Rivoluzione industriale
Trasformazione delle strutture produttive e sociali determinata dall’affermazione di una nuova mentalità imprenditoriale, di nuove tecnologie e dalla necessità di rispondere a una crescita della domanda di manufatti. La prima R.i. ebbe inizio in Inghilterra come sviluppo tecnologico della vivace industria manifatturiera, legata soprattutto alla crescente richiesta di cotone, e grazie alla disponibilità di capitali per l’investimento provenienti dall’agricoltura capitalistica e dal commercio con le colonie. Il tasso di crescita medio fu modesto (2% annuo), ma fu costante e capace di produrre rilevanti cambiamenti che meritarono ai processi in atto, già dalla fine del 18° sec., la definizione di rivoluzione. Le invenzioni che resero possibile la R.i. furono la filatrice multipla di J. Hargreaves (1764), che consentiva a un solo operaio di azionare 8 fusi per volta; il telaio idraulico di R. Arkwright (1768); ma soprattutto la macchina a vapore di J. Watt (1765), che con un imponente incremento dell’estrazione di carbone rivoluzionò l’industria, l’agricoltura e i trasporti (nel 1825 fu creata la prima linea ferroviaria in Inghilterra), e rese possibili la produzione e lo scambio di beni su una scala in precedenza impensabile. La meccanizzazione si estese poi dalle industrie tessili a quelle minerarie, siderurgiche e meccaniche. La R.i. ebbe conseguenze vastissime sul piano sociale: l’utilizzazione delle macchine per la produzione su vasta scala portò sempre più a concentrare masse di lavoratori in fabbriche organizzate secondo criteri razionali con funzioni e orari definiti in base alle esigenze della divisione del lavoro. Le pesantissime condizioni di lavoro portarono i lavoratori a organizzare movimenti di protesta. Il luddismo (1811-16) fu una violenta reazione contro l’introduzione delle macchine nell’industria, ritenute causa di disoccupazione e di bassi salari. In seguito la protesta si espresse in scioperi e nella costituzione di leghe di lavoratori e società di mutuo soccorso, poi in sindacati (trade unions) e partiti socialisti. Per molto tempo, le classi dirigenti assunsero un atteggiamento di netta chiusura; le prime moderate riforme a opera dello Stato ebbero luogo in Inghilterra dopo il 1830. Inizialmente la R.i. rimase circoscritta all’Inghilterra, al Belgio, a parte della Francia e a zone ristrette della Germania; tra gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento, l’industrializzazione si estese e intensificò in Germania, nell’Italia settentr., nell’impero austro-ungarico e in quello russo, in Giappone e negli Stati Uniti; inoltre l’invenzione delle macchine elettriche negli anni Ottanta, e poi del motore a combustione interna negli anni Novanta, avviò la seconda R.i., che incrementò e velocizzò la produzione e il trasporto delle merci su una nuova scala. Si affermò sempre più il gigantismo industriale, con fabbriche di migliaia e anche decine di migliaia di addetti, un’organizzazione del lavoro sempre più efficiente e basata su precise gerarchie di funzioni. Si formarono su scala nazionale e internazionale alleanze e combinazioni tra settori produttivi – i trust, i cartelli, le corporation – per ottenere maggiori rendimenti e controllare il mercato, che, alleandosi con le banche, diedero origine al capitalismo finanziario. In questa fase il primato dell’Inghilterra fu superato dalla Germania e dagli Stati Uniti. Gli Stati assunsero un ruolo importante nella protezione dello sviluppo industriale; la ricerca di risorse primarie e di nuovi mercati portò all’affermazione dell’imperialismo.
Si veda anche La Rivoluzione industriale