Narrativi, procedimenti
Il cinema non ha sempre raccontato storie, anzi, in origine non sapeva neppure che cosa fossero: era stato concepito per riprendere e proiettare vedute di una sola inquadratura. La trasformazione del "cinematografo" in "cinema" (così E. Morin, 1956, ha definito il passaggio alle grandi costruzioni narrative) ha implicato un processo della durata di quasi vent'anni, dal 1895 al 1915, l'anno di uscita del film The birth of a nation (1915; Nascita di una nazione) di David W. Griffith. Il 'cinematografo' mostrava vedute di paesi e città, gag, trucchi come quelli di Georges Méliès, scene tratte dalla Passione di Cristo, che era nota a tutti, o da storie famose a quel tempo (per es., Uncle Tom's cabin, 1903, di Edwin S. Porter) oppure ricostruzioni di fatti di cronaca; spesso era presente anche un animatore che spiegava le immagini in movimento. Ricerche effettuate a partire dal 1981 hanno messo in luce come il cinematografo non s'interessasse alla narrazione ma piuttosto tendesse a mostrare le immagini in movimento e gli effetti speciali, come le riprese dai treni in corsa e altre simili. Ogni inquadratura durava finché c'era pellicola, circa un minuto e mezzo (la pellicola era girata a mano), e costituiva tutto il film.
Con la scoperta del montaggio, i cineasti cominciarono a unire vari episodi per comporre storie più lunghe. Inizialmente il montaggio non era uno strumento narrativo, bensì solo un trucco con il quale si poteva fare apparire o sparire un oggetto o sostituirlo con un altro. È famoso l'aneddoto che segnò questa scoperta: filmando alcune carrozze su una strada parigina, Méliès ebbe un guasto, gli s'inceppò la manovella e poco dopo, riparata la macchina, continuò a girare. Quando sviluppò la pellicola si accorse che una carrozza improvvisamente veniva sostituita da un carro funebre. Ebbe così l'idea d'interrompere la ripresa per scambiare gli oggetti. Più tardi si usò il montaggio per unire una scena all'altra e costruire storie di una certa durata. The great train robbery (1903; L'assalto al treno) di Porter, che raccontava un famoso fatto di cronaca, era un seguito di tredici inquadrature, ciascuna delle quali conteneva un episodio compiuto; ogni scena era filmata in piano d'insieme (il futuro campo medio: v. piani, scala dei) con una notevole profondità di campo. A queste si aggiungeva una quattordicesima inquadratura che costituiva un effetto speciale: un primo piano con il capo dei banditi, Barnes, che sparava contro lo spettatore. Questo primo piano era extradiegetico, ovvero non apparteneva al racconto; poteva essere montato dal proiezionista all'inizio o alla fine del film, a piacere. La cinepresa era fissa, salvo qualche piccola bella panoramica.
Le prime storie che il cinematografo raccontava erano quindi caratterizzate dalla coincidenza di scena e inquadratura. Ogni episodio, o scena, veniva filmato tutto di seguito senza stacchi; una volta finita la pellicola, si passava a un episodio successivo e spesso il presentatore colmava i vuoti a parole. Solo quando i cineasti cominciarono a spezzare una singola scena in diverse inquadrature nacque il concetto di sequenza cinematografica e maturarono i p. n. specifici del cinema. Si può definire la sequenza un episodio narrativo autonomo, costituito da una o più inquadrature (unità di azione). Per inquadratura s'intende ciò che sta fra due tagli di montaggio, con o senza movimento della macchina da presa. La scena, termine di derivazione teatrale, indica un episodio che si svolge in uno stesso luogo. Quando una sequenza è girata in una sola inquadratura, fissa o in movimento che sia, si parla di piano-sequenza, uno stilema che caratterizza il cinema moderno. Anche il cinema narrativo delle origini, come accennato, era girato in piani-sequenza, ma solo perché i cineasti non avevano ancora imparato a frazionare le scene.Il cinema narrativo propriamente detto è quindi un'architettura di punti di vista che mutano nel corso di una stessa scena. I cineasti cominciarono ad alternare i vari piani (piano d'insieme, piano ravvicinato, primo piano: v. piani, scala dei) e svilupparono quasi contemporaneamente i principali p. n., il montaggio analitico e parallelo, l'ellissi e il flashback. Nacque appunto la sequenza in cui la cinepresa si disloca all'interno