Abstract
Dopo una preliminare definizione dell’espressione “proprietà intellettuale”, vengono esaminati i profili strutturali delle relative controversie, indagando innanzitutto le questioni relative alla giurisdizione e alla competenza, per poi procedere alla illustrazione delle tipologie di azioni di merito e delle misure cautelari nell’ambito del diritto della proprietà intellettuale. Vengono, inoltre, affrontate le specificità della materia in punto di esecuzione indiretta e risarcimento del danno, nonché, da ultimo, il tema dei rapporti tra arbitrato e diritti di proprietà intellettuale.
L’espressione “proprietà intellettuale” si caratterizza per una variabilità di contenuti che si ritengono in essa ricompresi.
Ai nostri fini il significato di “proprietà intellettuale” si desume dall’art. 2, lett. viii), della Convenzione istitutiva dell’Organizzazione Mondiale della proprietà intellettuale (nota come WIPO o OMPI) del 14 luglio 1967, ai sensi della quale devono ritenersi inclusi in tale nozione il diritto d’autore, le invenzioni, i disegni e modelli, i marchi, la concorrenza sleale e tutti gli altri diritti inerenti all’attività intellettuale in campo industriale, scientifico, letterario e artistico. Eguale nozione “estesa” dell’espressione “proprietà intellettuale” si rinviene negli accordi TRIPs (Trade Related Intellectual Property Rights) firmati a Marrakech nel 1994 e attuati in Italia con il d.lgs. 19.3.1996, n. 198.
A livello domestico, con la pubblicazione del d.lgs. 10.2.2005, n. 30 (codice della proprietà industriale – c.p.i.), il nostro legislatore ha optato per la distinzione tra la disciplina della proprietà industriale e quella del diritto d’autore, che non confluisce nel citato codice. Ad identiche conclusioni è pervenuto il nostro legislatore nel 2006 (d.lgs. 15.3.2006, n. 140) con l’adeguamento del codice della proprietà industriale alla direttiva Enforcement (2004/48/CE) e nel 2010 con l’emanazione del d.lgs. 13.8.2010, n. 131, correttivo del c.p.i.
La scelta in questione è stata determinata – come risulta dalla relazione al c.p.i. – esclusivamente dal riparto delle competenze tra dicasteri della Repubblica e, proprio per questa ragione, si ritiene in questa sede di accogliere l’opzione semantica espansiva della locuzione citata.
Il consenso prestato a questa opzione impone di considerare una pluralità di fonti rilevanti e in particolare: a livello domestico il già citato c.p.i., la l. 22.4.1941, n. 633 (l. autore) e le disposizioni del codice civle in materia di concorrenza sleale; a livello internazionale, senza pretesa di esaustività, oltre alla Convenzione WIPO ed ai TRIPs, i regolamenti sul marchio comunitario, oggi unitario, sui disegni e modelli, la Convenzione sul brevetto europeo, la direttiva Enforcement e, infine, l’accordo del Consiglio UE n. 2013/C 175/01 del 19 febbraio 2013 che, sulla base dei regolamenti (UE) n. 1257/2012 e n. 1260/2012 sul brevetto unitario, prevede l’istituzione del Tribunale unificato dei brevetti (TUB).
Le controversie nella materia della quale ci stiamo occupando presentano spesso profili di internazionalità.
Le previsioni di cui all’art. 120 c.p.i. vanno dunque necessariamente coordinate con la disciplina del regolamento n. 1215/2012 (cd. Bruxelles I-bis), entrato in vigore il 10 gennaio 2013, ma applicabile dal 10 gennaio 2015, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che peraltro è stato modificato dal regolamento (UE) n. 542/2014 del 15 maggio 2014 con riferimento al TUB.
Per quanto riguarda le azioni in materia di registrazione e validità di diritti di proprietà intellettuale registrati l’art. 120 c.p.i. prevede una regola di giurisdizione esclusiva, analoga a quella di cui all’art. 24 reg. n. 1215/2012, in favore del giudice dello Stato nel cui territorio il deposito o la registrazione sono stati richiesti ed effettuati. Siffatta regola opera sia quando la questione di validità del diritto sia oggetto di una domanda principale o riconvenzionale, sia quando la stessa venga rilevata con eccezione.
