Riproduzione: tecniche di inseminazione artificiale
Sommario: 1. Introduzione. 2. Il controllo endocrino della riproduzione. 3. La produzione dei gameti. 4. Coito e fecondazione. 5. L'inseminazione artificiale. 6. L'inseminazione in vitro. 7. La micromanipolazione. 8. Le tecnologie future. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Nell'ultimo decennio l'interesse per la biologia della riproduzione si è notevolmente accresciuto, in parte grazie ai successi ottenuti nell'applicazione delle colture gametiche ed embrionali alle pratiche mediche, veterinarie e biotecnologiche e in parte a causa delle pressanti esigenze della società attuale. Nella scienza medica le tecnologie della riproduzione assistita (Assisted Reproductive Technologies, ART) sono state messe a punto soprattutto per porre rimedio alla sterilità, mentre nella zootecnia il crescente fabbisogno alimentare di una popolazione mondiale in piena espansione ha stimolato la ricerca di metodi per incrementare la produzione e l'efficienza riproduttiva del bestiame. In tutti gli animali la capacità riproduttiva è limitata dagli insuccessi che si verificano al momento della fecondazione e nei primi stadi dello sviluppo embrionale: la ricerca clinica e la ricerca di base sono essenziali per ridurre tali insuccessi.
In natura, un'efficiente riproduzione si basa sulla sincronizzazione del comportamento degli animali, della fisiologia dei loro organi riproduttivi e dell'interazione dei gameti maschili e femminili; nella riproduzione assistita il principio fondamentale della sincronizzazione deve essere rispettato, a prescindere dalla tecnica usata e dalla specie trattata.
La più antica applicazione documentata di una tecnica di riproduzione assistita risale al 1783, quando il fisiologo italiano Lazzaro Spallanzani inseminò artificialmente una cagna ottenendo una cucciolata; ma fu solo intorno al 1900 che il russo I. I. Ivanov e la sua scuola misero a punto vagine artificiali e tecniche di inseminazione per equini, bovini e ovini. La grande potenzialità dell'inseminazione artificiale negli animali da allevamento dipende dal fatto che l'eiaculato maschile contiene diversi milioni di spermatozoi, sufficienti, in teoria, a fecondare centinaia di femmine. Un decisivo passo avanti in questa direzione fu compiuto verso la fine degli anni quaranta, quando, a Cambridge (Inghilterra), il gruppo di ricercatori diretto da Chris Polge sviluppò tecniche di congelamento e di conservazione di spermatozoi animali. Quasi contemporaneamente furono messi a punto i metodi per isolare e manipolare i gameti femminili: il primo esperimento di maturazione in vitro degli oociti risale infatti a oltre mezzo secolo fa, allorché si osservò che l'oocita primario del coniglio riattiva spontaneamente la meiosi quando viene liberato dal suo follicolo e posto in un idoneo mezzo di coltura. Tuttavia solo nel 1968 Joe Sreenan, in Irlanda, osservò la maturazione nucleare in vitro negli oociti bovini che erano stati recuperati dal bestiame da macello.
Gli esperimenti sugli animali generalmente precedono gli studi sugli esseri umani; ciò non è sempre accaduto nel campo della biologia della riproduzione, dove molte nuove tecniche e molte scoperte determinanti sono state realizzate usando gameti umani.
Il primo bambino ‛concepito' in vitro è nato nel 1978; attualmente gli individui IVF (In Vitro Fertilized) sono circa 200.000 in tutto il mondo. La ricerca nel campo della riproduzione umana procede a grandi passi: dall'uso di embrioni congelati, nei primi anni ottanta, si è passati alla selezione in base al sesso degli embrioni e alla microiniezione di spermatozoi in caso di oligospermia, all'inizio di questo decennio.
2. Il controllo endocrino della riproduzione
Il fatto che, nel maschio, l'eccitamento sessuale, l'erezione e l'eiaculazione siano fenomeni posti sotto il controllo cerebrale risulta ovvio; quel che appare meno ovvio è che anche i cicli ovarico e testicolare siano coordinati a livello centrale. Per molti anni dopo la scoperta degli ormoni gonadotropi ipofisari - l'ormone follicolo-stimolante (Follicle Stimulating Hormone, FSH) e l'ormone luteinizzante (Luteinizing Hormone, LH) -, l'ipofisi anteriore, o adenoipofisi, fu considerata un organo autonomo, finché esperimenti su animali in cui erano state indotte lesioni nell'ipotalamo dimostrarono in modo chiaro come il sistema nervoso mediasse i processi riproduttivi. L'ipotalamo - una piccola parte del cervello limitata anteriormente dalla lamina terminale telencefalica, e posteriormente dal mesencefalo - controlla i cicli sessuali, la crescita, la gravidanza, l'allattamento e varie altre reazioni basali ed emotive (v. endocrinologia, vol. X). Nonostante le sue piccole dimensioni, l'ipotalamo è una struttura estremamente complessa. Ogni funzione è associata a una o più aree dell'ipotalamo, costituite da aggregazioni di neuroni denominate ‛nuclei ipotalamici'. Diversamente da ogni altra regione del cervello, l'ipotalamo non solo riceve segnali sensoriali da tutte le diverse parti del sistema nervoso centrale, ma invia anche impulsi nervosi a numerose ghiandole endocrine e alle reti che governano l'attività della muscolatura scheletrica, cardiaca e liscia.
Nel contesto della riproduzione, vari gruppi di nuclei ipotalamici sono collegati alla sottostante ghiandola pituitaria (o ipofisi) mediante connessioni neurali e vascolari. L'ormone liberante l'ormone gonadotropo (Gonadotrophin Releasing Hormone, GnRH) è il prodotto neurosecretorio di neuroni ipotalamici e viene trasportato all'adenoipofisi attraverso vasi portali. L'ormone GnRH - un decapeptide con struttura piro-Glu-His-Trp-Ser-Tyr-Gly-Leu-Arg-Pro-Gly-NH2 - è il principale mediatore della riproduzione da parte del sistema nervoso centrale, e ogni difetto nella sua sintesi, nel suo immagazzinamento, nel suo rilascio o nella sua azione indurrà un'inibizione parziale o completa della funzione gonadica; esso viene secreto in modo pulsante e si lega ai recettori specifici presenti sulla membrana plasmatica delle cellule basofile ipofisarie secernenti gonadotropine (o cellule gonadotrope) per attivare il sistema di trasduzione del segnale, che usa l'inositolo-trifosfato come secondo messaggero intracellulare. Tale segnale induce il movimento dei granuli secretori verso la membrana plasmatica e infine la secrezione pulsante di LH e FSH. L'esposizione continua a GnRH o a un suo analogo produce l'occupazione stabile del sito di legame del recettore, il disaccoppiamento del recettore stesso dal suo sistema di trasduzione del segnale e infine la riduzione della secrezione di LH e FSH. In sintesi, alterazioni nel rilascio di GnRH, LH e FSH possono essere prodotte dalla modificazione dell'ampiezza o della frequenza di secrezione del GnRH stesso, o mediante la modulazione della risposta delle cellule gonadotrope.
Nelle femmine dei Primati, la produzione di gonadotropine è regolata dall'ovario. Modesti livelli circolatori di estradiolo esercitano un controllo a retroazione negativa sulla produzione di LH e di FSH, mentre, se presente a livelli stabilmente elevati, l'estradiolo esercita un controllo retroattivo positivo. Alti livelli plasmatici di progesterone amplificano gli effetti retroattivi negativi dell'estradiolo e mantengono la secrezione di FSH e di LH a un livello modesto. La secrezione di FSH, ma non di LH, è regolata anche da molecole non steroidee, proteiche, ad alto peso molecolare (circa 30.000), denominate ‛inibine' e rinvenute nel liquido follicolare. L'inibina è presente a livelli elevati nel plasma nella tarda fase follicolare delle donne fertili, ma è poco concentrata nelle donne subfertili.
I meccanismi neuroendocrini che regolano la funzione testicolare sono fondamentalmente simili a quelli che regolano l'attività ovarica. L'unità ipotalamo-ipofisaria nel maschio è responsabile della secrezione di gonadotropine che modulano le attività endocrina e spermatogenica del testicolo e sono esse stesse soggette a regolazione retroattiva. Una delle maggiori differenze tra il maschio e la femmina consiste nel fatto che il processo di produzione dei gameti e degli ormoni steroidei, dopo la pubertà, nel maschio è continuo, mentre nella femmina è ciclico. Un riflesso diretto di ciò è l'assenza di regolazione retroattiva positiva dei prodotti testicolari sul rilascio di gonadotropina. Nel maschio, LH stimola la produzione, da parte delle cellule di Leydig, di testosterone che regola a sua volta la secrezione di LH, riducendone la frequenza e l'ampiezza dei picchi. Sebbene meno chiaramente che nella femmina, anche nel maschio (in estratti testicolari) sono state rinvenute molecole simili all'inibina, che probabilmente svolgono un ruolo nella regolazione dell'FSH. Almeno nell'uomo, l'insuccesso della spermatogenesi è correlato con la presenza di elevati livelli di FSH nel siero, forse dovuti a una riduzione della secrezione di inibina da parte del testicolo.
