Radioprotezione
di Carlo Polvani
Radioprotezione
sommario: 1. Introduzione. 2. Il riconoscimento degli effetti patologici delle radiazioni. 3. Sviluppo degli obiettivi e dei principi: a) fino alla seconda guerra mondiale; b) dopo la seconda guerra mondiale; c) negli anni recenti. 4. Gli attuali principi generali: a) il principio di giustificazione; b) il principio di ottimizzazione; c) il principio del limite di dose individuale. 5. Collocazione concettuale e operativa. 6. Fattori storici di sviluppo. 7. Alcune caratteristiche del rischio da radiazioni: a) legame funzionale tra le componenti del rischio; b) ripartizione tra gli individui dei benefici e dei rischi. 8. I limiti di dose per le singole persone: a) limiti per effetti non stocastici; b) limiti per effetti stocastici; c) considerazioni sulla normativa. 9. Alcuni problemi particolari. □ Bibliografia.
1. Introduzione
La radioprotezione, o protezione sanitaria contro le radiazioni ionizzanti, è una disciplina a forte contenuto biologico, fisico, tecnico e naturalistico che si è sviluppata durante il Novecento, dapprima con lentezza e poi con crescente rapidità. Essa ha l'obiettivo di preservare lo stato di salute e di benessere dei lavoratori, degli individui componenti la popolazione, della popolazione nel suo insieme, riducendo i rischi sanitari da radiazioni ionizzanti nella realizzazione di attività umane che siano giustificate dai benefici che ne derivano alla società e ai suoi membri. In funzione del suo obiettivo essa provvede inoltre alla tutela dell'ambiente.
Le vicende della radioprotezione costituiscono un buon esempio di come possano essere impostati e risolti i problemi sanitari sollevati da tecnologie nuove e per l'innanzi impreviste. Lo studio della sua storia e delle fasi evolutive attraverso le quali essa è passata può suggerire, per analogia, elementi di riflessione per lo sviluppo di altre branche della prevenzione sanitaria che devono accompagnare l'applicazione di scoperte scientifiche e di nuove tecnologie con rischio. In effetti l'analisi del ‛rischio da radiazioni' mette in luce problemi che riguardano anche molti altri agenti nocivi delle moderne società industriali.
La radioprotezione ha conosciuto un lungo periodo iniziale di definizione e di riflessione, durante il quale è rimasta prevalentemente confinata in una ristretta cerchia di persone (i radiologi, i tecnici degli apparecchi a raggi X, i fisici di ospedale, qualche ricercatore). Erano gli anni tra l'inizio del secolo e la seconda guerra mondiale. In quei decenni vennero scoperti e approfonditi alcuni fatti fondamentali per la radioprotezione: e cioè quali grandezze fisiche associate all'esposizione (o irradiazione) e agli effetti biologici fossero di agevole misura strumentale; quali fossero i danni biologici che seguono a gravi esposizioni del corpo umano o di suoi organi e apparati (utilizzando anche quanto veniva appreso dall'impiego delle radiazioni in varie forme di terapia); quali potessero essere gli obiettivi concreti e i principi generali della disciplina, così come risultavano dal dibattito entro le comunità professionali e scientifiche, attente anche alle posizioni dell'opinione pubblica. Ovviamente lo sviluppo degli obiettivi e dei principi della radioprotezione - e più in generale della prevenzione sanitaria - richiede non solamente conoscenze tecniche e biologiche, ma anche il riferimento a una tavola di valori nei quali la società si riconosca; in altre parole, la prevenzione dei rischi presuppone scelte di carattere sociale e politico, ed esse, di contro, sono riconoscibili nei fondamenti della prevenzione, ai suoi vari stadi di sviluppo.
Va sottolineato che dopo la seconda guerra mondiale la radioprotezione ha potuto avvalersi d'un grande impegno di ricerca in parte come conseguenza dei programmi nucleari, in parte come conseguenza della tragedia di Hiroshima e di Nagasaki. Quando si prese coscienza di che cosa fosse accaduto in quelle due città, accanto alle considerazioni di politica militare e di futuribili a livello internazionale, si provvide anche a programmare studi per capire a fondo i fenomeni dell'irradiazione e dei suoi effetti sul piano biologico. Gli Stati Uniti d'America costituirono nel 1946 la Atomic Bomb Casualty Commission (ABCC) per raccogliere informazioni e dati sugli effetti delle bombe atomiche sull'organismo umano e per studiare i sopravvissuti sotto il profilo epidemiologico-sanitario e delle cause della loro morte, avvenuta successivamente. Le Nazioni Unite costituirono nel 1955 lo Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation (UNSCEAR) con compiti di raccolta e di revisione critica dei dati sulla radioattività ambientale e sugli effetti delle radiazioni sull'uomo e sull'ambiente. In molti paesi fu lanciato un programma di ricerche di radiobiologia più vasto dei programmi di ricerca relativi alle noxae proprie di altri settori industriali e tecnologici (v. radiobiologia). In alcuni decenni, insomma, è stato acquisito un grande cumulo di conoscenze che possono servire per operare scelte sociali e di sviluppo nei diversi campi in cui esiste rischio da radiazioni.
Va inoltre considerata la circostanza favorevole della lenta penetrazione dell'energia nucleare nelle società industriali. È difficile stabilire oggi (1980) in quale misura si farà ricorso nei prossimi decenni all'energia nucleare, a quali condizioni e in quali paesi (v. energia; v. nuclei atomici: Reattori nucleari). Ma i quasi quarant'anni che sono trascorsi dall'inizio del cosiddetto Progetto Manhattan, con cui nacque la tecnologia nucleare, costituiscono un intervallo di tempo abbastanza lungo e ben impiegato per lo sviluppo tecnico e operativo della prevenzione nel campo delle radiazioni ionizzanti. In un secolo in cui la penetrazione di altre tecnologie è stata tanto rapida da precedere lo sviluppo dei relativi metodi di prevenzione, l'energia nucleare e la radioprotezione costituiscono una vistosa eccezione.
La radioprotezione si presenta dunque come una sorta di paradigma di sviluppo di una moderna disciplina sanitaria di prevenzione, anche perchè ha dovuto sistemare concettualmente il difficile argomento della prevenzione di effetti biologici stocastici (cioè meramente probabilistici, all'interno di una popolazione irraggiata) che si manifestano come tumori maligni e come mutazioni ereditarie (v. eredità biologica; v. genetica). Il rischio di effetti stocastici è comune a molte noxae di natura chimica e fisica, e la radioprotezione si è confrontata con esso prima di altre discipline prevenzionistiche e ha proposto un assetto di concetti e di principi per la sua trattazione.
In anni recenti l'avvento di grandi impianti nucleari per la produzione di energia elettrica ha accresciuto l'interesse per la prevenzione tecnologica e la protezione sanitaria di gravi incidenti, potenzialmente disastrosi per effetti patologici e per compromissione territoriale. La radioprotezione ha dovuto esaminare anche questo argomento e la discussione è ancora in pieno svolgimento. Questa disciplina è interessante infine per un ultimo aspetto: perchè attorno alla noxa costituita dalle radiazioni ionizzanti ha costruito un sistema di prevenzione che si applica ad attività umane molto diverse tra loro: applicazioni mediche delle radiazioni e delle sostanze radioattive, applicazioni scientifiche e industriali, diffusione tra il pubblico di sorgenti di radiazioni, produzione di energia elettro-nucleare, ecc.
Il presente articolo considererà la storia, i principi e i problemi generali della radioprotezione, cioè una buona parte degli aspetti della ‛radioprotezione generale', ma non esaminerà le ‛tecniche di radioprotezione' né l'organizzazione operativa di essa. La tab. I riporta le grandezze fisiche e le unità di misura d'uso più comune nella radioprotezione.
2. Il riconoscimento degli effetti patologici delle radiazioni
Non era ancora passato un mese dall'annuncio della scoperta dei raggi X da parte di W. K. Röntgen (gennaio 1896), quando un costruttore e sperimentatore di tubi sotto vuoto mostrò lesioni alla cute delle mani che oggi indicheremmo come dermatite subacuta da raggi X. Quelle lesioni erano il risultato di esposizioni ad alte dosi avvenute manipolando apparecchi, prima ancora del riconoscimento dei raggi X da parte di Röntgen. Le osservazioni cliniche di questo genere si moltiplicarono rapidamente. Nel 1901 Henri Becquerel mostrò un eritema della cute in corrispondenza della tasca del vestito nella quale aveva tenuto per qualche tempo una fiala di vetro contenente sali di radio. Poco dopo, Pierre Curie si provocò intenzionalmente un eritema da radio sulla cute del braccio ed ebbe l'idea che le radiazioni emesse potessero avere proprietà terapeutiche. Nel 1903 fu riconosciuto che l'esposizione a raggi X poteva indurre sterilità negli animali di laboratorio; pochi anni dopo fu annunciato che gli embrioni di uova di rospo fertilizzate con sperma irradiato con raggi X presentavano anormalità. Nel 1904 furono segnalate le prime anemie e le prime leucopenie da raggi X e già nel 1902 un carcinoma cutaneo si era sviluppato su precedente dermatite da raggi. E così entro circa dieci anni dalle scoperte di Röntgen e di Becquerel una gran parte della patologia da dosi elevate e intense di radiazioni ionizzanti era stata riconosciuta e sommariamente descritta. Le lesioni da incorporazione di sostanze radioattive furono scoperte più tardi, in particolare negli anni venti quando si manifestarono necrosi e tumori ossei al mascellare di operaie che durante la prima guerra mondiale erano state addette a dipingere le mostre di orologi luminescenti con vernici contenenti sali di radio; esse avevano ingerito le vernici facendo la punta al pennello con le labbra, in un gesto frequentemente ripetuto durante il lavoro.
Un altro genere di effetti cominciò a essere conosciuto sul finire degli anni venti. Il genetista H. J. Muller poté mostrare (1927) che i raggi X e i raggi gamma producono mutazioni geniche e cromosomiche nel moscerino dell'aceto, che sono trasmesse ai discendenti secondo le leggi dell'eredità biologica (v. eredità biologica). E però la radioprotezione si occupò in maniera rilevante degli effetti genetici solamente dopo la seconda guerra mondiale, quando essi furono considerati come i più insidiosi e gravi dell'esposizione alle radiazioni.
In questi anni venne sostanzialmente approfondito anche il capitolo degli effetti tardivi (costituiti da tumori maligni) che compaiono in una piccola frazione delle persone di una popolazione irradiata con dosi anche non elevate. Alla International conference on pacific uses of atomic energy (Ginevra, 1955) Tzuzuki riportò la notizia che tra i sopravvissuti ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki erano stati osservati circa 200 casi di leucemia, un numero assai più alto di quello atteso in base alle caratteristiche endemiche della malattia. Negli anni seguenti fu annunciato l'aumento di frequenza di altre forme tumorali maligne nei sopravvissuti, mentre venivano resi noti i risultati di indagini epidemiologiche sull'incremento di tumori maligni tra i pazienti curati con radiazioni per forme morbose non tumorali. Court Brown e Doll nel 1957 poterono dimostrare un aumento della frequenza di leucemie nelle cause di morte di pazienti trattati con röntgenterapia per dolori artrosici vertebrali. Attorno al 1960 furono tentate le prime stime circa le probabilità di ammalarsi di tumore maligno da radiazioni in seguito all'assorbimento d'una dose unitaria di radiazioni sul corpo intero, ammettendo in ipotesi che vi fosse proporzionalità semplice tra dose e probabilità di effetti tardivi. Veniva riconosciuto che questi tumori maligni (così come le mutazioni genetiche) non erano distinguibili, per caratteristiche e comportamento, da tumori maligni dello stesso genere presenti spontaneamente nella popolazione. Veniva pure riconosciuto il carattere stocastico dell'insorgenza di questi tumori e mutazioni, anche mediante la sperimentazione su mammiferi di laboratorio. Taluni modelli teorici interpretativi degli effetti stocastici non contraddicevano l'ipotesi che anche dosi piccole o piccolissime potessero provocare - con probabilità piccola o piccolissima - l'insorgenza di tumori maligni e di mutazioni. E neppure contraddicevano l'ipotesi che non esistesse una soglia di dose al di sotto della quale non vi fosse possibilità d'induzione di tumori e di mutazioni.
Proprio in quegli anni (a cavallo del 1960) piccole dosi annue erano ricevute da vastissime popolazioni di interi continenti a causa delle ricadute radioattive (radioactive fallout) conseguenti alle esplosioni nell'atmosfera di ordigni bellici nucleari di prova. L'interrogativo sui possibili effetti di queste piccole dosi individuali era assai vivo. Ragionando con l'ipotesi della semplice proporzionalità (linearità) senza soglia, si cominciò in quegli anni a considerare sempre più frequentemente la somma delle dosi ricevute dagli individui d'una popolazione come un'indicazione dei danni che potevano rivelarsi in quella popolazione nel seguito degli anni e delle generazioni. Si formava così, tra ampi contrasti, il concetto di ‛dose collettiva' ricevuta da un insieme di persone esposte. Si cominciò anche a riflettere che nel caso di irradiazione esterna del corpo, il momento dell'irradiazione e il momento del ricevimento della dose coincidono; mentre nel caso dell'incorporazione di sostanze radioattive - come avviene a seguito delle ricadute di prove di ordigni nucleari - il momento dell'introduzione corporea e il tempo di ricevimento della dose non coincidono: questo perdura tanto quanto la sostanza radioattiva rimane presente nell'organismo. Sorgeva così tra i protezionisti il concetto di ‛dose impegnata' al momento dell'introduzione corporea che così larga diffusione ha avuto negli anni recenti.
Frattanto, già dagli anni cinquanta era stato approfondito un altro campo di effetti già noti delle radiazioni: i danni riguardanti lo sviluppo embrionale e fetale. Furono soprattutto i lavori sistematici dei coniugi Russell che fecero luce sull'argomento, mostrando le capacità lesive delle radiazioni sull'organogenesi (che si verifica nell'embrione umano fino al settantesimo giorno circa dal concepimento). Per questi effetti sembra verosimile una soglia di dose, peraltro non elevata; dunque per dosi che non siano modeste va riservata una protezione particolare al prodotto del concepimento e pertanto alle donne durante la gravidanza.
Oggi la radiopatologia è un argomento abbastanza bene conosciuto e descritto nei suoi fenomeni generali, pur essendovi necessità di ulteriori ricerche e approfondimenti per quantificare e precisare meglio le previsioni e le stime degli effetti dannosi connessi a determinate dosi di radiazioni. Per contro esiste un certo ritardo nella sistemazione di molti argomenti di patologia da sostanze chimiche sintetizzate e prodotte industrialmente negli ultimi decenni, che pure sono capaci di indurre tumori maligni, mutazioni ereditarie, danni embrionali. È tempo che si faccia per queste noxae uno sforzo di ricerca come quello che si è fatto e si sta facendo per le radiazioni ionizzanti.
