Russia
di Ornella Calvarese
Pochi mesi dopo la sua prima apparizione al Grand Café di Parigi, il cinema dei fratelli Lumière fece il suo ingresso nella capitale dell'Impero russo, seminando lo stesso meravigliato sconcerto che aveva prodotto nella città francese. Era il 4 maggio 1896, e con le živye kartiny (quadri viventi) s'inaugurava l'apertura della stagione estiva del teatro Aquarium di San Pietroburgo; qualche giorno dopo, anche gli spettatori moscoviti videro il cinematografo presso il teatro e giardino Ermitaž. Presentato poi solennemente nell'ambito della fiera panrussa dell'industria e dell'arte di Nižnyj-Novgorod, al café-concert di Charles Aumont, l'insolito spettacolo fu visto anche da alcuni eminenti artisti e intellettuali russi ‒ tra cui Maksim Gor′kij ‒ che ne colsero immediatamente l'immenso potenziale spettacolare, senza tuttavia presagirne il destino di vera e propria nuova arte. Inizialmente accolto come moderna attrazione elettrica, il Cinématographe dovette aspettare l'inizio del Novecento per emanciparsi dal suo contesto da baraccone ed essere accolto in un più ampio ambito culturale e sociale. Il monopolio del brevetto sull'apparecchiatura tecnica, ceduto dai Lumière solo nei primi anni del 20° sec., e il controllo del mercato cinematografico russo da parte delle ditte straniere, ritardarono il decollo di una cinematografia nazionale. Intanto però, in quello stesso 1896 furono effettuate le prime riprese cinematografiche in occasione dell'incoronazione dell'ultimo zar russo, Nicola II Romanov, che costituiscono il più antico fondo della carskaja chronika (cronaca zarista), una serie di documenti filmati dell'epoca che rappresentano un filone tra i più interessanti del cinema prerivoluzionario.
Dopo un decennio di film importati e diffusi come svago a basso prezzo, il pubblico russo incominciò a esigere nuove emozioni dal cinematografo. Nell'autunno del 1907, l'ambizioso fotografo Aleksandr O. Drankov organizzò il primo studio cinematografico russo che osasse fare concorrenza agli operatori stranieri, dando avvio al secondo periodo della storia del cinema russo prerivoluzionario, quello cioè del suo affrancamento dal monopolio straniero. Si cominciò a pescare soggetti nel patrimonio della cultura nazionale; folklore, storia, leggenda e letteratura russi offrivano materiale infinito ai produttori lungimiranti. Drankov produsse in breve tempo una serie di diciassette film, che fecero di lui per un breve periodo l'indiscusso sovrano del cinema russo; a lui si devono, tra l'altro, rarissime immagini di Lev Tolstoj immortalato in 80-letija grafa L.N. Tolstogo (1908, L'ottantesimo compleanno del conte L.N. Tolstoj). Le spietate leggi del mercato misero ben presto in concorrenza le capacità organizzative e pubblicitarie di Drankov con quelle di un altro protagonista della storia cinematografica russa precedente al 1917, Aleksandr A. Chanžonkov. Questi, mandando in crisi l'attività del rivale, ottenne nel 1908 l'esclusiva distribuzione dei prodotti di Le Film d'art, la casa francese di André Lafitte che si avvaleva della collaborazione di grandi scrittori, scenografi e musicisti, diffondendo un cinema a soggetto fondato sul grande attore e sull'adattamento di opere letterarie. A sua volta, sin dalle prime scelte produttive Chan-žonkov si orientò proprio verso questo filone, specializzandosi nella trasposizione cinematografica di classici russi, di favole popolari, di canzoni e romanze. Il colpo fece subito vacillare Drankov, che però reagì producendo il primo film interamente russo della cinematografia nazionale prerivoluzionaria, Sten′ka Razin (1908), che ebbe un successo di pubblico clamoroso. Si trattava a dire il vero di un adattamento molto primitivo della famosa canzone popolare ispirata all'eroe nazionale, suddiviso in sei quadri separati da didascalie. Il regista, Vladimir F. Romaškov, direttore della Casa del popolo di Pietroburgo, ambientò la vicenda completamente in esterni e l'affidò alla recitazione tardo-romantica degli attori del suo teatro, che conferì al film la retorica un po' goffa di una vecchia stampa popolare. Tuttavia, con questo film si era verificata una svolta decisiva nel panorama cinematografico russo, che ben presto vide crescere altre realtà produttive concorrenti ‒ Thiemann & Reinhardt, Gloria, Ermol′ev ‒, protagoniste di una stagione del cinema russo che, seppur trascurata a lungo da critici e storiografi, costituisce una pagina fondamentale della filmografia mondiale. Da quel momento furono prodotte e distribuite pellicole di vario genere, che si possono suddividere in alcuni filoni fondamentali: il film in costume, spesso ispirato alle gesta di eroi storici o leggendari della storia patria, un filone ispirato ai grandi classici della letteratura, la cineattualità e il film scientifico-divulgativo o razumnoe kino (cinema intelligente). In breve tempo furono portate sullo schermo centinaia di opere importanti di