Titolo nobiliare che nella gerarchia araldica segue quello di marchese.
A Roma, nell’età repubblicana, il c. (comes) assisteva e consigliava i magistrati preposti al governo delle province. Con Costantino il termine indicò una serie di pubblici funzionari: alcuni dirigevano importanti uffici centrali dell’Impero, altri erano preposti al governo delle province, altri inviati a rappresentare il governo centrale nelle varie città. Nel periodo delle prime invasioni barbariche in Italia la figura del comes perse importanza e, solo con l’avvento dei Franchi (8° sec.), si precisò nuovamente un complesso ordinamento di c. e di contee. Nel comitatus il c., nominato dal re e direttamente da lui dipendente, era giudice e supremo tutore dell’ordine: presiedeva le assemblee giudiziarie, imponeva le ammende, esigeva le imposte ecc. Il feudalesimo alterò il carattere e la figura giuridica del potere comitale e le funzioni proprie del c. furono considerate un semplice accessorio di quel beneficium territoriale che veniva concesso al c. quale compenso della sua opera. Dal 12° sec., il termine passò a indicare semplicemente il titolo nobiliare, trasmissibile ereditariamente da padre in figlio.
Il titolo di c. palatino deriva da quello di comes palatii (palatinus) usato per gli alti dignitari del palatium regio presso i Franchi. Sotto i Merovingi il c. palatino era assessore nel tribunale regio, con i Carolingi ne divenne il capo, e insieme capo della cancelleria e referendario per gli affari laici. Il termine indicò anche, genericamente, i grandi che circondavano il re («paladini»). Carlo IV creò la carica di c. palatino di corte, che poteva conferire patenti nobiliari, legittimare bastardi, dare la dignità accademica, il titolo di poeta laureato e creare notai. Cessò nel 1806.