di uno stesso episodio-scena o segue i personaggi quando si spostano, o passa alternativamente da un luogo a un altro per meglio drammatizzare la storia. Maturò a poco a poco la figura astratta del narratore onnisciente e onnipresente, simile a quello del romanzo ottocentesco, in cui la cinepresa si trova sempre nel punto giusto e al centro dell'azione, figura che sarebbe stata sviluppata soprattutto nel cinema classico americano.Il montaggio analitico servì inizialmente a facilitare la comprensione: ci si rese conto infatti che la cinepresa poteva usare il dettaglio per spiegare un particolare dell'azione, o che il primo piano poteva approfondire uno stato d'animo che da lontano sarebbe altrimenti risultato incomprensibile. Successivamente servì invece a drammatizzare la sequenza e a dare origine ai primi procedimenti retorici: si comprese che il passaggio improvviso da un campo medio al primo piano, per es., poteva scuotere lo spettatore.Il montaggio alternato, mediante il quale vengono collegate fra loro due azioni o due parti della stessa azione che si svolgono simultaneamente in luoghi diversi, ebbe il suo iniziale momento di trionfo nella cosiddetta chase, la fuga-inseguimento che concludeva gran parte dei film comici: "Cut to the chase, cut to the chase" era il motto di Mack Sennett, padre del cinema comico, quando un film diventava troppo lungo. Sembra che il primo film a montaggio alternato sia stato Le cheval emballé, una produzione Pathé del 1907 dove un cavallo fermo davanti a una bottega di verdure mangiava tutto e ingrassava a vista d'occhio mentre il padrone saliva le scale per fare le consegne. Questo modello trovò il suo primo momento di grande espressione drammatica nel finale di The birth of a nation, dove ben tre azioni si alternano sempre più rapidamente. Il montaggio parallelo, che nacque poco tempo dopo da una costola del montaggio alternato, sarebbe stato invece sviluppato dai sovietici, ancorché compaia già in alcuni film di Griffith, come A corner in wheat (1909) e soprattutto Intolerance (1916), dove quattro grandi storie distanti nel tempo (La caduta di Babilonia, la Passione di Cristo, la Notte di San Bartolomeo e una storia di gangster, La madre e la legge) vengono raccontate insieme passando da una all'altra continuamente, mostrando la violenza umana nelle varie epoche della storia. Fu però Sergej M. Ejzenštejn a teorizzare nei suoi scritti vari tipi di montaggio: "montaggio delle attrazioni" (strumento per attirare l'attenzione dello spettatore), "montaggio verticale" (rapporto immagini-musica), "montaggio intellettuale" (per mantenere desta la capacità critica dello spettatore attraverso metafore o altre figure retoriche) e infine "montaggio tonale e sovratonale", elaborato sulla base di consonanze fra le immagini, come una "musica per gli occhi".Il cinema americano cercò invece di nascondere sempre di più il montaggio, per lasciare allo spettatore soltanto la storia nella convinzione che egli venisse maggiormente coinvolto nei fatti narrati quando il lavoro del cineasta risultava meno evidente. Di qui la proibizione dello sguardo in macchina, degli scavalcamenti di campo (raccordi a 180°), l'uso molto raro del piano sequenza e della profondità di campo che sottolineano la presenza della cinepresa. Il montaggio classico si articolò progressivamente in raccordi di direzione, con cui viene seguito un personaggio nei suoi movimenti (per es., nel passaggio da una stanza all'altra), raccordi di sguardo (che passano da un personaggio alla persona o alla cosa guardata) e raccordi sull'asse (che avvicinano o allontanano lo spettatore dall'oggetto). Successivamente nacquero i raccordi sonori, in cui si passa da un'inquadratura all'altra sulla base di un'impressione sonora (per es., si ode una voce in una stanza e la cinepresa stacca per vedere chi sta entrando). Sulla base di questi quattro tipi di montaggio si sviluppò tutta la retorica hollywoodiana, orientata a coinvolgere lo spettatore facendolo penetrare negli angoli più segreti dell'azione e dei personaggi, oppure viceversa lasciandolo all'oscuro, nell'impossibilità di vedere e di sapere, per meglio sorprenderlo alla fine. Una variante molto importante del raccordo di sguardo è la soggettiva, che porta lo spettatore al posto di un personaggio e, per