Accanto a questo criterio di giurisdizione esclusiva, nonché ai criteri generali di attribuzione della giurisdizione, che sono volti a consentire al convenuto di essere adito dinanzi al giudice naturale, in questa materia ha grande rilevanza il criterio di giurisdizione speciale ed alternativo del foro dell’evento dannoso.
Siffatto criterio, previsto anche dai regolamenti in materia di marchi e disegni/modelli comunitari, si rinviene sia nell’art. 7.2 reg. n. 1215/2012, ai sensi del quale la persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta dinanzi al giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire, sia nell’art. 120 c.p.i. il cui co. 6 recita «le azioni fondate su fatti che si assumono lesivi del diritto dell'attore possono essere proposte anche dinanzi all’autorità giudiziaria dotata di sezione specializzata nella cui circoscrizione i fatti sono stati commessi».
L’applicazione di tale criterio ha determinato una serie di dubbi interpretativi non solo in relazione all’espressione «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto», e dunque in relazione alla possibilità di ricomprendere nella locuzione il luogo della condotta illecita e/o il luogo del danno, ma anche per quanto concerne gli eventi lesivi commessi mediante la rete internet ed alla possibilità di utilizzare siffatto criterio con riferimento alle azioni di accertamento negativo della violazione di un diritto di proprietà intellettuale.
Quanto al primo profilo l'espressione «luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto» è stata costantemente interpretata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia nel senso di ricomprendere sia il luogo in cui si è verificato il danno sia il luogo dell’evento da cui il danno origina (cfr. C. giust., 30.10.1976, Bier, C-21/76; C. giust., 5.2.1994, Danmarks Rederiforening, C-18/02). Quanto al secondo profilo si è posto il problema dell’individuazione del locus damni nelle violazioni del diritto d’autore online. La giurisprudenza italiana, accogliendo l’orientamento comunitario, ha applicato il criterio del “centro degli interessi” (forum actoris) (Cass., S.U., 13.10.2009, n. 21661; Trib. Roma, 1.6.2011, in AIDA, 2014, 733 s.). Infine, con riferimento al terzo e ultimo profilo, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha ritenuto applicabile il forum commissi delicti anche alle azioni di accertamento negativo (C. giust., 25.10.2012, Folien Fischer e Fofitec, C-133/11, in Riv. dir. proc., 2013, 1245 s.; su tale sentenza v. anche Ferrari, F., Le torpedo e la recente giurisprudenza della Corte di giustizia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 1126 s.), e tale soluzione è ormai unanimemente accolta dalla giurisprudenza domestica (così Cass., S.U., 10.10.2013, n. 20700; Cass., S.U., 10.6.2013, n. 14508, in Giur. it., 2014, 587 ss.), anche se l’orientamento iniziale – oggi da ritenersi superato – era in senso opposto (Cass., S.U., 13.2.1993, n. 1821, in AIDA, 1994, 240 s.).
Un cenno merita anche un cd. fenomeno tipico del settore del quale ci stiamo occupando: le torpedo actions. Si tratta di azioni di accertamento negativo della contraffazione relative a porzioni straniere di brevetti europei utilizzate dal contraffattore al fine di anticipare un’iniziativa del titolare del diritto e di far valere una pretesa litispendenza internazionale e per le quali il nostro Paese è diventato tristemente noto a livello internazionale in quanto foro prescelto per l’anormale lunghezza dei processi civili. La giurisprudenza italiana ha per lungo tempo negato la sussistenza della giurisdizione italiana in queste ipotesi (Cass., S.U., 19.12.2003, n. 19550) ancorché recentemente sembra avere mutato orientamento (Cass., S.U., n. 14508/2013, cit. nell’ambito della quale la Corte, facendo riferimento all’art. 5.3 del reg. n. 44/2001 e alla già citata pronuncia Folien Fisher, ha affermato che, «in relazione all’accertamento negativo richiesto da Asclepion al Tribunale di Roma, va affermata la giurisdizione del giudice italiano, come giudice del luogo in cui l’illecito può avvenire, da ritenersi estesa anche alla ‘frazione tedesca’ del brevetto europeo»).
