Risorse naturali
L'espressione 'risorsa naturale', conio relativamente recente che accosta i concetti di ricchezza e di natura, viene usata con ampiezza oscillante tra l'inclusione di tutti gli elementi o aspetti della natura, indipendentemente dalla loro utilizzazione, e la considerazione solo di quelli che hanno un valore di mercato. Nella sua accezione più largamente accolta, qui adottata, essa sta a indicare tutto ciò che nella natura è utilizzato o è suscettibile di utilizzazione da parte dell'uomo; l'attribuzione del valore di risorsa avviene in relazione alla funzione che un elemento della natura ha o può svolgere nel soddisfare bisogni materiali, culturali, ecc., funzione che non è necessariamente limitata al campo economico, e muta al variare dell'abilità tecnologica e organizzativa, della gamma dei bisogni umani o dei modi di soddisfarli, e infine della conoscenza delle interazioni tra natura e attività umane.
Di conseguenza, anche l'inventario delle risorse naturali (che in seguito indicheremo semplicemente come 'risorse') si modifica nel tempo: l'ordine di priorità muta; aspetti della natura, già essenziali per la vita dell'uomo, perdono di interesse; altri, in precedenza trascurati o sconosciuti, diventano utili, acquisendo valore di risorsa. Spesso l'individuazione di nuove e più complesse funzioni di elementi naturali ha costituito un passaggio cruciale nella storia dell'umanità. Alcuni di tali passaggi verranno sottolineati in questo articolo, nel tentativo di tracciare un breve quadro storico del rapporto uomo-risorse, quando si riassumerà, limitatamente al periodo più recente, l'evoluzione delle scienze sociali in rapporto allo sfruttamento delle risorse.Il carattere generale della definizione adottata non può mettere in ombra la grande diversità che esiste tra le varie risorse. Evitando di affrontare in dettaglio le problematiche specifiche di ciascuna di esse, costituenti l'oggetto di discipline a sé, prenderemo invece in considerazione quelle differenze e caratteristiche distintive come rinnovabilità, sostituibilità, misurabilità, genere di utilizzo - che sono alla base di classificazioni largamente adottate e utili dal punto di vista sia conoscitivo che pratico. In particolare sarà dato ampio spazio alla distinzione tra risorse non rinnovabili (che comprendono le fonti fossili di energia e le materie prime minerarie non energetiche, e per certi aspetti la terra), risorse ciclicamente rinnovabili (un tipico esempio è costituito dalle popolazioni di specie animali o vegetali) e risorse rinnovabili a flusso continuo (tra cui l'acqua e l'energia solare).L'ultimo tema che affronteremo è quello della politica delle risorse, a proposito della quale è forse inutile sottolineare la necessità di un approccio di carattere interdisciplinare all'interno delle scienze sociali (economia, diritto, geopolitica, ecc.) e tra queste e le scienze naturali. La politica delle risorse non può essere semplicemente un'alternativa tra sfruttamento e conservazione, ma deve essere piuttosto il tentativo di definire combinazioni ottimali o almeno accettabili di sfruttamento e rispetto della natura: in altre parole di dare contenuto a quella ancora vaga e controversa aspirazione che va sotto il nome di 'sviluppo sostenibile'.
Sin dal suo primo apparire sulla terra l'uomo ha considerato la natura come mezzo di sussistenza e, allo stesso tempo, oggetto di timore, di curiosità, di sperimentazione; non molto diversamente dagli animali ha imparato a evitare gli elementi pericolosi e a selezionare quelli utili: le prime attività legate alla sopravvivenza - caccia, pesca, raccolta, uso dell'acqua, ricerca di un riparo dalle intemperie - sono già una trasformazione degli elementi naturali in risorse.
Con il miglioramento della conoscenza della natura l'uomo apprende anche a individuare nuovi modi di dominare alcuni elementi, di combinarli e di ricavarne nuove utilizzazioni (quelle che, nella terminologia moderna, sono le innovazioni di processo e di prodotto), moltiplicando così le funzioni delle risorse note e aggiungendone nuove al suo patrimonio: il controllo del fuoco, dopo essere stato utilizzato per soddisfare bisogni primari come il riscaldamento e l'alimentazione, acquista nuove e rivoluzionarie funzioni, consentendo in particolare la nascita della ceramica e della metallurgia; la selezione delle specie utili e la regolazione delle acque danno impulso al fiorire delle civiltà agricole; la selezione delle specie, insieme all'affinarsi delle tecniche di addestramento e allevamento, è alla base della pastorizia e dell'uso degli animali come fonte di energia e mezzo di trasporto; la ricerca dei minerali e la sperimentazione delle loro qualità fisiche e chimiche, unitamente al già menzionato uso del fuoco, danno vita alla metallurgia.
Nei confronti del tentativo dell'uomo di dominare la natura, che è stato anche oggetto di rappresentazioni simboliche in molti miti, si sono infine storicamente delineati due atteggiamenti antagonistici: uno pessimista, in cui prevale la paura della scarsità dei mezzi di sussistenza, per le carestie periodiche, per i limiti della capacità umana di dominare la natura, per lo squilibrio tra bisogni crescenti e finitezza delle risorse; l'altro ottimista, fiducioso nel progresso della conoscenza e della tecnica, che vede nell'attitudine all'adattamento e all'innovazione una risposta alla scarsità, considerata relativa in quanto legata a condizioni (conoscitive, politiche, di mercato) modificabili dall'uomo stesso.
Con la prevalenza ora dell'uno ora dell'altro, questi due atteggiamenti coesistono da sempre. La ripresa in anni recenti dei toni catastrofici - forse stimolata dalla scadenza evocatrice della fine del millennio - costituisce la sana reazione a una visione ottimista, troppo acriticamente consolidata. Ma va considerato che il ritorno del mito del dominio sulla natura, dal XIX secolo fino agli anni settanta del XX, era stato alimentato da un imponente allargamento della disponibilità di risorse, connesso alle trasformazioni in campo scientifico, economico e istituzionale, dovute a due secoli di industrializzazione.
La maggiore disponibilità delle risorse va collegata ai rapidi progressi della scienza e della tecnologia avviati alla fine del XIX secolo. Alla base di tale espansione vi sono due circostanze, incidenti rispettivamente sulla domanda e sull'offerta delle risorse: a) un'ondata di invenzioni e innovazioni rivoluzionarie, dalle molteplici applicazioni, implicanti un uso più ampio e differenziato delle risorse e la domanda di materiali industriali con nuove caratteristiche rispondenti alle mutate tecnologie; b) i progressi della scienza dei materiali e i mutamenti tecnologici che hanno interessato l'offerta delle risorse (tradizionali e nuove), coinvolgendo, oltre all'attività di ricerca, produzione e preparazione delle stesse, anche la loro trasformazione. Ciò, da un lato, ha sollecitato nuove attività primarie e nuovi processi di produzione e, dall'altro, ha reso possibile la rapida diffusione dei nuovi materiali industriali.
