Uomo di stato (Londra 1563 circa - Marlborough 1612). Figlio di William Cecil, lord Burghley, fu membro dei parlamenti del 1584, del 1586 e del 1588. In quegli anni il conflitto tra R. Devereux, conte di Essex, e lord Burghley giungeva al culmine, mentre Elisabetta cominciava a diffidare dell'impetuoso favorito; con la morte di F. Walsingham (1590), segretario di Stato di Elisabetta I, Cecil ne assunse le funzioni fino alla nomina, avvenuta nel 1596. Nel 1598 Cecil andò a Parigi, con lord Brooke, Sir Walter Raleigh e altri, e riuscì a scongiurare il pericolo di un'alleanza franco-spagnola. Lo stesso anno moriva lord Burghley. Ora Cecil era solo contro la fazione di Essex, cui appartenevano i suoi stessi cugini, Antonio e Francesco Bacone: egli riuscì tuttavia a conservare la fiducia della regina e quando, dopo la dissoluzione del parlamento del 1598, l'ex favorito Essex tornò (sett. 1599) improvvisamente dall'Irlanda, Cecil denunciò la venuta del conte come intimidatoria, riuscì a farlo allontanare da corte e, di fronte alla sua disperata reazione, lo fece sottoporre a processo (19 febbr. 1601), che si concluse con la condanna a morte. Il parlamento del 1601 chiese l'abolizione dei monopolî in cambio dell'approvazione degli stanziamenti per la continuazione della guerra in Spagna: Elisabetta e Cecil la spuntarono però ancora, con lievi concessioni. Con Giacomo I (1603), che confermò Cecil, il potere personale di questo si consolidò di contro alla straordinaria incompetenza del sovrano: ma la sua influenza sul parlamento andò diminuendo sempre più. Dall'ag. 1604 egli fu visconte Cranbourne, dal maggio 1605 conte di Salisbury; i suoi rapporti coi Comuni s'allentarono, ed egli dovette fidarsi di F. Bacone, non sempre devoto e troppo ambizioso per essere un buon esecutore. S. d'altra parte, per quanto acuto e competente, era incapace di capire la complessa natura dell'opposizione parlamentare, e ogni questione di principio sembrava estranea alla sua sensibilità. Via via che gli anni passavano, e i rapporti fra re e parlamento si facevano più difficili, S. era angosciato dalla tragica situazione finanziaria. Ma il "grande contratto" col parlamento del 1610, cioè la sua proposta di rinunciare a odiose prerogative regali contro un cospicuo sussidio, legittimava la discussione sul complesso dei privilegi sovrani e sulla natura medesima della sovranità. Morì due anni dopo la dissoluzione (1610) del parlamento.