Con la recente istituzione del brevetto unitario e del Tribunale unificato dei brevetti, che avrà giurisdizione anche in relazione ai brevetti europei per i quali si addivenga all’opt in, il problema legato alle torpedo actions dovrebbe venire meno. Allo stato tuttavia si attende, da un lato, la ratifica dell’accordo istitutivo della Corte unificata dei brevetti, dall’altro lato, le conseguenze che la Brexit potrà determinare sul tema in questione, con un possibile ritorno in gioco del nostro Paese, come auspicato da alcuni.
Ai sensi dell’art. 120 c.p.i. la competenza spetta al giudice del luogo di residenza o domicilio del convenuto (cd. forum rei), se il luogo di residenza o domicilio del convenuto è sconosciuto o se il convenuto è residente all’estero è competente il giudice del luogo di residenza dell’attore.
Un regola speciale vale in materia di azioni di nullità brevettuale per le quali è prevista la competenza territoriale del luogo ove è stato eletto domicilio all’atto della presentazione della domanda di brevetto.
Con il d.lgs. 27.6.2003, n. 168 sono state istituite le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale presso i tribunali e le corti di appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia, per la trattazione dei procedimenti giudiziari in materia di «marchi nazionali, internazionali e comunitari, brevetti di invenzione e per nuove varietà vegetali, modelli di utilità, disegni e modelli e diritto di autore nonché fattispecie di concorrenza sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale ed intellettuale».
La ratio di questa disciplina deve rinvenirsi nell’opportunità di far confluire tutte le materie sopraccitate, caratterizzate da una significativa tecnicità, presso sezioni costituite da magistrati specializzati (così cfr. Giussani, A., Questioni di competenza in senso stretto e in senso lato nella nuova disciplina delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale, in L'Enforcement dei diritti di proprietà intellettuale. Profili sostanziali e processuali, a cura di L. Nivarra, Quaderno di Aida n. 12, Milano, 2005, 187). La scelta del legislatore italiano si è indirizzata peraltro verso l’istituzione di organi giurisdizionali specializzati a cui non partecipano esperti estranei all’amministrazione della giustizia (ad es. consulenti brevettuali), al contrario di quanto è avvenuto in altri Paesi come la Germania e la Svezia, o anche in Italia, ma in relazione ad altre materie (il riferimento è ai tribunali regionali delle acque pubbliche e alle sezioni specializzate agrarie).
La tendenza verso la specializzazione in subiecta materia si era inoltre manifestata sin dalla cd. bozza Mirone, poi stralciata dalla legge delega per la riforma del diritto societario.
Con l’istituzione delle sezioni specializzate sembrava essersi configurato un ulteriore significativo problema attinente alla natura delle stesse, in considerazione del fatto che il d.lgs. n. 168/2003 non chiarisce se tali organi costituiscano mere suddivisioni interne del medesimo ufficio giudiziario, al pari delle sezioni lavoro, o veri e propri uffici giudiziari autonomi, al pari delle sezioni specializzate agrarie.
La risposta a tale quesito ha un’importanza non solo teorica, ma anche pratica, in quanto da essa consegue la qualificazione dei rapporti intercorrenti tra l’autorità giudiziaria ordinaria e i giudici specializzati. Infatti, laddove si ritenesse che le sezioni specializzate costituiscano un ufficio separato rispetto all’autorità giudiziaria ordinaria, ci si troverebbe di fronte ad una vera e propria questione di competenza e l’ordinanza al riguardo potrebbe essere impugnata solo con il regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c.