Si pensi ad esempio, nel campo dei minerali, all'effetto congiunto delle innovazioni tecnologiche in quattro settori: comunicazioni, produzione di energia, trasporti, chimica. L'ampliamento su scala mondiale del sistema di comunicazione ha moltiplicato la domanda di metalli: dapprima l'invenzione del telegrafo e del telefono e poi le loro applicazioni hanno alimentato la richiesta di nuovi metalli, ma soprattutto un rapido aumento della domanda di quelli tradizionali (rame per fili e cavi; piombo per rivestire i cavi; altri metalli per impianti e centrali). Successivamente l'invenzione della radio e della televisione e, più recentemente, le applicazioni dell'elettronica, pur richiedendo minori quantità di materiali per unità di prodotto, hanno continuato ad alimentare la domanda mondiale di risorse minerarie. Persino più forte è stato l'impulso derivato dalle necessità della trasmissione di energia elettrica: l'uso generalizzato dell'energia, trasformando macchinari di uso domestico o industriale e modelli di consumo (dall'illuminazione al trasporto pubblico) ha richiesto un massiccio impiego di risorse, soprattutto minerarie: in particolare il rame è divenuto indispensabile per la distribuzione di elettricità e per la produzione di macchine elettriche, ma anche l'uso di altri metalli è aumentato rapidamente per la costruzione di motori elettrici, di batterie e di altri prodotti industriali connessi all'utilizzazione dell'elettricità. Grosso modo nello stesso periodo nuove enormi possibilità sono state aperte anche dall'invenzione del motore a scoppio, il quale, sostituendo la locomozione a vapore e avviando in particolare lo sviluppo dell'industria automobilistica e di quella aeronautica, ha determinato la crescita della domanda, prima di metalli pesanti e poi leggeri. Infine, lo sviluppo tecnologico dell'industria chimica ha ampliato la gamma delle risorse naturali utilizzate e accresciuto l'uso di alcuni minerali di base. Tra questi meritano di essere ricordati, oltre ovviamente al petrolio, alcuni minerali non metalliferi impiegati nella produzione di fertilizzanti chimici a base di azoto e potassio e soprattutto di fosforo, i cui consumi registrano una crescita esponenziale, poiché oggi la produzione agricola mondiale viene aumentata attraverso il miglioramento delle rese per unità di superficie coltivata, piuttosto che con la messa a coltura di nuove aree.
A questo proposito va sottolineato che la scarsità di risorse naturali non può essere ritenuta la causa di una crescita lenta della produzione alimentare e quindi della fame nel mondo: su scala planetaria la risorsa di base - la terra coltivabile, teoricamente limitata - non appare di fatto sotto pressione, e la stessa cosa può dirsi, con qualche prudenza, anche per l'acqua; né sembrano di qualche rilevanza vincoli fisici di altro genere, in particolare relativi a risorse naturali da utilizzarsi come mezzi di produzione (ad esempio fertilizzanti); né, infine, può parlarsi di penuria di prodotti alimentari a livello globale. Certo, in determinate aree la denutrizione e l'insufficienza dei mezzi di sostentamento sono fenomeni reali e drammatici; ma si tratta di un problema diverso da quello della scarsità delle risorse, e concerne prevalentemente i meccanismi di mercato a livello globale, il circolo vizioso dello sviluppo economico, la diffusione della tecnologia e l'accesso a essa, insomma le condizioni per l'uso delle risorse.
Le invenzioni e le innovazioni tecnologiche rilevanti per l'uso delle risorse non hanno interessato soltanto i settori industriali menzionati in precedenza: la metallurgia, in particolare, che è stata per molti decenni uno dei settori più dinamici dell'economia mondiale, ha guidato l'introduzione o la definitiva affermazione di tutta una varietà di materiali, soprattutto metalli, con particolari caratteristiche (proprietà catalitiche, refrattarietà, capacità di disossidare alcuni metalli, ecc.). Nello sviluppo tecnologico della metallurgia - esemplificativo di una tendenza più generale - hanno operato tre tipi di innovazioni: 'di processo', volte a ridurre il costo per unità di prodotto (ad esempio quelle che hanno caratterizzato l'evoluzione dell'elettrolisi dell'alluminio) o a consentire l'uso di minerali grezzi precedentemente inutilizzabili; 'di prodotto' (alla base, ad esempio, della produzione differenziata degli acciai e delle leghe speciali); 'miste', cioè insieme di processo e di prodotto, attraverso le quali è stato possibile ottenere o rendere economico l'uso di nuove risorse, come è accaduto per l'uranio, il nichel, il cromo (e ancora magnesio, vanadio, tungsteno, manganese, molibdeno), o più recentemente il lutezio e le altre terre rare, l'afnio, lo zirconio, il titanio, per fare solo qualche esempio di una lista assai lunga.
In generale, tutti i settori produttivi hanno contribuito ad allargare e differenziare la domanda di risorse, in particolare di fonti energetiche e di metalli, con una progressione che, dall'osservazione delle statistiche mondiali degli ultimi 100-150 anni, appare straordinaria. Questo processo, che è lungi dall'esaurirsi, è stato realizzato tuttavia senza una particolare attenzione a verificare se il rapido aumento della domanda potesse avere l'effetto di rendere scarse le risorse. Quando questo tipo di preoccupazione si è manifestato - come per il petrolio e i cosiddetti materiali 'critici' o 'strategici' (che hanno la caratteristica di entrare in proporzioni fisse nei processi produttivi, non essere facilmente sostituibili e presentare una forte concentrazione dell'offerta) - essa concerneva i rischi di interruzione degli approvvigionamenti nel breve periodo, piuttosto che quelli di una effettiva scarsità.
Ma nel corso della seconda metà del XX secolo sono emersi nuovi motivi di attenzione e preoccupazione, sulla base dei quali è stata avviata la ricerca - che finora ha dato luogo solo a tentativi controversi - di nuovi approcci a un rapporto equilibrato tra attività umane e natura.
Se l'esplosione demografica su scala planetaria, la maggiore complessità delle attività umane e l'intensificarsi dei processi produttivi hanno reso sempre più plausibile il timore di una scarsità delle risorse disponibili o almeno di alcune di esse, un vero e proprio segnale d'allarme è stato lanciato dallo sconvolgimento dei meccanismi di controllo dei mercati mondiali delle risorse provocato nella prima metà degli anni settanta dal manifestarsi della forza politica dei paesi produttori emergenti dal colonialismo. Gli effetti, anche se temporanei sul piano strettamente commerciale, furono ampi. Il movimento ambientalista internazionale ricevette in quegli anni un impulso decisivo proprio dall'affermarsi dell'idea che allo sviluppo economico contemporaneo sono associati lo spreco, l'uso rapinoso e quindi il depauperamento delle risorse naturali, e che spreco e rapina, di per sé deprecabili, non sono giustificabili neppure in nome dello sviluppo economico; questo, infatti, è destinato a non durare (sviluppo non sostenibile) proprio perché provoca il rapido esaurimento o il deterioramento delle risorse sul cui uso intensivo è basato.
L'idea non era infondata, ma generò eccessi. Alcuni studiosi, nell'approfondire l'esame dei meccanismi di pressione sulle risorse terrestri, tentarono di dimostrare che questi avrebbero condotto in tempi brevi a un arresto catastrofico dello sviluppo industriale mondiale, e costruirono modelli di natura 'esplosiva' con i quali giunsero a quantificare i tempi del collasso, affermando, ad esempio, che la maggior parte dei minerali di largo uso industriale si sarebbero esauriti intorno alla fine del millennio. Tipico da questo punto di vista è il noto studio del Club di Roma, diretto da D.L. Meadows (v. Meadows e altri, 1972).
Oggi è largamente ammesso che tali risorse sono sì definibili in senso largo come 'finite', ma anche che occorre dare a questa definizione un valore relativo. La scoperta di nuovi materiali, l'individuazione di aree minerarie inesplorate, l'uso di tecniche più intensive di sfruttamento, e soprattutto la possibilità di attivare nuove risorse e nuovi processi produttivi sulla base di mutate condizioni di economicità, sono gli elementi che contrassegnano il carattere non assoluto della 'scarsità'. Le grandi innovazioni della metallurgia, dalla preistoria alle rivoluzioni tecnologiche del XIX e del XX secolo, ne sono una lampante testimonianza storica. L'esauribilità delle risorse mondiali è in fondo legata al livello degli investimenti, alla ricerca, all'evoluzione tecnologica e soprattutto alla struttura dei prezzi e dei costi in un dato momento storico: in pratica, se si considerano gli aggiustamenti di mercato, i timori appaiono eccessivi.