3. Sviluppo degli obiettivi e dei principi
L'aumento delle conoscenze sugli effetti delle radiazioni ha permesso, nel corso dei decenni, di modificare e di precisare gli obiettivi e i principi della radioprotezione. È chiaro che gli obiettivi di fondo sono costituiti dalla tutela della salute e del benessere delle persone. Un tempo, allorché si conoscevano solamente effetti che seguono al superamento d'una soglia di dose, l'obiettivo poteva essere concepito come prevenzione completa di qualsiasi effetto in qualsiasi persona esposta, evitando di superare le soglie di dose. In segnito - ammessa in ipotesi la possibilità di effetti stocastici somatici e genetici senza soglia di dose - l'obiettivo dovette esser riformulato. Si dichiarò che non si poteva più mirare alla prevenzione assoluta (a meno di non abolire tutte le attività comportanti radiazioni ionizzanti) ma si doveva e si poteva puntare al grado di prevenzione più elevato compatibile con il raggiungimento degli scopi benefici per i quali erano impiegate o comunque prodotte le radiazioni e le sostanze radioattive. Questa prevenzione non assoluta dei rischi stocastici, per i quali si ipotizza la mancanza della soglia di dose, conduce dunque a stabilire a quali condizioni l'attività che comporta dosi da radiazioni possa essere accettata dalla società e dagli individui. In forma breve, ma non esatta, richiede di stabilire quale sia il ‛rischio accettabile': non esatta, perche' ciò che è accettabile (o di fatto accettato) è l'‛attività con benefici e rischi' e non il mero rischio in se stesso. Questi sono appunto le posizioni e gli obiettivi della radioprotezione d'oggi: la Commissione Internazionale per le Protezioni Radiologiche (ICRP) nelle sue più recenti raccomandazioni (Pubblicazione 26) dichiara che ‟la radioprotezione si occupa della protezione [sanitaria] degli individui, della loro progenie e del genere umano nel suo insieme, pur consentendo le attività umane di carattere necessario dalle quali potrebbe derivare un'esposizione alle radiazioni". E precisa anche che ‟lo scopo della radioprotezione dovrebbe essere la prevenzione degli effetti dannosi non stocastici [che hanno una soglia di dose] e la limitazione a livelli considerati accettabili delle probabilità di accadimento degli effetti stocastici" per i quali è formulata l'ipotesi della mancanza di una soglia di dose.
a) Fino alla seconda guerra mondiale
La questione degli obiettivi e dei principi della radioprotezione ha una storia lunga e articolata che merita di esser considerata più da vicino, anche se si dovrà ricorrere a una certa approssimazione di date e schematizzazione di posizioni, nel far riferimento alle idee che venivano via via espresse da un gruppo consistente di radioprotezionisti, mentre altri gruppi di esperti si attardavano su posizioni superate e altri ancora anticipavano situazioni non del tutto maturate.
Nei primi vent'anni del secolo la radioprotezione ha avuto come obiettivo dichiarato il calcolo e la realizzazione di schermature (barriere) necessarie per poter lavorare con i raggi X e successivamente con i preparati radiferi. Scopo e principio della radioprotezione era dunque la difesa, mediante schermature fisse e mobili, degli operatori esposti alle radiazioni. Negli anni venti, quando gli effetti patologici ben conosciuti erano solamente quelli con soglia di dose, conseguenti a dosi elevate e intense, si pensava che dosi modeste fossero ‛tollerabili' e Mutscheller propose quindi la ‛dose di tolleranza' da non superare in un determinato intervallo di tempo, tale che il suo rispetto evitasse qualsiasi effetto lesivo conosciuto. Si ammetteva che ricevendo dosi minori della dose di tolleranza potessero comparire ‛alterazioni' transitorie, funzionali, reversibili, in occasione di talune esposizioni; ma non ‛lesioni' organiche, specialmente di natura irreversibile. Con questo schema concettuale - legittimato dalle conoscenze - non vi era motivo di raccomandare un valore diverso di dose di tolleranza per i lavoratori e per le persone della popolazione, in quanto tutti venivano sottratti a qualsiasi conseguenza dannosa. Ovviamente la dose di tolleranza non riguardava i pazienti, specie quelli sottoposti a terapia radiante, nei quali la condotta del trattamento poteva comportare la comparsa di lesioni in tessuti sani: queste lesioni erano accettate nel quadro complessivo dei benefici attesi dalla terapia intrapresa. In sintesi, il principio della radioprotezione era di non superare in nessuna persona (che non fosse un paziente) la dose di tolleranza, che negli anni trenta e quaranta era di 1 röntgen alla settimana (grosso modo 10 millisievert alla settimana) al corpo intero, cioè 50 röntgen all'anno (grosso modo 500 millisievert all'anno).
Negli anni quaranta il riconoscimento delle caratteristiche delle mutazioni genetiche indotte da radiazioni fece discutere la questione se in radioprotezione si dovesse stabilire un limite di dose alla popolazione, inteso come dose media alle gonadi tra gli individui in età fertile (denominata successivamente dose genetica). La preoccupazione riguardava la specie umana e le future generazioni; non solo i nati da un dato individuo, ma la progenie anche remota delle popolazioni. Un nuovo criterio di radioprotezione cominciava a farsi strada accanto a quello esistente che riguardava la dose di tolleranza per l'individuo. Occorreva limitare la dose media alle gonadi in età fertile; l'evidenza sperimentale, unita alla prudenza, suggeriva valori di dose media annuale pro capite decisamente più piccoli della dose di tolleranza. Ma, sorprendentemente, questa raccomandazione venne formulata solo tardivamente, sul finire degli anni cinquanta.
b) Dopo la seconda guerra mondiale
L'evoluzione del pensiero radioprotezionistico si accelerò nel secondo dopoguerra, da una parte per le già ricordate conoscenze tratte dall'osservazione delle cause di morte dei sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki e dalla sperimentazione sugli animali di laboratorio, dall'altra per la consapevolezza della difficoltà di esplorazione epidemiologica degli effetti stocastici di piccolissime dosi di radiazioni. Questa difficoltà deriva dal fatto che l'incremento di effetti stocastici è sempre più modesto a mano a mano che diminuisce la dose assorbita dagli individui della popolazione e il suo riconoscimento richiede un numero di individui in osservazione estremamente alto. Ciò fa sorgere insormontabili difficoltà d'ordine pratico. Si ammise allora quanto abbiamo già in precedenza accennato, e cioè che la relazione tra la dose e gli effetti stocastici per il campo inesplorabile delle piccole e piccolissime dosi (che è poi quello di maggior interesse in radioprotezione) fosse lineare e senza soglia di dose: vale a dire che la funzione che lega dose ed effetti sia una retta passante per l'origine delle coordinate. La conseguenza fu la caduta del concetto-criterio di ‛dose di tolleranza' e la transizione alla ricerca di una ‛dose con piccolo rischio biologico' che fosse accettabile dagli interessati. La difficoltà si spostava sulla scelta del livello di questa dose massima accettabile, in anni in cui la relazione tra dose unitaria ed effetti era piuttosto incerta. Collegi internazionali di esperti di radioprotezione e di discipline scientifiche affini - primo tra tutti la ICRP - proposero dosi massime ammissibili (che corrispondevano a rischi biologici massimi ammissibili di effetti stocastici) per i lavoratori, per gli individui componenti la popolazione, per la popolazione nel suo insieme. Questi collegi vennero assumendo l'incarico di interpretare le esigenze sanitarie e le esigenze di lavoro e di vita, contemperando le une e le altre. Fissata la dose massima accettabile da parte di un singolo lavoratore, si ritenne che la dose massima accettabile da parte di un individuo della popolazione dovesse essere di un ordine di grandezza inferiore. Si stabilì anche che il rischio genetico dovesse esser particolarmente contenuto. Nel 1958 la dose massima ammissibile al corpo intero fu fissata in 5 rem all'anno (50 millisievert all'anno) per i lavoratori; in 0,5 rem all'anno (5 millisievert all'anno) per individui della popolazione; in 5 rem in 30 anni (50 millisievert in 30 anni) per la dose genetica media tra gli individui d'una vasta popolazione.
In questo periodo era viva nel dibattito un'altra questione: perché non affermare esplicitamente che è doveroso ridurre il rischio (e dunque la dose) anche al di sotto del livello proposto come massimo ammissibile, quando questa riduzione è possibile? Vi sono infatti numerose situazioni in cui è agevole contenere la dose ricevuta in valori assai più piccoli delle dosi massime ammissibili. Perché non richiedere che ciò sia un criterio stabile della radioprotezione? Se si risponde affermativamente a questi interrogativi, i principi della radioprotezione divengono manifestamente due: il primo è un ‛principio di limite', che consiste nel rispettare le dosi massime ammissibili; il secondo è un ‛principio di tendenza', che consiste nell'impegno a eseguire un'analisi d'ogni situazione concreta che esponga alle radiazioni, per eliminare ogni dose non necessaria sul piano tecnico e del buon funzionamento, in un quadro di costi per la radioprotezione che non sia fuori misura. In altre parole: eliminare ogni ‛dose indebita', come si usava dire, con parola che letteralmente significa ‛non dovuta', nel senso di non motivata e non necessaria. Il riconoscimento d'un rischio accettabile di effetti stocastici (e dunque d'un limite di dose) e la lotta a ogni rischio indebito (e dunque a tutte le dosi non necessarie) erano divenuti i cardini della radioprotezione.
Le dosi massime ammissibili proposte dalla ICRP nel 1950, nel 1958 e nel 1965 (con riduzioni e ritocchi negli anni) ebbero buona accoglienza in tutto il mondo, sia da parte di organizzazioni internazionali, sia da parte di autorità nazionali. Invero, stabilire dosi massime ammissibili per qualsiasi lavoratore, quale che fosse il lavoro effettuato (in campo medico, industriale, nucleare, di ricerca scientifica) e quale che fosse la società di appartenenza, equivaleva ad affermare che sotto ogni cielo il rischio professionale massimo da radiazioni dovesse essere il medesimo. Il criterio fu accolto dall'International Labour Office (ILO) e facilitò, tra l'altro, la libera circolazione dei lavoratori tra occupazioni diverse e in paesi diversi. Anche la proposta di dosi massime ammissibili più basse d'un ordine di grandezza per i membri della popolazione fu largamente accolta, così come l'indicazione della dose genetica su 30 anni. La ICRP non sviluppò invece considerazioni e raccomandazioni per la scelta del rischio collettivo di effetti stocastici somatici. Già all'inizio degli anni sessanta alcuni studiosi di radioprotezione avevano fatto presente che occorreva stabilire una metodologia per determinare la dose collettiva appropriata in una popolazione, per una data attività umana. Ma la ICRP (1965) rinviava la soluzione del problema: ‟la Commissione ritiene che una conoscenza più profonda delle stime di rischio potrà a suo tempo mettere in grado le autorità nazionali di stimare l'accettabilità di una data dose somatica [collettiva] per una data popolazione". Del resto la Commissione non considerava urgente la definizione d'una metodologia appropriata: ‟ci si attende che i limiti di dose stabiliti per gli individui diano garanzia che il numero di danni somatici che eventualmente potranno sopravvenire all'interno d'una popolazione rimanga modesto".
Va anche detto che in quegli anni si era presa coscienza che mentre si potevano fissare limiti di ‛dose individuale' validi in tutto il mondo (parità di rischio massimo per ciascuna persona), era impossibile fissare limiti di ‛dose collettiva' validi dovunque. Le condizioni, le necessità, i programmi di sviluppo dei vari paesi sono molto diversi e non consentono di fissare limiti numerici internazionali nel campo dei rischi collettivi, perché i benefici che motivano le scelte (e che sono da confrontare con i rischi sanitari) sono troppo differenti nelle varie parti del globo terrestre. Per fare un esempio, se in un paese la produzione di energia elettrica mediante reattori nucleari avviene per accrescere una produzione già ricca (e dunque è produzione per consumi non essenziali), il costo sanitario (dose collettiva) che si può accettare è piccolo; ma se in un altro paese la medesima produzione è necessaria per migliorare una situazione energetica molto povera (e dunque è produzione difficilmente rinunciabile), per essa si può accettare un costo sanitario più elevato di quello dell'ipotesi precedente.
c) Negli anni recenti
Sul finire degli anni sessanta la ricerca di un metodo per stabilire quale dovesse essere il livello ragionevole di rischio collettivo (e dunque di dose collettiva) a fronte di una determinata attività umana (o più in genere di un programma) si intersecò con la ricerca che mirava a ridurre ogni rischio indebito e dunque anche ogni dose indebita. Due argomenti apparentemente diversi mostravano punti di contatto: entrambi riguardavano la riduzione delle dosi all'intemo del criterio del rispetto dei limiti individuali; entrambi richiedevano una metodologia applicabile a varie situazioni, dato che ogni situazione esige una risposta specifica; entrambi domandavano un metodo che aiutasse le operazioni decisionali, le quali sono difficili se si dispone solamente di un ‛principio di tendenza'.
Una risposta a questi problemi venne dall'evoluzione del pensiero della ICRP in materia di lotta al rischio indebito. Negli anni la Commissione aveva migliorato la formulazione del principo in discorso. Nelle raccomandazioni del 1950 era detto ‟di porre in atto ogni sforzo inteso a ridurre le esposizioni [...] nei limiti più ristretti possibili". Ma la locuzione ‟più ristretti possibili" era manifestamente vaga: possibili rispetto a che cosa? rispetto ai mezzi tecnici disponibili? rispetto ai mezzi economici? ma è corretto non tener conto del costo dei dispositivi, aggiungendo barriere a barriere, difese a difese, spendendo somme tali da impoverire le risorse, comunque limitate, d'una società? La Commissione avvertì la difficoltà di questa formulazione e in un punto delle raccomandazioni del 1955 è detto che ‟in linea generale è rigorosamente raccomandato che le esposizioni alle radiazioni siano mantenute al livello più basso fattibile (practicable) in ogni evenienza". Mediante questo aggettivo, ‟fattibile", si tentò un aggancio alla realtà concreta, con le sue esigenze e con le sue limitazioni. Non si richiese più quello che è meramente possibile, ma quello che si può fare in pratica, caso per caso. Peraltro il termine fattibile non indica quali elementi tecnici, economici o societari debbano essere presi in maggior considerazione nel mandare a effetto un'adeguata riduzione. Nelle raccomandazioni del 1958 la formulazione del principio non cambiò, ma fu aggiunto che ‟qualsiasi esposizione non necessaria sia evitata" ribadendo la lotta alla dose indebita e al rischio indebito. Il dibattito continuò vivace e la Commissione nel 1965 propose una nuova formulazione: ‟poiché qualsiasi esposizione può comportare qualche grado di rischio, la Commissione raccomanda che qualsiasi esposizione non necessaria sia evitata, e che tutte le dosi siano tenute tanto basse quanto è concretamente ottenibile (readily achievable) facendo luogo a considerazioni economiche e sociali". La nuova formulazione rafforzava l'aggancio alle situazioni reali e indicava quali fattori dovessero esser tenuti in conto nel decidere il livello di dose che soddisfaceva al principio generale della lotta al rischio indebito. Si fece più insistente allora la richiesta d'una metodologia operativa per l'applicazione del principio. La ICRP, dopo molte discussioni, propose (1972) di utilizzare una metodologia conosciuta nelle scienze economiche: ‟l'accettabilità dei livelli di esposizione alle radiazioni per una data attività umana dovrebbe esser determinata mediante il procedimento conosciuto come analisi dei costi e dei benefici". A guardare con più attenzione, il problema, nella radioprotezione, è di stabilire se un'attività umana sia realizzata a un livello di esposizione sufficientemente basso (e dunque a un livello di rischio corrispondentemente basso), cosicché ogni ulteriore riduzione dell'esposizione non sarebbe considerata tale da giustificare il costo aggiuntivo necessario per realizzarla. Per effettuare questa operazione, l'analisi dei costi e dei benefici si sposta dalla considerazione del ‛costo totale' conseguente all'attività umana considerata, alla considerazione della variazione di costo che risulta qualora l'attività sia effettuata a un livello di esposizione piuttosto che a un altro.
