RELATIVISMO
. Termine filosofico, designante in generale ogni concezione che considera la conoscenza come incapace di attingere la realtà nella sua assolutezza oggettiva. L'uso del termine "relativo" (cfr. per ciò anche relazione) si afferma fin dai primi tempi della filosofia medievale: così Agostino contrappone il relative al substantialiter, e Tommaso d'Aquino definisce più tardi l'esse relative come l'ad aliud se habere, il "riferirsi ad altro",. Il termine prende quindi il posto, nel linguaggio filosofico latino, del greco -πρός τι (ad quid), che Aristotele aveva fissato ed elevato a rango di categoria. Il relativismo, del quale sussistono naturalmente infinite varietà, si presenta anzitutto in due aspetti fondamentali. L'uno è quello per cui l'ineliminabile relazione, che condiziona la conoscenza del reale, è quella costituita dalla dualità del soggetto e dell'oggetto: ogni conoscenza non può realizzarsi se non come rispecchiamento di una realtà in una coscienza, il risultato del quale non può quindi risultar mai identico a quella realtà, giacché essa appare modificata, nella sintesi conoscitiva, in funzione dell'altro elemento di tale sintesi. L'altro relativismo è quello per cui la relatività intrinseca al sapere non dipende dal rapporto tra il soggetto e l'oggetto ma dal fatto che ogni conoscenza attinge soltanto relazioni di fenomeni tra loro, e non mai la realtà assoluta e unitaria che sta a fondamento di quel complesso di relazioni. Rispetto al primo, soggettivistico, questo può esser detto relativismo oggettivistico: e talora, per meglio distinguerlo, gli è stato dato il nome di "relazionismo".
Il più antico e classico esempio storico della prima forma tipica del relativismo è quello di Protagora, espresso nella ben nota formula dell'"uomo misura di tutte le cose". Ma mentre in Protagora (che non bada tanto alla diversità della realtà assoluta dal suo concreto apparire nella coscienza quanto all'intrinseca effettività di ogni esperienza), il relativismo si presenta come una fede nell'universale verità umana di ogni sapere, discriminabile soltanto dal punto di vista del suo interesse pratico, l'innato oggettivismo greco fa sì che a tutti i più grandi pensatori antichi esso appaia piuttosto come una condanna dell'uomo all'eterno errore: e di fatto tutta la più alta speculazione classica è una continua lotta per restaurare, contro il relativismo, il regno dell'assoluta verità e realtà, assicurando la possibilità della sua conquista. Così quando, sul cadere della civiltà antica, il relativismo torna a far valere le sue ragioni, esso finisce logicamente col presentarsi nella forma del più rigoroso scetticismo. Universalmente relativistico, invece, può dirsi in questo senso il pensiero moderno in quanto concepisce comunque la conoscenza in funzione dell'attivita del soggetto. Vero è, d'altronde, che esso restaura un mondo di valori assoluti in seno a quella stessa realtà soggettiva che è il principio determinante della relativizzazione fenomenica, cioè conoscitiva, dell'oggetto. Così concepito, il relativismo si converte infatti in idealismo: e il primo nome finisce di conseguenza col designare, da questo punto di vista, solo quelle forme di gnoseologia che, più o meno contraddittoriamente, vogliono concepire il soggetto in cui la realtà assoluta si fenomenizza come non trascendentale ma empirico, cioè come assolutamente incomparabile nella sua individualità e quindi come non erigibile a sistema di categorie universali e necessarie.
L'altra forma, oggettivistica, di relativismo è invece specialmente rappresentata da tutte quelle forme di empirismo scientifico che, insistendo sulla necessità di limitare l'esperienza alla concreta osservazione dei fenomeni e delle loro relazioni, respingono per ciò stesso ogni pretesa di superare tale determinata e finita esperienza per attingere una conoscenza assoluta e metafisica della realtà. S'intende quindi come suo principale assertore sia il massimo teorico del positivismo ottocentesco, Augusto Comte: e come, di conseguenza, questo motivo relativistico costituisca la ragione (giacché propugnare la necessità di limitarsi al relativo presuppone comunque una certa fede nell'esistenza dell'assoluto) per la quale al di là del positivismo stesso si estende spesso l'ombra dell'inconoscibile e pur semiconosciuto trascendente (si pensi, per es., allo stesso Comte e allo Spencer). Un particolare significato ha, infine, il termine di relativismo quando con esso si allude alla teoria fisico-matematica della relatività: v. relatività, teoria della.