Questione diversa è assicurare, sul piano internazionale, le condizioni politiche necessarie affinché gli aggiustamenti di mercato non operino sul sistema economico e politico come altrettante micce in situazioni esplosive, visto che le ricchezze naturali sono concentrate nei paesi del Terzo Mondo, ma sono i paesi più industrializzati che ne consumano la maggior parte, ne hanno gestito a lungo l'uso e ancora oggi in parte lo gestiscono. Ciò è al centro della geopolitica contemporanea, ma ha poco a che fare con il problema della scarsità, posto drammaticamente da coloro che annunciano la fine del patrimonio mondiale delle risorse naturali.
Eppure, al di là delle esagerazioni, degli errori di previsione e di alcuni difetti di impostazione, la letteratura 'catastrofista' ha avuto un ruolo storico innegabile: slogans come 'crescita zero' hanno contribuito a rendere universalmente accettata l'idea, solo apparentemente ovvia, che le risorse naturali non sono illimitate, e che il loro uso in determinate attività, aree geografiche e periodi storici può vincolarne o impedirne l'impiego in altre attività, in altre aree o da parte di altre generazioni.
Mettendo in discussione il modello tradizionale di sviluppo industriale, è stato dato nuovo risalto a un altro aspetto rilevante per le risorse: le 'esternalità negative' del processo di industrializzazione non solo sulle materie prime direttamente utilizzate nelle attività produttive, ma in generale sulla natura. È divenuto sempre più chiaro che tali effetti collaterali, le cui conseguenze sono talvolta irreversibili, costituiscono un pregiudizio e un onere per la collettività nazionale o globale; ed è sempre più sentita l'esigenza che essi vengano ben studiati e possibilmente quantificati, indipendentemente dal fatto che siano spesso assenti nella contabilità dei costi industriali. In particolare, è stata acquisita una maggiore coscienza di un risultato secondario ma sistematico dei processi economici: l'accumulo di quantità di rifiuti che l'ambiente è sempre meno in grado di assorbire, e il conseguente determinarsi di situazioni tali da compromettere, in maniera non temporanea, sia il futuro uso delle risorse nella produzione e nel consumo, sia più in generale gli equilibri naturali. Non occorre riferirsi a problemi come l'accumulo di sostanze pericolose (scorie radioattive, fanghi tossici, ecc.), ma basta pensare alle ordinarie conseguenze ambientali della concentrazione di insediamenti produttivi o residenziali, come il degrado di molti bacini idrici a causa di scarichi industriali e urbani, l'inquinamento atmosferico nella città, gli effetti locali del deflusso a mare di residui di fertilizzanti usati in agricoltura (mucillaggini, ecc.); e si possono ancora ricordare tra i problemi rilevanti sul piano globale, la radioattività dell'atmosfera, l'effetto serra, il buco dell'ozono.
Ad alimentare il timore che le attività umane possano causare danni irreversibili alla natura, compromettendone l'utilizzo futuro, contribuisce anche la consapevolezza che la conoscenza delle interazioni tra attività umane e natura è fortemente limitata.
Dalla comparsa dei concetti di incertezza e irreversibilità nella valutazione contemporanea del rapporto tra uomo e risorse derivano due importanti conseguenze. La prima è costituita dalla tendenza, anche tra gli economisti e gli altri specialisti, a non limitarsi a esaminare gli aspetti settoriali di propria competenza, ma a prendere in considerazione un insieme sempre più ampio di relazioni tra natura e attività umane. La fig. 1 costituisce una maniera tipica di rappresentare tali relazioni, la quale, sebbene sia ancora settoriale e parziale, è ben lontana dagli schemi che in passato venivano utilizzati a tal fine in economia o più in generale nelle scienze sociali. In particolare la figura mette in evidenza che le risorse entrano nell'attività umana non solo come inputs di produzione, ma anche come bene a sé, e soprattutto come recipiente di assorbimento dei rifiuti dell'attività umana.
E tuttavia questo allargamento del concetto - grazie al quale le risorse iniziano a essere considerate come elementi integranti del ciclo biologico e della qualità della vita, e quindi tendono a coincidere con la natura tout court - appare oggi già a molti insufficiente. Le due funzioni indicate, che hanno valore generale, continuano a essere considerate dalle scienze sociali soltanto in relazione ad aspetti limitati e isolati. D'altra parte, mentre si avvertono l'intensità e la complessità crescenti delle interconnessioni tra risorse e attività umane, la conoscenza di queste connessioni continua a essere assai rudimentale, anche per limiti conoscitivi esterni - in particolare delle scienze naturali - relativi ai meccanismi che regolano gli equilibri intercorrenti tra gli elementi di un ecosistema. Da qui l'allargamento delle esternalità da considerare, la diffusione delle valutazioni dell'impatto ambientale dell'uso delle risorse, i tentativi di tradurre l'incompleta conoscenza di tale impatto in termini probabilistici, utilizzabili nell'analisi di rischio, l'introduzione di 'funzioni di preferenza' che tengano conto anche del punto di vista dei sostenitori della conservazione delle risorse, e infine la ricerca di modelli e di nuovi approcci, avviata da Georgescu-Roegen (v., 1971), allo studio dell'impatto dell'uomo sulla natura.
Tra le scienze sociali è l'economia quella che più di ogni altra si è occupata delle connessioni tra risorse e attività umane, anche se gli economisti non sono riusciti a costruire un sistema teorico soddisfacente, né sono giunti a conclusioni univoche. Non è un caso che, nella ricerca di spiegazioni coerenti e non avulse dalla realtà, ha avuto e continua ad avere un ruolo importante quella che è stata definita "la semiteoria dell'economia delle risorse" (v. Quadrio Curzio e Pellizzari, 1981), ossia il tentativo di supplire all'insufficiente impianto teorico con un'analisi descrittiva sostenuta dai contributi di altre discipline, sempre nell'ambito delle scienze sociali, in particolare l'analisi storico-economica e l'econometria applicata.
Al di là dei risultati ottenuti, lo studio delle risorse - in particolare per ciò che concerne il loro impiego nella produzione - ha una lunga storia, che va di pari passo con l'evoluzione del pensiero economico. Secondo un giudizio comunemente accolto dai mercantilisti e fatto proprio da alcuni economisti classici, le risorse naturali sono la sola fonte di ricchezza, l'unica a produrre reddito addizionale; ogni bene può essere ricondotto, più o meno direttamente, a quantità fisiche di risorse naturali, e quindi la ricchezza di una nazione dipende dalla sua disponibilità di risorse. Questa posizione, che costituisce un elemento fondamentale della teoria e della politica economiche nel XVIII secolo e all'inizio del XIX, veniva generalmente sostenuta avendo come riferimento la terra coltivabile, intesa (per il concetto di rendita e le sue implicazioni sul valore dei beni e sulla distribuzione del reddito) come esempio paradigmatico della categoria economica più ampia delle risorse naturali, com'è stato talvolta dichiarato espressamente (v. Cantillon, 1755; v. Ricardo, 1817).
Tale centralità delle risorse nell'economia, venuta meno per quasi un secolo, in particolare con l'avvento dell'approccio marginalista, è ritornata di grande attualità negli ultimi decenni. L'interesse odierno per l'argomento si manifesta in molte direzioni in cui la scienza economica svolge le sue indagini: a) la misurazione della scarsità delle risorse e la valutazione del rapporto tra scarsità e progresso tecnico; b) l'individuazione dell'uso ottimale delle risorse, con modalità diverse a seconda che esse siano rinnovabili o no; c) l'analisi dell'interdipendenza tra risorse e produzione.