Il senso di questa operazione può essere reso chiaro con un esempio. I Costi (uomini e mezzi) per aumentare la radioprotezione hanno sovente la caratteristica di essere progressivamente crescenti, a mano a mano che si cerca di ridurre la dose collettiva ricevuta nella realizzazione di una attività umana o di un programma; d'altra parte i costi sanitari (le dosi collettive, appunto, alle quali possono conseguire sofferenze, malattie, morti) decrescono col crescere dei dispositivi di radioprotezione messi in opera, dapprima rapidamente poi piuttosto lentamente. Ebbene, la somma del costo per la radioprotezione e del costo sanitario, al variare di uno di essi, presenta un tratto intermedio in cui essa ha un valore minimo. In corrispondenza di questo tratto si realizzano le condizioni di minimo costo complessivo per la società che ha deciso di promuovere l'attività o il programma. Se si accetta la logica del costo complessivo minimo, si può utilizzare lo strumento dell'analisi dei costi marginali e si devono porre in opera le protezioni che corrispondono al costo complessivo minimo; le dosi collettive che vi sono connesse costituiscono quelle più ragionevoli e accettabili, nel quadro della lotta al rischio indebito. Il risultato realizza il già ricordato principio delle dosi ‟tanto basse quanto è concretamente ottenibile". L'acronimo del testo inglese (as low as readily achievable) si legge ALARA, onde in gergo protezionistico si parla di ‛principio ALARA'. Con questa analisi la lotta al rischio indebito, che era in precedenza guidata da un ‛principio di tendenza', diviene guidata da un ‛principio di ricerca' della migliore soluzione protezionistica, in una società a risorse economiche limitate.
Con le Pubblicazioni 9 e 22 (1965 e 1972) la ICRP forniva una sistemazione soddisfacente ai due principi ‛storici' della radioprotezione: individuazione e rispetto dei limiti di dose per i lavoratori e per gli individui della popolazione; ricerca e rispetto della dose collettiva cui corrisponde il minimo costo totale sanitario e di protezione, nella realizzazione delle attività del programma considerato. E già in quegli anni vi erano studiosi ed esperti che proponevano di invertire l'ordine logico di enunciazione dei due principi. Costoro argomentavano che occorreva innanzitutto tener basse le dosi collettive (secondo il principio ALARA) e individuali (secondo il giudizio di chi è esperto di radioprotezione); e che comunque per nessuna ragione dovevano essere superati i limiti di dose individuale. Questa inversione nell'ordine dei principi aveva il merito, tra l'altro, di mettere in evidenza che l'attenzione della radioprotezione si era rivolta agli effetti stocastici (tumori maligni sugli individui, effetti ereditari sulla popolazione). Nell'ipotesi di mancanza d'una soglia di dose, il contenimento della dose è prioritario rispetto al non superamento del limite di dose, al quale non corrisponde nessun effetto biologico determinato, perché questo è solamente un livello di rischio unificato tra tutti gli appartenenti a una categoria, scelto con criteri di prudenza sanitaria per moderare entro una misura accettabile la probabilità individuale di effetti stocastici.
4. Gli attuali principi generali
Un'elaborazione ulteriore dei concetti illustrati ha portato in anni recenti (dal 1974 in poi) a una nuova formulazione delle basi della radioprotezione. Esse vengono oggi presentate in una sequenza logica di tre principi che si applicano alle attività umane che comportano esposizione alle radiazioni, ma che possono essere offerti alla considerazione e al dibattito generale delle scienze di prevenzione. Infatti i tre principi in questione sono validi anche per numerose attività industriali che presentano agenti nocivi capaci di indurre tumori maligni e mutazioni ereditarie.
a) Il principio di giustificazione
Si consideri il primo principio, detto principio di giustificazione. A livello di società occorre sempre porsi la questione se un'attività umana (industriale, medica, di ricerca, ecc.) possieda adeguata giustificazione, argomentata mediante un'analisi dei benefici totali e dei costi totali, per la società stessa, associati all'attività considerata. Se l'analisi si conclude con un giudizio di prevalenza dei benefici sui costi, l'attività proposta è ‛giustificata', e la sua introduzione o realizzazione è possibile. Per usare le parole della ICRP, ‟nessuna attività umana deve essere accolta a meno che la sua introduzione produca un beneficio netto e dimostrabile" (no practice shall be adopted unless its introduction produces a positive net benefit). L'analisi dei benefici totali e dei costi totali deve essere sostanziata di perizie tecniche, sanitarie, economiche e sociali. Deve essere tenuto per fermo che il giudizio di insieme sulla prevalenza dei benefici totali sui costi totali è più complesso di ciascun bilancio di settore (tecnico, sanitario, economico, sociale). Il giudizio d'insieme è multiparametrico, e sintetico, e può essere espresso solo nella sede politica opportuna, facendo riferimento alla tavola dei valori portanti della società, in una visione non solo del suo presente ma anche del suo futuro. La sequenza dei principi di radioprotezione inizia dunque con un'operazione - la giustificazione - alla quale la radioprotezione dà un apporto, ma che per sua natura è più vasta, più complessa, e culmina in un giudizio-valutazione d'ordine politico. Che si tratti d'un giudizio particolarmente complesso e difficile risulta anche da un accenno della ICRP, là dove è detto che i benefici totali netti che inducono al giudizio positivo debbono essere considerati in comparazione con i benefici totali netti che si avrebbero scegliendo soluzioni alternative idonee a raggiungere gli obiettivi per i quali è stata proposta l'attività con radiazioni. Il paragone tra benefici netti di soluzioni alternative che hanno strutture dei benefici e dei costi non omogenee è operazione non solamente tecnica e anch'essa dev'esser effettuata, su basi tecniche, in sede politica.
C'è da chiedersi come debba essere preparata la perizia protezionistica che servirà, con perizie di altra natura, alla costruzione del giudizio di giustificazione. Il discorso, invero, riguarda sia la perizia tecnico-sanitaria della soluzione che comporta radiazioni, sia la perizia tecnico-sanitaria di ogni altra soluzione alternativa all'obiettivo considerato, per consentire la scelta tra soluzioni che per lo più hanno una diversa composizione dei benefici e dei costi totali. Per rendere concreto l'argomento, si pensi ad ‛attività umane' con differenti obiettivi: in medicina, il riconoscimento precoce di tumori mediante esami diagnostici estesi a un grandissimo numero di persone (esami di massa), tra cui gli esami schermografici con raggi X; nella prevenzione antincendio, l'uso di rivelatori di fenomeni della combustione, tra i quali i rivelatori che impiegano sostanze radioattive; nella produzione di energia elettrica, il ricorso a varie fonti e impianti, tra cui le centrali elettronucleari. La preparazione della perizia tecnico-sanitaria per ciascuna alternativa a un medesimo obiettivo deve essere eseguita accogliendo un alto grado di prevenzione igienico-sanitaria e deve essere eseguita considerando anche - accanto ai costi sanitari di esercizio - i costi sanitari e sociali da incidenti e da infortuni, che sono previsti in connessione con ciascuna alternativa.
b) Il principio di ottimizzazione
La richiesta di preparare perizie accogliendo un alto grado di prevenzione porta a enunciare il secondo principio della radioprotezione, detto principio di ottimizzazione. A livello di società occorre sempre che un'attività giustificata, e di fatto adottata, sia realizzata in condizioni di ottimizzazione della protezione: questa risulta dalla ricerca del costo minimo per la società, effettuata mediante l'analisi dei costi marginali di cui si è parlato nel precedente capitolo. Per ripetere le parole della ICRP, ‟ogni esposizione alle radiazioni deve esser tenuta tanto bassa quanto è ragionevolmente ottenibile, facendo luogo a considerazioni economiche e sociali" (all the exposures shall be kept as low as reasonably achievable, economic and social factors being taken into account; si noti reasonably achievable in luogo di readily achievable di precedenti redazioni). L'esposizione considerata è l'esposizione collettiva, e dunque la dose collettiva, perché essa è indicativa del ‛detrimento sanitario' alla popolazione, cioè dell'attesa di danni stocastici conseguenti all'esposizione, prendendo in considerazione sia la probabilità che la gravità d'ogni effetto. La Commissione colloca il processo di ottimizzazione dopo il processo di giustificazione, nella sequenza logica dei principi. Ma a ben guardare, il processo di ottimizzazione deve esser posto in opera in due diversi momenti e con diversa approssimazione: in un primo momento, quando viene istruita la pratica di giustificazione, affinché il giudizio venga espresso conoscendo il costo totale più basso dell'attività considerata (a questo stadio l'analisi non può essere molto raffinata, ma risulta sufficiente per lo scopo che si propone); in un secondo momento, a giustificazione avvenuta, quando si passa alla realizzazione dell'attività (a questo stadio l'analisi è effettuata con buona approssimazione, e a essa si riferisce manifestamente la Commissione nel suo testo).
L'aspetto più difficile e anche controverso dell'analisi di ottimizzazione consiste nella necessità di assegnare un costo monetario alla dose ricevuta, per effettuare l'analisi dei costi marginali. Questo costo è rappresentato da quanto, in moneta corrente, la società è disposta a pagare per risparmiare una dose collettiva unitaria (1 sievert-persona) rammentando che quando la dose collettiva raggiunge un dato valore debbono attendersi statisticamente, nell'ipotesi di linearità senza soglia di dose, un dato numero di tumori maligni e di effetti dannosi genetici. Si noti che l'attribuzione di un costo alla dose collettiva unitaria è frutto anch'essa di valutazione politica, che deve tener conto della modalità di comparsa e delle connotazioni degli effetti stocastici delle radiazioni (tardività, non riconoscibilità da forme morbose spontanee, permanenza transgenerazionale degli effetti ereditari). L'atteggiamento della società e del pubblico su quanto si debba spendere per ridurre d'un certo valore la probabilità di perdita di una vita umana può essere studiato analizzando vari argomenti, come la sicurezza richiesta nei trasporti pubblici, l'efficienza del sistema sanitario, le assicurazioni sulla vita, la politica antinfortunistica. Invero i risultati delle varie analisi forniscono dati molto diversi tra loro; e va riconosciuto che si possono fare obiezioni a chi vuole ricavare indicazioni monetarie da situazioni di fatto, perché non è detto che queste riflettano la volontà della società, la quale può essere verificata appropriatamente solo in sede politica. Si deve d'altronde riconoscere che in ogni modo è veramente difficile attribuire un costo alla dose collettiva unitaria; ma che, superato questo ostacolo, l'operazione di ottimizzazione diviene abbastanza spedita perché consiste nella stima del costo della protezione, del costo sanitario corrispondente e della loro somma, per ogni livello crescente di protezione e concomitante riduzione della dose collettiva. L'operazione diventa un poco più complicata se in luogo della semplice funzione lineare senza soglia di dose, per la relazione tra dose ed effetti stocastici si accoglie una diversa e più complessa funzione (sovralineare, quadratica, binomiale, sottolineare, ecc.). Così pure l'operazione diviene un poco più difficile se il costo della dose collettiva unitaria è valutato diversamente a seconda che esso si riferisca a dosi individuali molto piccole e lontane dai limiti annuali di dose individuale, oppure a dosi individuali prossime a detti limiti, accogliendo una proposta recente che vuole porre in evidenza la crescita progressiva della preoccupazione individuale nei confronti di dosi che tendono ad avvicinarsi ai limiti annuali.
c) Il principio del limite di dose individuale
Nella sostanza risulta che l'ottimizzazione della radioprotezione è una operazione di sanità pubblica con fini sociali di tutela di gruppo. Essa non considera la tutela del singolo individuo in quanto tale. Il risultato potrebbe talvolta comportare una composizione della dose collettiva in cui taluni addendi (dosi individuali) siano piuttosto elevati. Lo spettro delle dosi individuali concorrenti alla dose collettiva non è considerato nell'analisi (ma su di esso può influire un diverso valore monetario attribuito alle dosi individuali, cui si è ora accennato). Per fare un esempio: l'ottimizzazione della radioprotezione nell'esercizio e nella manutenzione d'un insieme di impianti nucleari può talora essere realizzata con un ridotto numero di lavoratori estremamente specializzati che ricevono dosi decisamente elevate. Questa situazione è contraria alla tutela di quei lavoratori. In altri casi l'ottimizzazione potrebbe comportare dosi elevate per un particolare gruppo di cittadini. La ICRP pertanto enuncia il terzo principio della radioprotezione, detto principio del limite di dose per singole persone, che ha portata e motivazione indubbiamente generali, ma anche un carattere correttivo di situazioni ottimizzate sotto il profilo della dose collettiva, e però insoddisfacenti sotto il profilo delle dosi individuali. Il principio del limite di dose per le singole persone afferma che la dose agli individui ‟non deve superare i limiti raccomandati per le varie circostanze" (shall not exceed the limits recommended for the appropriate circumstances). Questi limiti sono scelti e fissati dalla Commissione per qualsiasi lavoratore e per qualsiasi individuo della popolazione (e sono tra loro in rapporto di uno a un decimo), a livelli di dose cui corrisponde un livello di rischio che non deve essere valicato nelle condizioni di lavoro e di vita.
Il limite di dose per le singole persone deve assicurare una protezione adeguata specialmente allorché benefici e rischi (dosi) non sono distribuiti alla stessa maniera sugli individui entro la popolazione: solamente fino a un dato limite di dose la persona informata e partecipe è infatti disposta ad accettare il rischio connesso, perché esso è piccolo e perché è necessario alla società di cui fa parte e gode i benefici. Si assume cioè che la singola persona possa accettare dose e rischio senza pretendere su se medesima il riscontro d'un beneficio proporzionato al rischio, ma solo considerando i benefici generali che le vengono dall'appartenenza alla società. Ma fino a un certo limite: non di più, neppure nel caso di una diversa indicazione dell'analisi di ottimizzazione.
