Psicanalisi
A differenza di altre discipline che rientrano nel campo delle scienze umane, come ad esempio la sociologia o l'antropologia culturale, la psicanalisi è stata - e per molti versi resta tuttora - strettamente identificata con il pensiero del suo fondatore, Sigmund Freud (1856-1939). Freud non sviluppò un sistema teorico organico e privo di cesure tale che i suoi seguaci si sentissero obbligati a seguirlo in ogni suo punto; all'interno della stessa corrente psicanalitica esistevano orientamenti discordanti, senza che peraltro ciò comportasse un distacco dei loro esponenti dal fondatore della scuola. Così, ad esempio, le idee sulla sessualità femminile del più illustre seguace di Freud nell'area linguistica anglosassone, Ernest Jones (1879-1958), differivano nettamente da quelle del maestro, ma non per questo egli cadde in disgrazia, né venne espulso dal gruppo. Allo stesso modo, la revisione delle teorie freudiane sull'aggressività e sul complesso edipico proposta dalla psicanalista Melanie Klein (1882-1960) non ne decretò l'ostracismo. Nonostante le divergenze interne, restava quale terreno comune dei seguaci di Freud un certo nucleo di quelli che potremo definire 'fondamenti della psicanalisi' - Freud li chiamava i suoi 'shibboleth', ossia le sue formule distintive - e tali elementi essenziali erano costituiti dalle scoperte dello stesso Freud.
Un'altra caratteristica peculiare della psicanalisi è costituita dal fatto che a un secolo dalla sua nascita essa resta altrettanto controversa quanto lo era agli inizi. E tuttavia la psicanalisi è stata, e continua ad essere, una corrente di pensiero capace di esercitare un'immensa influenza; anche coloro che non la conoscono affatto, o che la rifiutano apertamente, probabilmente si ritroveranno a parlare di rivalità tra fratelli, o di rimozione, o di narcisismo. L'impatto del pensiero freudiano, per quanto indebolitosi negli ultimi anni, è stato non solo ampio ma anche assai profondo. L'influsso della psicanalisi si avverte - oltreché, ovviamente, nell'ambito della psicologia, nonostante l'avversione manifestata da molti psicologi nei suoi confronti - nelle scienze sociali, nel diritto, nell'educazione; se si sia trattato di una influenza in bene o in male, questa è un'altra questione.In questa introduzione ci proponiamo di enucleare la logica della psicanalisi, per poi seguirne lo sviluppo nel pensiero del fondatore. Lo stesso Freud, per quanto abbia fatto molto per divulgare le proprie tesi rivoluzionarie, non ha mai sintetizzato i fondamenti della psicanalisi nel semplice schema da noi proposto, ma è lecito supporre che avrebbe accettato questo breve prospetto.
1. L'idea di fondo di Freud è quella della regolarità della natura, e quindi della mente in quanto parte della natura. Nel mondo non esiste nulla di accidentale, nulla che non sia riconducibile ad una causa; ma se è così, lo studioso della mente deve spiegare la presenza nella vita psichica di 'salti' inaspettati, di associazioni illogiche, di contraddizioni inesplicabili, di connessioni assurde, di lapsus. Tutti i fenomeni psichici, anche i lapsus che appaiono del tutto casuali, devono avere una motivazione, per quanto oscura. Freud cita come esempio il seguente episodio, tratto da un quotidiano: in occasione dell'apertura di una nuova sessione di lavori del parlamento il presidente, con la mente rivolta a quelli che si prospettavano due mesi spiacevoli e infestati da controversie, incaricato di aprire la sessione con una formula di rito annunciò solennemente: "Dichiaro dunque chiuso il parlamento". Anche i sogni o i deliri degli psicotici, che appaiono del tutto casuali, privi di una motivazione, sono messaggi di un qualche tipo, messaggi per i quali Freud riteneva di possedere la chiave di decifrazione.
2. Dietro il caos apparente mostrato dalla superficie agitata della mente si nasconde dunque un ordine. Ciò significa che le connessioni sono inconsce, che esiste una zona della mente quasi completamente inaccessibile.
3. Perché una porzione significativa della psiche dovrebbe essere inconscia? Questa condizione deve derivare dai suoi contenuti, e dai meccanismi attraverso i quali vengono rimossi i pensieri o i sentimenti spiacevoli, irriverenti o intollerabili, impedendone l'accesso alla coscienza.
4. Questa topografia della psiche presuppone una suddivisione in organizzazioni o sistemi psichici tra loro in conflitto. La vita psichica è improntata ai conflitti interni, e sebbene questi siano in gran parte inconsci, le loro tracce compaiono al livello della coscienza sotto forma di sogni, lapsus, sintomi nevrotici.
5. Lo sviluppo della mente infantile manifesta chiaramente le cause dei conflitti psichici che insorgono nel corso della maturazione. L'uomo è fondamentalmente un animale che desidera, ma le istanze educative - genitori, nutrici, fratelli e sorelle, insegnanti, religiosi - frustrano costantemente i desideri del bambino. Imporre orari per i pasti, insegnare il controllo degli sfinteri, in breve 'civilizzare' il bambino significa interferire con il desiderio infantile di avere o di fare qualcosa, e di farlo e averlo subito.
Il termine 'psicanalisi' fu usato da Freud per la prima volta nel 1896, in un saggio scritto in francese. All'epoca quarantenne, Freud aveva di fatto già sperimentato per circa sei anni le tecniche della psicanalisi con vari pazienti affetti da isteria. Dapprima egli si era servito dell'ipnosi, ma non essendo particolarmente dotato come ipnotista, oltre ad essere diversamente orientato, l'aveva abbandonata, limitandosi a far stendere i pazienti sul lettino e a esercitare una leggera pressione sulla fronte; in seguito anche questa pratica venne eliminata e rimase solo il lettino. Desideroso, addirittura avido di imparare dai pazienti afflitti da nevrosi che si avvicendavano nel suo studio, Freud si andò convincendo negli anni novanta dell'Ottocento che è essenziale ascoltare gli analizzandi (ma questo termine verrà introdotto solo più tardi) senza interrompere i loro racconti e incoraggiandoli a seguire le loro libere associazioni di idee. In questi stessi anni egli ebbe ampie conferme dell'ipotesi che ogni sintomo ha un significato, e cominciò a raccogliere e a registrare una serie di sogni, questi fenomeni apparentemente privi di senso. Nel 1895 Freud analizzò a fondo uno dei propri sogni, un atto che egli considerava di importanza fondamentale per lo sviluppo delle sue teorie. Si tratta del famoso 'sogno dell'iniezione di Irma', che può essere definito il sogno fondante della psicanalisi.