Già i mercantilisti avevano individuato nella scarsità delle risorse il limite alla crescita dell'economia. Agli economisti classici, e in particolare a Malthus e Ricardo, viene attribuita, con una distinzione che non fa piena giustizia delle idee espresse da ciascuno di essi, l'elaborazione di due diverse concezioni del problema.Malthus (v., 1798 e 1820) osservò che, mentre esiste la tendenza a un aumento esponenziale della popolazione e quindi della domanda di mezzi di sostentamento, l'offerta di questi ultimi può essere accresciuta soltanto in modo lineare a causa della limitatezza delle risorse, e sostenne che tale scarsità fisica assoluta non può essere compensata da un più intenso sfruttamento delle risorse esistenti. Al contrario, Adam Smith (v., 1776) aveva enfatizzato il ruolo dell'accumulazione di capitale e delle innovazioni tecniche nel determinare un surplus nel settore di produzione delle risorse, e più in generale la crescita della ricchezza.
Ricardo (v., 1815 e 1817) sposta l'accento dalla scarsità assoluta a quella relativa: l'aumento della popolazione e della domanda di mezzi di sussistenza porta allo sfruttamento di risorse di qualità sempre inferiore (terre meno fertili, giacimenti minerari a più basso tenore, ecc.) che hanno quindi una produttività decrescente. Il saggio di profitto della risorsa più povera è il saggio di profitto dell'intera economia, e - a parità di lavoro e capitale impiegato - la differenza tra il prodotto ottenuto da una risorsa più ricca e quello della risorsa più povera costituisce la cosiddetta rendita differenziale (chiamata anche rendita ricardiana, sebbene il concetto fosse stato già introdotto da Malthus e dallo stesso Smith). L'immissione di capitale e progresso tecnico nella produzione primaria, riducendo i costi, consente di ottenere profitti dall'uso di risorse di qualità progressivamente inferiore, aumentando conseguentemente la rendita e facendo sì che il vincolo della limitazione delle risorse, pur continuando a sussistere, risulti attenuato.
Se lo sviluppo di attività che non concernono direttamente le risorse sia in grado di far realizzare un 'risparmio' delle stesse, è questione che non è solo al centro della teoria classica delle risorse - è significativo che la sistemazione del pensiero ricardiano effettuata da Mill (v., 1848) contenga conclusioni che appaiono vicine alle preoccupazioni di Malthus -, ma dell'intera storia economica (v. Butlin, 1981).Anche gli studi moderni che affrontano lo stesso problema - stimolati dalla ripresa della teoria ricardiana e in particolare dai lavori di Sraffa (v., 1951 e 1960) - vengono ricondotti, seguendo Barnett e Morse (v., 1963), alla contrapposizione tra i due atteggiamenti. Nell'approccio malthusiano il vincolo è costituito dalla scarsità fisica assoluta delle risorse omogenee, mentre nella visione ricardiana la limitazione viene percepita in termini di costi e di prezzi crescenti delle risorse disponibili, man mano che scendono la qualità e la disponibilità delle stesse; dal progresso tecnico dipende la relazione tra scarsità e producibilità.
La controversia che divide 'pessimisti' e 'ottimisti' sul destino delle risorse del pianeta, essendo fondata sul diverso significato attribuito ai concetti di risorsa e di scarsità, si riflette ovviamente sui risultati dei numerosi tentativi di misurazione, siano essi quantificazioni correnti o previsioni della scarsità stessa - in particolare delle risorse non rinnovabili, come i combustibili fossili e i minerali di uso industriale. Le previsioni sulle risorse, assunte come non omogenee, sono molto più ottimistiche, in quanto ipotizzano una crescita dello stock dovuta alla ricerca ed effetti riduttivi dei costi derivanti dal progresso tecnologico.Gli indici di scarsità che vengono correntemente utilizzati sono basati sulla quantificazione dello stock di risorse disponibili, che utilizza misure di tipo fisico. Ad esempio, per le risorse minerarie si tratta di stime geologiche, espresse in unità di peso o volume, della dimensione dei giacimenti o della quantità di minerale contenuta in essi; un'attenzione particolare è rivolta a quella parte delle risorse, dette riserve, suscettibile di immediata utilizzazione economica. Così, ad esempio, è costruita la tab. I, che fornisce il quadro delle riserve mondiali dei principali minerali.
Le quantificazioni di risorse e riserve non sono, tuttavia, immutabili nel tempo. Le stime vengono continuamente riviste in relazione alla conoscenza delle risorse stesse, alla tecnologia di sfruttamento e, per quanto riguarda le riserve, alle condizioni che ne consentono lo sfruttamento economico (domanda, costi di raccolta, estrazione, ecc., e quindi prezzo). Gli schemi contenuti nella fig. 2 illustrano sinteticamente queste relazioni e rappresentano le connessioni tra i vari tipi di risorse e tra queste e le riserve.
Dalle misurazioni fisiche delle risorse vengono ricavati, più o meno direttamente, i loro tempi di esaurimento. Il più semplice indicatore di questo genere è costituito dal rapporto tra lo stock di risorsa attualmente disponibile (R) al tempo t₀ e il consumo corrente (C₀): esso indica quanti anni durerà la risorsa se si continuerà a consumarla nella stessa quantità di oggi.
Volendo tener conto del fatto che col crescere dell'economia mondiale cresce anche il consumo delle risorse utilizzate nei processi produttivi, occorre considerare il tasso di crescita medio annuo del consumo in futuro, g, per cui la previsione della domanda risulta essere Ct=C₀ egt. Se non intervengono circostanze che modifichino lo stock della risorsa o il tasso di crescita dei consumi, il sentiero temporale di esaurimento della risorsa può essere indicato dall'espressione: La soluzione dell'espressione per l'incognita T indica il numero di anni entro i quali la risorsa si esaurirà.
La tab. II, relativa alle riserve di alcuni minerali, è un esempio di misurazione basata su formule del tipo indicato.
Tali misurazioni consentono di ottenere indicazioni di massima sulla scarsità fisica di una risorsa, ma possono essere utili solo a condizione che non vengano usate in modo meccanico o dimenticando le ipotesi semplificatrici che ne sono alla base. Quando vengono utilizzate per una valutazione prospettica della scarsità, esse non considerano - o lo fanno in modo insufficiente - fattori tra loro interconnessi, come le variazioni dei costi, l'ampliamento delle conoscenze della natura e le nuove esplorazioni, i condizionamenti della forma del mercato, gli effetti delle innovazioni tecnologiche. In particolare, ciò che in qualche modo sfugge alle previsioni basate su questo tipo di misurazioni è l'insieme degli effetti congiunti di tecnologia e pressione della domanda sulla convenienza a intensificare gli sforzi per ampliare lo stock di risorse utilizzabili (convenienza intesa non solo come riduzione dei costi, ma anche come opportunità di sfruttare risorse più povere o in precedenza inutilizzabili), sulla produzione o raccolta, sulla sostituzione di una risorsa con altre, sul riciclaggio di risorse già usate e sull'intensità di uso delle risorse scarse nella produzione di beni intermedi e finali: in sintesi, gli effetti diretti e indiretti che l'evoluzione del prezzo della risorsa determina sia sulla domanda che sullo stock della stessa.
I tentativi di utilizzare comunque gli indici di scarsità a fini previsionali, apportando qualche modifica alle formule utilizzate in modo da tener conto di alcuni dei fattori indicati, sono risultati inconcludenti, dal momento che tale indici, a prescindere dagli errori di previsione della domanda, non riescono a spiegare il fatto che in generale la dimensione delle risorse - sia misurate in termini di riserve sia adottando definizioni più ampie - anziché ridursi, risulta costante o crescente nel tempo. In particolare, le riserve di minerali metallici di largo consumo, per i quali maggiore è stato l'allarme di esaurimento, nel corso degli ultimi quarant'anni si sono moltiplicate: ad esempio, quelle di piombo e di rame sono triplicate, quelle di bauxite quintuplicate.Tra le cause di tale progressivo aumento, due in particolare sono state ben messe in evidenza dalle verifiche empiriche.