I tre principi che sono stati esaminati e discussi nei paragrafi che precedono formano l'impalcatura odierna della radioprotezione. In questa sede essi sono stati presentati forse in maniera un po' rigida, senza flessibilità, senza estensioni analogiche. In effetti i tre principi hanno portata assai generale e consentono applicazioni a vari piani e livelli della radioprotezione operativa. Il principio di giustificazione può e talora deve essere impiegato a livello di singoli progetti, di singole operazioni, perfino di decisioni puntuali (tra cui quella di procedere o di non procedere a un esame radiografico d'un paziente). È doveroso per l'operatore porsi la domanda se sia giustificato quanto egli progetta di compiere, stimando se vi sarà beneficio netto dall'impresa. Quando la questione si pone a un radioprotezionista, costui - se vuoi rispondere - deve fare riferimento a un insieme di considerazioni ben più vaste rispetto a quelle specifiche della sua professione, chiedendo l'eventuale concorso di altre persone per giungere a una risposta adeguata. (Alla questione se sia giustificato un esame radiologico d'un paziente risponde in genere il medico curante, conoscendo le considerazioni di rischio e di protezione illustrategli dal medico specialista e dal radioprotezionista). L'analisi di ottimizzazione può esser condotta anche con riferimento a una dose individuale invece che alla dose collettiva, nella ricerca della soluzione più conveniente e appropriata d'una lavorazione o d'una operazione. In questo caso si fa ricorso all'esperienza professionale del radioprotezionista. (Nel caso dell'esame radiologico, l'esame sarà condotto in modo tale da ottenere l'informazione desiderata con la dose più ridotta possibile al paziente). Anche il principio del limite di dose all'individuo si presta a essere esteso al di fuori della precisa casistica dei valori numerici forniti dalla ICRP. La Commissione ha stabilito valori di portata generale per qualsiasi lavoratore e per qualsiasi cittadino, ma si può pensare che collegi di esperti e autorità competenti stabiliscano limiti di dose per lavoratori con particolari caratteristiche, per cittadini esposti a radiazioni da determinate sorgenti. Tali limiti aggiuntivi saranno minori dei limiti generali raccomandati dalla ICRP e troveranno motivazione in concorso di altre cause dannose o per motivi di tutela e di controllo.
Queste considerazioni portano a esporre alcune riflessioni su come nel volgere degli anni siano cambiati non solamente i principi della radioprotezione, ma siano mutati anche i loro destinatari, cioè coloro ai quali i principi sono rivolti per trovare applicazione. Quando il principio era unico (rispetto del limite di dose) i destinatari erano coloro che ponevano in essere l'attività con radiazioni; e per costoro, sul piano operativo, gli incaricati di radioprotezione. Quando i principi divennero due (rispetto dei limiti di dose e contenimento delle dosi al di sotto dei limiti, mediante la lotta a ogni dose non motivata) i destinatari continuarono a essere coloro che intraprendevano attività con radiazioni, ma in particolare erano chiamati a impegnarsi gli esperti di radioprotezione, alla cui competenza professionale era affidato il giudizio del livello a cui fermarsi nella riduzione delle dosi per ottemperare alla lotta al rischio indebito. Oggi che i principi sono tre (giustificazione, ottimizzazione, limite di dose individuale) i destinatari sono molteplici. Il principio di giustificazione è rivolto anzitutto a coloro che sono abilitati a decidere sull'adozione o sul rifiuto di un'attività umana con radiazioni o d'un programma che comporti esposizione di persone. Il principio di ottimizzazione è rivolto agli operatori di una data attività umana e agli incaricati di radioprotezione con l'impegno di ricercare e di attuare la soluzione ottimale di radioprotezione. Il principio del limite di dose all'individuo è rivolto, sul piano applicativo, a coloro che provvedono alla protezione sui luoghi di lavoro, attorno a questi e più in genere sul territorio. Ma l'assetto e la portata dei principi di radioprotezione interessano non soltanto coloro che sono confrontati con le radiazioni e i loro rischi, ma anche tutti coloro che sono interessati a trarre indicazioni e suggerimenti sulle linee di sviluppo della prevenzione in generale, attraverso lo studio delle vicende e della sistemazione concettuale d'una sua branca particolare, la radioprotezione appunto. Mentre le ‛tecniche' della radioprotezione sono specifiche, i ‛principi' hanno validità molto generale e possono esser considerati tra le costruzioni concettuali di rilievo, in questo secolo, della medicina del lavoro, dell'igiene pubblica e della prevenzionistica generale. Questi principi e il loro assetto potranno anche essere riveduti e superati da nuove e più adeguate costruzioni; già oggi però essi sono meritevoli d'attenzione, di riflessione e di studio.
5. Collocazione concettuale e operativa
Prima di passare a descrivere il sistema di limitazione delle dosi individuali, così come è raccomandato dalla ICRP, conviene illustrare brevemente alcuni altri argomenti di carattere generale perché essi contribuiscono a inquadrare e a comprendere meglio la problematica della radioprotezione. Il primo tema riguarda i rapporti che esistono tra le varie materie che tutte assieme formano la prevenzionistica o sicurezza, ed è accennato in questo stesso capitolo. La migliore conoscenza delle discipline complementari alla protezione sanitaria propriamente detta contribuirà a dissipare taluni ricorrenti malintesi che derivano - si direbbe - da scarso potere di separazione e distinzione delle componenti del sistema di prevenzione da parte di osservatori superficiali. Un successivo capitolo mostrerà come lo sviluppo della protezione sia stato, per una parte almeno, il frutto di molte spinte concorrenti a uno stesso fine ma provenienti da gruppi di persone con motivazioni assai diverse tra di loro, e come il dibattito e gli orientamenti siano con il tempo confluiti in talune sedi internazionali, le quali sono diventate a loro volta scaturigine delle recenti legislazioni nazionali. In un altro capitolo saranno ripresi e approfonditi taluni aspetti del rischio da radiazioni, dei quali non vi è stata occasione di parlare, o di parlare a sufficienza, nei capitoli iniziali. La problematica del rischio individuale e di gruppo è infatti assai ricca: nella società moderna industriale essa solleva problemi d'ordine etico, sociale e politico e la radioprotezione sta contribuendo a tale dibattito complessivo.
Il termine prevenzione è comunemente riferito, nell'igiene del lavoro e industriale, al complesso di studi, di programmi, di dispositivi, di interventi tecnici, di norme, di procedure che provvedono a evitare effetti dannosi sull'uomo. In un'accezione più larga, il termine è inteso come ‛sicurezza generale', comprensiva di molte discipline tecniche e sanitarie che hanno varie specializzazioni: sicurezza delle componenti, delle macchine, degli impianti, dei sistemi; sicurezza delle lavorazioni; prevenzione degli incendi e delle esplosioni; prevenzione dei malfunzionamenti pericolosi, delle rotture, degli incidenti con conseguenze sanitarie; igiene industriale e del lavoro; prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, igiene dell'ambiente, del territorio, delle popolazioni; e altre discipline ancora. Questo insieme di settori di studio, di applicazioni e di attività professionali può essere ordinato in uno schema piuttosto semplice di rapporti che ora sarà esposto e che permette di stabilire la collocazione concettuale e operativa della protezione sanitaria all'interno della sicurezza generale.
In materia di sicurezza, la prima questione che si pone consiste nella scelta degli ‛obiettivi specifici' che si intendono raggiungere in un determinato progetto, nel rispetto degli ‛obiettivi generali' di sicurezza. È manifesto che gli obiettivi generali sono la sanità e il benessere dei lavoratori e della popolazione, e dunque la salubrità degli ambienti di lavoro, delle lavorazioni, dell'ambiente esterno, delle condizioni di vita. (Di recente è stato posto in forte evidenza un elemento che è distinto dagli obiettivi sanitari: la tutela dell'ambiente intesa come tutela naturalistica degli ecosistemi su scala geografica, con particolare attenzione alla loro rarità, importanza, difficoltà di ripristino. In senso lato questa tutela rientra nella tutela del benessere dell'uomo. Ma è corretto riconoscere che il rispetto per l'ambiente naturale ha una radice indipendente dalle sollecitudini sanitarie, e mira alla preservazione dell'ambiente come a un bene valido di per sé, meritevole di attenzione e di riguardo). Gli obiettivi specifici della sicurezza riguardano tre settori: la protezione dei lavoratori (garanzie di rischi sanitari modesti), la protezione degli individui della popolazione (garanzie di rischi non dissimili da quelli del vivere comune e prudente), la protezione della popolazione nel suo insieme e dell'intera società (garanzie di benessere in prospettiva anche lunga di tempo). La definizione degli obiettivi specifici è largamente influenzata dalla utilizzazione al meglio delle tecnologie disponibili e sperimentate, in un determinato momento dello sviluppo tecnologico. Per sua natura la ricerca e la definizione degli obiettivi specifici di sicurezza va eseguita caso per caso, fissando quante e quali garanzie si intendano raggiungere. Garanzie assolute di prevenzione di ogni rischio non si possono dare, sia perché non è possibile eliminare del tutto i rischi di gestione d'un qualsiasi progetto umano, sia perché non è possibile rendere uguale a zero la probabilità di incidenti con conseguenze sanitarie.
Definiti gli obiettivi specifici, si passa a scegliere i mezzi adeguati per il loro raggiungimento. Questi mezzi sono in parte forniti dall'igiene e dalla medicina preventiva, nelle sue varie forme. Ma nella parte di gran lunga maggiore i mezzi sono forniti dalle varie discipline ingegneristiche e riguardano la progettazione e la costruzione delle componenti e degli insiemi degli impianti (industriali, medici, di ricerca, dell'energia nucleare) e poi l'esercizio, le manutenzioni, le riparazioni. La concezione e la messa in opera di questi mezzi e dispositivi tecnici costituisce un vasto e definito settore della sicurezza, di forte impegno intellettuale e operativo, originale e non surrogabile. I contenuti sono di natura politecnica e non sanitaria - onde si parla di ‛sicurezza tecnologica' - e vanno gestiti con capacità ingegneristica. Ogni impianto include la ‛sicurezza tecnologica di progetto', che tiene conto degli obiettivi generali e specifici di prevenzione. Alla funzione e all'apporto dell'ingegneria di progetto si aggiunge di regola la funzione di riscontro dell'ingegneria specializzata in ‛analisi di sicurezza'. Questa ripercorre l'intero progetto in ogni sua parte per verificare - o eventualmente richiedere - che la garanzia di prevenzione di ogni malfunzionamento e di ogni incidente con conseguenze sanitarie sia più elevata di un certo livello stabilito negli obiettivi specifici di sicurezza per quel progetto. L'analisi agisce anche dotando gli impianti di dispositivi e sistemi atti a ridurre le conseguenze di incidenti che si dovessero verificare. Tutto ciò costituisce la ‛prevenzione degli incidenti', momento chiaramente ingegneristico del processo di sicurezza, che assume un fortissimo rilievo nelle attività umane in cui la prevenzione degli incidenti gravi e gravissimi per conseguenze sanitarie e societarie diventa preponderante rispetto ad altri problemi della prevenzione. Alcune industrie - tra cui una parte dell'industria nucleare - presentano questo genere di problemi, e sono talvolta chiamate ‛ad alto rischio'.
La scelta degli obiettivi e la scelta dei mezzi per raggiungerli formano i primi due stadi della sicurezza, che si completa con la sorveglianza delle condizioni realizzate nell'impianto, delle lavorazioni e dell'ambiente esterno. Una parte di questa sorveglianza è ‛sicurezza tecnologica di esercizio'; un'altra parte è ‛protezione sanitaria dei lavoratori, delle popolazioni e dell'ambiente'.
Ecco articolato in uno schema piuttosto semplificato il sistema di sicurezza o prevenzione. Ne risulta una catena di tre anelli (obiettivi, mezzi, sorveglianza). Altri schemi possono essere proposti e sono validi se aiutano a comprendere tempi, modi e funzioni delle componenti del sistema di sicurezza. Nello schema riportato il primo anello (obiettivi) e il terzo anello (sorveglianza) sono sostanziati di contenuti sanitari, e dunque richiedono capacità di esaminare problemi e di prendere decisioni in ordine alla tutela della salute e del benessere. Il secondo anello, e in parte anche il terzo, richiedono soprattutto capacità ed esperienza di realizzare adeguate soluzioni ingegneristiche. Proprio con riferimento alla prevenzione degli incidenti, che fa parte del secondo anello della catena, si è sviluppata una specializzazione professionale, detta degli ingegneri di sicurezza, che opera nei diversi settori dell'ingegneria, elaborando criteri e metodi appropriati. Con riferimento al terzo anello (sorveglianza), ma con qualificata presenza anche nei precedenti, è sorta dal 1942 una professione rivolta agli aspetti fisico-dosimetrici della radioprotezione, la health physics, in italiano denominata ‛fisica sanitaria' e oggi anche ‛radioprotezione fisica'. La nascita di questa specializzazione costituì un atto di prudenza e di lungimiranza all'interno del gruppo di scienziati e di tecnici che lavoravano al Progetto Manhattan, l'organizzazione che era stata costituita negli Stati Uniti d'America per la realizzazione del primo reattore nucleare e della prima bomba atomica. Avvenne allora che una piccola frazione degli addetti al progetto si collocò in posizione di sorveglianza e di controllo per garantire la radioprotezione dell'intero gruppo. Questa collocazione e funzione richiedevano conoscenza approfondita degli aspetti tecnici del progetto, rapporto dialogico tra fisici sanitari e addetti al progetto, capacità di suggerimento, di indicazioni, di prescrizioni, d'intervento. La formazione culturale degli appartenenti al gruppo di fisica sanitaria era varia: sei fisici, un ingegnere chimico, un matematico. Oggi questa disciplina e professione, di manifesto carattere prevenzionistico-sanitario, è diffusa nei paesi industrializzati e in molti di essi ha dato vita a corsi d'insegnamento anche a livello universitario, ad associazioni e a riviste scientifiche.
Questi accenni hanno messo in evidenza due professioni che si sono sviluppate all'interno della prevenzionistica, gli ingegneri di sicurezza e i fisici sanitari. Costoro hanno preparazione culturale e ruolo assai differenti. La buona prevenzione è assicurata solamente attraverso il riconoscimento dei ruoli e la coesistenza equilibrata e differenziata di questi e di altri specialisti (igienisti, medici, naturalisti). Ogni tendenza squilibrante o riduttiva, con prevalenza sbilanciata del ruolo dei tecnici o del ruolo dei sanitari, indebolisce il risultato globale della sicurezza.