3. La produzione dei gameti
Per comprendere i problemi associati alla fecondazione è necessario prima esaminare come vengano prodotti i gameti. I gameti sono cellule altamente specializzate: il gamete femminile, più grande, contiene elevate quantità di molecole informative, necessarie per garantire i primi stadi dell'embriogenesi; il gamete maschile possiede strutture specializzate che gli consentono di raggiungere, e quindi di attivare, l'oocita, altrimenti quiescente.
Nel maschio che ha raggiunto la pubertà, le cellule germinali - fino ad allora bloccate in interfase - iniziano a proliferare per mitosi, seguita dalla meiosi e da una graduale riorganizzazione dei componenti cellulari, caratterizzata da perdita di citoplasma. Si è calcolato che nel mammifero adulto vengono prodotti circa cinquecento spermatozoi al secondo per ogni grammo di testicolo. Le cellule staminali, o spermatogoni A0, si trovano nella parte basale dell'epitelio germinativo del tubulo seminifero. Da questa popolazione si sviluppano periodicamente spermatogoni A1 che vanno incontro a un numero fisso di divisioni mitotiche per formare un clone di cellule figlie. Esistono prove sperimentali a favore dell'ipotesi che uno dei cloni di cellule figlie possa fungere da centro secondario di espansione clonale (focus) di cellule staminali. Dopo l'ultima divisione mitotica hanno origine gli spermatociti primari che si spostano verso il compartimento luminale dell'epitelio ed entrano in meiosi; in seguito a due divisioni meiotiche si formano prima due spermatociti secondari figli e infine quattro spermatidi. Sebbene i nuclei degli spermatidi contengano serie aploidi di cromosomi, gli autosomi continuano a sintetizzare modeste quantità di RNA messaggero, RNA ribosomiale e proteine. Il DNA degli spermatidi diviene a questo punto altamente condensato ed è infine strettamente associato a protammine. La riorganizzazione citoplasmatica dà origine alla coda, alla parte centrale che contiene i mitocondri, all'acrosoma e al corpo residuo, in cui è confinato il citoplasma in eccesso; il modellamento dello spermatozoo è probabilmente regolato dalle cellule del Sertoli. Col procedere della spermatogenesi, completata nell'uomo in 64 giorni, le cellule sono sospinte verso il centro del lume tubulare con un ritmo di avanzamento costante e non condizionato da fattori esterni di tipo ormonale.
Nei Mammiferi, gli spermatozoi che lasciano il testicolo non sono in grado di fecondare gli oociti, ma acquistano questa capacità passando attraverso l'epididimo, in un processo denominato ‛maturazione epididimale'. Gli spermatozoi testicolari, anche se opportunamente trattati e posti in soluzione fisiologica, sono essenzialmente privi di motilità. La capacità di movimento è probabilmente regolata a livello della membrana plasmatica, poiché la sua rimozione e l'esposizione ad ATP, cAMP e Mg2+ induce la motilità. Si ritiene che il trasferimento dal liquido epididimale di carnitina e di una proteina responsabile del movimento in avanti sia importante per lo sviluppo della motilità dello spermatozoo. Poiché l'osmolalità e la composizione chimica del liquido epididimale variano da un segmento al successivo lungo l'epididimo, è probabile che la membrana plasmatica dello spermatozoo sia modificata passo dopo passo mentre percorre il condotto. La testa dello spermatozoo acquisisce quindi la capacità di aderire alla zona pellucida dell'oocita con un incremento della carica negativa netta. Durante la maturazione, lo spermatozoo consuma le riserve endogene di substrati metabolici, diventando dipendente dalle risorse esogene, come il fruttosio, e perde la goccia citoplasmatica. Quando lascia il testicolo lo spermatozoo è ricoperto da numerose macromolecole che, durante il passaggio attraverso l'epididimo, vengono perdute o modificate, mentre se ne aggiungono di nuove. Le più importanti fra queste molecole sono le glicoproteine, sintetizzate grazie all'azione di enzimi quali la galattotransferasi e la sialtransferasi. Le modificazioni della capacità di legare lectine, che la membrana plasmatica dello spermatozoo subisce durante la maturazione epididimale, sono un segnale delle alterazioni del residuo terminale saccaridico di queste glicoproteine. Anche i lipidi di membrana vengono modificati nella loro composizione fisica e chimica.
Nella femmina la fase di proliferazione mitotica termina prima della nascita e tutti gli oogoni entrano nella prima divisione meiotica, diventando oociti primari. Alla pubertà sono disponibili per l'attività riproduttiva circa 200.000 cellule germinali. Durante la prima profase meiotica gli oociti sono circondati da cellule mesenchimali ovariche a costituire i follicoli primordiali. Gli oociti si bloccano allo stadio di diplotene, con il grande nucleo caratteristico, chiamato ‛vescicola germinale'. Non è noto come questi oociti quiescenti restino vitali per una cinquantina d'anni (fino alla menopausa). Lo sviluppo di alcuni di questi follicoli primordiali ha luogo per la prima volta nella pubertà: il follicolo cresce da venti a parecchie centinaia di micron e l'oocita in esso contenuto da dieci a circa cento micron; la fase di accrescimento coinvolge essenzialmente la sintesi e l'immagazzinamento di grandi quantità di RNA, proteine e substrati metabolici. Durante la crescita, le circostanti cellule della membrana granulosa vanno incontro a divisione mitotica e nella regione compresa tra l'oocita e queste cellule viene secreto un rivestimento glicoproteico: la zona pellucida. Giunzioni comunicanti (gap junctions) tra l'oocita e le proiezioni citoplasmatiche delle cellule accessorie che penetrano nella zona pellucida permettono il trasferimento dei substrati e delle informazioni necessarie allo sviluppo. I pochi follicoli che hanno completato la loro fase di crescita sono chiamati ‛follicoli precavitari' o primari; molti vanno incontro ad atresia. Le gonadotropine circolanti inducono la conversione dei follicoli precavitari in follicoli cavitari o di Graaf. La fase precavitaria dura, nella donna, 8-12 giorni, durante i quali nel follicolo inizia ad accumularsi un liquido chiaro, il liquor folliculi, in cui è sospeso l'oocita con le circostanti cellule del cumulo ooforo. Durante questa fase di crescita il follicolo produce una quantità crescente di androgeni e di estrogeni. Una successiva ondata di LH induce un veloce ulteriore accumulo di liquido, il quale nella successiva fase preovulatoria, della durata di circa 36 ore, farà raggiungere al follicolo, che verrà poi ovulato, le sue dimensioni definitive, pari, nella donna, a 25 mm di diametro. Si ritiene che le fimbrie dell'ovidotto espellano quindi l'oocita nell'ampolla, dove avverrà l'ovulazione. In quest'ultimo stadio dell'ovogenesi la membrana nucleare si dissolve, la meiosi viene reiniziata e il primo globulo polare viene espulso: la cellula femminile è ora nella seconda metafase. Contemporaneamente ha inizio un processo di maturazione citoplasmatica, che comprende un decremento nella conduttanza di potassio, la depolarizzazione della membrana plasmatica e la migrazione dei granuli corticali verso la superficie dell'oocita (v. embriologia, vol. X).
4. Coito e fecondazione
Nei Mammiferi la fecondazione è interna e il gamete maschile deve quindi essere introdotto nel tratto genitale femminile durante il coito, che varia, nella durata, da minuti, nella specie umana, a ore, nei cammelli, ma è sempre accompagnato da molte modificazioni fisiologiche. L'erezione del pene nella specie umana può essere indotta da stimoli tattili e psichici, per esempio visivi. Il fenomeno erettile si basa sulla diminuzione della resistenza e la conseguente dilatazione delle arterie profonde del pene nonché sulla chiusura delle comunicazioni arterovenose e delle valvole venose. In condizioni di vasocongestione, i testicoli possono aumentare di volume del 50%. L'eiaculazione del liquido seminale è provocata dalla contrazione dei muscoli lisci dell'uretra e dei muscoli striati del pene; tale contrazione è ritmica e induce il mescolamento del liquido prostatico, ricco di fosfatasi acida, con la frazione del vaso deferente contenente gli spermatozoi e la frazione della vescichetta seminale contenente il fruttosio. Nella donna la stimolazione tattile del glande clitorideo e della parete vaginale porta alla congestione della vagina e delle grandi labbra e a un incremento delle dimensioni vaginali. Al momento dell'orgasmo si verificano frequenti contrazioni vaginali e nell'utero si manifestano contrazioni che iniziano a livello del fondo e si propagano al segmento inferiore.
Nell'uomo, nel coniglio, nella pecora, nel bue e nel gatto il seme viene eiaculato nella vagina; nel maiale, nel cane e nel cavallo è invece deposto direttamente nella cervice uterina e nell'utero stesso. In molte specie il seme coagula rapidamente dopo la deposizione nel tratto genitale femminile, in conseguenza dell'interazione con un enzima prostatico. La coagulazione potrebbe servire per trattenere gli spermatozoi nella vagina o per proteggerli dal suo ambiente acido (pH µ 5,7). Nella specie umana il coagulo spermatico si dissolve entro un'ora per la progressiva azione di un secondo proenzima, anch'esso di origine prostatica.
Entro pochi minuti dall'accoppiamento, nella cervice dell'utero si possono rinvenire spermatozoi, ma, nella donna, il 99% di questi viene perduto attraverso la vagina. I pochi che rimangono nel tratto genitale femminile possono sopravvivere per molte ore nelle maglie del muco cervicale che, in assenza di progesterone, consente la penetrazione dello sperma nel tratto superiore.
