ragionamento
Una fondamentale operazione della nostra mente
Se paragoniamo la mente umana a un computer e il pensiero a un processo di elaborazione di informazioni, potremmo dire che il ragionamento costituisce una delle procedure operative essenziali in questo processo, attraverso la quale deriviamo, dimostriamo, affermiamo o neghiamo qualcosa partendo da un complesso di dati di varia natura. Questa operazione è alla base del grandioso edificio della matematica e delle scienze sperimentali, ma è anche il principale strumento che ci permette di decidere, scegliere, agire e interagire con la complessità del mondo
Ricercare leggi e principi che regolano lo svolgimento dei fenomeni, ma anche prendere una decisione, scegliere una linea di condotta, risolvere un problema, persino compiere un gesto banale come prendere l’ombrello quando piove: alla base di tutte queste attività vi è un’operazione fondamentale della nostra mente, il ragionamento.
Ragionare e ragionamento sono sinonimi di inferire e inferenza, parole provenienti dal latino inferre, che significa «derivare», «concludere». Il ragionamento infatti è una sorta di percorso che da un insieme di dati o informazioni – dette premesse – porta a una conclusione che deriva necessariamente dalle premesse o vi trova un sostegno più o meno forte.
Quando ragioniamo non ci limitiamo ad affermare o negare qualcosa, ma offriamo dei motivi, delle spiegazioni – delle ragioni, per l’appunto – a sostegno di ciò che affermiamo o neghiamo.
In base a una distinzione che risale al pensiero di Aristotele i ragionamenti si dividono in due grandi categorie: deduttivi e induttivi. Aristotele considerava la deduzione come la forma perfetta del ragionamento, perché in essa la conclusione deriva necessariamente dalla premessa (sillogismo). Nel ragionamento deduttivo la verità delle premesse garantisce la verità della conclusione. Esempio classico di sillogismo è il seguente: «Tutti gli uomini sono mortali; Socrate è un uomo; dunque Socrate è mortale». Se la premessa (tutti gli uomini sono mortali) è vera, lo è necessariamente anche la conclusione (Socrate è mortale), perché nei ragionamenti deduttivi la conclusione esplicita ciò che è contenuto, implicitamente, nelle premesse.
Il ragionamento deduttivo sta a fondamento di tutte le dimostrazioni e i teoremi della matematica, ma non ci permette di scoprire o prevedere fatti nuovi e quindi di ampliare le nostre conoscenze, compiendo un ‘salto’ dal noto all’ignoto.
Nel ragionamento induttivo, invece, le premesse forniscono un’evidenza più o meno forte a sostegno della conclusione, ma non ne garantiscono necessariamente la verità. La conclusione, infatti, contiene delle affermazioni che non sono implicite nelle premesse e che vanno al di là di esse.
I ragionamenti induttivi comportano quindi un rischio da cui sono esenti quelli deduttivi: possono portare da premesse vere a conclusioni false. È questo il prezzo che si deve pagare per il vantaggio che i ragionamenti induttivi offrono rispetto a quelli deduttivi: la possibilità di scoprire e prevedere fatti nuovi sulla base di quelli vecchi. Attraverso l’induzione, infatti, formuliamo ipotesi e previsioni su ciò che non conosciamo sulla base di ciò che ci è noto.
La forma più comune di induzione è la generalizzazione, con cui otteniamo informazioni su un gruppo di cose, persone, eventi, oggetti e così via, esaminando una porzione – o campione – di quel gruppo. Un altro tipo di induzione è il ragionamento per analogia, che consiste nel trarre conclusioni su qualcosa in base alle sue somiglianze con qualcos’altro.
Nei ragionamenti induttivi il sostegno che le premesse forniscono alla conclusione può essere più o meno forte. In questo ragionamento: «Ho visto tre smeraldi ed erano verdi; il prossimo smeraldo che troverò sarà verde» il sostegno che le premesse offrono alla conclusione è più debole che in questo: «Tutti gli smeraldi finora osservati erano verdi; il prossimo smeraldo osservato sarà verde». Possiamo quindi distinguere tra ragionamenti induttivi forti e deboli. Il grado della forza induttiva di un ragionamento dipende dalla probabilità che le conclusioni siano vere se le premesse sono vere. Il ragionamento induttivo è quindi un ragionamento probabilistico, le cui conclusioni dipendono dal grado di probabilità delle informazioni contenute nelle premesse.