così dire, gli fa vedere una cosa con i suoi occhi (in inglese la soggettiva è detta appunto POV, Point of View Shot). Esistono innumerevoli varianti possibili della soggettiva, come quella parziale (semisoggettiva) con il personaggio in campo di spalle e quella totale in cui lo spettatore è esattamente al suo posto. La soggettiva è dunque l'unione di due inquadrature (vedente + visto) che ci colloca dentro il personaggio e viene usata nei momenti maggiormente drammatici. Le avanguardie europee degli anni Venti, basate su principi contrapposti rispetto a quelli del cinema americano, nel tentativo opposto di evidenziare sempre il narratore, o addirittura di demolire il racconto, usarono spesso raccordi sconnessi e anche un altro tipo di soggettiva che può essere definita stilistica, e che consiste nel mostrare un'inquadratura deformata o alterata quando si suppone che il personaggio stia male o sia in stato di pericolo (per es., velata dal flou o fuori fuoco o traballante). Questo procedimento venne usato in particolare da Ewald André Dupont, Jean Epstein, o Abel Gance e in generale dai cosiddetti impressionisti (v. impressionismo). Il cinema americano utilizzò invece in maniera molto sobria la soggettiva, nei momenti più drammatici della narrazione. Ne fece un uso particolare Alfred Hitchcock, autore che si trovò al confine fra cinema classico e cinema sperimentale. Una particolare figura molto usata nel cinema classico fu invece, specialmente per le scene di dialogo, il campo/controcampo, procedimento con cui la cinepresa si sposta da un lato all'altro della scena, sempre alle spalle di chi ascolta e guardando chi parla.
Ma il p. n. più importante è l'ellisse, che nacque quasi contemporaneamente al montaggio. Il cinema infatti è incapace di attuare le condensazioni che si possono produrre con il linguaggio parlato; per rendere in maniera sintetica un evento occorre infatti mostrare l'azione divisa in piccoli episodi, magari l'inizio, il centro e la fine. L'ellisse è quindi una derivazione del montaggio, che prima scopre le grandi ellissi, quelle che separano una sequenza dall'altra, poi le piccole ellissi, quelle che stanno dentro una stessa sequenza e velocizzano un episodio con il taglio dei tempi morti (la preparazione dei bagagli, la partenza e simili azioni vengono sintetizzate con pochi frammenti); e infine le ellissi nascoste nel racconto stesso (si consideri il caso di due personaggi che si lasciano e mentre parlano arriva subito il taxi o l'autobus, cosa che non accade quasi mai nella vita).
Con lo sviluppo del cinema classico maturarono anche quegli espedienti che segnalano il passaggio del tempo. Il primo messo a punto fu quello di inserire dentro una scena un piccolo episodio che si svolge altrove; quando si ritorna all'episodio principale si comprende che un certo tempo è passato. A tal proposito Béla Balázs osservava già negli anni Venti che quanto più distante è il luogo della scena inserita, tanto più lunga appare l'ellisse agli occhi dello spettatore (se si passa da una stanza a quella attigua della stessa casa, quando si ritorna alla prima s'intende che sono passati pochi minuti, se invece l'episodio inserito si svolge in Australia s'intende che siano passati alcuni anni). La dissolvenza incrociata, che fino agli anni Cinquanta era usata per separare le sequenze e segnalare un lungo intervallo temporale, è poi caduta in disuso ed è stata ripresa come motivo letterario. Per es., nei western di Sydney Pollack risulta molto lunga, quasi una contemplazione del tempo che passa. Esistono anche espedienti per ottenere effetti opposti, ossia a rallentare il racconto e a far durare una scena più di quanto non sia verosimile: è la cosiddetta durata psicologica. La ripetizione da un diverso punto di vista (overlapping editing), il ralenti servono a ricostruire il tempo vissuto o il tempo della riflessione, ma evidenziano anche il narratore e l'atto del raccontare e sono quindi in generale evitati dal cinema classico. Una variante dell'ellisse nell'ambito del cinema classico è il montaggio frequentativo, con cui lo svolgimento narrativo condensa lunghi periodi di tempo mediante alcune azioni ripetitive: per es., la carriera di un pugile può venire riassunta con cinque o sei frammenti di combattimenti diversi in sale sempre più