Sebbene il dato sia ancora da verificare in via definitiva, sembra che l'attività della muscolatura del tratto genitale femminile non sia necessaria per il trasporto dello sperma; né lo sono le prostaglandine presenti nel seme, poiché queste, nell'inseminazione artificiale, vengono rimosse. È probabile che gli spermatozoi si muovano attraverso l'utero per propulsione propria e che siano trasportati da flussi attivati dall'azione delle ciglia uterine. Le cripte cervicali potrebbero servire da bacino di riserva per la regolazione del flusso degli spermatozoi nel tratto genitale femminile, mentre la giunzione utero-tubarica potrebbe agire da sfintere. La prima comparsa degli spermatozoi negli ovidotti avviene dopo quattro-sette ore nel criceto e nel coniglio. Pochi spermatozoi raggiungono l'ampolla: generalmente, nel topo, il rapporto spermatozoi/oociti nell'ampolla è 1:1.
Nei Mammiferi, prima di acquisire la capacità di fecondare gli oociti, gli spermatozoi eiaculati devono restare per un periodo minimo nel tratto genitale femminile. Si ritiene che questo processo relativamente indefinito, denominato ‛capacitazione', comporti la rimozione delle glicoproteine dalla superficie dello spermatozoo; tale rimozione determina l'esposizione dei siti recettoriali in grado di rispondere ai segnali oocitari e indurre la reazione acrosomale. Poiché sia la maturazione epididimale che la capacitazione sono caratteristiche esclusive dei Mammiferi, possono essere ritenute adattamenti evolutivi alla fecondazione interna. Nell'uomo, l'induzione della capacitazione - che ha inizio, probabilmente, quando gli spermatozoi passano attraverso la cervice uterina - è stata attribuita a molte sostanze presenti nel tratto genitale femminile, come gli enzimi arilsolfatasi, fucosidasi e taurina, benché a tutt'oggi il loro meccanismo d'azione sia ancora sconosciuto. In ogni caso, queste sostanze non sono specie-specifiche e il fenomeno può essere indotto anche in vitro in assenza di segnali prodotti dall'apparato genitale femminile. Durante la capacitazione, che dipende dalla temperatura e avviene solo in un intervallo termico compreso fra 37 e 39 °C, vengono rimossi o alterati componenti della superficie dello spermatozoo: per esempio, un antigene presente sulla membrana plasmatica dello spermatozoo murino durante la maturazione epididimale non viene rimosso da lavaggi ripetuti, ma scompare o viene mascherato durante la capacitazione.
L'acrosoma è una vescicola delimitata da una membrana che riempie la porzione anteriore della testa dello spermatozoo ed è presente nella maggior parte delle specie. In questa struttura, o nelle membrane che la circondano, è contenuta una vasta gamma di enzimi idrolitici, tra cui la ialuronidasi, l'acrosina, la proacrosina, la fosfatasi, l'arilsolfatasi, la collagenasi, la fosfolipasi C e la β-galattosidasi. La reazione acrosomale comporta la fusione della membrana acrosomale più esterna con la soprastante membrana plasmatica, che permette il rilascio del contenuto acrosomale.
Nello spermatozoo umano, la fusione sembra aver inizio in prossimità del confine tra la regione anteriore e il segmento equatoriale dell'acrosoma. Una volta che gli opportuni segnali di innesco siano stati ricevuti, la reazione acrosomale procede piuttosto rapidamente e può durare, in vitro, dai 2 ai 15 minuti. Se si analizzano i gameti raccolti dalla porzione ampollare della tuba dei Mammiferi dopo l'accoppiamento, si nota che, mentre gli spermatozoi che nuotano liberi possiedono acrosomi che non hanno subito alcuna reazione, negli acrosomi di quelli situati all'interno della massa del cumulo la reazione è avvenuta o sta avvenendo, ed è già conclusa nella maggior parte degli spermatozoi adesi alla superficie esterna della zona pellucida. Una delle glicoproteine della zona pellucida dell'oocita di topo, denominata ZP3, si lega alla membrana plasmatica al di sopra della regione anteriore dell'acrosoma e induce la reazione acrosomale. Che questa reazione abbia inizio durante l'interazione tra lo spermatozoo e la massa del cumulo non è accertato, ma è molto probabile, poiché una delle componenti della matrice del cumulo è l'acido ialuronico e l'acrosoma contiene ialuronidasi. Tuttavia, quale che sia il segnale fisiologico per la sua induzione, la reazione acrosomale può essere provocata anche in vitro, in assenza di segnali materni. Negli spermatozoi dei Mammiferi, è assai probabile che ZP3 funga da legante regolatore che innesca la reazione acrosomale. Nella membrana plasmatica e nella membrana acrosomale esterna sono presenti proteine G. Sebbene la piena comprensione della serie di eventi che portano all'esocitosi del contenuto della testa dello spermatozoo sia ancora lontana, tra i possibili secondi messaggeri vi sono: il cAMP, generato dall'adenilatociclasi; l'inositolo trifosfato (InsP3) e il diacilglicerolo (DAG), prodotti dalla fosfolipasi C; l'acido fosfatidico, prodotto dalla fosfofolipasi D; e l'acido arachidonico, generato dalla fosfolipasi A2. Il completamento della reazione acrosomale non è però sufficiente per il successo della fecondazione in vitro. In una popolazione di spermatozoi concentrata intorno alla massa del cumulo è lecito attendersi una grande variabilità dal punto di vista della reattività: alcuni reagiranno troppo presto, altri troppo tardi; in alcuni casi lo stimolo per l'inizio della reazione si rivelerà inefficace, in altri il meccanismo di trasduzione del segnale potrebbe non funzionare in qualche passaggio. La massa del cumulo è costituita da componenti cellulari e acellulari. La matrice acellulare è composta da carboidrati, tra cui l'acido ialuronico, e proteine. È noto che in vivo soltanto pochi spermatozoi raggiungono il sito di fecondazione, quindi l'asserzione, basata su esperimenti di fecondazione compiuti in vitro, secondo cui grandi popolazioni di spermatozoi concentrati sulla massa oocitaria dissolverebbero la matrice del cumulo, è probabilmente da ritenere infondata. La fecondazione si verifica prima della dispersione della massa del cumulo e infatti, in vivo, il rapporto spermatozoi-oociti è prossimo all'unità.
La zona pellucida - uno strato di glicoproteine spesso diversi micron secreto dall'oocita in fase di crescita - è per il 70% costituita da proteine, per il 20% da esosi, per il 3% da acido sialico e per il 2% da solfati. Osservata al microscopio elettronico, la sua superficie esterna presenta un aspetto reticolare. Fra i costituenti principali della sua struttura molecolare vi sono alcune glicoproteine, denominate ZP1, ZP2 e ZP3. La distribuzione di queste proteine è ancora sconosciuta; tuttavia è noto che nel topo la proteina ZP2 è presente in modo uniforme in tutto lo spessore della zona pellucida. Gli spermatozoi impiegano un tempo variabile tra i 2 e i 15 minuti per penetrare all'interno della zona pellucida; nel topo il legame dello spermatozoo all'uovo è mediato dalla glicoproteina ZP3, ma non si conosce la natura molecolare del recettore specifico sulla superficie dello spermatozoo, che potrebbe essere sia una proteina che una glicoproteina. Nello spermatozoo murino intatto, i recettori sembrano essere localizzati sulla superficie della membrana plasmatica dell'acrosoma, mentre quelli per la glicoproteina ZP2 sono localizzati sulla membrana acrosomale interna, sicché essi vengono esposti solo dopo la reazione acrosomale. Secondo uno studio compiuto da P. M. Wassarman e collaboratori, l'attività dei recettori spermatici risiede negli oligosaccaridi legati all'ossigeno (O-linked) di ZP3. Il sito specifico di legame dello spermatozoo potrebbe quindi essere una proteina simile alle lectine, considerando anche che il legame dello spermatozoo al suo recettore presente nella zona pellucida è un'interazione di tipo enzima-substrato, come è stato dimostrato tanto negli Invertebrati quanto nei Mammiferi. Nel penetrare nella zona pellucida, lo spermatozoo perde il contenuto acrosomale e solo la membrana acrosomale interna viene a diretto contatto con la zona; in questo passaggio lo spermatozoo muove energicamente il flagello, lasciando una scia molto ben definita. Nei Mammiferi Euteri, la membrana plasmatica della regione post-acrosomale sembra fondersi con la membrana plasmatica dell'oocita, ma ciò avviene solo al termine della reazione acrosomale. La superficie degli oociti nella maggior parte delle specie, compresa quella umana, è organizzata in microvilli corti e disposti regolarmente. Negli oociti di topo e di criceto l'area sovrapposta al fuso metafasico è priva di microvilli e in questa zona gli spermatozoi in genere non sono in grado di fondersi con la membrana dell'oocita.