Uno degli usi più importanti del ragionamento induttivo è quello di formulare previsioni sul futuro in base alla nostra conoscenza del passato e del presente. La lacuna tra noto e ignoto può essere colmata solo mediante ragionamenti induttivi, che per avere un qualche valore devono avere un’alta probabilità induttiva. Per esempio, se per me è di cruciale importanza stabilire se domani pioverà, dovrò decidere la probabilità della previsione ‘domani pioverà’. Raccoglierò quindi tutte le informazioni rilevanti di cui dispongo come premesse di un ragionamento la cui conclusione è ‘domani pioverà’ e valuterò la probabilità induttiva di tale ragionamento, ossia la probabilità che la conclusione sia vera se le premesse sono vere. Se tale probabilità è alta avrò ragione di aspettare la pioggia, se la probabilità è bassa posso presumere che non pioverà. È questo il procedimento mediante il quale si prende una decisione razionale in condizioni di incertezza.
Poiché i procedimenti induttivi si servono di ragionamenti in termini di probabilità, la logica induttiva – cioè la teoria che studia i principi che regolano il ragionamento induttivo – è strettamente legata alla teoria delle probabilità e soprattutto ai suoi recenti, sofisticati sviluppi.
A fondamento della nostra fiducia nel ragionamento induttivo vi è il presupposto che la natura sia uniforme, che cause simili producano sempre effetti simili: in particolare, che il futuro sarà simile al passato. Tuttavia, la natura non è uniforme in tutti i sensi e il futuro non assomiglia al passato in tutti i casi. Come osservava scherzosamente il filosofo inglese Bertrand Russel (20° secolo), un tacchino ‘induttivista’ potrebbe incorrere in un gravissimo errore.
Abituato a vedere gli uomini avvicinarsi per dargli del cibo, l’animale potrebbe fare la seguente generalizzazione: ogni volta che si avvicina un essere umano, io mangio. Ma prima o poi si verificherà esattamente il contrario: un essere umano si avvicinerà al tacchino non per dargli da mangiare, bensì per mangiarlo!
Potremmo dire, allora, che nella natura esistono delle regolarità osservate che possono essere proiettate nel futuro. Se la natura è uniforme, i ragionamenti induttivi ci porteranno effettivamente il più delle volte da premesse vere a conclusioni vere. Ma in base a quale ragionamento arriviamo a questa conclusione? «La natura è uniforme» non è la conclusione di un ragionamento deduttivo, ma è anch’essa il risultato di una generalizzazione, ossia di un ragionamento induttivo basato sul fatto che in genere la natura si ripete.
Ma se usiamo un ragionamento induttivo ci troviamo a presupporre ciò che dobbiamo dimostrare, cioè il principio della uniformità della natura, perché solo se la natura è uniforme possiamo affermare che una regolarità osservata («la natura sinora si è dimostrata uniforme») è proiettabile nel futuro («la natura sarà uniforme»).
Formulato da David Hume nella seconda metà del Settecento, il problema dell’impossibilità di una giustificazione razionale dell’induzione da allora è rimasto insoluto nonostante i vari tentativi di superarlo. Di conseguenza il valore scientifico dell’induzione, che Francesco Bacone nel Seicento aveva posto a fondamento del metodo sperimentale, è stato messo in discussione da molti pensatori. Secondo l’austriaco Karl Popper, uno dei più influenti filosofi della scienza del Novecento, nessuna teoria potrà mai essere fondata empiricamente sulla base di procedimenti induttivi, poiché il numero di dati empirici che possono confermare una teoria è infinito. Tuttavia anche nell’ambito della scienza, oltre che in quello dell’esperienza comune, non possiamo fare a meno di formulare congetture e previsioni su ciò che accadrà o su ciò che non conosciamo basandoci sulla nostra esperienza. Anche se, come sembra, non possiamo dare una giustificazione razionale del ragionamento induttivo, esso è però una sorta di necessità ‘psicologica’: senza di esso, semplicemente, non potremmo vivere.