La prima è costituita dalle innovazioni nelle tecniche di estrazione, le quali consentono di utilizzare minerali con tenore metallico sempre più basso, rendono coltivabili giacimenti che prima non lo erano e venivano quindi esclusi dal novero delle riserve: nel caso del rame, ad esempio, il tenore limite del minerale estratto - in alcune aree largamente inferiore all'1% - è oggi meno di 1/5 di quello che era accettabile all'inizio di questo secolo (v. Mureddu, 1993).
La seconda causa sta nel fatto che le riserve, per la loro stessa definizione, includono un numero sempre maggiore di giacimenti (a costi di estrazione crescenti) man mano che il prezzo aumenta; d'altra parte, al variare del prezzo varierà anche l'interesse a intensificare l'esplorazione. Le stime delle riserve sono quindi diverse a seconda dei prezzi considerati, sia perché si modificano automaticamente al mutare della soglia di economicità dei giacimenti, sia per effetto della sensibilità dell'attività di esplorazione al mutare del prezzo. Se ne è avuto un esempio lampante negli anni settanta, quando in seguito alla crisi che triplicò il prezzo del greggio si verificò un rapido aumento dell'esplorazione di nuove aree petrolifere (i giacimenti del Mare del Nord, ma non solo), che rallentò successivamente, quando i prezzi ritornarono ai livelli precedenti, arrestandosi quasi del tutto quando, nel 1989, le quotazioni del greggio precipitarono, scendendo sotto i 10 $; al barile.
L'effetto dei prezzi è rilevante anche sui meccanismi di sostituzione tra risorse alternative; ciò avviene anche in assenza di un problema di scarsità (ad esempio il processo di sostituzione del carbone con il petrolio e il gas non è stato determinato dalla scarsità del primo); ma nel caso in cui si tema il rapido esaurimento di una risorsa è ragionevole attendersi che il suo prezzo aumenti e che si utilizzino risorse alternative divenute relativamente più convenienti, includendo tra queste anche le cosiddette risorse secondarie o riciclate, la cui produzione è ovviamente scoraggiata da un prezzo basso della risorsa primaria (oggi tali risorse secondarie costituiscono una parte consistente della disponibilità complessiva).
Il secondo tema di interesse per l'economia - quello della individuazione dell'uso ottimale delle risorse - è stato affrontato in modo analogo, ma tenendo conto della diversità tra risorse non rinnovabili - e quindi destinate a esaurirsi man mano che vengono usate (come ad esempio un giacimento minerario) - e risorse che invece siano rinnovabili, ossia abbiano la capacità di rigenerarsi (ad esempio una foresta o un patrimonio faunistico).
Nel caso delle risorse non rinnovabili le alternative che si pongono sono di vario ordine: a) usare o non usare la risorsa? b) vincolarne o non vincolarne l'uso? c) in caso di uso vincolato, quale vincolo adottare? quello di non ridurre lo stock della risorsa al di sotto di un determinato livello, considerato ottimale, o desiderabile o irrinunciabile, o altri vincoli? d) in caso di uso non vincolato, ossia se si è disposti a usare la risorsa fino al suo esaurimento, con quale intensità e quindi in quanto tempo converrà procedere allo sfruttamento che condurrà all'esaurimento della risorsa?
A interessare gli economisti è stata soprattutto quest'ultima questione, ossia la scelta del tasso ottimale di utilizzo relativo a una risorsa definita quantitativamente, inizialmente in un contesto di proprietà privata o uso esclusivo e senza vincoli, in assenza di incertezza e di progresso tecnico. Occorre aggiungere che l'analisi si è prevalentemente riferita a comportamenti di carattere microeconomico, ipotizzando imprese che massimizzano il profitto sia in concorrenza perfetta che in monopolio.
L'approccio seguito può essere così sintetizzato. Per chi dispone di una risorsa non rinnovabile non è indifferente venderne una unità oggi o fra un anno se il prezzo rimane lo stesso. Sarà indifferente venderla oggi al prezzo P₀ e tra un anno al prezzo P₁=P₀er; in generale posporre la vendita al tempo t sarà indifferente se Pt=P₀ert.
Questa considerazione può essere fatta discendere dal principio dell'attualizzazione o sconto, che è alla base della confrontabilità nel tempo delle variabili finanziarie. In tal modo la risorsa viene considerata alla stregua di una qualsiasi attività che produce un interesse.
Questa regola può anche essere enunciata nel modo seguente: il tasso di crescita del prezzo deve essere uguale al saggio di attualizzazione (sconto); se indichiamo con β il tasso di crescita del prezzo e con r il tasso di sconto, dovrà essere β=r. L'espressione Pt=P₀ert può essere scritta sotto la forma Pt/P₀=ert; quindi, poiché Pt/P₀=P₀eβτ/P0=P₀eβτ/P0=eβτ anche eβτ=ert; perciò β=r. Secondo questo principio la risorsa sarà sfruttata in modo che il tasso di crescita del prezzo della risorsa utilizzata sia uguale al tasso di sconto.
Nella sua formulazione più semplice Pt=P₀ert, β=r è dunque la regola fondamentale di analisi economica sull'uso delle risorse non rinnovabili, nota come regola di Hotelling dal nome dell'economista che arrivò per primo a questo risultato (v. Hotelling, 1931) partendo da ipotesi neoclassiche e individuando il sentiero ottimale di esaurimento di una risorsa non rinnovabile. Si tratta di risolvere un problema di massimo vincolato: la variabile da massimizzare è una funzione di utilità, attualizzata sulla base del tasso d'interesse, associata allo sfruttamento nel tempo di una risorsa, ipotizzata omogenea, mentre il vincolo è costituito dalla limitatezza e dalla non rinnovabilità della risorsa stessa.
L'approccio seguito da Hotelling - che era stato in parte anticipato da alcuni precursori (v. Gray, 1913 e 1914; v. Cassel, 1923) - ha costituito il punto di riferimento della maggior parte degli studi successivi sullo sfruttamento delle risorse non rinnovabili (v. Gordon, 1967; v. Anderson, 1972; v. Dasgupta e Heal, 1974; v. Fisher e Petersen, 1977; v. Loury, 1978; v. Pindyck, 1978; v. Manning, 1978; v. Lecomber, 1979).
La fig. 3 fornisce una rappresentazione grafica del modello, che è basata su quelle elaborate da Devarajan e Fisher (v., 1981) e da Toman (v., 1986) ma tiene anche conto di alcune estensioni dovute ad altri autori e in particolare della disponibilità di una tecnologia che consenta la sostituzione della risorsa considerata (v. Heal, 1976).
La figura descrive il modello nelle sue linee generali: nel primo quadrante, dove abbiamo il tempo (t) sull'asse delle ascisse e il prezzo (P) su quello delle ordinate, è tracciato il sentiero temporale ottimale del prezzo della risorsa, determinato dalla relazione Pt=P₀ert, per cui il prezzo aumenta all'aumentare del tasso di sconto; più precisamente, la pendenza della curva, cioè il tasso di crescita del prezzo stesso, è uguale al tasso di sconto (r). P₀ rappresenta il prezzo iniziale; T è l'unità di tempo in cui la risorsa si esaurisce. Nel secondo quadrante, in cui le ascisse indicano la quantità (Q), è rappresentata la domanda della risorsa: più alto è il prezzo, minore è la quantità domandata. Nel quarto quadrante figura semplicemente la bisettrice che consente di trasferire la scala temporale sull'ordinata del terzo quadrante e quindi di traslare sulla stessa i punti del sentiero del prezzo (alla scala temporale viene cioè associato il prezzo corrispondente a ciascun periodo). Sul terzo quadrante, in cui gli assi indicano il tempo e la quantità, è rappresentata appunto la relazione inversa tra la quantità domandata e il tempo (o tra la quantità domandata e il prezzo corrispondente a ciascuna unità di tempo); l'integrale della curva di domanda (area ombreggiata) rappresenta la quantità cumulativa estratta, ossia la parte dello stock della risorsa utilizzata fino al tempo T, e se il sentiero è ottimale, corrisponde all'intero stock della risorsa stessa.