Un altro apporto di incalcolabile valore gli venne dall'amico Joseph Breuer (1842-1925), un affermato internista che aiutò generosamente Freud, all'epoca in ristrettezze finanziarie. Tra il 1880 e il 1882 Breuer aveva avuto in cura una giovane paziente, Bertha Pappenheim (nota in seguito sotto lo pseudonimo di Anna O.), la quale accusava bizzarri sintomi isterici: non poteva bere per quanto fosse assetata, non riusciva a parlare nella sua madrelingua, il tedesco, commettendo frequenti lapsus in inglese, ed era parzialmente paralizzata. Breuer parlò della paziente all'amico più giovane, il quale manifestò un vivo interesse per il caso; dalle confessioni di Anna O. Freud trasse delle conclusioni assai più audaci di quelle formulate da Breuer. Questi e la sua intelligente paziente avevano elaborato un metodo che avevano battezzato 'cura con le parole': una volta posta sotto ipnosi, Anna O. rivelava i suoi più intimi desideri e avversioni, e al risveglio i suoi sintomi risultavano scomparsi. Freud formulò l'ipotesi che tali sintomi fossero di origine sessuale, conformemente all'idea da lui sviluppata agli inizi degli anni novanta secondo cui la sessualità svolge un ruolo fondamentale, per quanto mascherato, nello sviluppo psichico, in particolare come causa delle nevrosi.
Di fatto, prestando fede ai terrificanti racconti dei suoi pazienti, Freud arrivò a postulare la tesi estrema che tutte le nevrosi siano originate da un'esperienza traumatica di natura sessuale vissuta nella prima infanzia - un episodio di stupro o di seduzione. Fu solo nel settembre del 1897 che in una famosa lettera all'amico Wilhelm Fliess (dal quale vi fu in seguito un allontanamento) Freud dichiarò infondata tale teoria. Senza negare che gli abusi sessuali in età infantile avessero effettivamente luogo, egli sostenne però che molti presunti ricordi di tali episodi erano in realtà falsi. Trasformando la sconfitta in un trionfo intellettuale, Freud comprese ben presto che ciò che era andato ascoltando dai suoi pazienti erano fantasie, e che le fantasie sono importanti quanto la realtà, se non più importanti, quali indicatori del funzionamento o delle disfunzioni della psiche. Veniva così compiuto un passo essenziale verso la formulazione di una teoria psicanalitica più completa, e più convincente.
Nel frattempo, Freud si trovò ad affrontare un altro evento doloroso, la morte del padre, avvenuta nell'ottobre del 1896 (è affascinante vedere come Freud utilizzasse le crisi personali della sua vita per arrivare a importanti conquiste teoriche). All'epoca egli aveva già intrapreso l'autoanalisi, e i complessi, profondi sentimenti verso il padre lo spronarono in questa eccezionale impresa, nel corso della quale andò annotando i propri sogni, osservò i propri lapsus e utilizzò anche, per quanto possibile, il metodo delle libere associazioni. Negli anni seguenti maturarono così molte delle idee basilari della teoria psicanalitica, che vennero esposte ne L'interpretazione dei sogni, pubblicata nel novembre 1899.
L'interpretazione dei sogni è un'opera sostanzialmente inclassificabile: in parte scritto autobiografico, in parte vivida descrizione di ciò che significava essere ebrei nell'Austria asburgica, in parte rassegna della letteratura sul sogno e, cosa più importante di tutte, in parte anche monografia scientifica. La decisione di dedicare diversi anni all'analisi dei sogni ha un'importanza centrale per lo sviluppo delle teorie psicanalitiche. Il fatto che Freud scegliesse di incentrare l'attenzione sui sogni, un'esperienza comune a tutti gli uomini, indica come egli non fosse interessato solo ai disturbi mentali, ma ambisse altresì ad elaborare una teoria psicologica generale. Sono evidenti le implicazioni di un programma del genere per le scienze umane. L'interpretazione del sogno, scrive Freud, "è la via regia che porta alla conoscenza dell'inconscio nella vita psichica".Intraprendendo questa via, Freud dimostrò che il contenuto manifesto del sogno (tutto ciò che si ricorda più o meno fedelmente al risveglio) appare oscuro e assurdo a causa di quello che egli definì il "lavoro onirico", che maschera il significato, il contenuto latente del sogno. Censurando tale contenuto, il lavoro onirico lo fa pervenire alla coscienza solo in forma 'emendata': lo distorce, condensa diverse idee in una sola, svuota gli elementi più significativi della loro carica emotiva. Il sogno segue una propria logica, completamente estranea a quella della vita quotidiana. In fondo, tutti i sogni esprimono desideri, essenzialmente desideri che risalgono all'infanzia. E poiché tali desideri sono per la maggior parte di natura sessuale e aggressiva - motivazioni che la società rispettabile di solito rifiuta di riconoscere - essi possono trovare espressione solo nella forma incomprensibile del contenuto manifesto del sogno.
La seconda opera fondamentale che Freud scrisse in questi anni è Tre saggi sulla teoria sessuale (pubblicata nel 1905 e più volte ampliata), in cui risulta evidente come egli, pur non accettando più la stravagante teoria della seduzione, continuasse però ad attribuire un ruolo cruciale alla sessualità nello sviluppo psichico. Esponendo le proprie tesi con il distacco del clinico, Freud analizza con il freddo linguaggio della scienza le cosiddette 'deviazioni' dal 'normale' oggetto eterosessuale, come l'omosessualità e la bisessualità. In una importante sezione di quest'opera, che all'epoca suscitò accese controversie, egli analizza la sessualità infantile, per passare poi alla pubertà, la fase della vita che i suoi contemporanei consideravano il momento del risveglio della sessualità.In questi stessi anni Freud completò e perfezionò la sua teoria con una serie di brevi saggi, in particolare Carattere ed erotismo anale (1908) e Precisazioni sui due principî fondamentali della vita psichica (1911). Nel primo, che rappresenta una delle rare incursioni di Freud nella problematica della formazione della personalità, viene sviluppata la tesi secondo cui nel corso delle varie fasi dello sviluppo psicosessuale - le fasi orale, anale, fallica e genitale - alcuni 'tratti' si aggregano per formare la personalità. Nelle Precisazioni Freud sostiene che nel corso dell'evoluzione psichica si verifica un passaggio dal cosiddetto processo 'primario' a quello 'secondario'. Il primo, caratterizzato dalla ricerca di un soddisfacimento immediato, obbedisce al 'principio di piacere', mentre il secondo è governato dal 'principio di realtà'; non si tratta comunque di un passaggio definitivo, poiché anche nel processo psichico secondario permangono residui dei desideri infantili.