L'oocita umano rappresenta un'eccezione, poiché non ha una polarità di superficie ben definita, come si evince dalla distribuzione dei microvilli che risulta uniforme dal polo animale a quello vegetativo. In seguito alla fusione dei gameti, la membrana plasmatica dello spermatozoo rimane adesa a quella dell'oocita, indicando il punto in cui è avvenuta la fusione. Esperimenti compiuti sui ratti hanno dimostrato, mediante l'impiego di un anticorpo fluorescente coniugato con un antigene specifico della membrana plasmatica dello spermatozoo, che, per un breve intervallo di tempo successivo alla fusione, l'antigene rimane localizzato nel punto di ingresso e soltanto allo stadio di pronucleo si diffonde su tutta la superficie dello zigote. La mobilità dello spermatozoo, necessaria per la penetrazione all'interno della zona, non è, invece, richiesta per la fusione dei gameti, che è un processo dipendente dalla temperatura, dal pH e dalla concentrazione di ioni calcio. Inoltre, poiché la fusione degli spermatozoi con oociti privi della matrice extracellulare che normalmente li circonda non risulta inibita dalla presenza di monosaccaridi o lectine, se ne deduce che le catene saccaridiche terminali delle glicoproteine non sono direttamente coinvolte nel processo. Va rilevato anche che sebbene la fusione di membrane artificiali costituite di semplici fosfolipidi sia sicuramente possibile, nei sistemi biologici tale fenomeno sembra essere mediato, o quanto meno facilitato, dalla presenza di proteine associate alla membrana: nello spermatozoo del porcellino d'India, per esempio, si è osservato che la fusione è regolata da una proteina integrale di membrana costituita da due subunità distinte e localizzata nella parte posteriore della testa dello spermatozoo.
Poco dopo la fusione dei gameti si verifica un'alterazione della conduttanza della membrana plasmatica degli oociti, che negli Invertebrati porta a una depolarizzazione e nei Mammiferi a una iperpolarizzazione della membrana stessa: negli Invertebrati lo spermatozoo attiva una popolazione di canali ionici di membrana non specifici, mentre nei Mammiferi, compreso l'uomo, lo spermatozoo regola l'apertura di una serie di canali del potassio attivati dalla presenza di calcio. A pochi istanti dall'insorgenza del ‛potenziale di fecondazione' (fertilization potential) si ha un rilascio massivo di ioni calcio provenienti da depositi intracellulari, in seguito al quale la concentrazione di Ca2+ nel liquido intracellulare sale da 0,1 a 10 µM, per tornare poi a livelli di riposo nell'arco di alcuni minuti. L'aumento della concentrazione del calcio inizia dal punto di fusione dello spermatozoo, si diffonde attraversando l'oocita fino a giungere all'estremità opposta ed è seguito da onde cicliche di intensità minore che continuano a propagarsi diversi minuti dopo la fecondazione. Il meccanismo attraverso cui si verifica la propagazione non è ancora chiaro e potrebbe essere basato sul rilascio di ioni calcio indotto da altri ioni calcio, come si verifica nel muscolo, o sul rilascio di ioni calcio indotto dall'inositolo trifosfato (v. anche biologia molecolare, vol. I; v. tessuto muscolare, vol. VII). Anche nell'oocita fecondato di criceto le onde di ioni calcio iniziano in prossimità del sito di attacco dello spermatozoo e si propagano verso l'estremità opposta nell'arco di 4-7 secondi, terminando circa 15-20 secondi più tardi. Queste onde di ioni calcio sono cicliche, si formano a intervalli di 3 minuti e possono essere indotte microiniettando in oociti fattori enzimatici estratti dall'acrosoma.
Attualmente esistono due differenti ipotesi circa il meccanismo con cui lo spermatozoo innesca l'attività metabolica dell'oocita (v. Dale, 1990). Secondo la prima ipotesi, tale innesco è dovuto a un fattore solubile contenuto nello spermatozoo e rilasciato all'interno dell'oocita in seguito alla fusione dei gameti; secondo l'altra ipotesi, invece, prima della fusione l'interazione tra lo spermatozoo e un recettore situato sulla superficie dell'oocita attiverebbe un sistema di trasduzione all'interno dell'oocita stesso, basato sull'azione di proteine G.
Il primo segno morfologico dell'attivazione di oociti sottoposti all'azione di induttori è rappresentato dall'esocitosi di granuli corticali, organelli sferici di piccole dimensioni, delimitati da membrana, contenenti enzimi e mucopolisaccaridi, che originano come vescicole dall'apparato di Golgi. La reazione corticale provoca, nell'oocita dei Mammiferi, modificazioni delle caratteristiche della zona pellucida e viene quindi chiamata ‛reazione della zona'. Un secondo effetto della reazione corticale è che la membrana plasmatica dell'oocita diviene un mosaico composto da parti di membrana dei granuli corticali e parti di membrana plasmatica originale.
Si è discusso a lungo sull'ipotesi secondo cui lo spermatozoo all'atto della fecondazione, innescando una serie di eventi tra cui la reazione corticale, non solo attiverebbe l'oocita, ma allo stesso tempo ne impedirebbe l'interazione con altri spermatozoi. Sicuramente l'alterazione a livello della zona pellucida (detta ‛blocco zonale'), indotta nel topo da proteinasi o da glicosidasi, idrolizza il recettore ZP3 impedendogli di interagire ulteriormente con altri spermatozoi; inoltre, anche la membrana plasmatica a mosaico dello zigote risulta refrattaria agli spermatozoi in numerose specie (‛blocco vitellino'). La presenza di spermatozoi in soprannumero nello spazio perivitellino, osservata ad esempio nell'oocita di coniglio, è riconducibile a una debole reazione zonale e a una forte reazione vitellina; al contrario, poiché raramente si osserva la presenza di spermatozoi nello spazio perivitellino degli oociti di ratto, topo, pecora e uomo, si suppone che in questi casi si verifichi una forte reazione zonale. Se si accetta l'ipotesi che tutti gli spermatozoi che raggiungono l'oocita siano ugualmente in grado di fecondarlo e che tutte le aree della superficie oocitaria, compresi i suoi rivestimenti extracellulari, siano potenzialmente in grado di attivare gli spermatozoi, allora si deve ritenere che la reazione corticale si svolga troppo lentamente per essere considerata un blocco della polispermia. Probabilmente la reazione corticale ha la funzione di alterare chimicamente la zona pellucida, in modo da fornire un ambiente batteriologicamente sicuro all'embrione che si svilupperà. Il fatto che soltanto uno spermatozoo normalmente penetri nell'oocita in vivo suggerisce che la popolazione degli spermatozoi sia eterogenea e che sulla superficie dell'oocita siano presenti aree ristrette (dette hot spots, ‛punti caldi') per l'entrata degli spermatozoi.
Durante la spermatogenesi, il nucleo dello spermatozoo è strettamente associato a diversi istoni o protammine e questa associazione tra DNA e amminoacidi basici altamente carichi si ritiene sia alla base della condensazione del nucleo e della repressione dell'attività del DNA. La rigidità della testa dello spermatozoo di mammifero, necessaria per la penetrazione nella zona, è dovuta alla presenza nelle protammine di molti legami disolfuro, la cui formazione negli spermatozoi umani è regolata dalla presenza di ioni Zn2+ provenienti dalla ghiandola prostatica. Nel penetrare nel citoplasma dell'oocita, la membrana nucleare si rompe, le protammine si disperdono e si verifica la decondensazione del pronucleo, che potrebbe essere dovuta all'azione del glutatione ridotto. I fattori coinvolti in questa attività non sembrano essere specie-specifici: microiniettando spermatozoi umani in oociti di anfibio si provoca ugualmente la decondensazione. Il passo successivo consiste nella formazione di una nuova membrana nucleare intorno alle cromatine decondensate maschile e femminile, per arrivare alla produzione dei pronuclei. Durante lo sviluppo dei pronuclei si ha sintesi di DNA e trascrizione di RNA. I fattori di sviluppo del pronucleo dello spermatozoo si trovano in quantità ridotte all'interno del citoplasma: per esempio, nel criceto si decondensano al massimo 5 pronuclei alla volta. Anche in questo caso i fattori non sono specie-specifici, poiché spermatozoi umani possono svilupparsi in pronuclei normali e formare un corredo cromosomico normale se microiniettati in oociti di criceto. Il processo di migrazione dei pronuclei maschile e femminile verso il centro dell'oocita è stato studiato approfonditamente nel riccio di mare e nel topo. Usando sonde marcate con fluorescina, specifiche per elementi del citoscheletro, è stato dimostrato che negli oociti di topo esiste un'area ispessita caratterizzata da microfilamenti e localizzata al di sotto della cortex della regione del globulo polare. Oltre ai microtubuli del fuso, vi sono 16 microtubuli citoplasmatici che provvedono all'organizzazione dei centrioli, ognuno dei quali organizza a sua volta un aster. Poco prima che la membrana nucleare si dissolva, i centrioli si condensano in superficie e quindi si verifica la prima delle divisioni che hanno luogo nel corso della segmentazione. Mentre nel topo i centrioli sembrano essere ereditati dalla madre, nella maggioranza degli animali, compreso l'uomo, sono portati dallo spermatozoo.
5. L'inseminazione artificiale
Il metodo più usato per incrementare il potenziale riproduttivo in zootecnia è l'inseminazione artificiale. Sebbene sia praticata in molte specie, questa tecnica si è rivelata particolarmente utile nel caso dei bovini, per i notevoli vantaggi economici che presenta rispetto all'accoppiamento naturale. In molti paesi occidentali, fino al 99% dei bovini viene oggi ottenuto per inseminazione artificiale.