Viceversa, se – come si ritiene corretto – si dovessero qualificare le sezioni specializzate quali suddivisioni interne dell’ufficio giudiziario ordinario, il riparto tra le sezioni integrerebbe una mera ripartizione interna dei carichi di lavoro, e la violazione della regola andrebbe fatta valere o in base all’art. 83 ter disp. att. c.p.c. o, ove la violazione concerna anche l’art. 50 bis c.p.c., come motivo di nullità della sentenza stessa. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, condiviso anche recentemente dalla Suprema Corte, le sezioni specializzate sarebbero qualificabili come uffici giudiziari autonomi in quanto destinati a garantire una specifica competenza dei magistrati che le compongono e non sarebbero invece, come le sezioni lavoro, volte a garantire uno snellimento della trattazione della cause (Cass., 24.7.2015, n. 15619; Cass., 14.6.2010, n. 14251; Cass., 25.9.2009, n. 20690). Secondo un più recente orientamento, invece, il rapporto tra sezioni specializzate in materia di impresa e sezioni ordinarie andrebbe qualificato quale riparto interno del medesimo ufficio (Cass., 23.5.2014, n. 11448; Cass., 22.11.2011, n. 24656; Trib. Roma, 20.1.2014, in AIDA, 2015, 711-714; Trib. Bologna, 22.6.2010; Trib. Milano, 13.4.2010; Trib. Milano, 1.6.2009, tutte in Dir. ind., 2011, 229; Trib. Torino, 24.4.2008, in Foro it., 2009, I, 1285; Trib. Milano, 13.6.2006, in Dir. ind., 2006, 582. In dottrina cfr. Giussani, Le sezioni specializzate per la proprietà industriale e intellettuale e l’art. 25 Cost., in Diritto processuale civile e corte costituzionale, a cura di E. Fazzalari, Napoli, 2006, 10; Id., Questioni di competenza in materia di proprietà industriale e intellettuale, in Saggi sulle tutele dell’impresa e dall’impresa, Torino, 2007, 19 ss.).
L’istituzione delle sezioni specializzate ha condotto, altresì, all’identificazione delle stesse come tribunali dei marchi comunitari e dei disegni e modelli comunitari e ciò al fine, ancora una volta, di uniformare la disciplina italiana a quella comunitaria.
Il legislatore è tuttavia intervenuto nuovamente sulla materia nel 2012 modificando direttamente il d.lgs. n. 168/2003, ed incidendo così sulla competenza delle sezioni specializzate (rectius tribunale delle imprese). E così l’art. 2 d.l. 24.1.2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla l. 24.3.2012, n. 27, ha istituito il cd. «tribunale delle imprese» competente nelle materie già devolute alle “trasformate” sezioni specializzate, per le controversie in materia di diritto d’autore; per le controversie di cui all’art. 33, co. 2, l. 10.10.1990, n. 287, in materia di tutela della concorrenza e del mercato; per le controversie relative alla violazione della normativa antitrust dell’UE; nonché relativamente alle società di capitali in relazione ad una pluralità di controversie relative a rapporti societari.
All’incremento delle materie di competenza del tribunale per l’impresa si è accompagnato un ampliamento del numero delle sezioni che, dalle originarie 12, sono divenute 21.
Un anno dopo il legislatore è nuovamente intervenuto modificando la disciplina del tribunale delle imprese, affermandone la competenza anche nelle cause delle quali è parte, anche nel caso di cumulo soggettivo passivo ex art. 33 c.p.c., una società, in qualunque forma costituita, con sede all’estero, anche avente sedi secondarie con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato, e prevedendo che con riferimento a tali controversie sono inderogabilmente competenti le sezioni specializzate in materia di impresa di Bari, Cagliari, Catania, Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino o Venezia.
La disciplina in questione è peraltro oggetto di ulteriore revisione nel contesto del d.d.l. n. 2284 (delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile), approvato dalla Camera dei deputati il 10 marzo 2016 e attualmente all’esame presso il Senato della Repubblica nella parte in cui prevede l’ampliamento della competenza degli esistenti tribunali dell’impresa, mantenendone invariato il numero e modificandone la denominazione in quella di «sezioni specializzate per l’impresa e il mercato» nonché la razionalizzazione della disciplina della competenza per materia, comprendendovi le controversie in materia di concorrenza sleale, ancorché non interferenti con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale e intellettuale; quelle in materia di pubblicità ingannevole e comparativa illecita; le azioni di classe; le controversie riguardanti gli accordi di collaborazione nella produzione e nello scambio di beni o servizi, relativi a società interamente possedute dai partecipanti all’accordo, di cui all’art. 2341 bis, co. 2, c.c. e le controversie societarie relative a società di persone.