Al termine di queste riflessioni ordinative d'una materia tanto vasta e complessa come è la prevenzionistica generale, ci si può domandare quale ambito proprio sia riservato alla radioprotezione. Sembra di poter rispondere che la radioprotezione è la disciplina che riguarda tutti gli aspetti sanitari della sicurezza contro i danni e i rischi delle radiazioni ionizzanti, a livello di obiettivi da perseguire, di mezzi per raggiungerli e di azioni di sorveglianza operativa.
6. Fattori storici di sviluppo
Nei precedenti paragrafi la linea di sviluppo dei principi della radioprotezione è stata presentata come la risposta, via via più articolata e razionalizzata nel corso dei decenni, all'accrescimento delle conoscenze scientifiche e mediche sugli effetti delle radiazioni ionizzanti. Questa presentazione può esser oggetto di qualche critica perché costituisce una lettura troppo schematica degli avvenimenti e delle scelte. Essa trascura i contrasti, le esitazioni, gli arretramenti che pure qua e là si sono avverati. Sarebbe senza dubbio possibile fare una presentazione più ricca, più chiaroscurata, scritta anche con occhio differente. E però non si vuole adesso proporre una possibile sintesi con diverso taglio o con maggiore approfondimento critico. Piuttosto si intende rammentare quali sono stati i gruppi di persone e i fattori storici di sviluppo della radioprotezione. Va riconosciuto subito che tale sviluppo ha beneficiato di molte spinte tra loro eterogenee per natura, di motivazioni anche assai diverse, tra cui si debbono ricordare gli interessi professionali, le pressioni più propriamente scientifiche, le pressioni dell'opinione pubblica, lo spirito di competizione nazionalistico, il desiderio di soluzioni generali valide a livello internazionale. Spinte così difformi avrebbero potuto portare a rallentamenti e a distorsioni inammissibili degli obiettivi se nei decenni non vi fosse stata, costante e rinnovata, una certa leadership di gruppi di buon livello scientifico e di riconosciuta professionalità che si mostrarono insofferenti di condizionamenti troppo forti nei confronti delle esigenze della radioprotezione. D'altra parte l'opinione secondo la quale coloro che sviluppano e impiegano tecnologie nuove provvedono anche a sviluppare principî e metodi di protezione sanitaria contro le nocività provenienti dall'applicazione dei nuovi ritrovati, richiede qualche spiegazione e un certo temperamento che ora saranno discussi.
A. Nei primi decenni del Novecento lo sviluppo della radioprotezione si è svolto quasi completamente al di fuori d'influssi di istanze di carattere governativo, eccetto per quanto veniva riconosciuto - sovente con ritardo e solamente in alcuni paesi - dalla legislazione sugli infortuni e sugli indennizzi. Quei decenni sono stati studiati con metodo storico cercando di comprendere i meccanismi di autoregolamentazione di una professione (la radiologia) in condizioni di assenza d'intervento del potere legislativo e governativo. Questi meccanismi furono fortemente influenzati dalla necessità di provvedere alla protezione a seguito del riscontro di lesioni che comparivano sugli operatori, mediante dispositivi tecnici per evitare il ripetersi delle lesioni stesse: in pochi casi la protezione fu ricercata e predisposta a priori, mediante studi tecnici e sperimentazione su animali. In quegli anni la protezione fu accelerata anche per il fatto che la comunità professionale ebbe timore di limitazioni alla propria libertà da parte del pubblico, impressionato dalle lesioni che si manifestavano sugli operatori e che comportavano azioni giudiziarie, campagne di stampa, dispute assicurative. In quei primi decenni la radioprotezione fu il risultato congiunto dello spirito di autodifesa degli operatori e della risposta dell'intero corpo professionale alle pressioni dell'opinione pubblica. Il fenomeno fu più evidente e può essere meglio studiato nei paesi che erano allora all'avanguardia nello sviluppo della radiologia.
Conviene anche ricordare che a quell'epoca non vi fu crescita parallela delle protezioni contro il radio e contro i raggi X, ma si ebbero squilibri nell'attenzione prestata ai due argomenti. La protezione contro il radio non divenne materia consistente fino al 1910-1915, mentre la protezione contro i raggi X risale agli anni immediatamente successivi alla loro scoperta. Vi erano segni di effetti patologici da radiazioni del radio, ma a differenza di quanto avveniva per i raggi X, tali effetti non giungevano a produrre lesioni gravi e impressionanti. Rutheford assicurava di non aver subito danni e non accusava disturbi, Maria Curie mostrava le sue dita sofferenti come un prezzo pagato alla ricerca scientifica, piccolo prezzo rispetto a quello pagato da fisici e radiologi con i raggi X. Il ritardo della radioprotezione nel campo del radio mostra come l'autoregolamentazione da parte della comunità scientifico-professionale non sempre abbia precorso i tempi e gli eventi, ma abbia provveduto a modifiche di comportamento e a sistemi di protezione solo quando comparivano effetti gravi sugli operatori e quando si muoveva l'opinione pubblica a reclamare interventi. Una riprova di tale situazione si ha considerando quello che era avvenuto e stava avvenendo in quegli stessi anni nella protezione contro i raggi X, dove rilevanti lesioni e sofferenze degli operatori e l'attenzione del pubblico avevano rapidamente innescato il meccanismo di autoregolamentazione. È anche interessante osservare come tra medici generici, medici specialisti (radiologi), fisici e tecnici si verificasse una certa rivalità su quale gruppo dovesse garantire la radioprotezione, sebbene apparisse chiaro fin da allora che molti contributi e molta collaborazione sono necessari per realizzare una completa prevenzione. Talvolta la competenza in radioprotezione fu utilizzata per affermare meglio lo status professionale del medico specialista sul medico generico e del fisico sul medico specialista. I più brillanti risultati in radioprotezione nei primi lustri del secolo si ebbero in Gran Bretagna e in Germania, paesi in cui un largo numero di medici collaborava coi fisici su una base di rispetto e di parità, entro associazioni scientifiche di composizione mista, fenomeno che non avveniva invece in altri paesi.
B. Nei decenni che seguirono, fino a circa il 1970, la radioprotezione si è progressivamente sviluppata in molti paesi per l'intervento crescente delle istanze pubbliche, con propri programmi scientifici per lo studio degli effetti biologici, con l'apprestamento di normative tecniche e di controlli resi possibili dalle maggiori conoscenze di dosimetria fisica. Anche la richiesta da parte dell'industria di istruzioni chiare ha fatto fare dei passi in avanti alla radioprotezione. Vi è stato un interessamento dell'opinione scientifica qualificata, mentre nel complesso l'opinione pubblica restringeva l'attenzione piuttosto su singoli problemi (si pensi alle ricadute radioattive) che su problemi protezionistici generali. In questi decenni la comparsa sulla scena mondiale dell'energia nucleare contribuì alla crescita dell'impegno di fisici e biologi nella radioprotezione e favorì l'interessamento dei poteri pubblici. La mentalità di una prevenzione che precorre il verificarsi d'eventi sanitari dannosi ha sostituito ovunque la mentalità dei provvedimenti che fanno seguito agli inconvenienti e alle lesioni.
In anni recenti - specialmente nel settore nucleare, ma anche in quello della protezione del paziente - sono ritornate a farsi pressanti le richieste e le preoccupazioni dell'opinione pubblica (a volte dilatate fortemente a opera di gruppi particolari) che hanno favorito l'allargamento del dialogo tra specialisti e non specialisti, un po' a tutti i livelli. La ICRP che per decenni non si era aperta al dibattito nell'ambito dei congressi scientifici e medici, ha cominciato a tenere discussioni allargate, in occasione di importanti riunioni internazionali. Oggi la pubblica opinione esercita - come già avvenne, in una certa misura, all'inizio del secolo - una certa pressione anche sui corpi professionali (ingegneri, radiologi, fisici, protezionisti) e in aggiunta preme fortemente sulle strutture pubbliche, sul potere legislativo e sul potere esecutivo.
C. Nel primo quarto di secolo la radiologia, la dosimetria, la radioprotezione non avevano fatto ricorso a decisioni prese a livello di organismi internazionali. Gli orientamenti adottati in alcuni paesi, segnatamente in Germania e in Gran Bretagna, erano serviti di indicazione per gruppi operanti altrove. Dopo la prima guerra mondiale e dopo un periodo abbastanza lungo di aspri risentimenti nazionalistici, si arrivò a tenere congressi internazionali di radiologia nei quali un ristretto gruppo di esperti che si interessavano di dosimetria e di radioprotezione riuscì a fare accettare il punto di vista secondo il quale taluni principali argomenti dovevano essere trattati e risolti a livello internazionale, e le soluzioni seguite dappertutto. Non si pensi che il ricorso a decisioni internazionali fosse esclusivamente la conseguenza naturale della maturazione di discipline che hanno basi strettamente scientifiche e che per loro natura sono insofferenti di barriere nazionali. Le motivazioni scientifiche contribuivano a muovere gli organizzatori di quei primi raggruppamenti e commissioni internazionali; ma, nel contempo, erano presenti e agivano anche stimoli, per un certo verso collaborativi e per un altro competitivi, che i gruppi specialistici nazionali portavano con sé e desideravano sviluppare in un contesto internazionale. È accertato che furono preminentemente i fisici, che si occupavano professionalmente di dosimetria e di radioprotezione, che in occasione del I Congresso internazionale di radiologia a Londra (1925) ottennero la formazione della Commissione Internazionale per le Unità di misura dei Raggi X (il problema dosimetrico era di importanza fondamentale per la terapia radiologica) e posero le premesse per la formazione della Commissione Internazionale per le Raccomandazioni di Radioprotezione. Quest'ultima vide la luce al II Congresso internazionale a Stoccolma (1928). I fisici specializzati considerarono con soddisfazione questi risultati, convinti del loro ruolo per la realizzazione di un'adeguata radioprotezione, fondata su buone misure dosimetriche.
Tra il 1930 e il 1970, con l'interruzione dovuta alla seconda guerra mondiale, la ‛macchina' internazionale della radioprotezione ha funzionato egregiamente come luogo di discussione, definizione e diffusione dei vari principi e di tutto il materiale tecnico di supporto. Accanto a strutture non governative (ICRP e ICRU) sorsero strutture su base governativa. Ciò fu anche merito di alcune organizzazioni tecniche nazionali di radioprotezione particolarmente competenti e collaborative (tra cui le organizzazioni degli Stati Uniti d'America, della Gran Bretagna, della Germania, della Svezia e della Francia). Anche in questa fase di forte e sentita collaborazione mondiale occorre saper riconoscere la presenza e la confluenza di vari interessi e motivazioni abbastanza eterogenei tra di loro. Alcune spinte al lavoro internazionale provengono da richieste propriamente scientifiche, altre da ideali umanitari, altre da esigenze professionali. Vi sono gruppi che contribuiscono alle attività internazionali per rafforzare l'incisività della propria azione a livello nazionale. Alcuni paesi favoriscono la collaborazione internazionale per motivi di leadership. Ma è certo che lo sviluppo della radioprotezione trae vantaggio da questa collaborazione. L'avvicinamento di posizioni concettuali differenti e la scelta di quelle più fondate si fanno strada - sia pur con una certa lentezza - attraverso il dibattito internazionale. Nel 1956 la ICRP e la ICRU su richiesta delle Nazioni Unite (e non del Congresso internazionale di radiologia) si occuparono per la prima volta in forma approfondita della dose ricevuta dai pazienti in occasione di indagini diagnostiche e trattamenti terapeutici la protezione del paziente si affiancò così in maniera più evidente alla tradizionale protezione degli operatori e degli individui della popolazione. In questo e in altri campi l'attività internazionale è servita di stimolo a iniziative e a riconsiderazioni all'interno di singoli paesi.
D. In un quadro sintetico, le strutture internazionali più importanti per la radioprotezione sono al presente configurate come segue. Lo United Nations Committee for the Study of the Effects of Atomic Radiation (governativo) agisce come organismo scientifico di raccolta e revisione critica delle conoscenze sugli effetti delle radiazioni e sulla radioattività ambientale. Pubblica rapporti e rassegne, che formano al presente un insieme di sette grossi volumi. La International Commission on Radiological Units and Measurements (ICRU) e la International Commission on Radiological Protection (ICRP) (non governative) operano come collegi di esperti di alto livello, nei campi fissati dalle rispettive denominazioni; la ICRP diffonde una serie di rapporti e di raccomandazioni giunta a 30 pubblicazioni. Varie agenzie specializzate delle Nazioni Unite (tutte su base governativa, tra cui lo International Labour Office (ILO), la World Health Organisation (WHO) e la International Atomic Energy Agency (IAEA) provvedono con propri servizi specializzati all'elaborazione e all'adattamento settoriale dei principi e metodi operativi della radioprotezione. Norme tecniche (particolarmente sugli strumenti e sugli apparecchi) sono preparate e diffuse da organismi a sfondo industriale e governativo come la International Standardization Organisation (ISO) e la International Electrotechnical Commission (IEC).
Altre organizzazioni internazionali operano nel campo della radioprotezione, dando persino l'impressione d'una certa ridondanza, ma assicurando certamente la tempestività di elaborazione e di suggerimento, o addirittura di anticipazione, che non si ritrovano in altri campi delle scienze di prevenzione. Si aggiunga che la maggior parte dei paesi industriali ha sviluppato una legislazione speciale riguardante la radioprotezione. La Comunità Europea ha scelto la strada di emanare ‛direttive' agli Stati membri in materia di radioprotezione, con lo scopo di far sorgere legislazioni uniformi per contenuto. Nel trattato istitutivo dell'EURATOM (1957) è detto che ‟sono istituite nella Comunità norme fondamentali relative alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti", e che ‟ciascun Stato membro stabilisce le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative atte a garantire l'osservanza delle norme fondamentali". In Italia un decreto presidenziale (13 febbraio 1964, n. 185) ha recepito le direttive comunitarie e numerosi decreti ministeriali hanno completato il quadro giuridico, ricco di contenuti sanitari e di disposizioni amministrative. La costituzione d'una siffatta legislazione particolare ‛di materia', che ha sistematicità e compattezza, offre molteplici vantaggi a singoli e comunità, anche perché introduce - tra l'altro - un sistema di doppio controllo sulla radioprotezione, a livello aziendale (sorveglianza) e a livello di autorità competenti (vigilanza).
7. Alcune caratteristiche del rischio da radiazioni
Allorché si considera il concetto di rischio connesso a un qualsiasi progetto o attività umana nella sua accezione più ampia e comprensiva dei vari elementi costitutivi, si trova che esso può essere rappresentato dall'insieme delle probabilità di conseguenze negative di varia gravità (o entità); e che a queste conseguenze è attribuito un valore (valutazione) che può variare da persona a persona e da società a società. A fronte del rischio va considerato il beneficio che deriva dal progetto o dall'attività, ed esso è costituito da conseguenze positive probabili o certe, di varia entità, alle quali pure è attribuito un valore (valutazione) variabile da persona a persona e da società a società. Lo studio dei concetti di rischio e di beneficio è di antica data e tradizione nelle discipline economiche e imprenditoriali, mentre è di data più recente nelle discipline sanitarie. In queste discipline si può anche pensare che conclusioni formali e definitive non potranno agevolmente essere raggiunte, per la complessità degli argomenti e per le difficoltà che si frappongono al formarsi di un consenso generale, fondato su giudizi di valore che siano condivisi da tutti gli interessati. Negli anni recenti sono usciti studi e libri di notevole interesse sul rischio tecnologico e sanitario: si registrano in questa sede alcune questioni più significative o più dibattute.