gremite; la fine di un matrimonio iniziato bene si può riassumere in tre o quattro colazioni, come nella famosa sequenza di Citizen Kane (1941; Quarto potere) di Orson Welles, in cui si racconta il deteriorarsi del matrimonio di Kane: prima i due sposi sono molto affettuosi, poi Kane legge il suo giornale e la moglie si annoia, infine Kane legge il suo giornale e la moglie legge il giornale avversario. Un altro procedimento narrativo essenziale è il flashback (nella letteratura corrisponde all'analessi). Come osservò H. Münsterberg nel 1916, questa figura riproduce un procedimento specifico della mente umana: la memoria. Il flashback nella narrazione classica viene spesso attribuito come ricordo soggettivo a un personaggio (si pensi al film The killers, 1946, I gangsters, di Robert Siodmak, la cui storia è interamente raccontata attraverso il ricordo-flashback di un personaggio che aspetta la morte rassegnato), oppure viene inserito come complemento visivo al racconto di qualcuno, sempre per lasciare invisibile l'istanza narrante. Viceversa, nel cinema moderno spesso il flashback emerge improvvisamente e ha come effetto quello opposto, ossia di rendere percepibile l'esistenza di un narratore; basti pensare al film Professione: reporter (1975) diretto da Michelangelo Antonioni dove con una semplice panoramica si passa dal presente al passato, da Locke seduto accanto al cadavere di Robertson allo stesso Locke che alcuni giorni prima sta parlando sulla terrazza con Robertson. Il procedimento opposto (comparso qualche anno più tardi rispetto al flashback ed evitato solitamente nel cinema classico poiché evidenzia la presenza di un narratore), il flashforward, corrisponde alla prolessi narrativa, e fa fare allo spettatore un salto in avanti, per poi ritornare al punto di partenza.Con la nascita del cinema moderno (v. modernità), di cui il Neorealismo e la Nouvelle vague costituiscono le principali tappe, questi p. n. sono stati rielaborati, spesso sottolineati e marcati, quasi fossero citazioni, per sottolineare la presenza del narratore e rendere visibili gli artifici del cinema. Si è così ritornati, per es., al piano-sequenza delle origini, ma con intenti ovviamente differenti. Fra i padri del cinema moderno vi sono Jean Renoir e Welles, che usarono inquadrature più lunghe possibile (long takes) e recuperarono la profondità di campo delle origini, e il cui esempio venne poi seguito da Luchino Visconti, Roberto Rossellini e Jean-Luc Godard. Il cinema moderno utilizza volentieri anche il procedimento inverso, il jump-cut, in cui l'ellisse viene potenziata al massimo, fino a rendere un'azione piuttosto difficile da comprendere. A partire dalla Nouvelle vague sono diventati frequenti anche i falsi raccordi, già frequenti nelle avanguardie degli anni Venti e in particolare nel cinema di Ejzenštejn: i campi, i movimenti, le posizioni non si corrispondono nel passaggio da un'inquadratura a un'altra, il montaggio è diventato visibile, il cinema si è mostrato sempre più come cinema, la macchina narrativa non si è più nascosta e il recupero di molte caratteristiche del cinema delle origini (piano-sequenza e profondità di campo) è servito appunto a sottolineare che il cinema è adulto e sa guardare con distacco al passato.Nel racconto postmoderno americano è apparso evidente soprattutto il recupero ancora più forte e visibile dei trucchi e degli effetti speciali: quello che interessa allo spettatore non è più la storia raccontata, ma il modo particolare in cui viene raccontata (si pensi alla versione di Dracula fatta da Francis Ford Coppola, Bram Stoker's Dracula, 1992, Dracula di Bram Stoker). Spesso la storia stessa non è che un pretesto per mostrare effetti speciali e giochi visivi. Il cinema torna a essere un'arte della meraviglia come alle origini.
H. Münsterberg, The photoplay: a psychological study, New York 1916 (trad. it. Parma 1980).
E. Morin, Le cinéma, ou l'homme imaginaire, Paris 1956 (trad. it. Milano 1962).
D. Bordwell, Narration in the fiction film, Madison 1985.
J. Aumont, M. Marie, L'analyse des films, Paris 1988 (trad. it. Roma 1996).
T. Gunning, D.W. Griffith and the origins of American narrative film. The early years at Biograph, Urbana 1991.
G. Rondolino, D. Tomasi, Manuale del film: linguaggio racconto analisi, Torino 1995.