Le azioni in materia di proprietà intellettuale sono riconducibili a quattro fattispecie: le azioni di nullità e decadenza, quelle di rivendica, quelle di riconoscimento della paternità e le azioni di contraffazione (positive o negative).
Quanto alle azioni di nullità, mediante le quali si vuole ottenere la declaratoria di nullità di un titolo di proprietà industriale, ovvero alle azioni di decadenza, volte a rendere non tutelabile un diritto di proprietà industriale alla luce del verificarsi di determinate circostanze, premesso che si ritiene che le stesse siano esperibili sia nei confronti dei diritti titolati sia di quelli non titolati, le stesse sono imperscrittibili e possono esercitarsi in via principale o in via riconvenzionale ovvero mediante eccezione. In relazione all’ipotesi in cui l’azione di nullità sia esercitata mediante domanda riconvenzionale, il tribunale adito in contraffazione può conoscere anche della riconvenzionale e ciò in deroga alle regole di competenza inderogabile; quando invece l’azione di nullità sia proposta parallelamente a quella di contraffazione ci si è chiesti se tra le due azioni si profili un rapporto di pregiudizialità tecnica, che legittimerebbe l’applicazione dell’art. 295 c.p.c. con sospensione della causa di contraffazione in attesa della definizione di quella di contraffazione (cfr. Trib. Bologna, 14.6.2002, in Riv. dir. ind., 2005, II, 284) o, invece se si tratti di un mero rapporto di pregiudizialità logica che non può determinare il contrasto tra giudicati (Cass., 28.2.2008, n. 5333).
In materia di azione di nullità vige la regola per la quale l’atto di citazione deve essere inviato all’Ufficio italiano brevetti e marchi, nonché, con riferimento alla fase istruttoria, una presunzione iuris tantum di validità del titolo registrato; questa presunzione ha più senso ora che in passato con riferimento ai brevetti italiani posto che questi ultimi dal 2008 sono soggetti anch’essi ad esame preventivo.
Le sentenze che accolgono la domanda di nullità o di decadenza hanno efficacia erga omnes.
Quanto alle azioni di rivendica ex artt. 117 e 118 c.p.i., le stesse sono volte a consentire all’avente diritto alla registrazione del diritto di proprietà industriale di ottenere il riconoscimento di tale diritto una volta che il titolo sia stato concesso ad un soggetto non avente diritto e si prescrivono in due anni dalla pubblicazione della concessione del titolo.
L’azione di riconoscimento della paternità trova la sua disciplina agli artt. 119 c.p.i. e 20 ss. l. autore ed è volta a tutelare il diritto morale di essere indicati come inventori o autori del titolo di proprietà intellettuale.
L’azione di contraffazione è certamente la più importante ed è volta ad ottenere, da parte del titolare del diritto la condanna di colui il quale viola il diritto in questione, sia esso titolato o no.
In materia di legittimazione attiva la giurisprudenza nega quella del licenziatario non esclusivo, mentre un orientamento estensivo si registra quanto alla legittimazione passiva riconosciuta a tutti coloro che siano coinvolti a qualunque titolo nell’attività di produzione, commercializzazione e uso, purché non personale, del bene contraffatto.
L’onere della prova della contraffazione spetta a colui che agisce in contraffazione, tuttavia, al di là del fatto che la giurisprudenza sembra accontentarsi di una prova meno rigorosa, è indubbio che il legislatore, al fine di adeguare il nostro ordinamento alle disposizioni internazionali e in particolare agli accordi TRIPs ed alla direttiva Enforcement, abbia messo a disposizione dell’attore in contraffazione strumenti particolarmente efficaci e non a caso avvicinati da una certa parte della dottrina alla discovery di oltre oceano.
Il riferimento è agli artt. 121 e 121 bis c.p.i. e 156 bis e ter l. autore nel contesto dei quali si stabilisce che ove la parte abbia fornito seri indizi di fondatezza delle proprie domande può ottenere che il giudice disponga ex officio l’esibizione di documenti detenuti dalla controparte oppure richieda informazioni alla controparte anche volte alla identificazione dei soggetti implicati nella produzione e distribuzione dei prodotti e servizi in violazione del diritto di proprietà industriale a tutela del quale si agisce.