È ormai chiaro che la locuzione ‛rischio accettabile' è impropria e talora fuorviante. Come abbiamo detto in precedenza, ciò che è accettabile (o di fatto accettato, programmato e realizzato) consiste in una determinata impresa (o progetto o attività umana o tecnologia) che sia giustificata per la prevalenza dei benefici attesi sui rischi connessi. Invero nessun rischio è accettabile o accettato di per sé, ma è accolto nella prospettiva del beneficio che si riceve da una certa impresa. Come si diceva, nel concetto di rischio è incluso un giudizio di valore sulle temute conseguenze, la cui espressione presuppone l'esistenza d'una tavola di valori rispetto alla quale commisurare conseguenze di varia entità. Nel caso del rischio sanitario, si tratta di conseguenze sanitarie da valutare con giudizio individuale e con giudizio societario. Un possibile errore riduttivistico consiste nel dimenticare che il rischio sanitario è solo una parte del rischio totale di un'attività: altri rischi, di natura economica e non economica, debbono pure entrare in linea di conto. Nelle condizioni di esercizio di talune attività il rischio sanitario può essere la componente più importante o più sentita del rischio globale. Se si considerano peraltro le eventualità di incidenti gravi e gravissimi (a bassissime probabilità, v. sotto) si nota che talora le conseguenze consistenti nella distruzione o nella perdita di uso di beni e di risorse (abitazioni, infrastrutture, posti di lavoro, aree nel territorio) rappresentano nel loro complesso una fonte di disgregazione della collettività, tale da risultare non meno ‛gravi' delle conseguenze sanitarie costituite dalla perdita di vite umane per le stesse circostanze.
a) Legame funzionale tra le componenti del rischio
Il legame funzionale tra i due elementi che concorrono a definire il rischio - probabilità e conseguenze - non è sempre di carattere semplice, come potrebbe essere il prodotto dei due parametri. L'adozione del prodotto non consente infatti di tenere nella dovuta considerazione l'entità delle conseguenze. Per fare un esempio, un'attività in cui un incidente abbia probabilità 10-1 di accadere in un anno e comporti verosimilmente 1 morto, avrebbe una ‛misura del rischio' (data dal prodotto della probabilità per le conseguenze) uguale a un'altra attività in cui un incidente abbia probabilità 10-5 di accadere in un anno, ma comporti verosimilmente 10.000 morti. Ma la società e gli individui non giudicano le due situazioni come equivalenti, cioè rifiutano di misurare il rischio mediante il semplice prodotto tra probabilità e conseguenze. La prospettiva di un singolo evento rarissimo con conseguenze estremamente gravi è valutata di solito in modo maggiormente negativo di quanto non lo sia la prospettiva di un evento non raro con conseguenze di entità molto inferiore.
È pur vero che, a consuntivo, su un arco di tempo estremamente lungo, l'insieme dei danni conseguenti alle suddette prospettive (numero di morti) risulta uguale. Ma nel caso dell'evento rarissimo e disastroso i danni sono per così dire ‛concentrati', mentre nel caso degli eventi più frequenti e non gravi, i danni sono diffusi e come ‛diluiti' nel tempo e nei luoghi. La valutazione fortemente negativa della prospettiva di un evento rarissimo con conseguenze estremamente gravi non può essere ricondotta solamente a fattori emotivi e di apprezzamento psicologico, dal momento che l'incidente con conseguenze molto gravi, capace di provocare rapidamente in un'area un gran numero di vittime o la perdita per lungo tempo d'un territorio, conduce a una forte e talvolta irreparabile compromissione d'un segmento della società. La connotazione di distruttività d'un aggregato sociale o d'un sottosistema antropologico e culturale è ragione di repulsione e di rifiuto ad acconsentire, anche come possibilità remota, alla prospettiva di incidenti molto gravi o catastrofici. Si rammenti anche che un dato rischio che per un individuo presenta una minuscola probabilità, accettabile a fronte di benefici per se stesso o per la società, può invece costituire per la società una concreta attesa di danno, dal momento che su grandi numeri e su tempi lunghi si verificheranno uno o più incidenti con le conseguenze connesse.
Nel campo dei reattori nucleari di potenza per la produzione di elettricità, alcune recenti discussioni riflettono la problematica delle prospettive di rischio per l'individuo e per la collettività o la società. In ipotesi, un incidente particolarmente grave a uno di questi impianti potrebbe dar luogo a conseguenze sanitarie che comportano, tra l'altro, morti a breve termine e morti dopo anni e decenni (per tumore). Alcuni autori e talune tendenze ritengono di poter identificare - allo stato della discussione e per i paesi industrializzati - taluni livelli di rischio che gli individui e la società hanno tendenza a rifiutare comunque, anche a fronte di netti e notevoli benefici.
b) Ripartizione tra gli individui dei benefici e dei rischi
Come è stato detto in un precedente capitolo, il bilancio di giustificazione di un'attività o di un progetto viene eseguito a livello societario e deve mostrare una prevalenza netta dei benefici sui costi. Benefici e costi sono peraltro distribuiti in maniera non uniforme tra i membri della società, entro un valore massimo di costo per ogni individuo e un valore minimo di beneficio pure per ogni individuo (costituito - se non altro - dall'appartenenza a quella società, con caratteristiche e valori suoi propri). Alcune difficoltà sorgono quando benefici e costi non incidono sulla stessa generazione di persone: è il caso dei rifiuti radioattivi a decadimento fisico centenario o millenario, che possono dare rischi a future generazioni; è il caso degli effetti genetici indotti nelle cellule germinali di una generazione che produrranno malattie e malformazioni in generazioni successive.
A proposito dei rifiuti radioattivi che richiedono al più qualche secolo per decadere completamente e divenire innocui, il rischio sanitario per le generazioni future deriva dal fatto che una parte dei rifiuti saranno loro consegnati in custodia e sorveglianza. L'impegno economico e sociale che ne deriva è piuttosto modesto e il rischio è assai ridotto, purché ‛condizionamento' e ‛deposito' siano eseguiti in maniera adeguata. È pur anche vero che difficilmente una generazione riesce a racchiudere in maniera completa, nell'arco di tempo della sua esistenza, i costi e i benefici delle proprie attività; e anzi noi soffriamo oggi di imprevidenze commesse da generazioni passate nell'agricoltura e nella gestione del territorio, che sovente aggraviamo proprio in questi decenni. Ma non per questo si debbono aggiungere altri errori a quelli passati e presenti. Occorre trasmettere alle generazioni future un carico di problemi e rischi assolutamente piccolo e marginale; e questo sembra esser il caso del deposito in custodia di rifiuti radioattivi che in qualche decennio o al più in un paio di secoli si esauriranno.
Diversa è la questione dei rifiuti radioattivi che richiedono decine o centinaia di migliaia di anni per decadere a livelli tali che le matrici in cui sono inglobati presentino caratteri di nocività simili a quelli di minerali uraniferi e radiferi esistenti in natura. In questo caso non si tratta più di custodia e di sorveglianza da parte delle generazioni future, perché i tempi sono tali che si deve ammettere la perdita del semplice ricordo storico dei depositi. Questi debbono essere concepiti e realizzati in modo da essere intrinsecamente inoffensivi, senza rischi, per tutte le future generazioni. Il processo di giustificazione deve considerare gli aspetti transgenerazionali, che oltrepassano la presente civiltà. Se non si riuscisse a soddisfare a questa esigenza, la produzione di tali rifiuti diverrebbe improponibile e inaccettabile. La collocazione dei depositi di questi rifiuti deve dunque essere così sicura da escludere ogni rischio per la generazione produttrice e per le future generazioni, siano esse a loro volta produttrici di rifiuti di tale genere oppure no. Non deve essere richiesta alcuna forma di sorveglianza, non deve esserci ‛ritorno' all'uomo e ai viventi della radioattività in questione. (Al cap. 9 è fatto cenno di possibili soluzioni di questo problema).
In altro ordine di considerazioni si entra riflettendo sul rischio genetico. Per dare un'idea del ‛carico sanitario' degli effetti genetici da radiazioni, si può ricordare che le conoscenze attuali (v. sotto; v. anche genetica) portano a ritenere che una dose unitaria ricevuta sul corpo intero da parte di tutti i membri di una popolazione provochi effetti (danni) genetici in un numero di discendenti uguale grosso modo al numero di individui che andranno incontro a tumori mortali da radiazioni. I discendenti con danni genetici saranno ripartiti su molte generazioni; gli individui con tumori mortali fanno tutti parte della generazione esposta. La domanda cruciale per gli effetti genetici è se si possa istituire un bilancio tra rischi e benefici - richiesto dal processo di giustificazione - allorché la natura del rischio fa sì che gli effetti dannosi pesino su persone diverse da quelle che godono i benefici. Si tenga presente che gli effetti genetici non sono riducibili o evitabili, una volta avvenuta l'esposizione parentale. Una risposta all'arduo quesito può forse essere data proponendo un bilancio transgenerazionale e diacronico dei rischi e dei benefici, considerando cioè la società umana nel suo sviluppo nel tempo e supponendo valida la presente tavola dei valori, con la quale si effettuano le valutazioni che portano al giudizio di giustificazione.
Un'altra risposta al quesito può essere data se ci si accontenta di considerare i possibili effetti genetici dell'impresa o attività considerata, non nel loro ammontare assoluto (numero di individui colpiti) ma nella loro incidenza relativa rispetto alle malattie e malformazioni pure di natura genetica ma di comparsa spontanea. Il ‛carico genetico spontaneo' è piuttosto pesante nella specie umana e non deve essere sensibilmente aumentato in conseguenza di attività o di programmi; ma forse un piccolo aumento può essere proposto per necessità di vita o di sviluppo della presente o delle future generazioni. Questo modo di ragionare è più sfumato di quello esposto poco sopra in termini di effetti assoluti e non relativi. Resta la considerazione che taluni aspetti del rischio da radiazioni pongono interrogativi difficili e sollevano problemi di valori e di comportamenti.
8. I limiti di dose per le singole persone
In un precedente paragrafo è detto che la ICRP ha stabilito per qualsiasi lavoratore e per qualsiasi persona i livelli massimi di dose (limiti di dose) ai quali corrisponde un livello di rischio da non valicare nelle condizioni di lavoro e di vita. Questi limiti sono fissati per attività nelle quali l'esposizione è esplicitamente prevista e può essere ristretta mediante il controllo sulla sorgente di radiazioni e mediante l'applicazione delle operazioni di giustificazione e di ottimizzazione. I limiti di dose non debbono essere considerati - in questa prospettiva - come una linea di demarcazione tra situazioni di sicurezza e situazioni di pericolo; invero, allorché un determinato limite sia stato occasionalmente superato di poco è più importante considerare il fatto che vi è stata un'insufficienza nella capacità tecnica e organizzativa di tener sotto controllo la situazione, piuttosto che preoccuparsi che uno o più individui abbiano ricevuto dosi un poco superiori al limite stabilito.
La Commissione ha effettuato un cammino a tre tappe per raggiungere l'obiettivo prefissato di stabilire limiti di dose per singole persone. In primo luogo ha cercato di riconoscere quali fossero i livelli massimi di rischio che le singole persone sembrano disposte a correre, nel quadro del sistema dei principi di radioprotezione; in secondo luogo ha stabilito le dosi di radiazioni che corrispondono a vari livelli di rischio; e infine ha raccomandato formalmente un insieme di limiti di dose per le singole persone, da rispettare nella radioprotezione operativa.
a) Limiti per effetti non stocastici
Per quanto riguarda gli effetti biologici non stocastici a soglia di dose, la Commissione ha ritenuto giustamente che le persone richiedano di evitarli del tutto: e che dunque occorre scegliere un limite di dose sicuramente al di sotto delle soglie. Per qualsiasi lavoratore questo limite è fissato in 500 millisievert all'anno, in qualsiasi tessuto dell'organismo (con l'eccezione di 150 millisievert all'anno nel cristallino dell'occhio). Esso potrebbe esser adottato anche per gli individui della popolazione, trattandosi di effetti a soglia di dose; ma per ragioni di prudenza (la vita biologica è più lunga della vita lavorativa, i controlli sono meno agevoli e diffusi tra i non lavoratori) la Commissione ha ritenuto di adottare un limite pari a un decimo del valore suddetto: 50 millisievert all'anno in qualsiasi tessuto dell'organismo.
b) Limiti per effetti stocastici
Per quanto riguarda gli effetti biologici senza soglia di dose, la ICRP ha considerato i tumori maligni mortali e gli effetti genetici importanti di prima e seconda generazione (quelle che più direttamente interessano e coinvolgono l'individuo) e ha proposto di distinguere il rischio che riguarda il lavoratore per causa di lavoro e il rischio che riguarda l'individuo della popolazione semplicemente a motivo della sua appartenenza alla società. Questi rischi sono infatti sentiti come diversi e diversamente valutati. Per i rischi lavorativi la Commissione considera come proponibile quel rischio che si ritrova in professioni che sono considerate ‛sicure'; si tratta di professioni in cui il rischio annuale di morte è inferiore a 10-4. Per i rischi societari la Commissione propone di far riferimento ad alcuni rischi generici della vita associata odierna, che sembrano accettati e non semplicemente subiti per stato di necessità; per ciascuno di essi la probabilità annuale di morte si colloca tra 10-5 e 10-6. Nel considerare queste cifre, si rammenti sempre lo scopo per cui esse sono proposte: tutelare l'individuo da rischi personali elevati, quali che siano la giustificazione e i risultati dell'ottimizzazione protezionistica d'una data attività con radiazioni.