L'ambizione di Freud era quella di ampliare le sue teorie sulle nevrosi facendone una teoria psicologica generale; la personalità nevrotica, infatti, rivelerebbe in modo deformato ed esasperato tratti comuni alla psiche di tutti gli uomini. Una delle prime espressioni di questo programma di una teoria psicologica generale si ha in una lettera all'amico Fliess dell'ottobre 1897, in cui Freud si serve dell'Edipo re e dell'Amleto per illustrare gli intensi sentimenti di odio e di amore nei confronti dei genitori che il bambino comincia a manifestare coerentemente verso i tre-quattro anni. In termini estremamente semplificati, quello che qualche anno più tardi verrà denominato 'complesso di Edipo' consiste in un sentimento di rivalità nei confronti del padre provato dal bambino, geloso della madre che vuole tutta per sé; lo stesso fenomeno si verifica per le bambine, che nel loro amore possessivo per il padre nutrono sentimenti di odio e di rivalità nei confronti della madre (negli anni successivi Freud complicherà notevolmente questo semplice schema dimostrando l'ambivalenza del bambino, che prova simultaneamente amore e odio per il genitore del sesso opposto, e introducendo altre sfumature).In una serie di brevi saggi Freud cercò di realizzare il suo progetto di ampliare l'orizzonte della psicanalisi includendovi l'interpretazione dei fenomeni culturali. In Azioni ossessive e pratiche religiose (1907) egli cercò di dimostrare le affinità tra i rituali che i nevrotici ossessivi si sentono obbligati a mettere in atto e quelli che le religioni organizzate impongono ai loro fedeli. Freud manifestò sempre un notevole interesse per l'interpretazione in chiave psicanalitica della religione, che a suo avviso rappresentava una istruttiva interazione tra bisogni privati e pressioni sociali. Se rifiutava la teologia in quanto vuota speculazione, Freud nutriva invece un grande interesse per la psicologia e la sociologia della religione. Ateista convinto che aveva le proprie radici culturali nella filosofia critica dell'illuminismo, egli condivideva le idee e lo spirito pugnace dei positivisti del XIX secolo (è degno di nota il fatto che tra le letture di Freud nel campo delle scienze sociali un posto di rilievo avessero le opere di Durkheim, tra cui le Forme elementari della vita religiosa, del 1912). Come ebbe a dichiarare una volta all'amico Oskar Pfister, un pastore protestante e psicanalista di Zurigo, Freud si considerava un 'ebreo senza dio', orgoglioso delle proprie radici ma senza alcuna concessione alla fede ebraica, come del resto a qualsiasi altra fede. Tutte le religioni, a suo parere, non sono altro che forme di dipendenza infantile dal padre, e ricollegando i disturbi psichici alle pratiche religiose, Freud definì la religione come una nevrosi culturale, e la nevrosi ossessiva come una religione privata. Venti anni dopo, ne Il futuro di un'illusione (1927), questo tema verrà ripreso in modo assai più esteso (v. sotto).
In un secondo saggio, più informale nell'esposizione ma altrettanto serio negli intenti, Il poeta e la fantasia (1908), Freud cercò di spiegare in termini psicanalitici l'attività immaginativa dei poeti e dei narratori, mettendone in luce le connessioni con il gioco infantile e illustrando il modo in cui l'autore 'seduce' i suoi lettori con irresistibili godimenti.
Più ambizioso è Totem e tabù, pubblicato in un primo momento sotto forma di tre saggi tra il 1912 e il 1913 nella rivista "Imago", l'organo di informazione culturale fondato pochi anni prima dagli psicanalisti. Questo breve testo infatti offre niente di meno che una storia congetturale della fondazione della società umana. Al pari di molti altri scritti, anche quest'opera attesta la propensione di Freud a collegare ambiti diversi dell'esperienza, e rivela altresì la vena speculativa di uno scienziato che si dichiara peraltro - e spesso è di fatto - rigorosamente ancorato all'evidenza empirica. Le letture nel campo dell'antropologia culturale e le esperienze con i pazienti nevrotici, le riflessioni sulle analogie tra le credenze dei bambini e le pratiche magiche dei 'selvaggi' indussero Freud a sostenere che in un certo momento nel remoto passato, quando i gruppi umani erano organizzati in bande, i figli ribelli si rivoltarono contro il padre, lo uccisero e se ne cibarono; poi, soverchiati dai sensi di colpa, istituirono una serie di divieti, in particolare il tabù dell'incesto, su cui si sarebbero fondate le strutture della civiltà. Una volta morto, scrive Freud, il padre si rivelò più potente di quanto non fosse stato in vita. È interessante notare che tra gli ispiratori di questa audace opera speculativa figurino sia Charles Darwin che James Frazer. Nel primo dei tre saggi, L'orrore dell'incesto, Freud si rifece all'antropologia culturale per le informazioni sui Bantu e sui Polinesiani; nel terzo, intitolato Animismo, magia e onnipotenza delle idee, egli cercò di connettere ciò che aveva appreso sulle credenze infantili con la cosiddetta 'religione primitiva'. Al pari degli antropologi, Freud considerava fondamentalmente unica l'esperienza umana, per quanto varia. Sebbene persino gli psicanalisti si ribellassero alla ricostruzione speculativa di un presunto evento storico (o preistorico) tentata da Freud, egli non cessò di avventurarsi su questo terreno infido. Le tesi sconcertanti formulate in Totem e tabù potrebbero rivendicare una certa credibilità, a patto però di essere considerate come una rappresentazione simbolica di un problema ricorrente nella fase puberale - l'ostilità che i figli adolescenti mostrano nei confronti dell'autorità paterna - e non già come la descrizione di un evento specifico verificatosi effettivamente in un dato luogo e in un dato momento del passato. Tuttavia, a tutto detrimento del suo costrutto teorico, Freud rifiutò di intraprendere questa strada: nonostante la sua spiccata avversione per i dogmi, a volte peccava anch'egli di dogmatismo.
Tra le altre opere dedicate all'analisi di fenomeni culturali che Freud scrisse in questi anni figurano Gradiva, che offre una lettura in chiave psicanalitica del racconto dello scrittore tedesco Wilhelm Jensen; Il tema dei tre scrigni (1913), in cui Freud pone a confronto due scene dell'amato Shakespeare, una dal Mercante di Venezia e l'altra dal Re Lear, per sviluppare una riflessione sui grandi temi della vita e della morte; il breve saggio Il Mosè di Michelangelo (1914), pubblicato anonimo, dove viene sviluppata una minuziosa analisi della postura di una statua che Freud aveva avuto occasione di vedere ed ammirare tredici anni prima. Contrariamente all'interpretazione convenzionale del capolavoro michelangiolesco, secondo Freud Mosè non sarebbe in procinto di scagliare le Tavole della Legge che tiene sotto il braccio destro in un moto di rabbia contro i figli di Israele dediti all'idolatria; al contrario, controllando virilmente il proprio temperamento, Mosè starebbe cercando di evitare che le Tavole cadano al suolo. Si tratta di una interpretazione altamente personale, in cui si può leggere tra le righe la crescente irritazione di Freud nei confronti di alcuni suoi colleghi psicanalisti, in particolare Jung e Adler: Michelangelo, sotto questo aspetto molto simile a Freud, in realtà nel Mosè mostra se stesso nell'atto di controllare il proprio temperamento notoriamente collerico.Un altro esempio degli interessi culturali di Freud è, infine, Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci (1910). Nel paragrafo iniziale di questo testo, criticando coloro che considerano pericoloso psicanalizzare i grandi personaggi in quanto ciò potrebbe nuocere alla loro reputazione, Freud dichiara che nessuno è tanto grande da essere disonorato dal fatto di sottostare alle leggi che governano con eguale cogenza l'attività normale e quella patologica. Pur ammirando le grandi figure del passato - tra gli eroi di Freud vi erano Annibale, Leonardo da Vinci, Shakespeare, Goethe e Darwin - egli era fermamente convinto che anche i geni sono esseri umani al pari degli altri. Il saggio su Leonardo non è tanto una biografia, un genere che Freud considerava eccessivamente rischioso, quanto uno studio sulla formazione di una personalità omosessuale; in questo stesso saggio, per inciso, viene offerta una spiegazione del misterioso sorriso che Leonardo dipinse più di una volta, in particolare nella famosissima Monna Lisa.