Il metodo più comunemente utilizzato per la raccolta del seme consiste nell'uso di una vagina artificiale costruita in modo da simulare le condizioni naturali. Essa è costituita da un astuccio cilindrico rigido dotato di un rivestimento di gomma lubrificato sulla superficie interna. Lo spazio tra l'astuccio e il rivestimento viene riempito di acqua calda, di solito a una temperatura di 40-45 °C, la cui pressione può essere regolata insufflandovi aria. Quando il maschio monta un finto esemplare di femmina il pene viene indirizzato da un operatore all'interno della vagina artificiale e l'eiaculato viene raccolto in un recipiente appositamente riscaldato. Un metodo alternativo, usato con maschi giovani o che abbiano dimostrato difficoltà a imparare a montare finti esemplari di femmine, è costituito dalla stimolazione elettrica, mediante sonda rettale, dell'eiaculazione.
Esistono differenze significative, tra le specie, per quel che riguarda il volume del seme e il numero totale di spermatozoi presenti in un eiaculato. Il verro, grazie alle notevoli dimensioni dei suoi testicoli e alla breve durata del suo processo di spermatogenesi, produce fino a 200 ml di sperma, in cui sono contenuti 60 × 109 spermatozoi, pari a una concentrazione di 0, × 109 spermatozoi per ml. Il toro, per contro, produce fino a 8 ml di liquido seminale, in cui sono contenuti 15 × 109 spermatozoi, pari a una concentrazione di 2 × 109 spermatozoi per ml. Il numero di spermatozoi che può essere prodotto da un animale varia enormemente e dipende dalla frequenza di raccolta del liquido seminale: un esemplare maturo di toro da allevamento, ad esempio, produce circa 13 × 109 spermatozoi al giorno.
Per eseguire l'inseminazione nelle mucche, l'operatore trattiene la cervice agendo per via rettale, e guida così una pipetta dalla vagina all'utero, dove viene generalmente depositato 1 ml di liquido seminale, corrispondente a un optimum di circa 10 milioni di spermatozoi. Negli ovini, a causa del ripiegamento della cervice, gli spermatozoi vengono depositati nella prima plica della cervice stessa mediante un catetere sottile; in questo caso si deposita un numero maggiore di spermatozoi: circa 100 milioni. Nel maiale, invece, sono necessari 2 miliardi di spermatozoi diluiti in 50-100 ml di liquido seminale, che vengono depositati attraverso un catetere a forma di cavatappi come il glande del pene. Per quanto riguarda la specie umana, generalmente vengono deposti circa 5 milioni di spermatozoi in prossimità del fondo dell'utero mediante un semplice catetere retto.
Considerato che la durata della vita degli spermatozoi all'interno del tratto genitale femminile è ridotta, come del resto ridotta è anche la durata del periodo dell'ovulazione, la scelta del momento in cui effettuare l'inseminazione artificiale è di importanza cruciale. L'immissione in circolo dell'ondata di LH determina il momento dell'ovulazione che avviene dopo 36-40 ore nella mucca e nella donna, 24 ore più tardi nella pecora e dopo 40-42 ore nella femmina di maiale. Il momento ideale per effettuare l'inseminazione è circa 10-12 ore prima dell'ovulazione: un'inseminazione effettuata in ritardo, che potrebbe portare alla fecondazione di oociti in avanzato stato di maturazione, può dare luogo a polispermia e alla formazione di un embrione con uno sviluppo anomalo. Per garantire il successo della tecnica risulta quindi essenziale compiere accurate diagnosi del ciclo estrale degli animali.
L'inseminazione artificiale ha tratto grandi vantaggi dallo sviluppo delle procedure di congelamento del liquido seminale, normalmente conservato in un mezzo contenente un anticongelante come il tuorlo d'uovo, il glicerolo o il dimetilsulfossido (DMSO), dopo essere stato portato a una temperatura di - 196 °C in azoto liquido. Non tutti i liquidi seminali rispondono egualmente bene alle procedure di congelamento: quelli bovino e umano, per esempio, si congelano e si scongelano molto facilmente, mentre quello del montone e ancor più quello del verro si congelano con grande difficoltà.
Poiché i cicli dell'estro non solo hanno una durata che varia nelle diverse specie - di 21 giorni nei bovini e nei suini e di 16 giorni nella pecora - ma, inoltre, in ogni gruppo si presentano in modo casuale, il controllo farmacologico dell'estro e dell'ovulazione potrebbe contribuire a migliorare l'efficienza dell'inseminazione artificiale. Anche se l'ovulazione può essere indotta in uno qualsiasi degli stadi del ciclo estrale, attraverso la somministrazione di gonadotropine, la fertilità dell'oocita è in realtà ridotta in presenza di elevati livelli di progesterone circolante; quindi gli ormoni gonadotropi possono essere usati solo durante la fase follicolare del ciclo. Nella mucca il corpo luteo attivo, responsabile della produzione di progesterone, può essere estratto dall'ovario manualmente operando per via rettale: nell'arco di pochi giorni l'animale torna alla fase di estro. L'unica tecnica per sincronizzare i cicli estrali di differenti animali che si è mostrata promettente consiste nella somministrazione di inibitori ipofisari in grado di sopprimere il ciclo naturale: interrompendo il trattamento, è possibile provocare l'insorgenza contemporanea del ciclo in tutti gli animali. Al momento, l'uso di analoghi dell'ormone GnRH, come il buserelin, permette di esercitare un efficace controllo sul ciclo mestruale delle donne.
La somministrazione di gonadotropine esogene per indurre l'ovulazione - una metodica nota come ‛sopraovulazione', molto comune tanto in zootecnia quanto nella contraccezione umana - porta all'aumento del numero dei follicoli maturi. Uno dei fattori che limitano, in tutte le specie, l'efficacia di questa metodica è l'incapacità dell'utero di mantenere embrioni in soprannumero. In molte specie i feti in eccesso muoiono negli ultimi stadi della gestazione.
6. L'inseminazione in vitro
Mentre l'inseminazione artificiale è una tecnica relativamente semplice praticata negli allevamenti di piccole e medie dimensioni allo scopo di migliorare e controllare la qualità del bestiame, i grandi allevatori, per incrementare la produzione di embrioni e selezionare le più pregiate caratteristiche razziali degli animali, si stanno rivolgendo alle tecniche in vitro. L'obiettivo a lungo termine è la produzione su scala industriale di embrioni sessualmente predeterminati, dotati di qualità genetiche appropriate ed esenti da patologie. Questi embrioni sono destinati a essere congelati e successivamente trapiantati in utero direttamente negli allevamenti, senza ricorrere all'intervento chirurgico. Ulteriori progressi potrebbero derivare dalla produzione chirurgica di gemelli e, infine, dalle tecniche di clonazione applicate su larga scala. È probabile che il trapianto di grandi quantità di embrioni diventi una pratica commerciale comune.
Gli ovari delle mucche contengono migliaia di oociti potenzialmente fecondabili, ma la loro raccolta sotto forma di oociti non fecondati o di embrioni, mediante la classica tecnica di trasferimento di embrioni (Embryo Transfer, ET), è di solito troppo costosa per poter essere effettuata in maniera estensiva. In realtà la produzione su larga scala di embrioni di bovino ottenuti interamente mediante procedure in vitro rappresenta solo il primo passo verso l'applicazione di questa tecnica a livello commerciale. È necessario semplificare le operazioni da effettuare negli allevamenti, in modo che sia possibile scongelare gli embrioni ottenuti in vitro e trapiantarli senza ricorrere a un intervento chirurgico, con la stessa facilità con cui si esegue l'inseminazione artificiale. La possibilità di predeterminare, in modo economico e sicuro, il sesso degli embrioni porterà notevoli vantaggi nell'approvvigionamento di vitelli per la produzione di carne bovina.
