RESPONSABILITÀ
. È l'effetto di un comportamento antigiuridico, che può essere considerato in relazione a un determinato rapporto o a una determinata norma. Si ha responsabilità per atto illecito di diritto privato, per atto illecito di diritto penale, per atto illecito di diritto amministrativo; cioè responsabilità civile, responsabilita penale, responsabilità amministrativa.
Per la responsabilità civile, che a sua volta si distingue in responsabilità contrattuale e extracontrattuale, v. colpa: Diritto civile, e App., p. 142; dolo, XIII, p. 104; per la responsabilità penale, v. colpa, Diritto penale, X, p. 891; imputabilità, XVIII, p. 949; per le aggravanti e attenuanti della responsabilità penale, v. reato: Reato circostanziato.
Qui si tratterà della responsabilità amministrativa.
L'inosservanza di qualunque dovere dei privati verso la pubblica amministrazione costituisce un illecito di diritto amministrativo e dà luogo a una responsabilità del tragressore verso l'ente titolare dell'interesse tutelato dalla disposizione da cui il dovere è imposto. Se il fatto è contemplato come reato, alla responsabilità amministrativa resta sostituita la comune responsabilità penale; in alcuni casi la sanzione penale si aggiunge a quella amministrativa e le due responsabilità si fanno valere cumulativamente. In ogni caso, poi, se dal fatto sia derivato un danno all'amministrazione o ai terzi, il trasgressore è obbligato al risarcimento, in quanto la responsabilità penale e amministrativa non esclude la comune responsabilità civile.
La responsabilità amministrativa si concreta sempre nell'obbligo di subire una pena, che può consistere nel pagamento di una somma di danaro o nella privazione di facoltà e di vantaggi, che al trasgressore derivano dai suoi rapporti con l'amministrazione. Tale pena si distingue dalla comune sanzione penale, perché non viene applicata dallo stato nella sua funzione di giustizia, ma da esso, e anche da enti pubblici minori, nell'esercizio di una funzione amministrativa: perciò, tale pena deve essere di competenza delle autorità amministrative, con esclusione di quelle giurisdizionali, e deve essere applicata per mezzo di atti formalmente e sostanzialmente amministrativi.
Rispetto ai doveri generali, particolarmente quelli riguardanti l'ordine pubblico e la polizia nelle sue varie applicazioni, le antiche pene amministrative sono state trasformate, nel diritto moderno, in altrettante sanzioni penali: le trasgressioni di tali doveri costituiscono le contravvenzioni, contemplate dal codice penale e da numerose leggi amministrative. Dato il loro contenuto, alcuni scrittori hanno parlato in proposito di un diritto penale amministrativo: non sembra, però, giustificato separare questa parte dal resto del diritto penale; questo ha funzione sanzionatoria rispetto a tutte le parti dell'ordinamento giuridico, senza che perciò si avverta il bisogno di distribuirlo nei varî rami in cui questo si usa dividere. In alcuni casi, la sanzione assume carattere alternativo, in quanto consiste in una pena pecuniaria, che può essere applicata o dall'autorità amministrativa, senza alcuna conseguenza penale, o dall'autorità giudiziaria, con tutti gli effetti penali. La specificazione della sanzione in senso amministrativo è determinata da un'istanza del trasgressore, rivolta all'autorità amministrativa e intesa a ottenere che la pena sia da questa stabilita: tale istanza in alcuni casi è immediatamente operativa, in altri è subordinata all'accettazione discrezionale dell'autorità. Questo istituto, detto dell'oblazione, o della conciliazione, o della composizione amministrativa, trova applicazione riguardo alle contravvenzioni ai regolamenti comunali, a quelle in materia di polizia stradale, di polizia forestale, delle acque, dei pesi e misure. In materia finanziaria le pene hanno conservato completamente il loro carattere di sanzioni amministrative: la sanzione penale, pur largamente comminata, opera in modo del tutto separato così da quella civile come da quella amministrativa: ciò risulta in modo chiaro, oltreché da numerose leggi speciali, da quella generale del 7 gennaio 1929, n. 4, sulla repressione delle trasgressioni finanziarie.