Sebbene nelle sue interpretazioni dei fenomeni culturali Freud si concedesse spesso indebiti salti inferenziali, tuttavia egli non abbandonò mai la fede positivistica nei principî della scienza, sia naturale che umana, che era un retaggio dei suoi studi di medicina all'Università di Vienna. Il paziente sottoposto all'analisi restava il suo testimone più eloquente. Così, negli stessi anni in cui andava sviluppando le sue riflessioni sulle pratiche religiose o su Leonardo, Freud pubblicò anche una serie di studi clinici e di saggi sulla tecnica psicanalitica.Si trattava di opere con dichiarate finalità didattiche, che miravano ad insegnare la psicanalisi a una cerchia ristretta di nuovi adepti. Sin dal 1902 Freud aveva preso l'abitudine di incontrarsi ogni mercoledì sera, nel suo appartamento, con un gruppo di medici che condividevano i suoi interessi per discutere di problemi psicanalitici. A partire dal 1906 tali discussioni vennero registrate da Otto Rank, uno degli allievi più giovani di Freud, e nel 1908 il gruppo, che contava già ventidue membri, si trasformò ufficialmente nella Società psicanalitica di Vienna. La fama della psicanalisi si andava diffondendo rapidamente. Sandor Ferenczi (1873-1933), uno dei teorici più creativi e affascinanti della cerchia freudiana, ma anche una personalità alquanto difficile, visitò Freud per la prima volta in quell'anno, e al suo ritorno a Budapest contribuì a diffondere le teorie psicanalitiche in Ungheria. Sempre nel 1908, in occasione del primo congresso internazionale di psicanalisi, Ernst Jones incontrò Freud per la prima volta ed ebbe modo di ascoltare, affascinato, la sua conferenza di quattro ore sul caso clinico dell''uomo dei topi', facendo ritorno a Londra con la mente piena di progetti. In quegli anni Carl Gustav Jung (1875-1961), un brillante psichiatra di Zurigo che aveva espresso grande ammirazione per l'opera di Freud, era diventato suo amico, ed era considerato da Freud il suo successore designato. Superstiziosamente convinto di morire giovane, Freud era lieto di avere un allievo tanto dotato in grado di raccogliere la sua eredità; il fatto che Jung non fosse ebreo costituiva ai suoi occhi un ulteriore pregio, in quanto egli temeva che il movimento psicanalitico assumesse i caratteri di una cricca a dominanza ebraica. Nel 1909 Jung fu nominato direttore dello "Jahrbuch für psychoanalytische und psychopathologische Forschung", recentemente fondato, in cui Freud aveva pubblicato i resoconti di numerosi casi clinici, e l'anno seguente venne eletto presidente della neonata Società psicanalitica internazionale. Sempre nel 1910 Karl Abraham (1877-1925), uno degli allievi preferiti di Freud, fondò una Società psicanalitica a Berlino. Ben presto la psicanalisi si diffuse anche negli Stati Uniti.Era quasi inevitabile che insorgessero tensioni e conflitti in un gruppo dominato da tante personalità spiccate. Nel 1911 Alfred Adler (1870-1937), un medico socialista interessato all'aggressività, tanto da farne l'elemento chiave di una propria psicologia analitica, lasciò la Società di Vienna, seguito dopo breve tempo da un gruppo di adepti. All'incirca nello stesso periodo cominciò a guastarsi anche l'amicizia tra Freud e il suo 'figlio' zurighese Jung. Nel 1914, dopo un risentito scambio epistolare, Jung fondò una propria scuola di psicologia del profondo dichiaratamente non freudiana.
Questa coesistenza di aspri conflitti e pacifiche esplorazioni rese l'impresa pedagogica di Freud ancora più necessaria ai suoi occhi. A partire dal 1905 e per circa dieci anni egli pubblicò cinque fondamentali studi clinici. Il primo, il cosiddetto 'caso di Dora' - l'analisi incompleta di una giovane affetta da isteria che interruppe di sua iniziativa la terapia dopo solo undici settimane - fu al centro di accesi dibattiti anche molto dopo la morte di Freud per la sua presunta misoginia; l'ultimo caso clinico, quello dell''uomo dei lupi', scritto nel 1914 e pubblicato quattro anni dopo, mette a dura prova la credulità del lettore, in quanto Freud cerca di risalire all'episodio in cui il paziente avrebbe assistito nella primissima infanzia alla 'scena primaria', ossia ad un atto sessuale tra i genitori.
Freud era perfettamente consapevole del fatto che non tutti questi casi clinici rappresentavano un trionfo per la terapia analitica. Il caso di Dora, in particolare, era stato un fallimento, ma non, come riteneva Freud, un fallimento di cui i suoi critici lo avrebbero potuto ritenere responsabile. Concepito come appendice clinica alla Interpretazione dei sogni, il caso di Dora divenne un insegnamento su qualcosa d'altro: il fenomeno del transfert. Freud riconobbe di non essere riuscito a comprendere il transfert della paziente su di lui, ossia il bisogno (che, come sarebbe risultato in seguito, è proprio di tutti i pazienti psicanalizzati ed è essenziale alla loro cura) di proiettare sull'analista come in una sorta di schermo - di 'trasferire' dunque su di lui - i propri sentimenti di amore e di odio nei confronti di altre persone. Questo istruttivo fallimento spinse a quanto pare Freud a pubblicare il caso di Dora cinque anni dopo l'interruzione del trattamento.Come complemento dei casi clinici Freud pubblicò tra il 1911 e il 1915 una serie di saggi sulla tecnica psicanalitica, tuttora utilizzati nel training psicanalitico, in cui venivano illustrati i principali elementi della terapia: l'interpretazione dei sogni, l'inizio del trattamento, il lavoro con le proprie intuizioni, il transfert e l'amore di transfert. Freud cercava di inculcare negli psicanalisti un atteggiamento di neutralità e di distacco clinico nei confronti dei pazienti, soffermandosi anche sull'aspetto pecuniario e su altri particolari piuttosto prosaici. Il saggio sull'amore di transfert forse era il più importante di tutti, in quanto costituiva il tentativo di affrontare un potenziale scandalo della professione, ossia la seduzione delle pazienti, particolarmente vulnerabili, da parte dell'analista.