Il modello consente di considerare generalizzazioni e complicazioni, anche per il fatto che nel corso di mezzo secolo esso si è arricchito di una serie di contributi che hanno rimosso o reso meno restrittive alcune ipotesi introdotte originariamente e ne hanno fornito una presentazione formale meglio utilizzabile (v. Devarajan e Fisher, 1981; v. Pfingten, 1986), oltre ad allargarne l'applicabilità, inclusi i casi di presenza di costi di produzione (v. Herfindahl, 1967; v. Levhari e Levitan, 1977), di progresso tecnico (v. Stiglitz, 1974; v. Dasgupta e altri, 1976; v. Kamien e Schwartz, 1978) e di incertezza (v. Dasgupta e Stiglitz, 1976; v. Salant, 1976; v. Dasgupta e Heal, 1979). Il modello ha una sua coerenza interna e si presta a ulteriori generalizzazioni, ma le già menzionate ipotesi di base ne limitano la capacità esplicativa e l'aderenza alla realtà; gli studi effettuati per verificare quest'ultima (ad esempio, v. Barnett e Morse, 1963; v. Heal e Barrow, 1980; v. Farrow, 1985; v. Halvorsen e Smith, 1991; v. Young, 1992; v. Slade e Thille, 1974) hanno condotto a risultati incerti e contraddittori. Mentre interessanti convergenze tra l'approccio neoclassico e quello neoricardiano vengono individuate sul piano teorico (v. Parrinello e Cecchi, 1982), le analisi empiriche sull'andamento nel lungo periodo dei costi di produzione e dei prezzi di alcune risorse non sembrano, ancora una volta, confermare in maniera decisiva alcuna teoria. In particolare, come osserva Butlin (v., 1982), le regole microeconomiche, che secondo la teoria dovrebbero guidare il comportamento dell'impresa produttrice di risorse esauribili, non risultano ancora in grado di spiegare il comportamento degli oligopoli internazionali che costituiscono l'aspetto strutturale fondamentale del mercato di tali risorse.
Sono esempi tipici di risorse rinnovabili un banco di pesci, la fauna selvatica di una regione, un allevamento, una foresta, e in generale ogni specie vegetale o animale. In realtà l'essere una specie vivente è una caratteristica dominante ma non essenziale di questo tipo di risorse. La vera particolarità consiste nel fatto che esse si rigenerano periodicamente e la loro dimensione - che può essere semplicemente fornita dalla popolazione delle specie riferita a un determinato territorio (ma anche al mondo intero), o dalla quantificazione di qualche caratteristica fisica delle risorse stesse (ad esempio numero delle unità di volume o di peso del legname contenuto in una foresta) - varia in relazione alle condizioni esterne e allo specifico ciclo periodico di rigenerazione. Tali risorse possono ridursi momentaneamente, anche a causa dello sfruttamento da parte dell'uomo ma, grazie alla loro capacità di rigenerarsi, ciò può non implicare una riduzione permanente: così il legname di una foresta può essere utilizzato, o un banco di pesci può essere oggetto di pesca, ecc., ma quella foresta, quel banco di pesci, anziché impoverirsi, possono rimanere immutati o anche continuare a crescere, a condizione che la 'raccolta' non sia tale da impedire il naturale processo di rigenerazione.
Vengono tradizionalmente chiamate 'rinnovabili' anche risorse che non hanno un ciclo periodico di rigenerazione, ma presentano flussi continui nel tempo. Tali risorse, che qualcuno (v. Pillet, 1993) ha forse più correttamente definito "funzioni ambientali" (ad esempio l'energia solare, l'aria), avendo caratteristiche di 'bene pubblico puro' ed essendo generalmente disponibili in abbondanza, hanno ricevuto finora scarsa attenzione. Un caso a sé è quello dell'acqua, che può essere anch'essa definita una risorsa rinnovabile a ciclo continuo, ma si distingue dalle altre funzioni ambientali, oltre che per la relativa scarsità, anche per una sia pur limitata divisibilità ed esclusività e per gli usi non sempre complementari (caratteristiche che ne diluiscono il carattere di bene pubblico puro), tendendo così ad assumere sempre più spesso una valutazione di mercato.
Nonostante l'importanza crescente di questo tipo di risorse, per l'accresciuta consapevolezza che l'inquinamento a cui esse sono sottoposte influenza molti campi della sfera biologica e umana, lo studio dell'uso ottimale delle risorse rinnovabili si è prevalentemente limitato a quelle a ciclo periodico. Ciò è dovuto anche al fatto che molte specie animali e vegetali - che, come si è detto, costituiscono la maggior parte di tali riserve - presentano cicli di riproduzione con alcune caratteristiche comuni che tendono a determinare una crescita nel tempo del tipo di quella illustrata nella fig. 4. Nel grafico, in cui viene indicato il tempo sulle ascisse e lo stock della risorsa (numero di individui o biomassa) sulle ordinate, è tracciata la curva (R) che descrive la crescita della risorsa nel tempo, nota come funzione logistica. Il tasso di variazione della risorsa, dato dalla pendenza della curva, varia sensibilmente, aumentando fino al punto (A) e diminuendo successivamente, man mano che aumenta R. Se gli individui di una specie sono pochi si moltiplicano con rapidità crescente fino a quando l'aumentata competizione per cibo, spazio, ecc. (in corrispondenza del punto A, che costituisce uno dei parametri della funzione) fa rallentare la loro crescita, la quale finisce con l'arrestarsi del tutto quando l'affollamento si avvicina al livello massimo (RMAX), altro parametro corrispondente al limite della capacità di sostentamento dell'ambiente che ospita la specie. La curva inizia in corrispondenza di un livello minimo critico della popolazione (RMIN): se il numero di individui scende sotto questo livello, la specie è destinata a estinguersi (RZERO).
La rinnovabilità della risorsa consente che questa possa essere sfruttata o raccolta e che, dopo la 'raccolta', riprenda a crescere, si rigeneri, e così via. Occorre però che il tasso di raccolta non superi il tasso di riproduzione della risorsa se non si vuole ridurre lo stock della risorsa nel lungo periodo. Il cosiddetto 'prodotto massimo sostenibile', ossia il massimo raccolto ottenibile mantenendo la risorsa inalterata, corrisponde al punto in cui il tasso di crescita della risorsa raggiunge il suo valore massimo.
L'eventuale sfruttamento non deve iniziare prima del tempo t*, se si vuole evitare che la risorsa si riduca progressivamente. Lo sfruttamento sostenibile - rappresentato nel grafico dalla curva tratteggiata (H) - coincide con l'eccedenza della risorsa rispetto al livello che essa raggiunge al tempo t*, quando il suo tasso di crescita è massimo. Lungo la curva tratteggiata converrà collocarsi nel punto di maggiore pendenza (δH/δτ=δR/δτ=max), il più vicino possibile a t*; scegliendo un punto più a destra lungo l'asse delle ascisse si realizzerebbero 'raccolte' maggiori (che aumentano sempre più lentamente), ma con tempi di attesa più lunghi, il che non sarebbe conveniente perché comporterebbe una riduzione della raccolta media annua. Così, se avendo studiato il modello di crescita di una risorsa - ad esempio di una specie di animali - se ne conosce la dimensione ottimale (quella cioè che, dato il territorio e le altre condizioni esterne, consente il più alto tasso di crescita), si può procedere alla 'raccolta' dell'eccedenza appena questa si manifesti. Nella realtà, tuttavia, sono spesso importanti anche le discontinuità del ciclo di crescita (periodi di gestazione, ecc.), di cui occorre tener conto, attendendo il tempo necessario per evitare di compromettere il processo di riproduzione: se, ad esempio, occorre un anno perché la risorsa si rigeneri, la raccolta non dev'essere effettuata con frequenza superiore a quella annuale. È evidente che su questi criteri possono basarsi non solo le attività di sfruttamento (abbattimento programmato di capi di bestiame di un allevamento; raccolta di legname, sughero, mastici di boschi e foreste, ecc.), ma anche decisioni per la preservazione delle risorse (ad es., politiche di ripopolamento faunistico e di rimboschimento, azioni a difesa di specie a rischio di estinzione).
