DE RISO, Riccardo
Nacque a Messina nella prima metà del sec. XIV; fratello di Matteo e di Nicoloso, appartenne ad una delle famiglie più influenti della città. Comitus, cioècomandante di una galea regia nel 1270 insieme con Leone de Murtellitis, il D. risulta essere, nell'autunno dello stesso anno, collettore delle imposte regie nel territorio di Messina e nel giustizierato di Calabria (Registri della Cancelleria angioina, V, doc. 214, p. 48; VI, doc. 85, p. 28, e doc. 148, p. 42).
In quel periodo il bisogno di denaro assillava Carlo d'Angiò con urgenza improrogabile. Il re conduceva infatti una campagna militare sulle coste africane, per la cui buona riuscita aveva mobilitato tutte le risorse umane e finanziarie dello Stato e nella quale erano impegnati con specifiche competenze anche i fratelli Matteo e Nicoloso. Si spiegano così le calorose sollecitazioni di cui il D. e il clericus Giovanni Nigro, collettore insieme con lui, risultano destinatari. Valga per tutte la lettera che il sovrano angioino inviava da Cartagine il 24 sett. 1270, con la quale richiedeva l'immediato trasferimento presso di lui di tutte le somme raccolte sia a Messina sia in altri luoghi del Regno perché, lamentava, "defectuni tani pecunie quam victualium in remotis partibus ad presens patimur" (ibid., VI, doc. 85, p. 28).
Ancora coinvolto nelle imprese angioine in terra d'Africa appare il D. l'anno successivo, allorché, seguendo da vicino le orme del fratello Matteo, aveva assunto la carica di protontino di Messina, magistrato cui atteneva la soluzione di problemi marittimi e navali (ibid., VI, doc. 1766, p. 332). In tale veste riceveva l'8 sett. 1271 l'incarico di inviare a Tunisi un certo numero di galee corredate dei simboli della vittoria, cioè di gonfaloni, pennoni e di un vessillo rosso che costituiva certamente il più chiaro emblema del successo conseguito (ibid., VII, doc. 41, p. 178).
Nel 1275, già miles, il D. ampliava territorialmente le competenze dell'ufficio che esercitava diventando protontino di Sicilia e di Calabria, incarico che avrebbe mantenuto per diversi anni e che lo avrebbe visto impegnato sia in attività di carattere strettamente logistico, come il pagamento delle ciurme o l'approvvigionamento alimentare delle galee della Curia (ibid., XIII, doc. 444, p. 157), sia in operazioni di protezione delle coste siciliane esposte alle aggressioni dei pirati. Nel 1276 gli veniva comandato di vigilare sul litorale compreso fra Palermo e Trapani fino a Pantelleria e nel 1278, nel contesto dei noti contrasti tra Carlo d'Angiò e Michele Paleologo, ebbe il compito di difendere l'isola dagli attacchi di navi greche provenienti dai porti della Romania (ibid., XVI, doc. 440, p. 140; XIX, doc. 82, p. 21).
Poco sappiamo della vita privata del De Riso. Nel 1276 faceva da testimone, insieme con il giudice Nicola de Maniscalco e con il notaio Pietro de Pacifico, alla stipulazione delle nozze tra Magalda, figlia del giudice Pellegrino de Maraldo, e Giovanni di Sicaminò, signore di due casali in territorio di Milazzo (ibid., XIII, doc. 422, p. 139). La contemporanea partecipazione del D. e di alcuni rappresentanti della ricca borghesia messinese alla definizione di un contratto, il cui fine principale era certamente quello di consolidare vantaggiosi rapporti di parentela, fornisce una prova ulteriore della sottile rete che univa elementi di sicuro prestigio e di indiscussa abilità. Questi legami tuttavia non avrebbero impedito che lo stesso giudice Pellegrino de Maraldo fosse, di lì a qualche anno, antagonista di Matteo De Riso in una spregiudicata operazione finanziaria per l'accaparramento di due fra le più remunerative gabelle della Curia siciliana.