Rispetto ai doveri derivanti dai rapporti speciali di supremazia, la responsabilità amministrativa non viene mai sostituita dalla responsabilità penale e può essere con quest'ultima concorrente. In tali rapporti speciali versano i pubblici funzionarî e gl'impiegati, i militari, i membri di organi collegiali e gli appartenenti ad associazioni e corporazioni pubbliche; coloro che sono accolti in pubblici istituti, i concessionarî di pubblici servizî e i loro dipendenti. La responsabilità di tali persone verso l'amministrazione da cui dipende il corpo o l'istituto di cui fanno parte, assume la qualifica di responsabilità disciplinare. Per alcune categorie, come gl'impiegati, la legge prevede minutamente le trasgressioni e le relative pene: però, in questa materia non trova applicazione il principio, proprio del diritto penale, nulla poena sine lege, e qualunque violazione dei doveri inerenti a un rapporto speciale può dar luogo a responsabilità. La pena è sempre applicata dall'autorità amministrativa, anche se questa in alcuni casi debba far precedere un giudizio, che si svolge davanti a particolari commissioni di disciplina: le decisioni di queste costituiscono solo un parere o una proposta, rivolti all'autorità cui spetta provvedere.
La responsabilità amministrativa è regolata da alcuni principî generali, diversi da quelli della responsabilità penale. 1. A essa sono sottoposti, oltre le persone fisiche, anche le società e gli enti morali. 2. Come elemento intenzionale non sono richiesti né il dolo né la colpa, ma è sufficiente la volontarietà dell'atto. 3. Le circostanze, che possono aggravare o diminuire la responsabilità, non sono determinate e valutate dal diritto, ma rimesse al libero apprezzamento delle autorità. 4. Il csncorso di più persone nella stessa trasgressione, salvo casi particolari, le rende responsabili solidalmente e soggette a un'unica sanzione. 5. La pena pecuniaria, in caso d'insolvenza, non si converte in pena detentiva. 6. La medesima, quando sia stata applicata con atto amministrativo, costituisce un debito trasmissibile eventualmente agli eredi. 7. I decreti di amnistia e d'indulto non si estendono alle sanzioni amministrative, salvo il caso che queste vengano espressamente contemplate: il condono delle medesime ha il carattere di una vera rinunzia dell'amministrazione all'esercizio di un diritto e perciò può essere compiuto anche da autorità diverse dal capo dello stato, eui sono riservati gli atti di clemenza in materia penale.
Bibl.: J. Goldschmidt, Das Verwaltungsstrafrecht, Berlino 1902; id., Deliktsobligationen des Verwaltungsrechts, ivi 1905; L. Raggi, Svolgimento del diritto penale amministrativo, in Filangieri, XXXIII (1907); S. Longhi, Sul così detto diritto penale amministrativo, in Riv. di dir. pubbl., III (1911); C. Vitta, Il potere disciplinare sugli impiegati pubblici, Milano 1913; R. Kukula, Der Verwaltungszwang: eine kritische Studie des sogenannten Verwaltungsstrafrechts, Vienna 1918; G. Zanobini, Le sanzioni amministrative, Torino 1924; G. Battaglini, La pena in rapporto alle sanzioni civili ed amministrative, in Riv. di dir. pubbl., XVI (1924); S. Romano, Corso di dir. amm., 2ª ed., Padova 1932, p. 320 segg.
Responsabilità ministeriale.
La responsabilità dei ministri è sancita in tutte le costituzioni moderne. Nella costituzione italiana essa è affermata in generale dall'art. 67 dello statuto. A singoli suoi aspetti si riferiscono gli articoli 36 e 47 dello stesso statuto e l'art. 2 della legge 24 dicembre 1925, n. 2263.
Come figura specifica di responsabilità costituzionale, la responsabilità ministeriale si connette agli atti positivi o negativi compiuti dai ministri nell'esercizio del proprio ufficio e pertanto si contrappone alla responsabilità comune dei ministri in quanto persone private. Essa può derivare in concreto da tre ordini di atti. Anzitutto, essa consegue dagli atti compiuti dai ministri nell'esercizio delle proprie competenze singole o collegiali, distinguendosi nelle due ipotesi la responsabilità individuale da quella collettiva. In secondo luogo, è determinata dagli atti emanati dalla corona nell'esercizio delle sue competenze, ai quali i ministri collaborano con la proposta e la controfirma (art. 67 stat. e art. 8 e 10 r. decr. 14 novembre 1901, n. 466). Finalmente discende dagli atti compiuti dagli organi dipendenti, che il ministro ha il compito di dirigere e controllare.