scrittori russi o stranieri (A.S. Puškin, N.V. Gogol′, L.N. Tolstoj, H. de Balzac, Ch. Dickens, A.N. Ostrovskij, M.I. Lermontov, A.P. Čechov); nonostante l'ingenuità della realizzazione e i limiti dovuti all'apparecchiatura tecnica, questi film contribuirono a rendere popolari opere sconosciute a larghe fasce della popolazione russa analfabeta. Inoltre, se fino ad allora il cinema era stato considerato una forma di divertimento volgare e perniciosa, intorno agli anni Dieci alcuni grandi attori teatrali incominciarono a interessarsene, interpretando diversi ruoli e determinando una notevole crescita di prestigio per questa nuova forma di spettacolo. Basti pensare che persino prestigiosi teatri come quello d'Arte di Konstantin S. Stanisl-avskij, il Malyj Teatr e l'Aleksandrinskij Teatr fornirono interpreti d'eccezione all'arte rivale: lavorarono per il cinema Vladimir N. Davydov, Konstantin A. Varlamov e Fëdor I. Šaljapin, Marija Germanova e Vasilij A. Orlov. Nello stesso periodo crebbe moltissimo il numero delle sale cinematografiche nelle città della Russia, e presto si assistette alla nascita di un fenomeno ancora inedito nel grande impero: il divismo. Infatti, nel 1910, la ditta danese Nordisk esportò alcuni film interpretati da Asta Nielsen che diventò nel giro di due anni l'attrice più amata e imitata della Russia. Contemporaneamente si diffusero con un successo formidabile svariati generi stranieri, tra i quali non ebbero rivali i film comici interpretati dal francese André Deed, noto in Russia come Glupiskin (Lo stupidone) e, soprattutto, da Max Linder. Nei primi anni Dieci passò al cinema un artigiano di genio, destinato a diventare il padre della cinematografia russa per ragazzi: Vladislav A. Starevič. Abile costruttore di figure di plastilina e gomma fine, le animò egli stesso grazie alla cinepresa, girando da solo una serie di film d'animazione che mandò in visibilio il pubblico francese. Tra le sue opere si trovano non solo adattamenti delle favole di Ivan A. Krylov, come per es. Strekoza i muravej (1913, La libellula e la formica), ma anche un film di propaganda contro l'alcolismo P′janstvo i ego posledstvija (1914, L'alcolismo e le sue conseguenze), in cui si vede un diavoletto spuntare eloquentemente da una bottiglia di vodka; quindi uno dei primi esperimenti mondiali di armonizzazione organica di attori e pupazzi Lilija Bel′gii (1915), nonché l'opera di avanguardia 'selvaggia' Mest′ kinematografičeskogo operatora (1912, La vendetta del cineoperatore), un film-denuncia sugli aspetti scabrosi della cinematografia dell'epoca interpretato dalle solite figurine animate. Il 1911 fu un anno particolarmente fecondo, si cercò di badare più alla qualità dei film che alla quantità, e si realizzarono alcune opere importanti, tra le quali spicca Oborona Sevastopolja (1911, La difesa di Sebastopoli) di Vasilij M. Gončarov e Chanžonkov, il primo lungometraggio della storia del cinema mondiale (2000 m di pellicola). Si trattava di una serie di episodi che mostravano le fasi essenziali dell'assedio della città (1855) durante la guerra di Crimea, così come alcuni personaggi storici protagonisti della vicenda. Le riprese furono effettuate nel luogo stesso dell'avvenimento storico e mescolavano audacemente riprese documentarie, scene di massa e pezzi recitati. A questo periodo risalgono anche le prime interessanti discussioni sul cinema, da parte di scrittori e artisti delle varie discipline, e la nascita delle prime teorie cinematografiche. L'idea di cinema come potenziale nuova arte del Novecento suscitò sdegno o entusiasmo, in particolare tra quanti operavano per una radicale trasformazione dell'arte teatrale; Leonid N. Andreev in Pis′ma o teatre (1912 e 1914, Lettere sul teatro) esortava il teatro ad abbandonare ogni velleità realistica o verosimigliante, lasciandole al cinema cui sembravano così connaturali, per spingersi invece verso la ricerca di nuovi e più efficaci mezzi espressivi. Andreev, al quale si deve l'appellativo per il cinema di "Velikij nemoj" (Il grande muto), fu anche il primo scrittore russo a interessarsene creativamente, scrivendo sceneggiature e collaborando con i registi. Seguirono il suo esempio molti altri scrittori, accolti con entusiasmo dai produttori russi e stranieri, giacché la collaborazione con il cinema di autori famosi in Germania, Francia e Italia aveva portato alla produzione di capolavori come Quo vadis? (1913) di Enricoo Guazzoni o Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone. Tutto questo determinò la nascita della sceneggiatura cinematografica come vero genere letterario, praticato in Russia da scrittori famosi all'epoca; con la Pathé collaborarono: Anatolij P. Kamenskij, Michail P. Arcybaščev, Semën S. Juškevič; con la produzione Chanžonkov: Arkadij T. Averčenko, Osip Dimov, Fëdor Sologub (pseudonimo di F.K. Teternikov), Aleksandr V. Amfiteatrov, Evgenij N. Čirikov, Aleksandr I. Kuprin e Leonid N. Andreev.
