prove dell'esistenza di Dio
Nella storia della riflessione filosofica e teologica si danno varie prove dell’esistenza di Dio, strettamente connesse a presupposti logici-metafisici storicamente determinati. Esse si possono classificare come: (1) prove tratte da un’esperienza personale diretta, meramente religiosa o anche razionalizzata (per es., l’argomento ideologico connesso con la dottrina dell’illuminazione interiore, di Agostino); o dall’universalità dell’esperienza religiosa (argomento morale: consenso universale del genere umano, che non può ingannarsi nell’ammettere un Principio supremo); (2) prove relative al momento etico dell’idea di Dio, in quanto, pur con atteggiamenti diversi, riconoscono tutte l’esigenza di affermare l’esistenza di una legge morale suprema e assoluta, e quindi di un legislatore (argomento deontologico, razionalmente più valido dei precedenti); (3) prove relative al momento teoretico, tra cui: il cosiddetto argomento ontologico (➔ oltre) o a priori, che afferma l’esistenza di Dio essere implicita nell’idea di lui come perfezione suprema; l’argomento cosmologico (➔ oltre), che afferma la necessità di una causa prima, e quello fisico-teologico (➔ oltre), per cui l’ordine del mondo dimostra l’esistenza di una potenza ordinatrice assoluta e di un fine supremo. Tra questi ultimi due generi di prove, fondate sulla causalità, e cioè a posteriori, hanno avuto particolare fortuna le «cinque vie» di Tommaso d’Aquino, che, in base ai principi della filosofia aristotelica, argomentava l’esistenza di Dio: (1) dal movimento (inteso come passaggio dalla potenza all’atto), che esige – nell’ambito di fisica e metafisica aristotelica – un Primo motore immobile; (2) dalle svariate cause efficienti, in quanto la «catena delle cause», secondo Aristotele, non può essere infinita, ed esige quindi una Causa prima; (3) dalla contingenza del mondo, in quanto, poiché ogni cosa in esso appare condizionata da altre, deve esistere un Essere che è invece incondizionato e assoluto, avendo in sé la causa del suo essere e dell’essere delle cose contingenti; (4) dalla diversità dei gradi di perfezione delle cose, per cui deve esistere l’essere che raccoglie in sé la perfezione assoluta; argomento questo di sapore platonico; (5) dall’ordine e dal presupposto finalismo del mondo, che rinviano a una Intelligenza e a una Volontà trascendente. Mentre nelle teologie di altre confessioni cristiane si osserva una notevole varietà, dovuta all’influsso esercitato su di esse dalle diverse posizioni filosofiche prevalse volta a volta nel corso della storia moderna, le cinque prove di Tommaso sono divenute classiche nella teologia cattolica, la quale contempera le posizioni, indicate sopra come prevalentemente religiose e sentimentali, con quelle filosofiche e razionali. Essa pertanto afferma: (1) che l’esistenza di Dio può essere razionalmente dimostrata per inferenza dall’osservazione del mondo creato (dottrina definita dal Concilio vaticano I, sess. III, 2: «Sancta Mater Ecclesia tenet et docet Deum... naturali humanae rationis lumine e rebus creatis certo cognosci potest»); (2) che la natura di Dio, personale e trascendente, resta incomprensibile alla mente umana la quale può tuttavia predicare di lui – via eminentiae – tutte le perfezioni. Quindi circa la natura di Dio (oltre il suo essere uno e trino conoscibile solo attraverso la Rivelazione) le opinioni dei teologi differiscono: da Tommaso, che insiste sull’idea di Dio Atto puro, esse a se (aseità o perseità di Dio), di cui l’essere e tutte le perfezioni possono predicarsi per via analogica, a Duns Scoto, per il quale Dio è l’assoluto, infinito, ipsum esse (predicato univocamente di lui e delle creature), delle cui perfezioni può operarsi una distinctio formalis a parte rei, alle moderne correnti della filosofia cattolica (per es., lo spiritualismo cristiano) che tendono, in reazione al puro logicismo, ad approfondire gli attributi del Dio cristiano come padre, amore, valore, ecc., oppure rinnovano le vie della mistica speculativa cristiana e della teologia negativa riprendendo temi della patristica greca.
Dimostrazione dell’esistenza di Dio che muove dal carattere stesso dell’Universo, considerato come tale che, nella sua finitezza, nella sua contingenza e nella serie causale dei fenomeni, rimandi necessariamente a un principio assoluto, a una causa prima; sviluppato soprattutto da Tommaso, sulla base del rifiuto dell’argomento ontologico e attraverso le cinque vie, l’argomento cosmologico è stato variamente criticato nella filosofia moderna, in special modo da Descartes e da Kant.
Dimostrazione dell’esistenza di Dio che, pur deducendo l’esistenza di Dio dalla costituzione della natura, non considera la divinità come necessario termine finale del divenire cosmico, bensì come necessario punto di partenza della catena causale in cui quel divenire consiste (a esso si contrappone l’argomento fisico-teologico). Si basa sulla dimostrazione formulata da Aristotele nella Fisica e ripresa da Tommaso d’Aquino per cui, poiché tutto ciò che si muove è mosso da altro, è necessario giungere a un primo motore immobile che sia causa di ogni altro movimento e che è appunto identificato con Dio.
Dimostrazione – secondo la denominazione coniata nel 1713 da W. Derham (Physico-theology) e adottata da Kant nelle Critica della ragion pura – dell’esistenza di Dio che non differisce sostanzialmente dall’argomento teleologico della metafisica aristotelica e che si distingue, pertanto, dal cosiddetto argomento fisico. Kant la confutò sostenendo che, dall’osservazione dell’ordine e della finalità del mondo, risulta possibile inferire al più l’esistenza di un architetto, ma non di un creatore, del mondo.
È il più celebre degli argomenti per dimostrare a priori l’esistenza di Dio. La sua prima formulazione si trova in Anselmo d’Aosta, nella forma seguente: anche chi nega l’esistenza di Dio, ammette che Dio sia l’ente del quale non sia dato pensare ente maggiore; ma di conseguenza si deve ammettere anche la sua esistenza, perché altrimenti si potrebbe pensare un ente che, oltre agli attributi riconosciuti propri di Dio, possedesse anche quello dell’esistenza; e allora esso sarebbe maggiore di lui. All’obiezione di Gaunilone (➔), secondo cui, in base a tale argomento, posto il concetto di un’isola di cui non si fosse potuta pensare una più perfetta, si sarebbe potuto e dovuto inferire la sua esistenza in mezzo al mare, Anselmo replicò che non si trattava di un essere contingente come quello dell’isola, ma dell’essere necessario di Dio. E in questa forma l’argomento ontologico passò in Cartesio, in Spinoza e in Leibniz. Kant invece lo combatté riprendendo in sostanza il motivo di Gaunilone. Ma, di fatto, l’argomento ontologico, che fu ripreso ancora da Hegel, rimase del tutto valido finché non fu criticata, dal soggettivismo idealistico, la possibilità di presupporre un’assolutezza, perfezione e necessità soltanto oggettiva. D’altronde neppure gli scolastici moderni lo accolgono, giudicando, con Tommaso, che l’argomento non abbia valore probativo, perché si fonda su un illegittimo passaggio dall’ordine ideale all’ordine reale.
È così detto quell’argomento con cui si prova l’esistenza di Dio considerando la struttura teleologica dell’Universo, e cioè il fatto che, ogni cosa avendo un suo fine, ed essendo peraltro necessario un fine ultimo, questo fine ultimo non può essere che Dio.