1/11, il gioco risulta svantaggioso per chi gioca e vantaggioso per lo Stato che raccoglie le scommesse.
Nei giochi d’azzardo – quelli che dipendono da fattori casuali – si può avere più o meno fortuna. Ma la fortuna è un capriccio del caso; e il caso ha le sue regole. Occorre evitare di cadere in alcuni errori grossolani dettati dall’ignoranza o dai nostri desideri, e su cui spesso taluni speculano.
Uno tra i più diffusi errori riguarda proprio il gioco del lotto. Nelle estrazioni settimanali può accadere che alcuni numeri presentino ‘ritardi’, cioè che non vengano estratti per molte settimane consecutive.
Un ritardo, per quanto sia grande, non modifica però la probabilità che quel numero esca alla successiva estrazione; è sciocco accanirsi a puntare su un numero che ha accumulato un grande ritardo perché quel numero ‘non sa’ di mancare all’appello da molto tempo. La probabilità che esso venga estratto rimane quindi costantemente uguale a 5/90.
Nella mitologia greca, Cassandra, figlia del re di Troia, ricevette dal dio Apollo il dono di prevedere il futuro, ma poi rifiutò le sue proposte d’amore e Apollo, adirato, la maledisse: nessuno avrebbe creduto alle sue profezie e così fu. Cassandra previde la distruzione di Troia; cercò di convincere i concittadini a non accettare in dono il cavallo di legno, dove si erano nascosti i soldati nemici, ma nessuno le credette e Troia cadde nelle mani dei Greci. Per questo il nome di Cassandra è divenuto sinonimo di profeta di sventure e «Non fare la Cassandra!» è un’esclamazione che si fa per scongiurare previsioni negative.
In molti paesi gli esiti del lancio di una moneta sono indicati in modo convenzionale, come ‘testa’ o ‘croce’. La convenzione di indicare così le due facce di una moneta risale a molto tempo fa. Le monete dell’Impero Romano riportavano su una faccia l’effigie dell’imperatore, la sua testa; da Costantino in poi, dopo l’editto del 313 d.C. in cui si dava piena libertà di professare la fede cristiana, sull’altra faccia delle monete comparve il simbolo del cristianesimo, la croce, che per Costantino stesso era una sorta di portafortuna. Per molti secoli appresso – e ancora oggi – si è conservato questo segno di ‘doppio potere’, civile e religioso.
Il calcolo della probabilità trae origine dall’analisi dei giochi d’azzardo fatta dal filosofo e scienziato francese del Seicento Blaise Pascal. In uno dei suoi scritti, Pascal affronta il problema dell’esistenza di Dio con un ragionamento probabilistico. Non si può infatti dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio: è un fatto di fede. Tuttavia, secondo Pascal, che mira a coniugare fede e ragione, conviene scommettere sulla sua esistenza. Infatti, egli afferma,«pesiamo il guadagno e la perdita nel caso che scommettiate in favore dell’esistenza di Dio. Valutiamo questi due casi: se vincete» – se cioè Dio esiste – «guadagnate tutto; se perdete non perdete nulla. Scommettete, dunque, senza esitare, che egli esiste».