In relazione alla natura dell'infrazione che la determina e al carattere della sanzione conseguente, la responsabilità ministeriale si distingue in tre specie: politica, civile e penale. Si ha la responsabilità politica, quando un atto del ministro, pur non violando il diritto vigente, si dimostra contrario all'interesse dello stato; sua sanzione è la perdita dell'ufficio da parte del ministro (art. 2 legge 24 dicembre 1925). Invece la responsabilità civile, che si fonda sul principio generale della colpa aquiliana (art. 1151 cod. civ.), ha luogo quando il ministro commette colposamente un atto illegittimo, che rechi danno allo stato o ai privati. Sanzione di essa è il risarcimento del danno. Finalmente sorge la responsabilità penale, quando l'atto del ministro costituisca un reato ai sensi della legge penale, e la sanzione è in tal caso la pena stabilita dalla legge medesima.
Quanto all'attuazione della responsabilità, il procedimento è diverso per le tre specie di essa. Riguardo alla responsabilità politica, nel regime parlamentare già vigente, il giudizio sulla responsabilità spettava alla camera dei deputati, che lo esprimeva col voto di sfiducia, mentre l'applicazione della sanzione era affidata al re con l'accettazione delle dimissioni dei ministri o altrimenti con la loro revoca. Nella nuova forma di governo introdotta con la legge 24 dicembre 1925, il giudizio sulla responsabilità spetta al re per il primo ministro e al primo ministro per gli altri ministri, laddove è attribuita ugualmente al re per l'uno e per gli altri l'applicazione della sanzione.
Per la responsabilità civile, il giudizio e l'applicazione della sanzione sono di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria, su azione promossa dallo stato, oppure dal privato, a seconda che l'uno o l'altro abbia sofferto il danno.
Quanto alla responsabilità penale, l'azione spetta alla camera dei deputati (art. 47 stat.) e il giudizio è attribuito al senato, costituito in alta corte di giustizia (art. 36 stat.). È però controverso se tali competenze della camera dei deputati e del senato siano semplicemente concorrenti con le corrispondenti competenze delle autorità giudiziarie ordinarie, oppure siano esclusive: sembra più fondata questa seconda opinione.
Data l'istituzione di una giurisdizione speciale costituzionale per la responsabilità penale dei ministri e la frequente difficoltà di stabilire in concreto se un reato compiuto dalla persona del ministro debba qualificarsi reato ministeriale oppure reato comune, possono sorgere conflitti fra la giurisdizione speciale e la giurisdizione ordinaria. Tali conflitti possono essere positivi o negativi, secondo che le due giurisdizioni si ritengono entrambe competenti a giudicare di un reato compiuto da un ministro oppure entrambe incompetenti. Per la loro risoluzione valgono i principî seguenti, che s'informano al criterio della prevalenza della giurisdizione speciale costituzionale su quella ordinaria. Se l'autorità ordinaria, ritenendosi competente, inizia il procedimento contro un ministro e in pendenza del medesimo la camera dei deputati traduce questo dinnanzi al senato, l'autorità ordinaria deve sospendere il procedimento e attendere la decisione del senato sulla propria competenza. Se l'autorità ordinaria abbia già concluso il giudizio con la sentenza, quando la camera dei deputati traduce il ministro dinnanzi al senato, e il senato, affermando la propria competenza, giunga a sua volta alla pronuncia di una sentenza, fra le due sentenze prevale e ha esecuzione quella del senato. Qualora il senato, investito del giudizio di un ministro prima dell'autorità ordinaria, dichiari la propria incompetenza, l'autorità ordinaria rimane vincolata a riconoscere la propria competenza e a procedere al giudizio. Se, invece, l'autorità ordinaria abbia già dichiarato la sua incompetenza, quando il senato dichiara a sua volta l'incompetenza propria, tale conflitto non può essere eliminato.
Sull'irresponsabilità degli altri organi costituzionali, v. camera dei deputati; corona; consiglio: Il gran consiglio; immunità; privilegio: Diritto pubblico; re; senato.
Bibl.: Per l'ampia letteratura meno recente, vedi Fr. Racioppi e I. Brunelli, Commento allo statuto del regno, Torino 1909, III, pp. 793 e 798. In seguito, cfr. G. Arangio-Ruiz, Istituzioni di diritto costituzionale italiano, Torino 1913, pagine 600 segg. e 651 segg.; S. Romano, Corso di diritto costituzionale, 4ª ed., Padova 1933, p. 194 segg.; O. Ranelletti, istituzioni di diritto pubblico, 4ª ed., ivi 1934, p. 188 segg.