Le disposizioni citate prevedono altresì un vero e proprio diritto della parte – sulla base di un’istanza «giustificata e proporzionata» – di ottenere informazioni sulla filiera produttiva e commerciale relativa al prodotto contraffatto anche da soggetti terzi rispetto alla controversia.
Altra regola istruttoria peculiare delle cause in materia di proprietà industriale riguarda la consulenza tecnica rispetto alla quale si prevede che l’ausiliare del giudice possa sempre esaminare i documenti che gli vengono sottoposti anche ove gli stessi non siano stati prodotti in giudizio.
Le misure cautelari nell’ambito del diritto della proprietà intellettuale sono molto utilizzate nella prassi, e ciò in quanto, in questo contesto, spesso la tutela giurisdizionale è una tutela effettiva ed efficace solo ove venga fornita in tempi particolarmente brevi.
I provvedimenti cautelari tipici a tutela della proprietà industriale sono: la descrizione, il sequestro, l’inibitoria e l’ordine di ritiro dal commercio, il trasferimento provvisorio dei domain names e il sequestro conservativo. Accanto a tali strumenti cautelari, il d.lgs. n. 131/2010 correttivo del c.p.i. ha introdotto la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite.
Al di là di questi strumenti tipici, un ruolo rilevante ha ancora il provvedimento atipico ex art. 700 c.p.c.
Descrizione e sequestro sono entrambi disciplinati agli artt. 129 e 130 c.p.i.; la descrizione per lungo tempo è stata assimilata ai provvedimenti di istruzione preventiva (Trib. Bologna, 8.2.2007, in Riv. dir. ind., 2008, II, 83; Trib. Bologna, ord. 11.4.2005, in SSPI, 2005, I, 52; Trib. Torino, 13.7.2004, ined.; Trib. Palermo, 5.12.2003, ined.) ma recentemente il legislatore ne ha accentuato la natura cautelare (nella stessa direzione cfr. anche le pronunce della Corte costituzionale: C. cost., 16.5.2008, n. 144, in Riv. dir. proc., 2009, 247 ss. e C. cost., 28.1.2010, n. 26, in Riv. dir. proc., 2009, 723). Oltre all’art. 129 c.p.i., si veda infatti l’art. 132 c.p.i. che, ai commi 2 e 3, sancisce che in caso di descrizione ante causam il giudice debba fissare un termine perentorio per l’instaurazione del giudizio di merito, a pena di inefficacia della misura (cautelare) concessa.
L’art. 129 c.p.i. prevede che il titolare di un diritto di proprietà industriale può chiedere la «descrizione o il sequestro, ed anche il sequestro subordinatamente alla descrizione, di alcuni o di tutti gli oggetti costituenti violazione di tale diritto, nonché dei mezzi adibiti alla produzione dei medesimi e degli elementi di prova concernenti la denunciata violazione e la sua entità. Sono adottate le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate».
Al di là dei dubbi manifestati da alcuni autori in merito alla possibilità di configurare – come la norma prevede – un provvedimento cautelare strumentale ad altro provvedimento cautelare, descrizione e sequestro possono avere oggetto eterogeneo ed entrambe le misure possono essere disposte anche in relazione a beni appartenenti a soggetti terzi come dispone l’art. 130, co. 4, c.p.i. anche non identificati nel ricorso purché si tratti di beni provenienti dal resistente e il terzo non usi i beni in questione per scopi personali.
L’inibitoria è una misura cautelare volta a scongiurare la reiterazione ovvero l’aggravarsi degli effetti della condotta illecita posta in essere dal contraffattore, mediante l’ordine provvisorio di non facere infungibile rivolto al medesimo, affinché si astenga o cessi l’attività in corso, nonché mediante eventuali ordini di facere di natura propriamente restitutoria, qual è l’ordine di ritiro delle merci dal commercio, introdotto nel c.p.i. con il d.lgs. n. 140/2006, in attuazione dell’art. 10 della direttiva Enforcement.