Il passo successivo della Commissione è stato quello di scegliere nella vasta bibliografia epidemiologica, radiobiologica e radiogenetica i valori di dose a cui corrispondono determinati rischi stocastici, specie per probabilità non troppo lontane da quelle sopra ricordate. Com'è intuitivo, questi valori di dose sono diversi a seconda che sia irraggiato questo o quell'organo, questo o quell'apparato, il corpo intero o una sua porzione, un individuo giovane, adulto, vecchio, maschio o femmina. Per gli scopi pratici e operativi della radioprotezione non è possibile adottare una ricca molteplicità di valori, per di più abbastanza incerti sul piano scientifico. Conviene ricercare e proporre alcuni valori medi tra i due sessi e tra le varie età, così come ha fatto la ICRP, tenendo conto dei rischi somatici e dei rischi genetici di prima e seconda generazione. Inoltre, accogliendo l'ipotesi di linearità senza soglia tra dose ed effetti, è possibile stabilire un semplice ‛fattore di rischio' per dose unitaria. Il fattore di rischio medio per tumori mortali scelto dalla Commissione è 10-2 Sv-1 nel caso di irradiazione uniforme del corpo intero. Il fattore di rischio medio per danni genetici di prima e seconda generazione è 0,4•10-2 Sv-1 nel caso di irradiazione delle gonadi. Quando nella pratica di radioprotezione si incontrano irradiazioni di singoli organi e tessuti, la Commissione suggerisce di considerare queste irradiazioni in termini di ‛dose efficace' per rischio stocastico totale somatico e genetico di prima e seconda generazione, applicando un ‛fattore di ponderazione' (simbolo wT) alle dosi ricevute, e ha fissato i valori di tale fattore. Esso rappresenta la frazione del rischio stocastico totale imputabile all'irradiazione di un organo o di un tessuto (v. tab. II). L'apprezzamento della dose efficace per esposizione di organi e apparati è di particolare importanza nel campo dell'irradiazione interna dell'organismo, che segue all'inalazione o all'ingestione di sostanze radioattive. Se le sostanze si distribuiscono uniformemente in tutti i tessuti si ha irradiazione del corpo intero, ma se si distribuiscono e depositano in maniera non uniforme o addirittura quasi per intero in uno o pochi organi o apparati (lo iodio nella tiroide; gli aerosol insolubili nel polmone, almeno in un primo tempo; il radio e lo stronzio nelle ossa; ecc.) si ha irradiazione principalmente di tali organi o apparati.
Compiute le scelte dei fattori di rischio risulta facile individuare i limiti di dose efficace per effetti stocastici compatibili con i livelli massimi di rischio appropriati alle singole persone: per il lavoratore si tratta di 5-10 millisievert all'anno; per l'individuo della popolazione di 0,1-1 millisievert all'anno. Questi sono di fatto i valori da rispettare mediamente sull'arco di molti anni della storia di un individuo; come pure da rispettare mediamente in un gruppo di molti individui sull'arco di un anno di lavoro o di vita. La Commissione peraltro ammette che in uno o in pochi anni della storia d'un individuo, oppure in individui di piccoli gruppi d'una collettività di lavoro o d'una popolazione durante un anno, i limiti di dose possano esser più elevati d'un fattore 5-10, consentendo cioè ‛valori di picco' da utilizzare con discrezione, ma senza timori o preclusioni. Sono questi valori di picco che vengono comunemente indicati come limiti di dose efficace per effetti stocastici: per i lavoratori 50 millisievert all'anno, per gli individui della popolazione 5 millisievert all'anno.
c) Considerazioni sulla normativa
La ICRP ha fissato due diversi limiti di dose per gli individui: uno per evitare gli effetti non stocastici, uno per ridurre a un livello convenientemente basso il rischio di effetti stocastici. Ovviamente debbono essere rispettati entrambi: il limite di dose in un qualsiasi tessuto e il limite di dose efficace sull'organismo. Sono anche raccomandati limiti di dose individuale per esposizioni programmate di carattere particolare (nelle quali si può raggiungere - a condizioni specificate - un livello di dose efficace pari al doppio del limite annuale) e limiti di dose per l'esposizione di lavoratrici in età riproduttiva e in gravidanza con lo scopo della protezione del prodotto del concepimento (la dose non deve superare in tutta la gravidanza circa 15 millisievert all'addome).
Nel computare le dosi nei tessuti e la dose efficace, la Commissione avverte di non aggiungere le dosi che provengono da fondo naturale di radiazioni (assai variabili in funzione del suolo, dell'altitudine sul mare, del tipo di abitazione), né le dosi ricevute in occasione di esami e trattamenti medici (da considerare a parte, nel quadro degli obiettivi di diagnostica e di terapia).
Sia consentito di sottolineare che i limiti di dose sopra discussi non sono limiti per la pianificazione o per la progettazione. Le dosi per questi scopi derivano dal processo di ottimizzazione (o quanto meno da considerazioni e valutazioni che sostituiscono, mediante analogie con casi simili, tale processo) e consistono per lo più in dosi individuali assai più piccole dei limiti di dose suddetti; i quali hanno funzione di tutela dell'individuo, lavoratore o cittadino, nei casi in cui l'indicazione del processo di ottimizzazione comporti dosi individuali piuttosto elevate e dunque non accettabili.
Quanto alla situazione legislativa e di regolamentazione, molti paesi tra cui l'Italia sono ancora fermi (1980) ai principi e alla nomenclatura delle raccomandazioni della ICRP ormai superate da anni. La legge italiana fissa dosi annuali massime ammissibili senza richiedere analisi di ottimizzazione, e consente il superamento in un anno di tali dosi in quei lavoratori che in anni precedenti non le abbiano raggiunte. La situazione legislativa è destinata a cambiare quando verranno recepite le prossime ‛direttive' della Comunità Europea. Nel frattempo, in Italia e altrove vi è discrepanza tra stato della legislazione e stato dell'arte, nel senso che la norma giuridica è costruita su concetti, principi e valori numerici oggi in parte superati e non si accorda più con i principi e gli approcci operativi elaborati sul piano internazionale e nazionale dagli specialisti della radioprotezione.
Si deve peraltro ammettere che l'assetto tradizionale della radioprotezione quale è ancora oggi presente nella legislazione italiana è di più facile applicazione e di più facile riscontro che non quello proposto negli ultimi anni dalla ICRP. Il nuovo assetto richiederà infatti di effettuare operazioni difficili come il processo di giustificazione e il processo di ottimizzazione e richiederà riscontri attenti per seguire la dose efficace media in un individuo su molti anni e la dose media annua tra i lavoratori di un'azienda o d'un gruppo professionale. In questi anni si sono levate numerose voci - che il tempo dirà se profetiche o allarmistiche - che hanno criticato la complessità concettuale e operativa del sistema di limitazione delle dosi adottato dalla ICRP. Tale complessità potrebbe, a detta di costoro, addirittura risolversi in una diminuzione della prevenzione perché all'elementare chiarezza di norme non trasgressibili si starebbe sostituendo una metodologia di applicazione controversa; Ma è anche vero che esistono nei paesi della Comunità Europea due categorie di professionisti (gli ‛esperti qualificati' alla sorveglianza fisica e tecnica, e i ‛medici autorizzati' alla sorveglianza medica della radioprotezione) che stanno rapidamente impossessandosi del nuovo assetto razionale della protezione e verosimilmente contribuiranno a tradurlo in realtà operativa.
9. Alcuni problemi particolari
L'analisi offerta nei paragrafi che precedono mostra limiti manifesti perché espone in forma semplificata un insieme di concetti e di fatti che è ben altrimenti complesso. Gli argomenti avrebbero richiesto una più lunga e articolata trattazione, arricchita dalla presentazione quantitativa di fatti e di problemi. La semplificazione ha portato a introdurre preferenze soggettive su ciò che è importante e su ciò che lo è di meno, sull'epoca di trapasso da una visione all'altra, sul ruolo esercitato dai diversi gruppi e personaggi. Essa ha reso incompleto il discorso, ha fatto perdere il senso della molteplicità e della coesistenza di sfumature, di posizioni e di opposizioni all'interno dei gruppi di studiosi e tra il pubblico e solo in parte ha reso la vivacità dell'argomentare scientifico e tecnico. Inoltre, un'esposizione sommaria rischia di non mettere in luce problemi la cui soluzione è ancora in tutto o in parte non soddisfacente, ma che pure esistono e dei quali è necessario far cenno.
A. Il più antico argomento della radioprotezione - la progettazione e la costruzione di barriere contro le radiazioni - è al presente una materia ben sviluppata, fatta oggetto di trattazione manualistica e di codici di calcolo, con soluzioni adeguate per ogni sorgente di radiazioni. Nei riguardi delle radiazioni di grandi macchine acceleratrici di particelle rimangono ancora problemi di ricerca e di progettazione. Anche la dosimetria esterna (stima della dose da irradiazione da sorgenti esterne all'organismo) costituisce una branca ben sistemata della radioprotezione, che dispone d'una gamma di strumenti appropriati ai diversi tipi di radiazioni e situazioni. Rimane da risolvere qualche problema, importante specie per campi neutronici di energia intermedia. La dosimetria interna (stima della dose da irradiazione da sorgenti interne all'organismo) continua a essere argomento complesso, perché la misura strumentale diretta della dose è quasi sempre impossibile e si ricorre a calcoli basati su misure o stime dell'andamento nel tempo della concentrazione di attività negli organi corporei (becquereligrammo). Si deve fare ricorso a ipotesi metaboliche, e proprio su numerose questioni di fisiologia umana vi sono ancora dati da raccogliere e lavoro da compiere. Per agevolare le stime di dose interna, sono state calcolate su un modello anatomo-fisiologico di uomo (uomo tipo, ‛uomo standard') le dosi d'organo che corrispondono all'introduzione di un'attività unitaria di ciascun radionuclide, in forma solubile e non solubile, nei liquidi dell'organismo. Nella Pubblicazione 30 (e relativi supplementi) della ICRP sono riportati i limiti annuali di attività (becquerel/anno) che possono essere introdotti nell'organismo (per inalazione, per ingestione), ai quali seguono - in breve o lungo intervallo di tempo - i limiti annuali di dose individuale. La frazione del limite annuale di attività introdotta in un anno dà l'indicazione della frazione del limite annuale di dose che sarà ricevuta da quella persona. L'attività introdotta può essere stimata mediante misure di concentrazione di attività nelle matrici ambientali, aria, acqua, alimenti, ecc. (becquerel/metro cubo, becquerel/kg). I limiti annuali di introduzione hanno la sigla ALI, dall'acronimo dell'inglese annual limits on intake. Va ricordato che nell'irradiazione interna è importante la distribuzione spaziale della dose a scala micrometrica (polveri depositate nei polmoni, particelle depositate nelle ossa) la quale può influire sul fattore di rischio per effetti stocastici.
Quando radionuclidi e sostanze radioattive vengono immessi in natura (scarico, sotto controllo, di ‛effluenti' aeriformi e liquidi; collocazione, sotto controllo, di rifiuti solidi in formazioni geologiche; rilascio, incontrollato, di materiali radioattivi a seguito di un incidente) si ha il passaggio dei radionuclidi nelle componenti inorganiche e organiche (organismi viventi) dell'ambiente esterno. Le caratteristiche fisiche dello scarico, dei rifiuti, del rilascio hanno importanza sui modi e sui tempi di questo passaggio, così come le caratteristiche chimiche dell'elemento di appartenenza del radionuclide o le caratteristiche della sostanza di cui fa parte. È necessario conoscere le modalità di ‛trasporto' degli effluenti e dei rilasci entrati nell'atmosfera, in corsi d'acqua, nei laghi e nel mare, nel suolo in genere e in quello destinato a colture agricole in particolare. Così pure è necessario conoscere le principali ‛catene ambientali' e ‛catene alimentari' attraverso le quali l'attività immessa nell'ambiente ritorna all'uomo e dà luogo a irradiazione esterna e interna. Un grande lavoro di ricerca è già stato effettuato su questi argomenti ma molto lavoro resta ancora da compiere, anche per l'ampia diversità dei vari ambienti naturali.
B. In futuro nella protezione delle persone si dovrà dare maggior rilievo di quanto non sia stato fatto finora alla considerazione congiunta dei diversi agenti capaci di effetti biologici, stocastici e non stocastici e dei possibili sinergismi. La stima del rischio di tumore in un apparato e la stima di danno genetico devono tener conto di tutte le noxae carcinogene o mutagene, e non delle sole radiazioni. La prevenzione di un'anemia va considerata nel quadro di tutti i tossici emopoietici. La ‛prevenzione settoriale' (come la radioprotezione) può essere sovente una necessità operativa, ma deve contribuire alla ‛prevenzione integrale' che tiene conto di tutti i rischi sanitari ai quali è esposto un individuo.
C. La relazione di linearità senza soglia di dose tra dose ed effetti stocastici è utilizzata dalla ICRP come ipotesi semplificativa e cautelativa, per gli scopi pratici e amministrativi della radioprotezione, nell'ambito delle dosi piccole e piccolissime. Peraltro la stessa ICRP è dell'avviso che ‟vi sono buone basi radiobiologiche per accogliere l'ipotesi che la curva che esprime la relazione tra dose ed effetti per radiazioni di basso LET (acronimo di linear energy transfer, trasferimento lineare di energia, TLE; v. radiobiologia) abbia generalmente un aumento di pendenza con il crescere della dose e del rateo di dose, nell'intervallo di dosi assorbite fino a qualche gray". Invero, per molti effetti stocastici studiati su animali di laboratorio, la relazione con la dose può essere rappresentata da un'espressione del tipo E=aD+bD2, in cui E è l'effetto, D è la dose e a e b sono due costanti. Il termine quadratico predomina allorché le dosi e i ratei di dose sono alti, mentre il termine lineare è prevalente allorché le dosi e i ratei di dose sono bassi. Le conoscenze sulla relazione tra dose ed effetto in popolazioni umane sono ancora limitate per consentire una definizione certa della forma della curva a basse dosi e a bassi ratei di dose, per radiazioni con vari LET. Nell'attesa, la Commissione è propensa a credere che la frequenza reale degli effetti di radiazioni a basso LET, nel caso di dosi e ratei bassi, sia minore di quella stimata interpolando una retta che passi per l'origine e per i punti ricavati da indagini epidemiologiche riguardanti per lo più dosi e ratei elevati. I fattori di rischio adottati dalla Commissione per le esposizioni abituali (dosi e ratei bassi) sono pertanto più piccoli di quelli che si leggono sulla retta tracciata come ora si è detto.
Contro queste posizioni della ICRP, negli ultimi tempi si sono levate alcune voci tendenti a sostenere che per alcuni tipi di radiazione e per dosi e ratei di dose molto bassi le frequenze potrebbero essere più elevate di quanto non mostri la retta interpolata suddetta. Taluni autori mettono in questione il valore del ‛fattore di qualità' di alcune radiazioni che consente di esprimere in unità sievert una dose stimata in unità gray: altri insistono perché si accolgano in radioprotezione vari tipi di relazione tra dose ed effetti. Non è possibile sul momento riassumere dibattiti che sono in pieno svolgimento. Un fattore di rischio maggiore di quello oggi accettato per dosi e ratei di dose molto piccoli dovrebbe portare a riconsiderare anche gli effetti della dose da fondo naturale di radiazioni, che in Italia è di 0,9-2,5 millisievert all'anno (90-250 millirem all'anno) al corpo intero di ogni persona: la variabilità è da imputare alle caratteristiche geologiche del suolo, dei materiali di costruzione delle abitazioni, all'altitudine sul livello del mare e ad altri fattori ancora.