Responsabilità della pubblica amministrazione.
Non è mai responsabilità di diritto penale, la quale presuppone un soggetto dotato di coscienza e volontà proprie, ma, secondo i casi possibili, di diritto privato o amministrativo. Posta questa avvertenza, soggiungiamo:
1. Che la responsabilità della pubblica amministrazione, quanto alla riferibilità dell'atto da cui discende, può farsi consistere o nel fatto proprio della pubblica amministrazione, operante attraverso i suoi organi (responsabilità diretta), o nel fatto proprio dei suoi dipendenti, di cui essa sotto date condizioni debba rispondere (responsabilità indiretta). Mentre, secondo alcuni, la responsabilità della pubblica amministrazione è sempre e soltanto indiretta, secondo altri di responsabilità indiretta si può parlare nei soli casi in cui il fatto che dà luogo a responsabilità non deriva da un organo della pubblica amministrazione.
2. Che la pubblica amministrazione può esser tenuta a risarcire anche i danni prodotti nell'esercizio e per effetto di attività lecita. Onde, dal punto di vista della conformità del fatto al diritto obiettivo, si distingue una responsabilità per fatti leciti da una responsabilità per fatti illeciti.
3. Che, secondo la natura delle norme in base alle quali si determina la responsabilità, questa può essere privata o amministrativa.
Responsabilità per fatti leciti (diretta e di diritto pubblico). - Questa forma di responsabilità, sconosciuta in via di massima nei rapporti fra privati (v. però articoli 544 e 578 cod. civ.), suppone un conflitto fra un potere della pubblica amministrazione e un diritto soggettivo del singolo, che la legge risolve in favore della prima; e consiste nell'obbligo di corrispondere l'equivalente pecuniario del diritto leso. Esiste, dunque, un principio generale, secondo il quale ogni voita che l'amministrazione, nel pubblico interesse, impone un sacrificio particolare al diritto patrimoniale del cittadino, estinguendolo o limitandolo, è tenuta a risarcirlo. Nella determinazione dell'indennità si computano gli eventuali vantaggi derivanti dalla costruzione di un'opera di pubblica utilità, se il danno è da questa occasionato. Le leggi offrono numerosi esempî di questo istituto, da quelli dell'espropriazione per pubblica utilità (statuto, art. 29; cod. civ., art. 438; legge 25 giugno 1865, n. 2359), della requisizione (testo unico 31 gennaio 1926, n. 452; r. decr. 13 gennaio 1927, n. 374), delle somministrazioni d'urgenza in caso di piene, inondazioni, rottura di argini, ecc. (art. 62 testo unico 25 luglio 1904, n. 523), a quelli delle occupazioni d'urgenza (articoli 71 e 76 della cit. legge sull'espropriazione per pubblica utilità), delle occupazioni di proprietà particolari per provvedere a servizî sanitarî (art. 353 testo unico 27 luglio 1934, n. 1265), di distruzione di animali colpiti da malattie infettive (art. 265 testo unico delle leggi sanitarie ora cit.). Le condizioni, date le quali si fa luogo alla responsabilità per fatti leciti, sono: 1. che il sacrificio sia individuale. Quando le misure adottate colpiscono una serie indeterminata di persone, non v'è obbligo d'indennità, tranne diversa disposizione; 2. che oggetto del danno sia un diritto soggettivo patrimoniale. I semplici interessi, gl'interessi legittimi, i diritti condizionati al pubblico interesse, non sono risarcibili. Non v'è obbligo d'indennizzo, altresì, quando il diritto in sé non ha contenuto patrimoniale (arresto di persona non colpevole); 3. che a determinare il provvedimento della pubblica amministrazione non abbia concorso la condotta antigiuridica del privato. Altri autori aggiungono la gravità del sacrificio imposto.
Le disposizioni, con cui la legge esclude l'obbligo del risarcimento, debbono ritenersi eccezionali: tali, ad es., quella dell'art. 6 della legge di pubblica sicurezza (non è dovuto alcun indennizzo per i provvedimenti adottati dalle autorità di pubblica sicurezza nell'esercizio delle facoltà a esse attribuite dalla legge"), quella dell'art. 4 della legge 20 dicembre 1932, n. 1849, sulle servitù militari.