Nei primi mesi del 1914 Freud pubblicò un saggio fondamentale, Introduzione al narcisismo, in cui venivano prefigurate significative modifiche delle sue teorie. Lo scoppio della guerra nell'agosto dello stesso anno diede a Freud, suo malgrado, tutto l'agio di portare a compimento un profondo rivolgimento teorico, di cui peraltro egli tacque la portata radicale ai suoi sconcertati colleghi. Alcuni psicanalisti della sua cerchia e un certo numero di pazienti furono richiamati alle armi; uno di questi ultimi, l''uomo dei topi', su cui Freud aveva scritto un importante studio clinico, morì al fronte. Pur angosciato per la sorte dei suoi tre figli impegnati sul fronte orientale e su quello meridionale, Freud ebbe nondimeno la possibilità in questo periodo di ripensare le proprie posizioni. Nel 1916 e nel 1917 pubblicò due serie di lezioni introduttive alla psicanalisi, tuttora assai popolari, e per i suoi colleghi scrisse vari saggi 'metapsicologici' sui fondamenti della disciplina, tra cui uno studio sulle pulsioni e sull'inconscio.
Il trapasso teorico che si andava compiendo consisteva nell'abbandono del modello 'topografico' della mente in favore di un modello 'strutturale'. L'elemento essenziale dell'edificio teorico freudiano erano le pulsioni, gli agenti psichici di bisogni fisici. Sino allo studio sul narcisismo, Freud riteneva che esistessero fondamentalmente due tipi di pulsioni, quelle sessuali o libidiche e quelle dell'io o di autoconservazione; le pulsioni libidiche non avrebbero alcuna componente egoistica, e quelle di autoconservazione non avrebbero alcuna componente sessuale. Tuttavia l'esperienza con i pazienti e la riflessione sul narcisismo indussero Freud a rigettare questa netta distinzione. Dal momento che, come dimostra il narcisismo, una persona può essere innamorata di se stessa, egoismo e sessualità possono avere oggetti analoghi. Al fine di riconciliare queste nuove prospettive con una teoria coerente delle pulsioni era necessario postulare l'esistenza di una pulsione opposta a quella libidica; nel 1920, con Al di là del principio di piacere, e tre anni più tardi, con L'Io e l'Es, Freud rese esplicita la revisione delle sue teorie elevando l'aggressività ad uno status eguale a quello della libido. Quest'ultima è una pulsione di vita, la prima è una pulsione di morte. Il nuovo schema prevedeva un'interazione, addirittura una compenetrazione tra le due pulsioni, gettando una luce chiarificatrice sui meccanismi psichici. Esso spiega, tra le altre cose, il sadomasochismo, in cui vi è una compenetrazione tra amore e odio.Procedendo ad una ulteriore revisione del suo schema psicologico fondamentale, Freud divise la psiche in tre istanze o sistemi, l'Io, l'Es e il Super-Io, che a volte cooperano ma più spesso entrano in conflitto. L'Es, in cui albergano le pulsioni, è interamente inconscio. L'Io, depositario delle difese, della razionalità e del calcolo è parzialmente conscio, al pari del Super-Io, che è deputato alle decisioni morali, stabilisce gli ideali e agisce come censore; le sue funzioni sono quindi assai più estese di quella che siamo soliti chiamare coscienza: gran parte delle operazioni del Super-Io si svolgono, per così dire, alle nostre spalle.
Spronato da queste nuove prospettive teoriche, Freud si accinse ad esplorare una problematica di cui sino a quel momento non si era occupato in modo approfondito, sebbene fosse implicita nel suo lavoro: quella dell'individuo nell'interazione sociale. L'unico contributo di Freud alla sociologia psicanalitica fu un saggio, piuttosto smilzo ma carico di suggestioni: Psicologia delle masse e analisi dell'Io, in cui viene sottolineato, caratteristicamente, che la psicologia individuale e la psicologia sociale sono di fatto indistinguibili. Dopotutto, anche il triangolo edipico, pur configurandosi come una serie di reazioni profondamente personali che si sviluppano all'interno dell'individuo, costituisce un evento sociale, un'interazione fra tre persone. Insoddisfatto delle teorie degli psicologi sociali i quali postulavano l'esistenza di un istinto gregario o di una mente collettiva, Freud affermava invece che la coesione del gruppo - e prendeva ad esempio due organizzazioni, la Chiesa e l'esercito - è un fenomeno relazionale che va spiegato sulla base della nuova teoria delle pulsioni da lui elaborata, ossia riconoscendo che i membri del gruppo sono uniti tra di loro e con i leaders da legami libidici. Né Freud né gli psicanalisti freudiani svilupparono queste feconde indicazioni, lasciando dietro di sé un'impresa incompiuta la quale sembra richiedere, per essere portata a compimento, una cooperazione tra psicanalisti e scienziati sociali.
Freud non cessò comunque di interessarsi alle tematiche sociali, e nel 1927, all'età di settantun anni, riprese la riflessione sulla religione in un importante saggio, Il futuro di un'illusione. Ancora una volta viene sottolineata la netta distinzione tra spiegazione in termini di fede e indagine ispirata a criteri scientifici; quest'ultima, che deve prendere le distanze da ogni credo religioso, è secondo Freud l'unica via per arrivare a una verità attendibile. Analizzata in modo scientifico, la religione non sarebbe altro che una fonte di rassicurazione nei momenti di smarrimento. L'uomo si rivolge a Dio nello stesso modo in cui il bambino nella sua debolezza si rivolge al padre per cercare conforto. La civiltà esige sacrifici istintuali, la natura limita la capacità dell'uomo di raggiungere la felicità, e la religione gli offre delle illusioni grazie alle quali egli può sopravvivere a queste tensioni. In breve, tra gli sforzi che l'uomo compie per far apparire realizzati i propri desideri la religione è il più potente. Sarebbe bello, afferma Freud, che vi fosse un Dio che ha creato il mondo e che agisse come benevola Provvidenza, che esistesse un ordine morale nell'universo e una vita dopo la morte, ma tutto ciò è esattamente ciò che vorremmo che fosse.Il futuro di un'illusione può essere considerato un saggio di psicologia e di sociologia della religione. Pur senza avere alcun fondamento empirico, esso fornisce un quadro teorico con il quale gli psicologi sociali si sono confrontati sino ad oggi, e nella sua parte conclusiva offre una tersa testimonianza sul ruolo unico della scienza: "No, la nostra scienza non è un'illusione. Ma sarebbe un'illusione pensare che possiamo ottenere altrove ciò che la scienza non può darci".Ne Il disagio della civiltà, scritto nel 1929 e pubblicato l'anno successivo, Freud riprende i temi trattati ne Il futuro di un'illusione sviluppandoli in chiave politica. È questa l'opera più nota di Freud, l'unico suo testo che molti abbiano mai letto. Non si tratta tuttavia di un lavoro a sé stante, ma del risultato di almeno dieci anni di riflessione teorica. Scritto in un linguaggio semplice e informale, Il disagio della civiltà costituisce il principale contributo di Freud alla teoria politica, e invero un contributo di grande rilievo. Al pari di molti illustri predecessori - da Platone a Hobbes, da Locke a Rousseau - anche Freud è convinto che per comprendere le istituzioni umane sia indispensabile comprendere la natura umana: una comprensione che, in questo caso, è improntata ovviamente alle concezioni psicanalitiche. Il breve saggio freudiano non ha la portata della Repubblica di Platone, né la specificità politica del Contratto sociale di Rousseau, e tuttavia offre una serie di rilevanti intuizioni sul rapporto tra individuo e collettività.