Le cose si complicano un po', ma il criterio rimane sostanzialmente lo stesso, se si considerano i costi di raccolta. Facendo l'ipotesi che questi dipendano dalla dimensione della risorsa e dall'intensità di raccolta, si può dedurre la posizione di equilibrio economico per chi disponga della risorsa e intenda utilizzarla con l'obiettivo di massimizzare il profitto. Analogamente a quanto avviene per le risorse non rinnovabili, si tratta di risolvere un problema di massimo vincolato, dove il vincolo è costituito ora dal fatto che il tasso di raccolta non deve superare il tasso di rigenerazione naturale della risorsa. Il punto in cui il profitto è massimo non coinciderà con il prodotto massimo sostenibile, ma resterà inutilizzata una quota maggiore di risorsa, tanto più grande quanto più elevati e in progressione saranno i costi.
Di diversa natura, ma non meno importante, è il dibattito su altri aspetti che concernono le conseguenze dell'uso delle risorse, esauribili e non. Alcuni di essi meritano di essere sottolineati.Il primo di questi aspetti è l'interdipendenza delle risorse, ossia il fatto che l'utilizzo di una risorsa modifica la crescita o le condizioni di sopravvivenza di un'altra. Ciò si applica anche alle risorse non costituite da specie viventi, quando sono implicate scelte nel loro uso alternativo: per esempio l'acqua può essere oggetto di utilizzazioni che ne rendono impossibili altre (uso industriale/ uso agricolo/ uso potabile). Per le specie viventi un esempio tipico è costituito dalla relazione predatore-preda: la maggiore o minore cattura di una singola specie animale incide sul tasso di riproduzione sia di altri animali o di vegetali che ne costituiscono l'alimentazione, sia delle specie predatrici. La mancata considerazione di tali relazioni (perché non si usa l'informazione disponibile o perché la conoscenza è limitata) può causare anche l'estinzione di specie viventi. Più in generale l'interdipendenza, richiedendo maggiori conoscenze e rendendo più vulnerabili all'azione umana gli ecosistemi, rende più difficile individuare criteri di utilizzo ottimale delle risorse, siano esse rinnovabili o non rinnovabili.
Un secondo elemento assai dibattuto è costituito dal concetto di irreversibilità. Il problema è come definire e come inserire nel criterio con cui si sceglie di sfruttare una risorsa il rischio di perdite definitive (estinzione di specie animali o vegetali, mutazioni) e l'impossibilità di ristabilire caratteristiche qualitative (tra cui la capacità di assorbimento naturale di fattori inquinanti) una volta che queste siano state modificate. La scelta di adottare standard minimi di sicurezza (v. Bishop, 1978) è di pratica attuazione ma concettualmente generica, e pertanto è in corso l'elaborazione di modelli in cui il rischio di irreversibilità (o il vantaggio della preservazione) sia inserito nella funzione di benessere sociale da massimizzare (v. Viscusi e Zeckhauser, 1976; v. Miller e Lad, 1984; v. Krutilla e Fisher, 1985).
Altri evidenti limiti di conoscenza concernono gli effetti che le attività umane hanno non sulla riduzione quantitativa delle risorse, ma sull'impoverimento di alcune delle loro caratteristiche qualitative: lacune conoscitive tanto più gravi in quanto interessano anche e soprattutto le risorse rinnovabili a ciclo continuo, considerate, fino a qualche decennio fa, come riserve naturali inesauribili e non intaccabili. Il deterioramento della qualità dell'acqua di un bacino idrico può avere conseguenze ben maggiori di una riduzione della sua portata; l'inquinamento dell'aria è divenuto un problema comune a tutte le città; i versamenti sistematici di petrolio e l'eutrofizzazione minacciano conseguenze disastrose per l'equilibrio di complessi ecosistemi marini, anche quando, come nel caso del Mediterraneo, guardando alla dimensione fisica e alla vitalità storica, essi possono apparire inattaccabili. Per gran parte delle risorse rinnovabili a ciclo continuo - a cui si è solo accennato ma che costituiscono la condizione stessa dell'attività umana - la conservazione del livello qualitativo e il mantenimento della capacità di assorbimento dei fattori inquinanti sono diventati problemi cruciali.
Più in generale si può dire che esistono lacune conoscitive concernenti l'intero complesso delle interrelazioni tra attività umane e natura, soprattutto in relazione alle risorse che non hanno una valutazione di mercato e alle esternalità, e che non sono sufficienti a colmarle né la formulazione di un 'modello Georgescu-Roegen' (v., 1971 e 1979) più completo, né l'analisi costi-benefici, né infine i tentativi di allargare il campo di osservazione, adottando l'uso dei bilanci dei materiali per l'intera economia (v. Kneese e altri, 1970; v. Fisher e altri, 1972) o introducendo nelle tradizionali matrici input-output delle relazioni intersettoriali anche vettori relativi alla produzione di emissioni inquinanti (v. Leontief, 1970 e 1982; v. Leontief e altri, 1985).
4. Lo sfruttamento delle risorse e le scienze sociali
L'importanza che abbiamo dato agli aspetti economici riflette l'attenzione della scienza economica per lo sfruttamento delle risorse; tuttavia l'interesse per le risorse attraversa un po' tutte le altre scienze sociali, dalla storia al diritto, dall'antropologia alla sociologia e all'urbanistica, senza contare alcune discipline in qualche modo ibride, come le tecniche di gestione settoriale e l'ingegneria delle risorse naturali. Mentre una rassegna, sia pur breve, di tali contributi, sarebbe qui fuori luogo, può essere opportuno farne un rapido accenno, limitatamente ad alcune connessioni che si sono instaurate, a proposito delle risorse, tra l'economia e le altre scienze sociali.
Non occorre soffermarsi sull'importanza dell'analisi storica e dell'econometria nell'integrare criteri interpretativi che non hanno il supporto di una sufficiente elaborazione teorica da parte dell'economia delle risorse. Sono poi ben note le sovrapposizioni tra quest'ultima e altre discipline a proposito del concetto di rendita, così come è stato elaborato dagli economisti classici. Vi abbiamo già fatto riferimento in relazione al rapporto tra scarsità e progresso tecnico, menzionando il ruolo che le attribuisce la teoria economica riguardo alla distribuzione della ricchezza tra chi detiene le risorse naturali e chi detiene gli altri fattori della produzione. Si tratta del concetto che sta alla base della divisione in classi sociali e che ne spiega la contrapposizione, ossia del nucleo centrale di una teoria che, a partire da Ricardo e da Marx, è stata dibattuta nel corso di due secoli sul piano economico, sociologico e politico.Un campo di ricerca attiguo all'economia è quello - sviluppato nell'ambito della geografia - della localizzazione delle attività produttive e degli insediamenti umani in relazione all'ubicazione delle risorse. Basti pensare al lavoro pionieristico di J.H. von Thünen (v., 1826-1863), al contributo decisivo di A. Weber (v., 1909) all'inizio del nostro secolo e agli sviluppi che a partire dagli studi di D.M. Smith (v., 1971) ha avuto più di recente la teoria della localizzazione. Né può essere dimenticata, sempre in campo geografico, l'elaborazione di modelli mirati a rappresentare il ruolo delle risorse nella dinamica degli insediamenti demografici e produttivi che accompagnano lo sviluppo, elaborazione parallela ai tentativi degli economisti di inserire in un modello teorico la sequenza di stadi che hanno condotto storicamente dall'arretratezza all'industrializzazione (v. Rostow, 1960).