Responsabilità per fatti illeciti. - A differenza di quella ora esaminata, la responsabilità per fatti illeciti può aversi sia nell'esercizio di attività privata, sia nell'esercizio di attività amministrativa propriameme detta. Si distingue in contrattuale, per violazione di un obbligo particolare preesistente, ed extracontrattuale, quando si contravviene al precetto fondamentale di non arrecare danno ad altri. Se la responsabilità privata, sottoposta nel suo insieme ai principî del diritto privato, non è argomento di contrasto, a gravi questioni, invece, non ancora sopite, ha dato luogo la responsabilità nei rapporti amministrativi, specialmente la responsabilità extracontrattuale, a cui la pratica offre maggiori occasioni. Le divergenze si manifestano circa la sua ammissibilità: perché da alcuni si è negata totalmente una responsabilità della pubblica amministrazione, da altri parzialmente, limitandola agli atti di gestione o all'attività sociale; circa il modo d'intenderla e di disciplinarla: perché, se in tempi recenti ci si è messi sulla via per costruire un proprio fondamento a questa responsabilità, cioè su principî di diritto pubblico, non è del tutto smessa l'idea di poter adattare ad essa concezioni privatistiche. È da osservare, comunque, che l'irresponsabilità totale o parziale, nel senso suddetto, della pubblica amministrazione contraddice ai principî generali e a norme testuali, né v'è stato, si può dire, che l'abbia accolta assolutamente (così la Francia, la Germania, l'Inghilterra). Anche l'amministrazione può venir meno al suo compito, cagionando danni alle persone e ai beni; gli articoli 2 e 4 della legge sul contenzioso amministrativo 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, e l'art. 26 del testo unico sul Consiglio di stato 26 giugno 1924, n. 1054, stanno a dimostrare nel modo più chiaro questa eventualità, senza che il legislatore distingua fra attività pubblica e privata, d'impero e di gestione, giuridica e sociale: la stessa responsabilità per fatti leciti, una volta riconosciuta, è una prova in più contro l'assunto dell'irresponsabilità, che nell'ordinamento italiano è sancita soltanto per la legislazione e la giurisdizione. Fondandosi su una diffusa interpretazione dell'art. 1153, al. 3° del cod. civ., si è voluto obiettare che all'amministrazione non si può fare carico di una presunta colpa in eligendo o in vigilando, di cui la sua organizzazione, con le ampie garanzie in ordine alla scelta e al controllo dei funzionarî, non offre alcuna traccia. Il rilievo è esatto, ma fuori luogo, sia perché l'art. 1153, al. 3°, va inteso più modernamente come affermazione del principio della responsabilità oggettiva (o senza colpa: i danni di un'attività debbono risalire a colui che ne ritrae vantaggio), sia perché l'articolo 1153, al. 3°, comunque interpretato, non è invocato a proposito: il rapporto fra amministrazione e funzionario si atteggia diversamente che il rapporto fra committente e commesso, l'attività dell'organo dovendo ritenersi, a meno che non si verifichino certi presupposti, direttamente e immediatamente attività dello stato. In conclusione, i principî applicabili alla responsabilità per fatti illeciti, lungi dal rinvenirsi nell'art. 1153 cod. civ. per la responsabilità aquiliana e nell'art. 1225 cod. civ. per la responsabilità contrattuale, sono quelli stessi degli articoli 1151 e 1218 del cod. civ. che hanno valore di principî comuni al diritto privato e al diritto pubblico.
a) Responsabilità diretta. - Lo stato risponde del fatto illecito, se e in quanto gli si possa direttamente riferire. Ciò avviene quando il fatto è posto in essere da un organo della pubblica amministrazione, nell'esercizio di una potestà o di un diritto a questa appartenente: requisito, questo, altrimenti espresso col dire che il fatto non deve essere personale del funzionario. Perché il danno avvenga si deve trattare di un fatto materiale - non perciò di una semplice dichiarazione -, che nella responsabilità contrattuale può essere positivo o negativo, nella responsabilità extracontrattuale è sempre positivo (l'omessa o cattiva manutenzione di strade non è che attività malamente svolta). È parimenti necessaria la illiceità del fatto, indagine quanto mai delicata e circondata di gravi limitazioni: né i tribunali ordinarî, né i tribunali amministrativi potranno entrare in apprezzamenti di merito, eccettuato, per questi ultimi, il caso in cui giudichino anche dell'opportunità e convenienza dell'azione amministrativa. All'autorità giudiziaria, poi, è interdetto qualunque sindacato, anche di legittimità, sull'uso dei poteri discrezionali da parte della pubblica amministrazione. Una volta stabilita la illiceità del fatto, la responsabilità è affermata in base al solo nesso di causalità fra l'evento e il danno, senza che occorra provare la colpevolezza della pubblica amministrazione. A questa opinione inducono non tanto difficoltà pratiche (come la ricerca della colpa nel concorso diretto e indiretto di più funzionarî al fatto), quanto la impossibilità per il giudice di eseguire degli apprezzamenti sul modo con cui si è amministrato (discrezionalità tecnica). La necessità di conformare la propria condotta a quella del buon padre di famiglia è concepita nel diritto privato essenzialmente come stimolo alla diligenza del singolo, e di questo stimolo non v'è certo bisogno per la pubblica amministrazione. Ne viene che la responsabilità per fatti illeciti della pubblica amministrazione è per un verso più ristretta dell'ordinaria responsabilità di diritto privato, perché è meno libero l'esame sull'illiceità del fatto, e per l'altro più estesa, in quanto prescinde dall'elemento della colpa.