Dopo il 1912 cambiò fortemente anche l'atteggiamento dei registi teatrali nei confronti del cinematografo. Lo stesso Vsevolod E. Mejerchol′d, che ne era stato un violento denigratore, dovette ricredersi a tal punto da realizzare personalmente per la Thiemann & Reinhardt, due film sperimentali oggi purtroppo perduti, Portret Dorjana Graja (1915, Il ritratto di Dorian Gray) e Sil′nyj čelovek (1916, Un uomo forte). Aleksandr Ja. Tairov, dal canto suo, si cimentò con il cinema realizzando un esperimento interessante di pantomima filmata, Mertvec (1915, Il morto), un film insolito, completamente privo di didascalie laddove queste costituivano invece parte integrante e imprescindibile delle opere normalmente distribuite.
Poco alla volta il cinema russo, sotto l'influenza della produzione scandinava, danese, italiana e francese, si concentrò su generi d'ambientazione borghese abbandonando per un po' i film storici, che pure erano stati parte cospicua e caratterizzante la neonata cinematografia nazionale. Chanžonkov produsse in quel periodo uno degli ultimi, importanti film storici sulla sconfitta di Napoleone in Russia, 1812 god (1912, L'anno 1812), di Aleksandr A. Levickij, degno successore di Oborona Sevastopolja. Mentre in Occidente si mirava sempre più ai trucchi cinematografici, alla velocità dell'azione e a ogni sorta di procedimento spettacolare, in Russia il cinema, sotto l'influenza del teatro e della letteratura realisti, sviluppava invece il dramma psicologico, l'approfondimento interiore dei personaggi attraverso piani-sequenza dal ritmo lento e carico di tensione drammatica dai finali ineluttabilmente tragici (Testimoni silenziosi, 1989, pp. 24-43). Nel produrre la sua zolotaja serija (la serie d'oro) la Thiemann & Reinhardt si ispirò al dramma patetico di provenienza francese, trattato appunto secondo lo stile russo, realizzando una serie di film diretti, con Vladimir R. Gardin, dall'esordiente Jakov A. Protazanov, tra i quali Ključi sčast′ja (1913, Le chiavi della felicità) che rappresentò il maggior successo di cassetta del cinema prerivoluzionario. Tratto dal best seller di Anastasija Verbickaja, e da lei stessa adattato per lo schermo, il film impose ai vari operatori del settore di rafforzare le strategie produttive. Uno dei modi adottati dai produttori fu di puntare su grandi divi come Ivan I. Mozžuchin, Vera Karalli e Vera Cholodnaja, che assicuravano un pubblico numeroso per il semplice fatto della loro presenza nel cast.Allo stesso periodo risalgono anche i primi esperimenti di un certo interesse che, pur rimanendo al margine della produzione corrente, ebbero grande rilievo nella storia del cinema (v. avanguardia sovietica e futurismo). Fu il caso, per es., del primo film futurista, realizzato da Vladimir P. Kas′janov insieme al gruppo dei pittori d'avanguardia David D. Burljuk, Michail F. Larionov e Natalija S. Gončarova, Drama v kabare futuristov n. 13 (Dramma nel cabaret futurista n. 13) realizzato nel 1913 ma uscito solo l'anno successivo. Anche Vladimir V. Majakovskij esordiva in quegli anni come attore e sceneggiatore. Il 1913 fu anche l'anno del tricentenario della dinastia dei Romanov e il cinema non poteva restare indifferente; Chanžonkov non si lasciò sfuggire l'occasione e produsse Vocarenie doma Romanovych (1613) (L'avvento al trono della dinastia dei Romanov, 1613), un kolossale in quattro bobine al quale Drankov volle rispondere con un'opera ambiziosa, Trechstoletie car′stvovanija doma Romanovych, 1613-1913) (Il tricentenario del regno della dinastia dei Romanov, 1613-1913), che però non riuscì a battere il successo della prima. Così andarono le cose fino allo scoppio nell'estate del 1914 della Prima