Ne Il futuro di un'illusione Freud aveva presentato la religione come un potente mezzo con cui gli uomini cercano di alleviare la propria inquietudine. Non si tratta però dell'unico mezzo di cui essi dispongono. L'uomo moderno, afferma Freud, è profondamente insoddisfatto e cerca di alleviare il suo malessere dandosi alla dissipazione, alle avventure sessuali, alle droghe e all'alcool, tutti palliativi che richiedono però un prezzo assai alto. Il rimedio più efficace - o il meno inefficace - all'universale disagio umano è un rimedio che peraltro sono in pochissimi ad apprezzare: il lavoro produttivo. E 'lavoro' significa azione e partecipazione alla comunità umana, significa "portare avanti la lotta contro la natura e soggiogarla alla volontà umana".
Se le forme specifiche del disagio sono una caratteristica dell'epoca moderna, vi è un tipo di disagio insito nella stessa struttura psichica dell'uomo. Freud aveva sempre sostenuto, e ora ribadisce con solenne, inequivocabile chiarezza che l'uomo è un animale che desidera; ma il processo di socializzazione consiste in larga misura nel soffocare o nel negare i suoi desideri imperiosi, ed è destinato quindi a lasciare residui di insoddisfazione. La società civilizzata moderna - ossia la società borghese - secondo Freud ha imposto restrizioni estremamente rigide ai desideri sessuali, e ha legittimato solo una gamma assai limitata di attività erotiche; è inevitabile, di conseguenza, l'insorgere di conflitti tra desiderio e autocontrollo. Al fondo, quindi, l'individuo e la società sono nemici irriducibili - e qui si capisce perché Hobbes sia stato considerato uno dei padri intellettuali di Freud.Tuttavia questa posizione non fa di Freud un primitivista, poiché egli rifiuta l'idea di una fuga dalla civiltà. Solo la civiltà, infatti, è in grado di fornire i valori più preziosi dell'uomo: bellezza, purezza, ordine e amore. E tuttavia Freud riconosce che essa non è ancora riuscita a domare completamente l'inclinazione troppo umana all'aggressività, aggressività che costituisce il principale ostacolo alla civiltà. Lo sviluppo del senso di colpa, che rende l'uomo infelice, costituisce comunque un potente deterrente, ma il problema è se esso possa prevalere sull'aggressività.
Il disagio della civiltà affrontava una tematica di drammatica attualità in quegli anni in cui gli strascichi irrisolti della prima guerra mondiale e l'ascesa del nazismo in Germania lasciavano presagire lo scatenarsi in Europa di un'aggressività distruttiva. La prima edizione del testo terminava con una considerazione venata di speranza: "e ora ci si attende che il secondo dei due 'poteri immortali', l'eterno Eros, farà uno sforzo per imporsi sul suo altrettanto immortale avversario". Ma nella seconda edizione del 1931, Freud aggiungeva un'interrogativo profondamente scettico: "ma chi può prevedere con quale successo e con quale esito?".Nel 1932, quando l'ascesa di Hitler al potere in Germania sembrava ormai imminente, Freud affrontò questa drammatica questione in modo diretto. Dietro suggerimento di alcuni funzionari della Società delle Nazioni, egli ebbe un breve scambio epistolare con Albert Einstein sul tema 'Perché la guerra?' In contrasto con l'ottimismo di Einstein, il quale riteneva che una forte autorità internazionale avrebbe impedito lo scoppio di una guerra, Freud ribadì la propria convinzione che l'uomo è dotato di impulsi aggressivi innati che nessuna istituzione sarà in grado di sopprimere. Nemmeno la paura delle conseguenze estreme - la distruzione reciproca - potrebbe essere sufficiente a eliminare l'impulso ad odiare. Freud non dava particolare peso a questo suo contributo nel campo della ricerca sulla pace, ma esso rimane un interessante esempio di applicazione delle idee psicanalitiche alla sfera pratica delle relazioni internazionali.
Quando Freud iniziò questo scambio epistolare con Einstein sulla prospettiva della guerra, già da nove anni era affetto da un cancro al palato che gli impediva di parlare e gli procurava dolori intollerabili. Ciononostante egli non cessò di rielaborare le proprie teorie, incentrando l'attenzione in particolare su due problematiche: l'angoscia e la sessualità femminile. In Inibizione, sintomo e angoscia (1926) Freud modificò la sua teoria originaria secondo cui è la repressione a causare l'angoscia, per sostenere invece che questa costituisce un segnale di pericolo, che mette in guardia l'Io da una potenziale situazione traumatica. Questa nuova teoria non suscitò grandi contestazioni, mentre i suoi saggi dedicati alla sessualità femminile - da Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi (1925) a Femminilità (1933) - suscitarono notevoli dissensi tra le cerchie psicanalitiche. Ernest Jones e Karen Horney - all'epoca ancora una freudiana ortodossa - contestarono l'idea implicita in questi saggi, secondo cui la donna sarebbe un uomo mancato. La crisi della psicanalisi in Europa a seguito dell'ascesa al potere di Hitler nel gennaio 1933 impedì lo sviluppo di ulteriori dibattiti sulla teoria freudiana secondo cui le fanciulle sono spinte a trasferire il loro amore dalla madre al padre, e, nell'adolescenza, l'attenzione sessuale dalla clitoride alla vagina; ciò significa, secondo Freud, che nel corso dell'adolescenza le femmine devono svolgere un maggiore lavoro psicologico rispetto ai maschi, e che di conseguenza il loro Super-Io è meno rigido. Si dovette aspettare il movimento femminista degli anni sessanta perché questa tesi divenisse oggetto di accesi dibattiti. Ma del resto, discussioni e contrasti di questo tipo avevano contrassegnato l'intera storia della psicanalisi, sin dai suoi inizi.