Nell'arco della vita riproduttiva di una mucca, di tutti gli oociti presenti nell'ovario sono molto pochi quelli che vengono ovulati e possono essere fecondati. Si calcola che un ovario di mucca, alla nascita, contenga circa 150.000 follicoli primari; le attuali tecniche di sopraovulazione, benché siano in grado di incrementare notevolmente la capacità riproduttiva, consentono di utilizzare solo una piccola parte di tutti gli oociti disponibili. Una valida alternativa a queste tecniche è rappresentata dall'uso degli ovari ottenuti da animali macellati: l'aspirazione, mediante siringa o pipetta, di oociti follicolari immaturi è il metodo più comune per la produzione su larga scala di embrioni di vitello. Un fattore determinante, nel recupero degli oociti da mucche macellate, è l'intervallo di tempo che passa tra il momento in cui l'animale viene ucciso e l'inizio delle operazioni di recupero. Gli ovari di mucca possono essere conservati per almeno 11 ore a una temperatura di circa 25 °C senza compromettere la capacità degli oociti di essere fecondati e di produrre embrioni normali. All'interno del follicolo vescicolare bovino intatto, l'oocita e la massa di cellule del cumulo che lo circonda formano un sincizio sia strutturale che funzionale, il cumulo ooforo, che agisce anche da ponte tra le cellule dello strato granuloso e l'oocita, permettendo il trasferimento di molecole dalle une all'altro. Nel processo di maturazione in vitro degli oociti di mucca, normalmente si aggiungono circa 5 milioni tra cellule dello strato granuloso e del cumulo a ogni ml di mezzo di coltura, che contiene 10 o più oociti. La composizione del mezzo di coltura usato in questo caso varia dalle semplici soluzioni fisiologiche a miscele più complesse contenenti amminoacidi, vitamine, purine e altri composti generalmente utilizzati per la crescita di colture cellulari. Di solito si impiega un sistema di coltura in cappa a flusso laminare, munito di un meccanismo che garantisce l'agitazione modulata dei recipienti in cui gli oociti sono fatti maturare. La temperatura è mantenuta intorno ai 39 °C, cioè al valore della temperatura corporea della mucca. Allo scopo di garantire il successo della tecnica è necessario però disporre di un sistema che permetta la capacitazione artificiale degli spermatozoi. Il primo sistema utilizzato con successo nella tecnica dell'inseminazione artificiale delle mucche è stato messo a punto nel 1982 da un gruppo di ricercatori diretto da B. Brackett, che usò, come mezzo per separare le proteine del plasma seminale dalle membrane degli spermatozoi, una soluzione ad alta forza ionica. Oggi il sistema forse più valido è costituito dall'aggiunta al mezzo di coltura di eparina a una concentrazione di 100 µg/ml. Questo glicosamminoglicano, infatti, è presente nel tratto genitale della mucca e si ritiene che partecipi al processo naturale di capacitazione che si svolge nell'animale vivo. Nell'effettuare l'inseminazione artificiale di mucche si raccomanda di usare liquido seminale ottenuto da tori la cui elevata fertilità sia documentata. Confrontando, infatti, il liquido seminale di tori differenti, si nota che esiste una grande variabilità nella loro capacità fecondativa, in termini non solo di percentuale di fecondazione, ma anche di numero di embrioni che si sviluppano successivamente.
La fecondazione in vitro di oociti fatti maturare artificialmente viene eseguita in microgocce di mezzo di coltura di 50 µl di volume, a pH 7,8 e contenenti circa 1 milione di spermatozoi per ml. Dopo la maturazione, l'oocita rimane circondato da strati di grandi cellule del cumulo, che, nella mucca, vengono rapidamente degradate appena l'oocita si sposta all'interno dell'ovidutto. Nel tentativo di rendere gli oociti più facilmente accessibili agli spermatozoi, i tecnici solitamente rimuovono alcuni di questi strati di cellule o per via meccanica, mediante una pipetta, o chimicamente, usando l'enzima ialuronidasi. Come i processi di maturazione dell'oocita, anche quelli fecondativi sono estremamente sensibili alle variazioni di temperatura: il tasso di penetrazione degli spermatozoi all'interno degli oociti di mucca è inferiore all'1% se il processo avviene a 37 °C, ma aumenta fino al 90% a una temperatura di 39 °C, pari, quindi, alla temperatura interna dell'animale. Sono necessarie ulteriori ricerche per acquisire dati sufficienti sulle percentuali di mucche ingravidate e di vitelli nati, che si ottengono con embrioni prodotti in vitro, per poterle confrontare con quelle - già note - che si ottengono con embrioni cresciuti in vivo o attraverso il tradizionale recupero ET da mucche donatrici sottoposte a sopraovulazione. A questo proposito esistono alcuni dati che proverebbero la presenza, negli embrioni coltivati in vitro, di un minor numero di cellule della massa cellulare interna della blastocisti (Inner Cell Mass, ICM).
7. La micromanipolazione
La chirurgia cellulare, o manipolazione di singole cellule, non è una novità: risale, infatti, alla fine del secolo scorso, quando biologi e fisiologi iniziarono a usare manipolatori di vario genere per la dissezione o la registrazione di dati elettrofisiologici. Ma fu solo verso la fine degli anni quaranta che la microchirurgia venne applicata allo studio di oociti vitali di mammifero, mentre a partire dalla fine degli anni cinquanta andò aumentando l'interesse per l'embriologia sperimentale dei Mammiferi. In questo periodo ebbero grande eco gli studi condotti da T. P. Lin sugli aspetti tecnici e sperimentali della microchirurgia degli oociti. Lin e i suoi collaboratori studiarono anche gli effetti della microsuzione parziale del citoplasma dell'uovo sul suo sviluppo e le modalità del trapianto di cromosomi in oociti di mammifero. L'impiego di gonadotropine esogene per aumentare il numero degli oociti ovulati e di conseguenza il numero degli embrioni nella fase di preimpianto destinati alla manipolazione sperimentale fece progredire decisamente la microchirurgia applicata allo studio dei primi stadi di sviluppo dei Mammiferi. Un notevole passo avanti si ebbe nel 1968 con la nascita di un organismo vitale da un singolo blastomero di un embrione di coniglio allo stadio di 8 cellule.
Nel corso degli ultimi trent'anni è stata effettuata su embrioni nella fase di preimpianto una interessante serie di manipolazioni, la maggior parte delle quali ha comportato l'aggiunta o la rimozione di cellule o il trapianto di nuclei. Più recentemente è stato introdotto DNA esogeno nello zigote o negli embrioni ai primi stadi di sviluppo, per studiare la funzione dei prodotti genici, la regolazione dell'espressione genica e la produzione di animali transgenici. Sono stati inoltre condotti diversi esperimenti di microchirurgia per studiare il destino dei primi tessuti differenziati, il contributo delle singole cellule della massa cellulare interna e del trofoblasto e il momento dell'inattivazione del cromosoma X. Nel 1961 Andresz Tarkowski produsse per primo una chimera; nel 1968 Richard Gardner ottenne altre chimere mediante l'iniezione di cellule all'interno della blastocisti. Oltre alle chimere intraspecifiche, alcuni scienziati hanno utilizzato, per lo studio dei primi stadi dell'embriogenesi, chimere interspecifiche: questa tecnica consente lo sviluppo dell'embrione di una determinata specie nella placenta e nell'utero di una seconda specie, con la conseguente generazione di chimere vitali, come è accaduto utilizzando la pecora e la capra.
Un'altra tecnica di microchirurgia comporta la rimozione dei blastomeri per studiare lo sviluppo di embrioni parziali. Una recente applicazione di questa tecnica in embriologia umana consente di utilizzare blastomeri rimossi da embrioni di 4-8 cellule per la diagnosi genetica preimpianto. Negli anni ottanta la separazione dei blastomeri è stata impiegata per produrre da un singolo zigote due, tre, quattro individui geneticamente identici. Le implicazioni di questa tecnica sono ovvie, e non solo per la zootecnia - dove la selezione degli embrioni in base al sesso e la produzione di due o più individui da un singolo embrione comportano notevoli benefici economici - ma anche per la medicina.
I primi tentativi di trapiantare nuclei interi in zigoti di mammifero per produrre cloni a scopi zootecnici furono fallimentari, mentre la produzione di animali transgenici mediante microiniezione di DNA in uno dei pronuclei dello zigote ottenne discreti successi (v. cap. 8). Si tratta di una tecnica che consiste nell'iniettare un picolitro di soluzione contenente circa 100 molecole lineari di DNA nel pronucleo; il DNA si integra nel genoma dell'ospite durante i primi stadi della segmentazione, e in tal modo si riesce a trasmettere alla progenie le caratteristiche genetiche del DNA esogeno.
I primi esperimenti di microiniezione di spermatozoi in uova, condotti intorno alla metà degli anni sessanta, avevano soprattutto lo scopo di studiare gli eventi iniziali della fecondazione, come il ruolo della fusione delle membrane, l'attivazione dell'oocita e la formazione dei pronuclei. Le principali differenze esistenti in queste fasi iniziali nelle diverse specie sono state messe in evidenza da due serie di esperimenti, condotti da gruppi distinti di ricercatori. H. Hiramoto dimostrò che in oociti non fecondati di riccio di mare la microiniezione di spermatozoi non induceva né l'attivazione dell'oocita né la condensazione del nucleo dello spermatozoo, mentre in oociti di rana altri ricercatori dimostrarono il contrario. Il gruppo di Ryuzo Yanagimachi dimostrò successivamente che nuclei isolati di criceto erano in grado di diventare pronuclei se microiniettati in uova omologhe; analogo risultato si ottenne iniettando spermatozoi umani congelati in uova di criceto. Questi esperimenti non solo hanno dimostrato che durante l'attivazione degli oociti di mammifero la mancata fusione delle membrane non compromette l'inizio dello sviluppo, ma hanno anche fornito indicazioni sul meccanismo della fecondazione e hanno portato a mettere a punto una nuova tecnica per la produzione di animali, che permette l'utilizzazione di gameti maschili non funzionali ma con un genotipo pregiato, provenienti da specie animali domestiche e selvatiche.