La rapida e inattesa esplosione della rivolta del Vespro permise ai De Riso di dare al sovrano prove di inoppugnabile fedeltà: in particolare il D. venne inviato al comando di sette galee messinesi "in obsidionem Panormitanae urbis", cioè a stringere d'assedio Palermo, città da dove, come è noto, il 31 marzo 1282 aveva preso il via la sollevazione contro gli Angioini (Bartolomeo da Neocastro, Historia, p. 13). A parte questa, nessuna altra notizia ci è pervenuta sulla sua diretta partecipazione ai fatti del Vespro, almeno fino a quando lo scontro tra rivoltosi e forze regie rimase confinato in territorio isolano certo comunque che egli, superata indenne la prima fase della rivolta, fu costretto ad abbandonare Messina e la Sicilia e a seguire Carlo d'Angiò nel suo progressivo ritirarsi nelle regioni dell'Italia meridionale.
Condannato per fellonia e alto tradimento da Pietro d'Aragona e privato di tutti i suoi beni, che vennero confiscati e devoluti alla Curia (De rebus, doc. CCXCVII, p. 242 e doc. DLVII, p. 507), ritroviamo il D. nel 1283 in Calabria, e precisamente a Nicotera, nel cui arsenale sembra venissero inviate le navi della flotta angioina danneggiate negli scontri con la flotta aragonese. Egli era incaricato insieme con Gerardo de Nicotera di provvedere alla rapida riparazione delle imbarcazioni sinistrate e all'armamento di nuove galee (Registri d. Cancelleria Angioina, XXVI, doc. 431 p. 168). Le navi dovevano essere in grado infatti di riprendere il mare nel più breve tempo possibile, perché, come scriveva Carlo d'Angiò, bisognava combattere in qualsiasi modo i ribelli "et contra eos virtutis nostre potentiam exercere" (ibid., doc. 22, p. 49). La guerra, che divampava intanto furiosamente, aveva come precipuo teatro di battaglia la Campania meridionale e il mare prospiciente.
Nel giugno 1284, nel corso di un furioso combattimento avvenuto al largo delle coste napoletane tra forze angioine e una flotta di galee messinesi comandata dall'ammiraglio Ruggiero di Lauria, il D. venne preso prigioniero dai suoi concittadini e decapitato, perché, scrive Bartolomeo da Neocastro, "cum hostibus fuerat", era rimasto fedele cioè a coloro che erano ormai considerati acerrimi nemici (Historia, p. 57).
Fonti e Bibl.: Bartolomeo da Neocastro, Historia Sicula (1250-1293), in Rer. Ital. Script., 2 ediz., a cura di G. Paladino, pp. 13, 57; De rebus Regni Siciliae (9 sett. 1282-26 ag. 1283). Documenti inediti estratti dall'Archivio della Corona d'Aragona, a cura di G. Silvestri, in Docc. per serv. alla storia di Sicilia, s. 1, V, Palermo 1882-1892, ad Indicem; Appendice, ad Indicem; Registri della Cancelleria angioina, a cura di R. Filangieri, Napoli 1950-1974, ad Indicem; C. Minieri Riccio, Elenco degli uffiziali governativi del Reame di Sicilia e delle diverse città rette da Carlo I d'Angiò, Napoli 1875, pp. 22, 31; G. Romano, Messina nel Vespro siciliano e nelle relazioni siculo-angioine dei secoli XIII e XIV fino all'anno 1372, in Atti della R. Acc. Peloritana, XIV (1899-1900), p. 226;E. Sicardi, Introduzione a Due cronache del Vespro in volgare siciliano del secolo XIII, in Rer. Ital. Script., XXXIV [1935], pp. XXII, CXLIX; P. Pieri, La storia di Messina nello sviluppo della sua vita comunale, Messina 1939, pp. 103, 107; E. Pontieri, Ricerche sulla crisi della monarchia sicil. nel secolo XIII, Napoli 1950, pp. 189, 198, 259 s.; M. Amari, La guerra del Vespro siciliano, a cura di F. Giunta, Palermo 1969, I, pp. 189, 192, 200, 298, 329, 332;J. Zurita, Anales de Aragón, a cura di A. Canellas Lopez, Zaragoza 1977, II, p. 67; C. Martino, La Valle di Milazzo fra età angioina e aragonese (Appunti e problemi di topografia e storia dell'insediamento), in Medioevo. Saggi e rassegne, IV (1978), pp. 41, 56; I. Peri, Uomini, città e campagne in Sicilia dall'XI al XIII secolo, Bari 1978, p. 270; E. Pispisa, Messina nel Trecento. Politica, economia, società, Messina 1980, pp. 24-27, 30, 69; S. Tramontana, La Sicilia dall'insediamento normanno al Vespro (1061-1282), in Storia della Sicilia, III, Napoli 1980, p. 288.