Per il loro stesso carattere, le teorie freudiane sulla natura e sullo sviluppo dell'uomo hanno senza dubbio una profonda rilevanza per le scienze sociali, e tuttavia l'influsso delle idee psicanalitiche su queste discipline è stato assai vario nel corso degli anni, risentendo in parte degli atteggiamenti più generali nei confronti della psicanalisi. La situazione resta tuttora fluida, e in questa sede ci limiteremo ad illustrare brevemente lo stato attuale dei rapporti tra la psicanalisi e le scienze sociali, destinato con tutta probabilità a mutare negli anni futuri. Tra le scienze sociali che hanno risentito maggiormente (e, nonostante l'opinione dei detrattori, in modo indelebile) l'influsso di Freud un posto di rilievo spetta alla scienza politica e all'antropologia culturale, mentre il rapporto tra psicanalisi e storiografia è stato tutt'altro che fecondo. Il primo tentativo di estendere il campo di applicazione delle concezioni psicanalitiche alla teoria sociale fu intrapreso dai collaboratori dell'Institut für Sozialforschung, fondato a Francoforte nel 1923 e ricostituito dieci anni dopo negli Stati Uniti, col nome di International institute of social research, dai suoi membri costretti all'esilio dall'avvento del nazismo in Germania. I collaboratori più noti dell'Istituto furono Max Horkheimer, Theodor Adorno e Herbert Marcuse, tutti esponenti altamente sofisticati della neo-sinistra hegeliana, che specialmente negli anni dell'esilio cercarono di mascherare il proprio orientamento marxista sotto l'etichetta di 'teoria critica'. Gli esponenti della Scuola di Francoforte studiarono Freud e fecero alcuni tentativi di coniugare la psicanalisi con il marxismo.
Nel 1931, in occasione della lezione inaugurale tenuta all'Institut für Sozialforschung, Horkheimer auspicò un progetto di ricerca empirica cui avrebbero dovuto collaborare "filosofi, sociologi, economisti, storici e psicologi", intendendo con questi ultimi gli psicanalisti. Uno degli esiti più noti di questo progetto interdisciplinare fu La personalità autoritaria, scritto nel 1950 da Adorno e dai suoi collaboratori, in cui veniva delineata una particolare struttura caratteriale, nella fattispecie la personalità dell'antisemita, utilizzando le concezioni freudiane sulla formazione della personalità. L'opera, tuttavia, fu oggetto di violente critiche da parte degli scienziati sociali - che giudicarono l'interpretazione dei dati viziata da una chiara ideologia politica - e non ebbe alcun impatto duraturo. Marx aveva sopraffatto Freud.Un'opera per certi versi differente, sebbene anch'essa dominata dall'ideologia marxista, fu Eros e civiltà di Marcuse, che, come si legge nel sottotitolo, si propone come 'un'indagine filosofica su Freud'. Nella prefazione, Marcuse dichiara esplicitamente che il testo "impiega categorie psicologiche in quanto sono diventate categorie politiche". Eros e civiltà è una critica contro gli esponenti della psicanalisi revisionista, in particolare Erich Fromm, accusati di dare un peso eccessivo ai fattori ambientali, e una difesa del solido realismo freudiano. Ma a suo modo questo saggio si configura anche come una proposta utopistica, mirata a superare il 'principio di realtà' dominante nel mondo capitalistico per arrivare ad una società che elimini il "surplus di repressione".All'epoca della fondazione dell'Institut für Sozialforschung, gli antropologi culturali avevano già scoperto la psicanalisi, che nei decenni successivi fu al centro di vivaci dibattiti. Le idee freudiane sembravano particolarmente pertinenti allo studio del mito primitivo e della struttura della famiglia.
Al principio degli anni venti Bronislaw Malinowski, che aveva condotto una ricerca sul campo sulla società matrilineare dei Trobriandesi, fece proprio il pensiero freudiano, pur contestando l'universalità del complesso edipico che a suo avviso era applicabile solo alle società patriarcali. Ma questa posizione è stata a sua volta confutata, e i dati delle ricerche di Malinowski sono stati utilizzati per smentire le sue tesi da Melford E. Spiro nel brillante Oedipus in the Trobriands (1982). Queste interpretazioni contrastanti dimostrano ancora una volta l'intrinseca elusività di dati raccolti col massimo distacco umanamente possibile. Sempre nell'ambito dell'antropologia, tracce significative delle idee freudiane si possono ritrovare in Clifford Geertz, negli esponenti del neostrutturalismo come Claude Lévi-Strauss e in altri ancora.
Tra gli antropologi che hanno applicato nel modo più coerente le concezioni psicanalitiche figurano George Devereux, Weston La Barre, Melford E. Spiro e Gananath Obeyesekere. Devereux, autore di stimolanti ricerche sulla cultura antica e sugli Indiani d'America, si segnala in particolare per lo studio From anxiety to method in the behavioral sciences (1967), in cui viene analizzato il rapporto di transfert che si crea tra osservatore e soggetto osservato; si tratta di un'opera indispensabile per tutti i sociologi che si pongono il problema dell'obiettività del ricercatore/osservatore. L'opera principale di La Barre, autore tra l'altro di importanti monografie sui consumatori di droghe e sugli incantatori di serpenti, è l'ambizioso e voluminoso The ghost dance: origins of religion (1970), che riprende le idee sulla religione sviluppate da Freud in Totem e tabù e in altre opere per ricostruire una storia e una preistoria della religione. Gli esseri umani, secondo La Barre, sono primati evoluti la cui forma peculiare di adattamento biologico è costituita dalla cultura. L'approccio a questa specifica ecologia umana, a suo avviso, non può che essere psicanalitico, poiché la psicanalisi "è stata la prima, e sinora l'unica teoria psicologica a prestare la debita attenzione all'intero corpo umano nelle fasi del suo sviluppo quale luogo in cui vivere e fare esperienza". Spiro, che ha condotto una importante ricerca sul campo in Birmania, ha applicato brillantemente l'antropologia psicanalitica ad una cultura letterata nella sua dettagliata analisi di un kibbutz. Obeyesekere ha cercato con non poco successo, specialmente in The work of culture: symbolic transformation in psychoanalysis and anthropology (1990), di istituire un collegamento tra gli approcci antropologici alle forme simboliche e le teorie psicanalitiche della motivazione. Per quanto anche tra gli antropologi la psicanalisi resti oggetto di controversie, il suo influsso su questa disciplina è ben tangibile.
Lo stesso non si può affermare invece per quanto riguarda la storia. A partire dalla metà degli anni cinquanta tra gli storici si ebbe un improvviso interesse per Freud e per le sue idee, interesse che però, dopo gli entusiasmi iniziali, si esaurì ben presto. Ad ostacolare un incontro tra storia e psicanalisi sono stati fondamentalmente due rilievi critici mossi a quest'ultima dagli storici: in primo luogo, l'approccio psicanalitico porterebbe inevitabilmente a formulare speculazioni avventate, perché nei documenti e nelle testimonianze del passato vi è ben poco che gli storici di orientamento psicanalitico possano realmente utilizzare; in secondo luogo, la psicanalisi sarebbe riduzionistica, nei fatti se non nelle intenzioni, interpretando ad esempio la Rivoluzione francese come una semplice ribellione edipica. Nel 1958 lo storico diplomatico americano William Langer stupì i suoi colleghi con una comunicazione indirizzata al presidente degli Stati Uniti, The next address, in cui auspicava l'uso delle categorie psicanalitiche per lo studio del panico e di altri fenomeni di massa. Poiché Langer godeva fama di essere un professionista dei più ligi alla tradizione, il suo appello suscitò una notevole attenzione. Nello stesso anno, l'opera di piacevole lettura Il giovane Lutero pubblicata da Erik Erikson stimolò altri storici a cimentarsi con la psicobiografia, se non con la psicostoria. Tuttavia i risultati furono alquanto deludenti, e le severe critiche di cui fu oggetto lo studio di Erikson non incoraggiarono ulteriori tentativi in questa direzione.