Il trasferimento provvisorio dei domain names trova la sua disciplina nel contesto dell’art. 133 c.p.i. secondo il quale «l’autorità giudiziaria può disporre, in via cautelare, oltre all’inibitoria dell’uso nell’attività economica del nome a dominio illegittimamente registrato, anche il suo trasferimento provvisorio, subordinandolo, se ritenuto opportuno, alla prestazione di idonea cauzione da parte del beneficiario del provvedimento». La rilevanza della misura deriva anche dal fatto il nostro ordinamento non conosceva – prima dell’entrata in vigore del c.p.i. – una disciplina specifica in materia di domain names.
Il sequestro conservativo, invece, è inserito tra le disposizioni codicistiche a tutela della pirateria e, a differenza dello strumento tipico disciplinato dall’art. 671 c.p.c., nel contesto dell’art. 144 bis c.p.i. è altresì previsto che l’autorità giudiziaria può disporre la comunicazione della documentazione bancaria, finanziaria o commerciale oppure autorizzare l’accesso alle pertinenti informazioni.
Per molti anni, soprattutto prima della previsione da parte del legislatore dell’inibitoria cautelare, il provvedimento atipico è stato largamente utilizzato al fine di ottenere l’effetto inibitorio in sede cautelare ed oggi, nonostante l’esistenza di strumenti cautelari tipici, il provvedimento ex art. 700 c.p.c. mantiene un certo ambito di applicazione soprattutto rispetto alle fattispecie di concorrenza sleale. Con il d.lgs. n. 131/2010 l’ambito di applicazione del provvedimento atipico si è ampliato e ciò in quanto l’art. 52 del citato decreto ha aggiunto il co. 6-bis all’art. 120 del c.p.i., ai sensi del quale le regole in materia di giurisdizione e processo «si applicano altresì alle azioni di accertamento negativo, anche proposte in via cautelare», consacrando l’ammissibilità nel diritto della proprietà industriale delle azioni di accertamento negativo anche ove proposte in via cautelare.
Alludendo alla possibilità che l’azione di accertamento negativo venga esercitata in sede cautelare, l’art. 120 c.p.i. non può che fare riferimento alla tutela atipica ex art. 700 c.p.c. ed è proprio in questo settore che, dopo le oscillazioni di orientamento da parte delle diverse sezioni specializzate, si assiste all’utilizzo più significativo dello strumento cautelare in questione.
Quanto, invece, alla legge sul diritto d’autore, tra le misure cautelari che possono essere utilizzate si distinguono quelle che hanno tipiche finalità istruttorie come la descrizione, l'accertamento e la perizia da quelle stricto sensu cautelari quali il sequestro ex art. 161 l. autore, il sequestro conservativo e l'inibitoria.
I provvedimenti cautelari disciplinati dalla l. autore riguardano «le cose materiali nelle quali si è estrinsecata l’opera dell’ingegno a tutela del diritto su questa e … sono pertanto distinti dai provvedimenti cautelari disciplinati dal diritto comune e così anche dal sequestro conservativo o giudiziario dell’opera dell’ingegno come tale». I provvedimenti de quibus sono diretti «ora all’accertamento della violazione, ora a precludere la circolazione delle cose materiali nelle quali si è estrinsecata illecitamente l’opera dell’ingegno (o grazie alle quali questa può estrinsecarsi)» (Ascarelli, T., Istituzioni di diritto industriale, Milano, 1960, 871 s.) e tendono ad evitare tutti i danni conseguenti alla circolazione o utilizzazione delle opere contraffatte.
Sia le misure cautelari del c.p.i. sia quelle disciplinate dalla l. autore sono soggette al rito cautelare uniforme ex artt. 669 bis ss. c.p.c.; tuttavia vi sono alcune rilevanti peculiarità, tra queste non si può omettere di ricordare il termine per l’instaurazione del giudizio di merito ed anche il presupposto in presenza del quale il giudice può disporre inaudita altera parte che, a differenza di quanto non avvenga nel contesto dell’art. 669 sexies, co. 2, c.p.c. include anche l’urgenza del provvedere oltre che il rischio di infruttuosità.
L’art. 131, co. 2, c.p.i. consente al giudice, a corredo dell’inibitoria provvisoria, di irrogare una penale per ogni violazione o inosservanza e (non più «o») per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento, senza più, dunque, vincolarlo alla scelta alternativa che la disciplina previgente sembrava imporgli e che, peraltro, poteva essere interpretata in chiave protezionistica del contraffattore.