D. I problemi dell'ubicazione degli impianti nucleari sul territorio d'un paese stentano a trovare soluzioni che siano accettate da tutte le componenti della società. Si consideri per esempio il caso delle centrali elettronucleari di grande potenza. Per quanto riguarda le condizioni di esercizio, le centrali potrebbero essere collocate quasi dappertutto sul territorio perché gli scarichi radioattivi aeriformi e liquidi nell'ambiente possono essere ridotti assai fortemente. (L'avvicinamento a utenze cittadine o industriali favorirebbe l'utilizzazione del calore residuo della trasformazione dell'energia termica d'origine nucleare in energia elettrica, circa 2/3 del calore totale, che viene oggi disperso in massima parte in acqua o in aria, senza impiego; v. nuclei atomici: Reattori nucleari). Ma la possibile sopravvenienza di incidenti con gravi o gravissimi rilasci di radioattività nell'ambiente circostante pone grossi problemi per la collocazione delle centrali sul territorio, per evidenti preoccupazioni d'ordine igienico-sanitario ed economico-sociale. Anche dopo aver eseguito l'analisi di sicurezza più accurata ed esigente (prevenzione degli incidenti; predisposizione di dispositivi per ridurre le conseguenze degli incidenti ‛credibili') non si può escludere con assoluta certezza l'accadimento di incidenti ‛non credibili' ma meramente ‛possibili' che esulano dall'analisi e potrebbero causare gravi o gravissimi rilasci. È fuor di dubbio che, proprio per l'analisi di sicurezza effettuata, la probabilità di incidenti di questa famiglia è assai piccola, e che la probabilità che alcuni di essi risultino disastrosi o addirittura catastrofici per gli abitanti e il territorio è ancora più piccola, estremamente esigua. Piani di emergenza possono sostanzialmente ridurre le dosi individuali e la dose collettiva. Ma rimane una prospettiva, incerta e remota, di disastro con danni precoci a poche o a molte persone (effetti non stocastici) e con la prospettiva di tumori tra i membri della popolazione esposta (effetti stocastici). Inoltre vaste estensioni di territorio contaminato potrebbero dover essere abbandonate per qualche tempo e il loro uso regolamentato per tempi lunghi, anche anni, con perdita della produzione agricola, di abitazioni, di fabbriche, di posti di lavoro. È difficile stabilire in un discorso generale quale peso debba avere nella decisione di collocazione territoriale delle centrali elettronucleari la considerazione di questi ‛possibili' (ma ‛non credibili') incidenti disastrosi. Vi sono correnti di opinione che ritengono di non dover escludere l'ubicazione iuxta-cittadina delle centrali, ma richiedono garanzie tecnologiche e organizzative che abbattano probabilità e conseguenze di incidenti disastrosi; vi sono correnti di opinione che premono per la ‛remotizzazione' degli impianti dalle grandi città e dalle zone fortemente popolate, secondo un criterio di generica prudenza che tenga conto anche delle forti resistenze dell'opinione pubblica alla prospettiva di incidenti gravi.
E. La gestione dei rifiuti radioattivi a vita lunga e lunghissima è problema controverso, che non ha ancora trovato soluzioni operative su larga scala. Non vi è possibilità di ‛distruzione' delle sostanze radioattive se non mediante irraggiamento che le trasformi in altre sostanze radioattive a più rapido decadimento o in nuclidi stabili. Al di fuori di questa possibilità (importante per il plutonio 239) non resta che tenere conto del fatto che i nuclidi radioattivi decadono spontaneamente in nuclidi stabili, dimezzando la loro attività in un intervallo di tempo che è proprio di ciascun nuclide, e che va da frazioni di secondo a miliardi di anni. Quando i tempi di dimezzamento sono brevi (dai secondi ai mesi) la gestione dei rifiuti non presenta difficoltà; quando i tempi di dimezzamento sono estremamente lunghi (miliardi di anni) la gestione non è tra le più difficili perché l'attività specifica (attività/grammo) risulta modesta. Problemi di rilievo si hanno per tempi di dimezzamento non brevi e non lunghissimi. Una maniera di affrontare i problemi relativi alla gestione dei rifiuti è quella di distinguere l'approccio da seguire nella gestione di rifiuti con tempo di dimezzamento crescente. Rifiuti con breve tempo di dimezzamento possono in parte esser scaricati e dispersi in un determinato ambiente di cui si conosca la ‛ricettività' (rappresentata dall'attività che, scaricata in un anno con date modalità, provoca un livello di dose prestabilito nelle persone che fruiscono di quell'ambiente). La parte non scaricata viene conservata in depositi sotto controllo, fino a riduzione dell'attività a livelli trascurabili. Nuclidi con lungo tempo di dimezzamento non possono essere scaricati nell'ambiente che in piccolissime quantità e quasi per intero debbono essere ‛condizionati' in forme adatte al deposito e allo smaltimento. Questo sarà di tipo tale da esigere sorveglianza fino a decadimento quasi completo; oppure da non richiedere nessun controllo presente o futuro, perché intrinsecamente sicuro fino a completo decadimento. La seconda forma di smaltimento è la sola possibile per i rifiuti che abbiano tempi di dimezzamento di millenni o decine di millenni (plutonio 239, 24.000 anni di tempo di dimezzamento). Vari tipi di formazioni geologiche profonde (in genere oltre 300 metri) sono già state individuate e proposte come luoghi per lo smaltimento, mentre continuano le ricerche e gli studi organizzativi e giuridici. Anche perché particolari rifiuti (come i residui delle lavorazioni di minerali uraniferi, che contengono radio) non possono essere sempre collocati in profondità, e dunque occorre trovare per essi soluzioni diverse, ma ugualmente garantite e sicure.
Un problema particolare è costituito da taluni rifiuti gassosi che, se non trattenuti, si diffondono nell'atmosfera. Alcuni vi permangono indefinitamente, fino a decadimento, altri danno composti e passano in varie componenti ambientali. Va ricordato il kripton 85, prodotto dalla fissione nucleare, che ha tempo di dimezzamento 10,8 anni. A fine secolo, se vi sarà stato un forte ricorso all'energia nucleare con trattamento del combustibile irradiato e con scarico in aria, sorgeranno alcuni problemi sanitari a causa della crescita della concentrazione del gas nell'atmosfera. Altro nuclide a cui è rivolta l'attenzione è il trizio (idrogeno 3) che dimezza la propria attività in 12,2 anni. Nei rifiuti il trizio si presenta principalmente sotto forma di acqua triziata che, scaricata nell'ambiente, circola nei sistemi idrogeologici e nei sistemi biologici. Gli scarichi liquidi hanno rilevanza locale e possono richiedere provvedimenti prima che la presenza di trizio nell'ambiente diventi un problema rilevante su scala mondiale. Anche il carbonio 14 è un nuclide da tenere in considerazione. Esso ha un tempo di dimezzamento di 5.730 anni e si origina per attivazione neutronica di atomi stabili di carbonio, azoto, ossigeno. Si stima che l'accumulo nella troposfera e nella biosfera di carbonio 14 rilasciato dall'industria nucleare raggiungerà, verso l'anno 2000, circa il 3% del livello naturale, in uno scenario di ricorso importante all'energia elettronucleare. La quantità di carbonio 14 così prodotta sarà confrontabile con quella che ha avuto origine dalle esplosioni di ordigni bellici nucleari di prova avvenute fino a oggi.
F. Un settore particolare della radioprotezione riguarda la riduzione delle dosi ai pazienti sui quali si eseguono indagini o trattamenti di radiologia medica o di medicina nucleare. È noto a tutti che le dosi ai singoli sono piccole in diagnostica, grandi in terapia. Il rischio di effetti stocastici sul paziente - se si accoglie l'ipotesi di linearità senza soglia di dose tra dose ed effetti - è proporzionale alla dose ricevuta dagli organi. Il rateo di dose è sovente decisamente elevato. Effetti non stocastici si hanno solamente se vi è superamento di determinate soglie di dose, diverse da tessuto a tessuto e da organo a organo. Nei riguardi dell'esposizione da cause mediche si applicano i principi della giustificazione e dell'ottimizzazione; non si applica invece al paziente il principio della limitazione della dose individuale. Vi sono settori che meritano la particolare attenzione della radioprotezione: indagini diagnostiche sull'addome di donne in età di riproduzione; trattamenti terapeutici in persone giovani; indagini di massa, a causa del contributo alla dose collettiva e alla dose genetica.
G. Per una visione complessiva dell'esposizione umana alle radiazioni e per una valutazione in prospettiva dei vari contributi alla dose totale è bene che siano eseguite nei vari paesi inchieste, misure e stime che permettano di stabilire l'entità delle ‛dosi da fondo naturale' e l'entità e l'evoluzione nel tempo delle ‛dosi aggiuntive' da attività, da industrie e da comportamenti umani. Il recente rapporto dello UNSCEAR (v., 1977) fornisce dati medi riguardanti l'intera popolazione del globo terrestre. La tab. III presenta il contributo delle sorgenti naturali di radiazioni all'esposizione di persone che vivono in aree con fondo naturale ‛normale'. La dose media annuale pro capite è stimata per quattro differenti tessuti corporei, ed è espressa in milligray all'anno; la dose espressa in millisievert è numericamente più grande, perché alcune delle radiazioni di fondo hanno ‛fattore di qualità' maggiore di 1. Si tenga presente che vi è grande variabilità nella dose da radiazioni terrestri e nella dose polmonare da radon 222 e discendenti.
Esistono situazioni in cui alle dosi da fondo naturale ‛normale' si aggiungono altre dosi di varia causa e provenienza. Abitare in case costruite con taluni materiali (graniti, tufi) può portare a dosi annuali individuali più che doppie rispetto alla dose media annuale pro capite. La ventilazione molto ridotta dei locali di abitazione può elevare d'un ordine di grandezza il rateo di dose ai polmoni da radon 222 e discendenti. Durante il volo in alta quota il rateo di dose da raggi cosmici s'innalza fortemente, anche di un fattore 100 e più. La combustione del carbone fossile dà luogo a ceneri contenenti, tra l'altro, radio 226 e a fumi che contengono tracce di elementi radioattivi naturali. Una cospicua varietà di prodotti commerciali a disposizione del consumatore contiene radionuclidi e gli apparecchi televisivi emettono raggi X ‛molli' in quantità assai modesta; la dose media annuale alle gonadi è comunque meno di 1/100 di quella da fondo naturale. Le ricadute radioattive, dovute all'esplosione in atmosfera di ordigni bellici nucleari di prova, sono state massicce negli anni sessanta mentre oggi sono di assai minor rilievo; i radionuclidi disseminati hanno dato e continuano a dare piccole dosi annuali agli abitanti del globo, specialmente dell'emisfero nord. La produzione di elettricità mediante centrali nucleari si accompagna a piccole dosi annuali individuali, prevalentemente attorno agli impianti. L'esposizione delle persone dovuta a impieghi medici delle radiazioni è estremamente variabile da paese a paese e da persona a persona, ma quasi dappertutto costituisce il più importante contributo alla dose media annuale pro capite, dopo quello da fondo naturale.
Queste varie dosi aggiuntive agli abitanti della Terra hanno amplissima variabilità interindividuale. Inoltre le dosi medie annuali pro capite non danno un'informazione idonea per valutare le conseguenze sanitarie totali, presenti e future. Vi sono infatti esposizioni dovute a rilasci ambientali di radionuclidi a tempo di dimezzamento lungo che si prolungano nel tempo, anche per più generazioni. La grandezza denominata ‛impegno di dose' è utile per valutare le conseguenze sanitarie di questo genere di esposizioni. In particolare l'‛impegno di dose collettiva' da esposizione avvenuta in un determinato intervallo di tempo ed esteso alla popolazione del globo terrestre (somma delle dosi che sono e saranno ricevute dagli abitanti del pianeta fino a decadimento completo dei radionuclidi) può servire di base per valutare le conseguenze sanitarie totali, presenti e future. Allo scopo di paragonare l'entità dei contributi delle varie sorgenti di esposizione, il rapporto UNSCEAR (v., 1977) presenta tale impegno di dose - dovuto all'esposizione in un anno - come durata di esposizione in giorni, confrontabile con la durata annuale di esposizione al fondo naturale di radiazioni (365 giorni). La tab. IV riporta questi dati. Si noti come radiodiagnostica e ricadute radioattive siano assai più importanti degli altri contributi.
H. La radioprotezione - come si è detto fin dall'inizio - non si limita alla tutela della salute dell'uomo ma intende contribuire anche alla conservazione dell'ambiente naturale, alla gestione della biosfera, degli ecosistemi e delle specie che li compongono. Com'è noto, nella conservazione degli ecosistemi naturali e modificati, le popolazioni delle singole specie hanno maggior rilievo che non gli individui delle specie stesse. Pertanto gli effetti degli agenti nocivi, come le radiazioni, che colpiscono la fertilità, la fecondità, lo sviluppo embrionale, il patrimonio genetico sono di primaria importanza. Ma sono da considerare anche taluni effetti sugli individui, per esempio l'accorciamento della durata media della vita. In linea molto generale si può dire che le esigenze di protezione sanitaria verso ogni singolo individuo della specie umana richiedono di contenere fortemente l'inquinamento radioattivo dell'ambiente naturale; di conseguenza le dosi agli organismi viventi risultano di livello piuttosto basso. La radioprotezione delle singole persone rappresenta pertanto una premessa - ma non la garanzia - per la conservazione degli ecosistemi naturali e modificati. La garanzia può derivare solamente dagli studi ecologici e dalle prescrizioni di conservazione che ne vengono dedotte. Questi studi debbono tener conto di tutti gli agenti nocivi sugli ecosistemi e non solamente delle radiazioni ionizzanti. È stato sottolineato da più parti che occorre essere molto prudenti nelle previsioni e tenere sempre presenti i fenomeni di accumulo ambientale di radionuclidi a vita lunga, nonché i fenomeni di accumulo biologico di taluni radionuclidi in organismi viventi.
Se si considera il fatto che sono stati necessari vari decenni di ricerca e di sperimentazione per raccogliere e interpretare un sufficiente numero di informazioni sugli effetti delle dosi di interesse per la radioprotezione delle persone, si deve pensare che sarà necessario un grande e lungo impegno per raggiungere un livello comparabile di informazioni e di previsioni per la conservazione degli ecosistemi. La presa di coscienza dei rischi inerenti alle innovazioni tecnologiche sta generando una crescente preoccupazione per gli effetti a lungo termine sui grandi ecosistemi del globo terrestre. Gli ecosistemi posseggono meccanismi di autoregolazione e di riparazione simili ai meccanismi omeostatici degli individui d'una specie, i quali consentono di superare le conseguenze di taluni effetti dannosi, ristabilendo nel tempo l'equilibrio ecologico; ma tutto ciò entro certi limiti, superati i quali i meccanismi sono incapaci di operare.
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