In Francia, in Germania e in Italia in pratica nessuno storico si è servito di concetti psicanalitici. La Gran Bretagna per contro ha al suo attivo almeno un capolavoro nel campo della psicostoria, The Greek and the irrational di E.R. Dodd, un brillante e illuminante studio sulla mentalità degli antichi Greci condotto da una prospettiva freudiana - e osserviamo per inciso che Dodd non era nemmeno uno storico, ma un classicista.Non sarebbe corretto citare una ristretta rosa di titoli di valide ricerche storiografiche condotte con il pensiero rivolto a Freud, trascurandone altri. A conclusione di questo discorso, ci limiteremo a osservare come la posizione del pensiero freudiano tra gli scienziati sociali sia alquanto fluida. Del resto, un certo numero di proposizioni psicanalitiche sono state messe in discussione dagli analisti stessi, e le violente critiche che gli avversari della psicanalisi hanno mosso alle idee di Freud, e persino alla sua persona, hanno ulteriormente confuso le acque. L'ultima parola, comunque, non è ancora stata detta.
(V. anche Cultura; Emozioni e sentimenti; Personalità; Personalità e società; Psichiatria; Psicologia sociale).
Anzieu, D., L'auto-analyse de Freud et la découverte de la psychanalyse, 2 voll., Paris 1975 (tr. it.: L'autoanalisi di Freud e la scoperta della psicoanalisi, 2 voll., Roma 1976).
Anzieu, D., The British school of Psychoanalysis: the independent tradition (a cura di G. Kohon), New Haven, Conn., 1986.
Bedeschi, G., Trincia, F.S. (a cura di), Studi su Sigmund Freud 1939-1989, in "La cultura", 1990, XXVIII, 2.
Clark, R.W., Freud: the man and the cause, New York 1980.
Decker, H.S., Freud in Germany: revolution and reaction in science 1893-1907, New York 1977.
Decker, H.S., Freud, Dora, and Vienna 1900, New York 1991.
Freud, A., The Ego and the mechanisms of defence, London 1937 (tr. it.: L'Io e i meccanismi di difesa, Firenze 1967).
Freud, M., Sigmund Freud: man and father, New York 1958.
Freud, S., The standard edition of the psychological works of Sigmund Freud (a cura di J. Strachey e altri), 24 voll., London 1953-1984.
Freud, S., The Freud/Jung letters: the correspondence between Sigmund Freud and C.G. Jung (a cura di W. McGuire), Princeton, N.J., 1974.
Freud, S., The complete letters of Sigmund Freud to Wilhelm Fliess, 1887-1904, Cambridge, Mass., 1985.
Freud, S., Übersicht der Übertragungsneurosen. Ein bisher unbekanntes Manuskript (a cura di I. Grubrich-Simitis), Frankfurt a.M. 1985.
Freud, S., Correspondence of Sigmund Freud and Sandor Ferenczi (a cura di E. Brabant, E. Falzeder, P. Giampieri-Deutsch), vol. I, Cambridge, Mass., 1993.
Freud, S., The complete correspondence of Sigmund Freud and Ernest Jones, 1908-1939 (a cura di A. Paskauskas), Cambridge, Mass., 1993.
Gay, P., A godless Jew: Freud, atheism, and the making of psychoanalysis, New Haven, Conn., 1987.
Gay, P., Freud: a life for our time, New York 1988.
Greenacre, P., Emotional growth: psychoanalytic studies of the gifted and a great variety of other individuals, 2 voll., New York 1971.
Greenberg, J.R., Mitchell, S.A., Object relations in psychoanalytic theory, Cambridge, Mass., 1983.
Gubrich-Simitis, I., Zurück zu Freuds Texten, Frankfurt a.M. 1993.
Hale, G.H. jr., Freud and the Americans: the beginning of psychoanalysis in the United States, 1876-1917, New York 1971.
Hale, G.H. jr., The rise and crisis of psychoanalysis in the United States: Freud and the Americans, 1917-1985, New York 1995.
Hartman, H., Essays on Ego psychology: selected problems in psychoanalytic theory, New York 1964 (tr. it.: Saggi sulla psicologia dell'Io, Torino 1976).
Jones, E., The life and work of Sigmund Freud, 3 voll., New York 1953-1957 (tr. it.: Vita e opere di Freud, 3 voll., Milano 1977).
Klein, G.S., Psychoanalytic theory: an exploration of essentials, New York 1976.
Klein, M., The psycho-analysis of children, London 1932-1949³ (tr. it.: La psicoanalisi del bambino, Firenze 1970).
Klein, M., Love, guilt and reparation and other works 1921-1945, London 1975.
Kris, E., Selected papers, New Haven, Conn., 1975.
Laplanche, J., Vie et mort en psychoanalyse, Paris 1970.
Lieberman, E.J., Acts of will: the life and work of Otto Rank, New York 1985.
Loewald, H.W., Papers on psychoanalysis, New Haven, Conn., 1980.
Loewenstein, R.M., Practice and precept in psychoanalytic technique: selected papers, New Haven, Conn., 1982.
McIntosh, D., Self, person, world: the interplay of conscious and unconscious in human life, Evanston, Ill., 1995.
Mahler, M.S., Pine, F., Bergman, A., The psychological birth of the human infant: symbiosis and individuation, New York 1975.
Malcolm, J., Psychoanalysis: the impossible profession, New York 1981.
Pontalis, J.-B., Après Freud, Paris 1965.
Rapaport, D., Collected papers (a cura di M.M. Gill), New York 1967.
Reik, T., From thirty years with Freud, New York 1940.
Ricoeur, P., Freud and philosophy: an essay on interpretation, New Haven, Conn., 1970.
Robinson, P., Freud and his critics, Berkeley, Cal., 1993.
Roudinesco, E., La bataille de cent ans: histoire de la psychoanalyse en France, 2 voll., Paris 1986.
Schur, M., Freud, living and dying, New York 1972.
Segal, H., Klein, London 1979.
Spector, J.J., The aesthetics of Freud; a study in psychoanalysis and art, New York 1972.
Wallace, E.R. IV, Freud and anthropology: a history and reappraisal, New York 1983.
Winnicott, D.W., Through paediatrics to psycho-analysis, New York 1958.
Winnicott, D.W., Playing and reality, New York 1971.
Wollheim, R., Freud, London 1971.