La penalità di mora può essere disposta anche a tutela dei diritti di proprietà industriale non titolati.
Accanto alle penalità di mora, la cui disciplina non è stata coordinata con quella di cui all’art. 614 bis c.p.c., si annovera tra le misure coercitive anche la pubblicazione del provvedimento. L’art. 126 c.p.i. – rispetto ai precedenti artt. 85 r.d. 29.6.1939, n. 1127 e 65 r.d. 21.6.1942, n. 929 – contiene un’innovazione, in quanto è previsto che possa essere oggetto di pubblicazione non solo la sentenza che accerta la violazione della privativa, ma anche l’ordinanza cautelare di egual contenuto.
Tra le sanzioni civili si annoverano anche la distruzione, l’aggiudicazione e l’assegnazione in proprietà di cui all’art. 124 c.p.i.
Premesso che il nostro ordinamento non prevede il risarcimento dei danni cd. punitivi (Cass., 16.5.2016, n. 9978; cfr. anche Cass., S.U., 5.7.2017, n. 16601, che ha affermato che, nel nostro ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo un compito restitutorio e che non è ontologicamente incompatibile con il nostro sistema la condanna al pagamento di danni punitivi) la disciplina del risarcimento dei danni in materia di proprietà industriale ex artt. 125 c.p.i. e 158 l. autore costituisce il risultato del recepimento della direttiva Enforcement e prevede che la tutela risarcitoria abbia la funzione risarcitoria propria, volta a reintegrare il titolare del diritto nella posizione patrimoniale originaria nel contesto della quale si prevede il risarcimento sia del danno emergente che del lucro cessante (tendenzialmente mediante l’applicazione del criterio della royalty media), una funzione riparatoria, con lo scopo di ristabilire una situazione di mercato corretta ed infine una funzione deterrente.
L’ultimo comma dell’art. 125 c.p.i. prevede che il titolare del diritto leso possa chiedere in alternativa al lucro cessante o nella misura in cui gli utili del contraffattore eccedano il risarcimento da lucro cessante la retroversione degli utili di quest’ultimo. Nonostante la misura in questione non sia prevista nella l. autore, la stessa è stata applicata anche nel contesto del diritto d’autore.
Peraltro, stante l’indubbia difficoltà di prova del danno in questo settore, è prevista la possibilità di liquidazione equitativa dello stesso mediante rinvio alla disciplina di cui all’art. 1226 c.c.
Per lungo tempo si è esclusa in dottrina la compromettibilità in arbitrato delle controversie in materia di nullità e decadenza dei diritti di proprietà industriale, prevedendosi invece la possibilità di ricorso all’arbitrato in relazione alle controversie in materia di contraffazione.
La giustificazione dell’esclusione veniva ravvisata nella necessità di partecipazione del p.m. al procedimento. Con il venire meno della partecipazione obbligatoria del p.m. a siffatte controversie non si può ritenere tout court che sia venuta meno l’esclusione della compatibilità con l’arbitrato, ed infatti vero è che l’aspetto processualistico rappresenta la formalizzazione dell’interesse pubblico, della natura pubblicistica della materia (derivante anche dall’efficacia erga omnes delle decisioni) e quindi forse in ultima analisi dell’indisponibilità del diritto.
Artt. 118-134 d.lgs. 10.2.2005, n. 30; artt. 156 ss. l. 22.4.1941, n. 633; art. 7.2 reg. n. 1215/2012 (già art. 5.3 reg. 44/2001) e art. 24 reg. n. 1215/2012; d.lgs. 27.6.2003, n. 168; d.lgs. 16.3.2003, n. 140; d.lgs. 13.8.2010, n. 131.
Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, a cura di L.C. Ubertazzi, VI ed., Padova, 2016; Il processo cautelare, a cura di G. Tarzia e A. Saletti, Padova, 2015; Il processo industriale, a cura di A. Giussani, Torino, 2013; I procedimenti cautelari, diretto da A. Carratta, Bologna, 2013; AA.VV., Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, 2016; Vanzetti, A.-Di Cataldo, V., Manuale di diritto industriale, Milano, 2012.