La prima applicazione clinica delle tecniche di microinseminazione fu la dissezione parziale della zona pellucida (Partial Zonal Dissection, PZD) per agevolare la fecondazione di oociti umani. Questa tecnica prevede l'apertura di un varco nella zona pellucida di un oocita, eseguita con una micropipetta di vetro affilata; successivamente l'oocita - reso così più accessibile - viene posto in una sospensione di spermatozoi. Nello stesso anno un gruppo di ricercatori di Singapore descrisse la prima gravidanza ottenuta tramite iniezione subzonale di spermatozoi (Sub-Zonal Sperm Injection, SUZI), con cui si inseriscono diversi spermatozoi nello spazio perivitellino. Nel 1992, infine, è stato riferito il primo caso di gravidanza ottenuta mediante iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (Intracytoplasmatic Sperm Insertion, ICSI). In seguito a questi pionieristici esperimenti, le tecniche di fecondazione microassistita hanno consentito la nascita nel mondo di circa 1.000 bambini. Inoltre, come risultato fortuito di questi esperimenti di microinseminazione, è emerso che l'incisione di una fessura nella zona pellucida o la formazione di un foro mediante trattamento con soluzioni acide (tecnica di incisione assistita o Assisted Hatching, AH) facilita l'impianto dell'embrione umano.
8. Le tecnologie future
L'introduzione sperimentale di materiale genetico esogeno negli animali da allevamento è stata oggetto di ampie indagini per il suo potenziale in zootecnia, medicina e ricerca di base. Il termine ‛transgene' indica nuove sequenze di DNA introdotte in seguito a manipolazioni di laboratorio di uno zigote.
La maggior parte degli animali transgenici è stata finora ottenuta tramite iniezione di DNA lineare nudo nel pronucleo; grande scalpore ha quindi destato la pubblicazione di un lavoro in cui si dimostrava che incubando DNA esogeno con spermatozoi di topo, prima della fecondazione in vitro, circa il 30% della progenie conteneva transgeni integrati. Purtroppo, nonostante gli sforzi congiunti di diversi gruppi internazionali, non è stato possibile ripetere questi risultati e pertanto il metodo corrente di trasferimento di geni rimane quello dell'iniezione nel pronucleo. Gli oociti fecondati sono prelevati allo stadio pronucleare (cioè prima che si sia formato un singolo nucleo diploide) da donatrici sopraovulate. Il protocollo di iniezione richiede due micromanipolatori, per sostenere, rispettivamente, la micropipetta per la fissazione e quella per l'iniezione, e un microscopio invertito a contrasto interferenziale (Differential Interference Contrast, DIC). Gli embrioni sono fissati su una pipetta di vetro sterile connessa a un sistema di controllo idraulico; una seconda pipetta, finemente trafilata, viene poi introdotta nel pronucleo maschile nel quale vengono iniettate diverse centinaia di copie di materiale genetico esogeno. L'iniezione è accompagnata dal rigonfiamento del pronucleo e probabilmente dal danneggiamento meccanico dei cromosomi, che, effettivamente, può essere necessario per l'integrazione del transgene. Gli embrioni trattati sono poi incubati per breve tempo in modo da poter valutare il numero dei sopravvissuti, che sono poi reintrodotti nelle ampolle di femmine sincronizzate. Nel topo le femmine destinate a ricevere gli embrioni per l'impianto devono essere fatte accoppiare con maschi vasectomizzati, mentre ciò non è necessario nel caso delle specie domestiche. L'esistenza di differenze tra le diverse specie sia nello sviluppo che nella fisiologia riduce l'efficienza del trasferimento genico negli animali da allevamento. I pronuclei di topo sono chiaramente visibili con il DIC, mentre gli embrioni degli Ungulati contengono moltissimi granuli lipidici che tendono a oscurare le strutture interne. Anche i pronuclei di pecora possono essere visualizzati con il DIC nel 90% degli embrioni, ma nel maiale e nei bovini è necessario centrifugare per confinare i granuli a un'estremità dello zigote. Inoltre, l'efficienza del trasferimento genico negli animali da allevamento è ulteriormente ridotta sia dall'esiguo numero di embrioni ottenuti da ciascuna femmina, sia dal fatto che, trovandosi in stadi di sviluppo diversi al momento dell'espianto, solo pochi degli embrioni ottenuti si prestano a questo trattamento.
I principali inconvenienti presentati dalla tecnica dell'iniezione nel pronucleo consistono nell'impossibilità di prevederne gli effetti sul sito d'integrazione, nella scarsa riproducibilità degli esperimenti, dovuta all'integrazione casuale, e infine nel fatto che si possono soltanto aggiungere, e non rimuovere, sequenze di DNA. Il sistema che utilizza le cellule staminali embrionali (Embryonic Stem, ES) costituisce oggi una via alternativa, ben documentata, per introdurre materiale genetico nelle cellule germinali di topo, potenzialmente in grado di risolvere tutti i problemi legati all'iniezione nel pronucleo; inoltre, esso offre la possibilità di effettuare mutagenesi sitospecifica sull'animale. Questa tecnica è basata sulla capacità di una sottopopolazione di cellule embrionali di proliferare allo stato indifferenziato in coltura, pur mantenendo la capacità di differenziarsi completamente una volta trasferite in vivo (totipotenza). Quando vengono reintrodotte nella cavità del blastocele degli embrioni in uno dei primi stadi dello sviluppo, le cellule ES spesso contribuiscono anche alla linea germinale. Infatti, se cellule ES pigmentate vengono introdotte in embrioni albini, si generano animali chimerici i cui tessuti (gonadi incluse) sono un mosaico dei genotipi dell'embrione ospite (albino) e delle cellule ES (pigmentate). Inoltre, se le chimere vengono accoppiate con femmine albine, allora una parte della progenie (in alcuni casi l'intera progenie) risulta pigmentata, a conferma della trasmissione nella linea germinale del DNA derivato dalle cellule ES.
Nonostante il lavoro compiuto da numerosi gruppi di ricerca internazionali, finora sono stati prodotti solo 79 animali transgenici cosiddetti founders (v. farmacologia e sperimentazione animale, vol. X) nel maiale, nella pecora e nella mucca. È ovviamente ancora troppo presto per poter giudicare gli effetti della tecnologia degli animali transgenici sulle specie domestiche. Nuove tecnologie, come la IVM (In Vitro Maturation) e la IVF (In Vitro Fertilization), migliori sistemi di coltura, la biopsia degli embrioni e il trasferimento dei nuclei potrebbero aumentare notevolmente l'efficienza del processo di produzione degli animali transgenici. Sono stati fatti ripetuti tentativi di introdurre negli animali di allevamento copie soprannumerarie dei geni codificanti per gli ormoni della crescita. A livello fenotipico, però, questi esperimenti sono falliti ed è ancora necessario individuare i geni responsabili del miglioramento delle caratteristiche quantitative. I tentativi dell'ingegneria genetica di trasformare la ghiandola mammaria in una fonte di proteine ricombinanti sono, invece, promettenti, benché le nostre scarse conoscenze dell'espressione genica limitino la possibilità di modulare i livelli di secrezione delle proteine stesse.
Il trapianto di nuclei embrionali ha fornito a ricercatori e allevatori la possibilità di produrre, utilizzando le tecniche di clonazione, grandi quantità di animali geneticamente identici. Le tecniche di clonazione furono utilizzate per la prima volta su embrioni di rana negli anni cinquanta: le uova di rana venivano attivate mediante puntura con un ago di vetro che, provocando una rotazione, portava il polo animale verso l'alto. I cromosomi, che appaiono come macchioline nere, potevano venir rimossi chirurgicamente o danneggiati con raggi laser o radiazioni ultraviolette. Una parte degli embrioni derivati dal trapianto di nuclei di cellule embrionali indeterminate (allo stadio di blastula o gastrula) era in grado di svilupparsi in adulti normali, a conferma che almeno alcune di queste cellule sono totipotenti. Studi condotti utilizzando nuclei provenienti da regioni determinate di larve hanno dimostrato che solo lo 0,2% circa diventerà adulto e che un altro 4% fermerà il suo sviluppo allo stadio larvale (nuclei pluripotenti). Dato che il volume dell'oocita di mammifero è mille volte più piccolo di quello degli oociti di rana, non è sorprendente che si sia dovuto attendere lo sviluppo di metodiche microchirurgiche più raffinate prima che le tecniche per il trapianto di nuclei potessero venire vantaggiosamente impiegate nei Mammiferi. I successi ottenuti con la microiniezione di nuclei embrionali nel citoplasma di embrioni di coniglio e di topo allo stadio di una sola cellula suggerirono che i nuclei provenienti da embrioni in uno stadio più avanzato di sviluppo fossero in grado di interagire con l'oocita nel completare lo sviluppo così come determinato prima dell'impianto. Il primo caso di topi nati in seguito a trapianto nucleare fu segnalato nel 1981 da K. Illmensee e P. Hoppe, i quali dimostrarono che nuclei provenienti dalla massa cellulare interna, anziché dal trofoblasto della blastocisti di topo, erano in grado di consentire lo sviluppo fino allo stadio di morula-blastocisti nel 34% degli embrioni trapiantati e che il 19% di questi ultimi era in grado di completare lo sviluppo. Tali risultati indussero molti scienziati a supporre che questa tecnica potesse servire per produrre un numero infinito di copie geneticamente identiche a partire da un singolo embrione. J. McGrath e D. Solter, nel 1983, fusero nuclei embrionali provvisti di membrana con zigoti allo stadio pronucleare anucleati. La fusione fu eseguita mediante l'iniezione di piccole quantità di una soluzione contenente virus Sendai inattivato, che provoca la fusione della membrana del carioplasma con l'embrione anucleato entro pochi minuti. Applicando questa tecnica non invasiva - che, diversamente da quella invasiva e poco efficace messa a punto da Illmensee e Hoppe, garantisce virtualmente il 100% delle probabilità di successo - diversi laboratori hanno peraltro dimostrato che nuclei provenienti da blastomeri di topo allo stadio di 2 cellule consentono lo sviluppo in vitro solo fino allo stadio di morula-blastocisti in circa il 50% dei casi e che difficilmente si ottiene un qualsivoglia sviluppo con nuclei provenienti da embrioni a uno stadio più avanzato. Nei bovini si sono ottenuti risultati altrettanto deludenti: solo il 17% dei trapianti eseguiti allo stadio pronucleare raggiunge lo stadio di morula-blastocisti dopo 5 giorni di coltura in ovidutti di pecora e non si ha uno sviluppo normale dopo trapianti di nuclei di blastomeri allo stadio di 2, 4 e 8 cellule.