guerra mondiale. All'epoca, il cinema era ormai penetrato nelle abitudini quotidiane di un'ampia cerchia di persone, se n'era colta fin troppo bene l'utilità sia a scopo pedagogico e informativo, sia il possibile uso come pericoloso mezzo di diffusione di idee sovversive o presunte tali. Il cinema era sempre più oggetto di approfondite discussioni teoriche, e proprio in quell'anno fu organizzata da eminenti artisti e studiosi come Mejerchol′d, Jurij Ozarovskij, il barone Dresden, Vladimir Solov′ëv e il principe Sergej Volkonskij, la prima tavola rotonda sul cinema. Lo scoppio della Prima guerra mondiale paradossalmente si ripercosse positivamente sul cinema russo; il freno imposto all'importazione di film stranieri dalla chiusura delle frontiere diede un nuovo impulso all'industria nazionale, che si tradusse in centinaia di cinegiornali di guerra prodotti da nuove case di produzione. Molte piccole ditte si riunirono sotto il monopolio di grossi azionisti come i già citati Chanžonkov & Co. e Thiemann & Reinhardt, cui si aggiunsero Ermol′ev, Perskij, Mintus, e così via. La quantità di film pro-dotti crebbe di anno in anno passando dai 23 film del 1913 ai 500 del 1916, fino ai 250 film prodotti nei primi due mesi del 1917. Cresceva naturalmente anche la qualità dell'apparecchiatura tecnica, consentendo l'aumento del metraggio delle pellicole, il miglioramento dell'impianto scenografico, delle luci, della composizione dell'inquadratura e delle stesse condizioni di proiezione delle pellicole. Dal punto di vista dei generi, s'imposero il cinedramma psicologico d'ambiente borghese o a sfondo sociale, spesso permeato del misticismo, del vampirismo, dell'erotismo e del sensualismo tipici della letteratura d'appendice allora di moda. Alcuni titoli sono sufficienti a dare un'idea: V ob′jatjach d′javola (1914, Tra le braccia del diavolo), Aromat grecha (1914, L'odore del peccato), Palomničestvo ljubvi (1914, Le peregrinazioni dell'amore), e così via. Non mancarono naturalmente i film di propaganda ispirati al più insidioso nazionalismo antitedesco e a uno sfrenato sciovinismo. In quegli anni drammatici si diffusero però anche alcune famose serie d'avventura come il Fantômas francese e alcune serie poliziesche russe come Derevo smerti ili krovavaja Susanna (1914, L'albero della morte o Susanna la sanguinaria), Smert′ millionera (1914, Morte di un milionario), Son′ka zolotaja ručka (1914-15, Son′ka, manina d'oro). Il film scientifico, invece, che fino allora aveva avuto una certa popolarità, soffrì di mancanza di finanziamenti nel periodo bellico, mentre s'interruppe del tutto la produzione di film per ragazzi. Ma, soprattutto, a quegli anni risale la formazione dei futuri quadri dell'industria cinematografica sovietica, per es. operatori professionisti come Aleksandr A. Levickij, Evgenij I. Slavinskij, Grigorij M. Lemberg e molti altri. Si affermarono anche i primi registi-professionisti del cinema russo, che subentrarono ai primitivi artigiani del cinematografo. Dopo il cinema dei produttori e quello dei divi, si profilava ora un cinema di regia, che ebbe tra i suoi pionieri, oltre a Protazanov e Gardin (al quale si dovrà da lì a poco, nel 1919, la fondazione a Mosca della prima scuola di cinema del mondo, il VGIK), figure di rilievo come Pëtr I. Čardynin (oltre 200 film) e, soprattutto, Evgenij F. Bauer (82 film). Bauer occupa un posto di primo piano tra i maestri del melodramma borghese e mondano; nei suoi film migliori, Žizn′ v smerti (1914, La vita nella morte), su sceneggiatura di Valerij Brjusov, Nemye svideteli (1914, Testimoni silenziosi), Žizn′ za žizn′ (1916, Una vita per la vita) il suo capolavoro, e Za sčast′em (1917, Per la