b) Responsabilità indiretta. - Questa si ha nei casi in cui il fatto dannoso, derivando da chi non è organo dello stato, o nel senso che egli non agiva in quel momento in tale veste - fatto personale - o nell'altro che non è legato allo stato da un rapporto organico, l'amministrazione è tenuta egualmente a risarcirlo. Un esempio della prima ipotesi si ha nell'art. 1588 cod. civ., che obbliga il conduttore per i deterioramenti e le perdite cagionate da persone della sua famiglia o dai suoi subconduttori; della seconda nel rapporto fra lo stato e una persona che, agendo non come suo organo ma come suo ausiliario, possa ritenersi nella condizione di commesso a committente, secondo l'art. 1153, al. 30, del cod. civ. Quando si tratti di vero organo dello stato e il fatto illecito non rientri nel novero dei fatti personali del funzionario, trova applicazione, come si è visto, la responsabilità diretta.
Bibl.: Molto vasta: ci limitiamo a segnalare: V. E. Orlando, Saggio su una teoria sul fondamento della responsabilità civile a proposito della responsabilità dello stato, in Arch. di dir. pubblico, 1894; G. Vacchelli, La responsabilità civile della pubblica amministrazione e il diritto comune, Milano 1902; A. Rocco, La riparazione alle vittime degli errori giudiziarî, in Rivista penale, 1902; id., La reponsabilità dello stato nel diritto processuale penale, ivi 1904; S. Romano, Responsabilità dello stato e riparazione delle vittime degli errori giudiziari, in La Legge, 1903, p. 1435; U. Forti, La responsabilità in omittendo della pubbl. amm. in Giur. ital., I, i, p. 1037; G. Salemi, La cosiddetta responsabilità per atti legittimi della pubbl. amm., Milano 1912; A. Codacci-Pisanelli, Sulla risarcibilità dei danni derivanti da atti amministrativi, in Giur. ital., IV, p. 55; C. Vitta, Nuovi cenni sulla responsabilità della pubbl. amm. per atti illeciti, in Giur. ital., IV, p. i; L. Michoud, La responsabilité de L'État à raison des fautes de ses agents, in Revue de droit public, I, p. 401; II, p. i; P. Tirard, De la responsabilité de la puissance publique, Parigi 1906; G. Teissier, De la respons. de la puissance publique, ivi 1906; R. Marq, Respons. de la puissance publ., Parigi 1911; P. Duez, Le dével. jurispr. de la respons. de la puissance publ., in Revue crit. de législ., 1925, p. 588; id., La respons. de la puissance publ. (en dehors du contrat), Parigi 1927; E. Loening, Die Haftung des Staates aus rechtwidrigen Handlungen seiner Beamten, Tubinga 1875: G. Anschütz, Der Ersatzanspruch aus Vermögensbeschädigungen durch rechtsmässige Handhabung der Staatsgewalt, Berlino 1897; O. Mayer, Die Entschädigungspflicht d. Staates nach Billigkeitsrecht, Dresda 1904; id., Die Haftung des Staates für rechtswidrigen Amtshandlungen, in Sächs. Archiv für Rechtspflege, 1913; F. Fleiner, Öffentlich-rechtliche Vorteilsausgleichung in Festgabe der jurist. Facultät der Univ. Basel zum 70. Geburtst. v. A. Heusler, Basilea 1904; W. Kröner, Die Beamtenhaftpflicht im Reiche u. in den Budndesstaaten, 1911.