Ancor più strettamente legati all'economia delle risorse sono i recenti sviluppi di discipline statistiche - ad esempio la contabilità nazionale - che hanno in comune con l'economia problemi quali le difficoltà di censire le risorse e di considerarne le componenti immateriali (v. Eisner, 1989), o l'incertezza teorica e pratica (v. Daly, 1988; v. Ahmad, 1989) sul modo di inserirle nei conti nazionali della formazione del capitale e del reddito.
Un posto a sé occupa il diritto. A prescindere dall'importanza delle legislazioni del lavoro nei settori dello sfruttamento delle risorse (ad esempio il settore minerario, costituendo un terreno di sperimentazione del sindacalismo, è stato all'avanguardia nel campo della sicurezza del lavoro e nella regolamentazione di nuove relazioni industriali), la definizione dei limiti di proprietà è un esempio dell'evidente collegamento di diritto ed economia in materia di risorse: dal punto di vista economico, il sentiero ottimale d'uso di una risorsa varia a seconda che l'accesso alla stessa sia libero o vincolato, e in regime di proprietà a seconda che questa sia privata o collettiva.
Prendendo ancora ad esempio i minerali, si può osservare che questi, oltre a essere classificati sulla base di caratteristiche fisiche o funzionali (metalliferi, non metalliferi; energetici, non energetici; materiali da costruzione; ecc.), sono distinti anche in categorie che hanno rilevanza giuridica. Nell'antica Roma i minerali venivano suddivisi in minerali di proprietà dell'imperatore (preziosi e di interesse generale) e minerali lasciati a disposizione del proprietario del terreno, che erano detti 'infimi' e avevano solo un mercato locale. Un regime analogo venne adottato in molti paesi in epoca moderna fino alla Rivoluzione francese. Il Codice napoleonico, dal quale deriva gran parte delle legislazioni vigenti, classificava i minerali in base al grado di disponibilità privata, distinguendo tre categorie: la prima comprendeva i minerali metallici e industriali; la seconda i minerali di ferro alluvionali, le terre piritose e alluminose e le torbe; la terza i materiali da costruzione. Oggi quasi tutte le legislazioni distinguono tra giacimenti di minerali metallici e industriali, che costituiscono un bene inalienabile dello Stato e sono da questo gestiti direttamente o affidati in concessione d'uso controllato, e minerali più o meno direttamente disponibili per il proprietario del terreno (materiali per l'edilizia).
È evidente che la definizione giuridica della proprietà trova connessioni, oltre che con il concetto di royalty (che ha un posto importante nella teoria economica dell'uso ottimale delle risorse e nella determinazione effettiva del loro prezzo), anche con il diverso sentiero di sfruttamento ottimale che contraddistingue l'uso collettivo delle risorse rispetto ai regimi di proprietà privata e di libero accesso. Analoghe considerazioni valgono per la regolamentazione normativa internazionale dell'uso delle risorse: istanze giuridiche, economiche e politiche si intrecciano con particolare evidenza negli accordi internazionali volti a regolare lo sfruttamento di risorse non rinnovabili a livello globale (ad esempio, dei noduli polimetallici sui fondali oceanici, o delle risorse minerarie nel continente antartico), mentre appare sempre più difficile separare interessi ambientali generali e interessi economici di parte nella regolazione globale delle emissioni nell'atmosfera, si traduca essa nel divieto di determinate produzioni industriali o in tasse miranti a ridurre l'inquinamento da carbonati associato al consumo di combustibili fossili.
Ogni concezione economica, e i modelli che la rappresentano, riflette anche convinzioni di altra natura, in particolare politiche, e non sfugge a questa regola neppure l'economia delle risorse, che nonostante i limiti indicati, ha probabilmente svolto un ruolo di orientamento e di traino, forse anche deformante, nell'elaborare riflessioni e politiche che richiedono, per loro natura, un approccio interdisciplinare.
La rilevanza del trade off tra le diverse scienze sociali, oltre che tra scienze naturali e scienze sociali, risulta più evidente quando modelli o orientamenti vengono tradotti nella pratica, specie se sono in gioco politiche nazionali o globali delle risorse.
Si consideri ad esempio il concetto di sviluppo sostenibile - l'idea forse più diffusa tra quelle che sono state lanciate dagli economisti contemporanei. Esso ha assunto il significato generico di crescita economica in cui le risorse rimangono intatte, e che pertanto può continuare ad esserne alimentata durevolmente nel tempo; al contrario, se esse vengono danneggiate è intaccata la fonte stessa della crescita dell'economia, che dovrà prima o poi arrestarsi. Può essere immaginato però anche lo sviluppo complementare, di cui non mancano esempi nella storia dell'umanità, in cui la crescita economica stimola l'espansione delle risorse note o disponibili e la ricerca di nuove. La fig. 5, dove R indica il livello delle risorse e PIL il livello del prodotto interno lordo, rappresenta le tre alternative.
Il termine 'sostenibile' in questa accezione trova tutti d'accordo ed è largamente accettato. Ma appena si cerca di dare un contenuto preciso a questa vaga definizione, nasce una specie di confusione babelica. Che cosa si intende per risorsa intatta o non danneggiata? che si mantenga uno stock ottimale, desiderato, esistente, standard, accettabile, minimo? che le risorse rimangano qualitativamente inalterate? che vengano date alle generazioni future le stesse potenzialità produttive e di qualità della vita? E ancora: cosa si intende per sviluppo economico? la crescita del PIL è una misura accettabile dello sviluppo? Di volta in volta sono state date risposte diverse a questi interrogativi e tutte appaiono plausibili ma allo stesso tempo ambigue. Far sì che il tasso di utilizzo netto delle risorse non superi il loro tasso di rigenerazione, e che il tasso di inquinamento non superi il tasso di assorbimento ambientale, oppure sostituire capitale a risorse e risorse rinnovabili a quelle non rinnovabili, sono criteri di cui gli economisti stessi riconoscono il carattere astratto (v. Collard e altri, 1988). Senza il contributo di altre scienze sociali non sono affrontabili molti problemi di definizione, interpretazione e quantificazione, non ha consistenza la scelta di obiettivi e strumenti, e il processo decisionale in situazioni di incertezza può dar luogo a effetti irrilevanti e contraddittori, se non addirittura perversi.
Ciò vale sia per i proclami degli ottimisti dello sviluppo economico a tutti i costi, sia per le riformulazioni dell'opzione 'crescita zero' (v. Meadows e altri, 1992) che individuano il limite allo sviluppo nell'inquinamento ambientale anziché nella limitatezza fisica delle risorse, come veniva fatto agli inizi degli anni settanta. Se questo nuovo manifesto della dismal science presenta difetti ed errori (v. Nordhaus, 1992) analoghi a quelli del più famoso The limits to growth (v. Meadows e altri, 1972), esso tuttavia ha ancora una volta il merito di sollevare e rendere oggetto di pubblico dibattito un problema vero. Il contributo delle altre scienze sociali è innanzitutto necessario per liberarsi dal mito dell'abbondanza e dalla sindrome del rischio di sopravvivenza, per capire se sia possibile una visione più equilibrata, che pure accolga le implicazioni di un mondo finito e vulnerabile e il vincolo della scarsità delle risorse, che lo sviluppo tecnologico è in grado di mitigare ma non di eliminare. (V. anche Acqua; Ambiente, tutela dell'; Degrado ambientale; Ecologia; Energia, fonti di; Materie prime).
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