Steen Willadsen descrisse per primo, nel 1986, lo sviluppo - fino allo stadio di blastocisti e a termine - di embrioni di pecora ottenuti trapiantando in oociti anucleati nuclei di blastomeri allo stadio di 8 cellule. L'importanza di questi risultati consistette non tanto nell'aver confermato la capacità di un blastomero allo stadio di 8 cellule di indurre lo sviluppo, che era già stata dimostrata negli studi con le chimere, ma nell'aver dimostrato che l'embrione risultante dalla fusione è in grado di svilupparsi e differenziarsi come se partisse dal momento della fecondazione, confermando la potenzialità del citoplasma dell'oocita nel riprogrammare il percorso di sviluppo del nucleo del donatore.
Non è ancora stato determinato quale sia lo stadio più opportuno per utilizzare gli oociti dopo l'ovulazione, ma sembra che la loro potenzialità sia maggiore dopo un breve periodo di maturazione. In generale gli oociti secondari sono prelevati direttamente dall'ovidutto durante interventi chirurgici oppure al momento della macellazione. Una limitazione nell'uso degli oociti da utilizzare come citoplasma accettore è rappresentata dalle procedure impiegate per asportare il nucleo. Con la sola eccezione del coniglio, i cromosomi in metafase non sono chiaramente individuabili negli oociti secondari delle specie da allevamento, a causa della presenza di grandi vescicole lipidiche nel citoplasma. Perciò l'espulsione del primo globulo polare è usata come riferimento per localizzare la posizione della piastra equatoriale, e quindi aspirare i cromosomi e il citoplasma circostante.
Le tecniche non invasive di trapianto nucleare utilizzano strumenti efficaci per fondere le porzioni nucleare (carioplasma) e citoplasmatica (citoplasma) di due cellule differenti. Esistono diversi metodi per eseguire la fusione, alcuni dei quali sono inaffidabili e tossici, come quelli che prevedono l'applicazione di polietilen glicole e di lisolecitine, o laboriosi e dannosi, come quelli che impiegano il virus Sendai inattivato. L'elettrofusione è stata utilizzata con successo per fondere blastomeri e per gli esperimenti di trapianto nucleare in embrioni di mammifero di specie diverse, come topo, coniglio, pecora, bovino e maiale. La fusione sembra causata dall'instabilità reversibile delle membrane plasmatiche nella zona di contatto tra le cellule donatrici di citoplasma e quelle donatrici di nuclei. Si possono ottenere fusioni stimolando le cellule con impulsi di corrente continua di diversi valori: generalmente si utilizzano valori di intensità di campo di circa 1,0 kV/cm per circa 50 o 100 µs. Impulsi di corrente alternata possono essere utilizzati per allineare le cellule in modo tale che le loro membrane risultino perpendicolari al campo elettrico, posizione che favorisce la fusione. La stimolazione preliminare con un impulso di corrente alternata è particolarmente importante quando si fondono oociti anucleati con cellule di diametro molto piccolo, poiché la polarizzazione causata dal campo di corrente alternata facilita il contatto delle loro membrane in vista del successivo impulso di corrente continua.
Esperimenti condotti con zigoti di topo allo stadio pronucleare hanno indicato che il sincronismo della fase del ciclo cellulare tra nucleo e citoplasma è importante per il successivo sviluppo in vitro. Questa osservazione è stata in seguito estesa ai trapianti tra embrioni allo stadio di due cellule, in cui scambi asincroni sono estremamente dannosi per il successivo sviluppo. Questo fenomeno può essere dovuto sia all'inattivazione dei meccanismi di oscillazione del ciclo cellulare, sia a incompatibili interazioni nucleo-citoplasma nel controllo di stadi critici dello sviluppo.
Nel 1997 il gruppo guidato da I. Wilmut, di Edimburgo, è riuscito a ottenere due pecore identiche per clonazione, cioè mediante trasferimento nucleare da una linea cellulare ricavata dalla mammella di una femmina di 6 anni. Questo risultato ha confermato un'ipotesi generalmente accettata, secondo la quale il genoma dei Mammiferi non subirebbe modifiche irreversibili. Anche ammettendo che la linea cellulare usata possa aver mantenuto alcune caratteristiche delle cellule germinali, il successo ottenuto si deve principalmente alla sincronizzazione delle fasi in cui si trovano il nucleo del donatore e il citoplasma del ricevente. In esperimenti precedenti, il nucleo dell'embrione donatore utilizzato si trovava nella fase S o in quella G2 del ciclo cellulare, non compatibile con lo stato del citoplasma del ricevente, che era stato arrestato durante la metafase II. La tecnica usata da Wilmut, invece, è stata quella di impiegare nuclei del donatore in fase G0 del ciclo cellulare. Le pecore sembrerebbero particolarmente adatte a essere clonate, visto che la trascrizione del genoma embrionale non comincia prima dello stadio a 8-16 cellule, il che vuol dire che ci sono 2 cicli cellulari durante i quali il nucleo adulto trapiantato può essere riprogrammato riportandolo a uno stadio embrionale.
È importante porre in evidenza alcuni dei possibili svantaggi della tecnica di clonazione. Innanzitutto si deve considerare la diminuzione della variabilità genetica dovuta all'incrocio tra consanguinei: quando si utilizzano tecniche di clonazione associate a tecniche di ovulazione multipla e a programmi di trasferimento selettivo dell'embrione, si dovrebbero usare grandi popolazioni di founders. È anche importante verificare il grado di influenza dell'eredità citoplasmatica sugli animali prodotti, dal momento che i cloni saranno esposti non solo ad ambienti uterini e neonatali differenti, ma anche a differenti ooplasmi. Le eredità materne che possono derivare dai genomi dei mitocondri e dei centrioli sono esempi delle differenze che possono manifestarsi tra cloni originati per trapianto nucleare. Altri potenziali fattori di variazione da considerare sono l'inattivazione casuale dei cromosomi X nelle femmine e la possibilità che negli embrioni clonati si verifichino espressioni differenziali o mutazioni, seguenti al trapianto nucleare.
La capacità di predeterminare il sesso della progenie avrà effetti benefici sulla produzione di bestiame sia sotto il profilo genetico sia sotto quello economico e, inoltre, sarà accolta con favore in quelle società in cui l'infanticidio è ancora una tragica realtà. L'unica differenza accertata tra gli spermatozoi che trasportano il cromosoma X e quelli che trasportano il cromosoma Y è la quantità di DNA contenuta nel cromosoma sessuale. Finora sono stati sperimentati diversi metodi fisici, chimici e immunologici per separare gli spermatozoi X dagli spermatozoi Y, ma nessuno di essi si è rivelato risolutivo per alcuna specie. Dal 1973, quando alcuni autori sostennero che gli spermatozoi Y umani vengono arricchiti se immersi in una colonna di albumina, sono apparse più di 100 pubblicazioni sulla prevalenza o meno di un tipo di spermatozoo sull'altro. L'unico metodo con una base scientifica per separare gli spermatozoi vitali X e Y di mammifero è quello che impiega la citometria a flusso: con questa tecnica gli spermatozoi vengono marcati con il bisbenzimide, un colorante fluorescente del DNA, ed esposti a eccitazione da raggi UV. A seconda dell'intensità del segnale gli spermatozoi vengono orientati in una o nell'altra direzione e raccolti. Sfortunatamente questa tecnica è piuttosto lenta, visto che consente di isolare solo 300.000 spermatozoi in un'ora, e quindi non è applicabile nell'inseminazione artificiale. Per di più il selezionatore di cellule modificate (modified cell sorter) è estremamente costoso e il composto che rende fluorescente il DNA molto probabilmente è teratogeno.
Un metodo più sofisticato, ma anche più affidabile e sicuro, consiste nella predeterminazione del sesso degli embrioni prodotti in vitro mediante la biopsia di una singola cellula. In pratica, poiché i blastomeri dei Mammiferi sono totipotenti, utilizzando un micromanipolatore è possibile prelevarne uno o due da un embrione di 8 cellule, per poi analizzarne i cromosomi sessuali mediante ibridizzazione fluorescente in situ (Fluorescent In Situ Hybridization, FISH) o reazione di polimerizzazione a catena (Polymerase Chain Reaction, PCR; v. genetica, vol X): è così possibile determinare il sesso di diversi embrioni in 4-6 ore e trasferire poi nella madre gli embrioni del sesso desiderato. La prima nascita conseguita utilizzando la diagnosi preimpianto come strategia riproduttiva alternativa per impedire la trasmissione di malattie legate al sesso è avvenuta a Londra nel 1990.
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