felicità), mostrò di essere un autore di grande originalità, sensibilità e intelligenza, il migliore che il cinema russo prerivoluzionario possa vantare. I suoi film, intrisi della poetica decadente fin de siècle, rivelano una cura inedita per la scenografia ‒ appositamente costruita in sostituzione dei fondali dipinti fino allora in uso ‒ che costituisce parte integrante dello sviluppo drammaturgico dei suoi film. Esemplare in Bauer fu anche la direzione degli attori che, pur considerati secondari dal regista, diedero interpretazioni magistrali assolutamente immuni da ogni residuo di teatralità. Bauer fu uno dei primi registi russi a intuire che la recitazione cinematografica richiedeva all'attore un'espressività profondamente diversa da quella teatrale, una gestualità più trattenuta, una mimica espressiva fatta di sguardi, di vibrazioni appena percettibili. Oltre alla perfezione pittorica delle sue inquadrature, Bauer sviluppò la profondità di campo, rivoluzionò l'impianto d'illuminazione, introdusse l'uso espressivo del primo piano e trattò con cura particolare il montaggio. Non a caso egli fu il maestro di uno dei padri indiscussi del cinema sovietico, Lev V. Kulešov. La morte di Bauer nel 1917 assume perciò un significato simbolico: con lui spariva un'epoca del cinema russo destinata a decenni di rimozione da parte di critici sovietici e stranieri. Tuttavia, sarebbe sbagliato pensare che con il 1917 si interruppe improvvisamente una produzione tanto importante quanto quella prerivoluzionaria; il cinema borghese sopravvisse ancora per qualche anno, all'incirca fino all'agosto del 1919, quando Lenin emanò il decreto di nazionalizzazione del cinema sovietico. Fino a quella data, le società private continuarono a produrre film nella vecchia maniera e secondo i canoni del cinema precedente. Risalgono a quel periodo alcuni capolavori come Otec Sergij (1918, Padre Sergio) di Protazanov, Polikuška (1919, ma uscito nel 1922) di Aleksandr A. Sanin e Jurij A. Željabužskij, Proekt inženera Prajta (1918, Il progetto dell'ingegner Pright) di Kulešov, Molči, grust′, molči (1918, Taci, tristezza, taci) diretto da Čardynin e pochi altri che si distinsero dalla massa di produzione privata del periodo. Otec Sergij e Polikuška rappresentavano un filone destinato ad avere un largo sviluppo nel corso della storia successiva del cinema sovietico, orientato verso il realismo della nobile tradizione russa teatrale, pittorica e letteraria. Dal canto suo invece Proekt inženera Prajta sancì l'avvio del cinema sovietico di montaggio, mentre Molči, grust′, molči rappresentò l'ultimo baluardo del dramma psicologico da salotto, che soccombeva ai colpi dell'ottimismo rivoluzionario.
V. Visnevskij, Chudožestvennye fil′my dorevoljucionnoj Rossii (I film d'arte della Russia prerivoluzionaria), Moskva 1945.
M.A. Lebedev, Očerki istorii kino SSSR, I. Nemoe kino, Moskva 1947 (trad. it. Il cinema muto sovietico, Torino 1962).
J. Leyda, Kino: a history of the Russian and Soviet film, London 1960 (trad. it. Milano 1964).
S. Ginzburg, Kinematografija dorevoljucionnoj Rossii (La cinematografia della Russia prerivoluzionaria), Moskva 1963.
G. Buttafava, Dal salotto al soviet: il cinema russo prerivoluzionario, in "Bianco e nero", 1983, 3, poi in G. Buttafava, Il cinema russo e sovietico, a cura di F. Malcovati, Venezia 2000, pp. 23-35.
L. Magarotto, Le cinématographe alla corte dei Romanov, Firenze 1983, pp. 85-98.
Testimoni silenziosi: film russi 1908-1919, a cura di P. Cherchi Usai, L. Codelli, C. Montanaro, D. Robinson, coordinamento di Y. Tsivian, Le Giornate del cinema muto, Pordenone 1989 (in partic. Y. Tsivian, Alcune osservazioni particolari sul cinema russo, pp. 24-43).
