regalismo e antiregalismo
Si intende col termine regalismo la dottrina o l’insieme di dottrine che sostengono le pretese assolutiste dei re (➔ ) e il diritto di un monarca a esercitare autorità giuridica e teologica sul clero nazionale. Il regalismo è così anche legato al , che afferma la potestà dello Stato nei rapporti con la Chiesa, ma se ne distingue per una più accentuata volontà di intervento nella vita interna delle Chiese nazionali. Il termine ha di fatto designato soprattutto la politica religiosa adottata dalla Spagna e da alcuni Stati italiani, come il regno di Napoli, nel corso del sec. 18°. In Spagna, in partic., durante il regno di Carlo III (1759-88), il governo tentò di realizzare una riforma della Chiesa locale, tesa anche a rafforzare il predominio su di essa della monarchia. Di qui l’espulsione dei gesuiti, l’assunzione da parte del re della sorveglianza del tribunale dell’Inquisizione, il superamento del concordato del 1753 per quanto riguardava la nomina dei vescovi, che fu sottratta a Roma. Al regalismo si contrapposero le dottrine antiregaliste, o antirealiste, che in ambito protestante così come cattolico, ponendo in discussione il tema dell’origine divina del potere sovrano – questo costituiva un diritto naturale conferito da Dio ai popoli e da questi trasmesso ai governanti – negavano pure su un piano teologico e le istanze assolutiste e il diritto di ingerenza dei sovrani nella vita della Chiesa. L’ugonotto F. Hotman, nel suo Franco-Gallia (1573), giunse a prevedere la possibilità del nel caso il sovrano si fosse trasformato in tiranno e lo stesso si sostenne nelle Vindiciae contra tyrannos (1579), testo di autore ignoto, che sistematizzò le tematiche antiassolutiste, e nel De jure regni apud Scotos di G. Buchanan (1579), ove si ribadì che il potere sovrano derivava dalla comunità e che l’obbligo dei sudditi era condizionato all’adempimento da parte del principe dei suoi doveri. In area cattolica furono soprattutto i gesuiti ad affrontare il tema. Roberto Bellarmino, in partic., si impegnò a formulare una dottrina tesa a sottolineare la superiorità del papa su ogni altro potere. Il potere dei re, sostenne anch’egli, non derivava da Dio, ma dalla comunità che intendeva con ciò realizzare i propri fini secolari. Solo il papa, dunque, derivava la propria autorità direttamente da Dio e, pur non avendo potere diretto in materia secolare, disponeva tuttavia, in funzione della propria primazia spirituale, del potere indiretto di dirigere e controllare l’autorità laica («potestas indirecta in temporalibus»). Al di là del richiamo alla primazia papale, l’analisi di Bellarmino era del tutto compatibile con quella dei pensatori calvinisti. Analoghe posizioni assunsero L. de Molina (1535-1600), J. de Mariana (1536-1624) e F. Suárez (1548-1617), spagnoli, anch’essi gesuiti.