di Gabriella Nisticò
Con la Rivoluzione di febbraio del 1917, la Russia cessò di essere una monarchia e lo zar Nicola II Romanov fu costretto all'abdicazione. La Rivoluzione d'ottobre, scoppiata nello stesso anno, mandò al potere i bolscevichi che l'avevano guidata e la Russia, ritiratasi dal conflitto mondiale firmando nel marzo 1918 una pace separata a Brest-Litovsk, entrò in un periodo di guerra civile, in cui le forze controrivoluzionarie sia russe sia europee misero l'intero territorio in stato di assedio. Il nuovo governo bolscevico, per resistere a questa pesante pressione, organizzò il Paese in un sistema di 'comunismo di guerra', conclusosi tra il 1920 e il 1921 con l'introduzione di alcune misure di liberalizzazione attraverso la NEP (Nuova politica economica). Precedentemente, dei prov-vedimenti governativi avevano nazionalizzato i settori chiave dell'economia e il 27 agosto 1919 era stato nazionalizzato anche il settore cinematografico, con la costituzione peraltro della prima scuola statale di cinema, il VGIK, che avrebbe formato la generazione d'oro dei cineasti sovietici. Ma già nel 1917 erano stati organizzati diversi comitati di gestione delle strutture del cinema e, dopo la Rivoluzione d'ottobre, gli studi cinematografici vennero inseriti in una sezione, dedicata al cinema, del Commissariato del popolo per l'istruzione pubblica (Narkompros). Gli studi, concentrati soprattutto nell'allora Pietrogrado (poi Leningrado, od. San Pietroburgo), acquisirono diverse denominazioni fino ad attestarsi nel 1934 in Lenfil′m, mentre la produzione di Stato dell'URSS si sarebbe consolidata dal 1924 nella Mosfil′m.Molti professionisti del cinema della Russia prerivoluzionaria erano emigrati tra il 1917 e il 1918 prevalentemente verso i Paesi europei, ragione per cui la costruzione del grande cinema sovietico fu in realtà opera di un gruppo di giovani registi, provenienti da vari settori dell'arte, in gran parte influenzati dall'avanguardia sovietica, e interessati alla riflessione teorica e alla sperimentazione quanto alla realizzazione produttiva. L'URSS (SSSR), ovvero l'Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche (Sojuz Sovetskich Socialističeskich Respublik), che si sarebbe costituita nel luglio del 1923, avrebbe offerto tutto il sostegno allo sviluppo del cinema, medium fortemente apprezzato dallo stesso Lenin. Per la storia del cinema sovietico tra il 1919 (anno della nazionalizzazione dell'industria cinematografica) e il 1986 (anno della svolta politica di M.S. Gorbačëv), si rinvia in primo luogo alla cinematografia dell'URSS, quindi alle biografie dei registi, degli attori e delle altre figure del cinema, nonché alla voce realismo: Il realismo socialista.
di Ornella Calvarese
Nel maggio del 1986, il V Congresso dell'Unione dei Cineasti dell'URSS applicava in ambito cinematografico quanto sancito dal Comitato centrale del PCUS. Iniziava così quel rivolgimento radicale del tessuto economico-politico e sociale dell'URSS, avviato dal XXVII Congresso (febbraio 1986) ‒ noto come perestrojka ("ricostruzione" o "rinnovamento") ‒, che segnò una svolta culturale profonda nell'ex Paese dei Soviet. In base alla nuova linea politica inaugurata da Gorbačëv, la burocrazia cinematografica sovietica adottò il principio fondamentale dell'attivizzazione del fattore umano, della valorizzazione del potenziale creativo già presente nel Paese, sia ridando fiducia a registi non più giovani e ancora attivi, sia scovando nuovi talenti tra le nuove generazioni. D'altro canto, andava dato nuovo impulso ai due principali festival internazionali di cinema, quello di Mosca e quello di Taškent, nonché alla critica, inaridita e abulica, che ormai si limitava a svolgere una prudente e cancelleresca attività di documentazione dalle testate delle due principali riviste di cinema: "Iskusstvo Kino" (L'arte del cinema) e "Sovetskij Ekran" (Lo schermo sovietico). Quella fase di profonda autocritica portò in un primo momento allo 'scongelamento' di alcune pellicole rimaste per anni, a volte per decenni, a impolverarsi sugli scaffali del Gosfil′mofond (Fondo cinematografico statale), perché incorse nelle sanzioni inibitorie della censura. Fu così che gli spettatori poterono finalmente vedere alcuni capolavori come Korotkie vstreči (1968, I brevi incontri) e Dolgie provody (1971, I lunghi addii) di Kira Muratova, che anticipavano, per sensibilità e finezza, la ricerca di Aleksej Ju. German; Asino sčast′e (La felicità di Asja), intitolatato anche Istorija Asi Kljačinoj, kotoraja ljubila, da ne vyšla zamuž (Storia di Asja Kljačina che amò senza sposarsi), girato nel 1966 e non distribuito fino al 1988, di Andrej Michalkov Končalovskij; Rodina električestva (1967, La patria dell'elettricità) di Larisa E. Šepit′ko e Angel (1968, L'angelo) di Andrej S. Smirnov, questi ultimi due ispirati alla magnifica prosa di Andrej P. Platonov, e molti altri. Tra le questioni più delicate finalmente risolte in odore di glasnost′, merita un'attenzione particolare lo scongelamento di un film bloccato da vent'anni, Komissar (1968; La commissaria) di Aleksandr Ja. Askol′dov, film d'esordio del regista e rimasto poi l'unico della sua carriera. Final-mente si sbloccarono la lavorazione e la circolazione dei film di Aleksandr N. Sokurov, rimasti fermi per ostracismo della censura; così il pubblico russo poté scoprire quel giovane talento, da molti considerato l'erede di Andrej A. Tarkovskij, tramite i suoi film Odinokij golos čeloveka (1978, ma uscito nel 1987, La voce solitaria dell'uomo), Elegija (1986, Elegia), sino ai più recenti, tra cui Moloch (1999). Da quel momento Sokurov diede avvio a una brillante e duratura carriera, che lo ha portato, dopo molti successi, a ricevere prestigiosi riconoscimenti (v. oltre). L'entusiasmo iniziale, scaturito dalla svolta gorbačëviana, era però destinato ad arenarsi sulle secche della gravissima crisi economica seguita all'avvio del processo di liberalizzazione del mercato nazionale. Se gli anni Settanta erano stati caratterizzati dalla maturazione di grandi registi come i georgiani El′dar N. e Georgij N. Šengelaja, Gleb A. Panfilov, Elem G. Klimov, Nikita S. Michalkov, i chirghisi Tolomuš Okeev, Bolotbek Šamšiev, il turkmeno Chodžakuli (o Chodža Durdy) Narliev, gli anni Ottanta si aprivano invece con un ristagno profondo in ogni campo del cinema: nella drammaturgia come nella regia, nella tecnica come nella recitazione. Se si eccettuano i film realizzati da alcuni registi di talento come per es. Pokajanie (1986; Pentimento) del georgiano Tengiz E. Abuladze ‒ film profondo e problematico, impensabile in un'epoca precedente, che tenta di esorcizzare il passato staliniano ‒, o ancora il film-rivelazione di Vasilij V. Pičul, Malen′kaja Vera (1988; La piccola Vera) ‒ un film povero di mezzi ma di grande efficacia, che metteva in scena uno spaccato sociale e affettivo fino allora rimosso dalla cinematografia ufficiale ‒ il decennio 1980-1990 è stato caratterizzato da una produzione relativamente scarsa di veri capolavori.Il processo di disgregazione dell'URSS tra il 1989 e il 1991 e la costituzione nel dicembre 1991 della Federazione russa determinarono anche per il cinema l'ingresso nel 'libero mercato' interrompendo così la catena produzione-distribuzione assicurata fino allora dal Goskino che, pur avendo i gesti lenti dell'eccessiva burocrazia, garantiva, con un bilancio in positivo, una diffusione capillare sul territorio sovietico della produzione annuale. Parallelamente, germinarono in maniera esplosiva gli studi cinematografici privati, provocando, tra il 1990 e il 1992, una crescita vertiginosa della produzione. Tuttavia, la persistente convivenza di giganti come la Mosfil′m e la Lenfil′m ‒ trasformati in associazioni e centri cinematografici ‒ con una miriade di piccoli studi di produzione, finì con il creare uno squilibrio a tutto svantaggio di questi ultimi.
All'inizio degli anni Novanta, le grandi istituzioni, ancora tenute in piedi da finanziamenti statali seppur drasticamente decurtati, detenevano di fatto il monopolio della produzione, disponendo dell'intera base tecnica esistente nel Paese e influenzando sensibilmente i costi. Pur di sopravvivere, gli amministratori degli studi di Stato assorbivano molti più fondi di quanti in realtà occorressero per la realizzazione dei film e, tuttavia, molti progetti vennero interrotti per mancanza di possibilità di investimento. D'altra parte, l'autonomia tanto desiderata era servita solo a procacciarsi sponsorizzazioni dall'estero, poiché si continuava a guardare al mercato europeo come all'unico sbocco per piazzare la produzione cinematografica nazionale. Di conseguenza, presi com'erano dalla vendita a televisioni straniere, i neo-industriali del cinema non esercitarono alcuna pressione politica sul governo per sollecitare la messa a punto di una normativa in grado di regolamentare i rapporti tra produzione e distribuzione, o, in generale, le questioni riguardanti i diritti d'autore. Le statistiche relative ai primi anni Novanta delineavano una situazione abnorme per un'economia che si voleva 'di mercato': incredibilmente la produzione rimaneva una delle più ricche d'Europa (nel 1988 furono prodotti ben 350 film e 178 nel 1992 contro i 150 film prodotti per es. in Francia nello stesso periodo), ma l'afflusso di pubblico nelle sale diminuiva in modo allarmante (durante gli ultimi sei mesi del 1993 l'afflusso di pubblico nelle sale cinematografiche registrò una flessione del 40%). Il pubblico russo disertava le sale, era già stanco del cinema americano che, svenduto sul mercato interno a un prezzo da 5 a 10 volte inferiore a qualsiasi film russo, copriva ben il 75% della distribuzione. In Russia tuttavia si investirono ingenti somme per produrre film mai immessi nel circuito della distribuzione delle 2757 sale cinematografiche esistenti nel Paese, e appena dotate di una certa autonomia contrattuale. Gli investimenti in quel cinema mai visto, spesso erano frutto dell'approssimazione imprenditoriale di veri e propri avventurieri dello spettacolo, ma più spesso corrispondevano a un sistema di riciclaggio del denaro sporco gestito dalla mafia locale e del tutto privo di qualsivoglia altra finalità. La salvezza del cinema russo, non poteva che dipendere dal capitale occidentale e dal pubblico europeo, che attendeva con ansia di riscoprire un cinema da tempo assopito. Le aspettative furono in parte soddisfatte da alcune delle coproduzioni più riuscite della fine degli anni Ottanta, che aprivano una finestra sulla decadenza della Russia postcomunista, conquistando il pubblico festivaliero dell'Europa: Dni zatmenija (1988, I giorni dell'eclisse) di Sokurov, Posetitel′ muzeja (1989, Il visitatore del museo) di Konstantin S. Lopušanskij, Zamri-umri-voskresni! (1989; Sta' fermo, muori e resuscita) di Vitalij E. Kanevskij, Caméra d'or a Cannes nel 1990 , Taksi bljuz (1990) noto con il titolo Taxi blues di Pavel S, Lungin, Palma per la regia a Cannes, e S.E.R. (1989; La libertà è il paradiso) di Sergej V. Bodrov premiato al Festival di Berlino nell'ambito del Foro del giovane cinema del 1990. Tuttavia, molti registi russi finirono per mostrarsi riluttanti alle condizioni dettate dalle produzioni straniere, e la magnifica formula dell'ibridazione con il denaro occidentale risultò difficile da attuare e non sempre felice. Ne sono una prova i lavori successivi degli stessi Kanevskij, Lungin e Bodrov, rispettivamente Samostojatel′naja žizn′ (1991; Una vita indipendente), Luna Park e Belyj korol′, krasnaja koroleva (Il re bianco, la regina rossa), entrambi del 1992, che riutilizzano immagini e temi già presenti nei film precedenti. Lo stesso Bodrov nel 1996 ha realizzato uno dei film più interessanti del periodo, Kavkazskij plennik (Il prigioniero del Caucaso), coprodotto da Russia e Kazakistan, che conferma la volontà del giovane di creare un cinema che vada oltre le barriere nazionali. Naturalmente, le coproduzioni con l'Occidente continuarono, soprattutto promosse dai produttori francesi, i quali, come ai tempi del cinema prerivoluzionario, mostravano una particolare affinità con la Russia; spesso i film realizzati con capitali stranieri riflettono lo spirito di cooperazione che ne aveva ispirato la realizzazione: Okno v Pariž (1993; Insalata russa) di Jurij B. Mamin, e Utomlënnye solncem (1994; Sole ingannatore) di N.S. Michalkov, con cui il regista ha ottenuto il Gran premio della giuria al Festival di Cannes e nel 1995 l'Oscar come miglior film straniero, ne sono esempi significativi.
Il crollo dell'ideologia imposta dal Partito determinò una crisi del Nuovo cinema russo più profonda dello stesso smantellamento delle vecchie strutture produttive di Stato. Il disorientamento esistenziale, condiviso dall'intera intelligencija cinematografica russa improvvisamente libera di esprimersi, si tradusse paradossalmente, almeno in via iniziale, in un'assoluta afasia. Molti promettenti registi decisero di pazientare un paio di anni, attendendo l'uscita dal caos, prima di mettersi a raccontare nuove storie. Sokurov, per es., tornò per un certo tempo alle sue prime esperienze di documentarista girando in particolare Moskovskaja elegija (1987, Elegia moscovita), Sovetskaja elegija (Elegia sovietica) e Peterburgskaja elegija (Elegia pietroburghese), entrambi del 1989, Prostaja elegija (1990, Elegia semplice). I registi più giovani e inesperti tuttavia non vedevano l'ora di cimentarsi in sperimentazioni audaci, temendo che da un momento all'altro potesse arrestarsi quel tanto atteso processo di liberazione delle idee. I primi a cavalcare l'onda furono gli studi della Lenfil′m di San Pietroburgo, da sempre maggiormente aperti all'Occidente e alle sperimentazioni più estreme. Alcuni dei registi della prima avanguardia della perestrojka (1984-1989) incominciarono con l'infrangere i tabù, non solo politici e ideologici, ma anche sessuali, etici ed estetici che avevano paralizzato il cinema sovietico dagli anni Trenta in poi. Furono realizzati numerosi cortometraggi, spesso prodotti in piena autonomia con budget irrisori. Nacquero anche diversi studi di produttori indipendenti di cinema 'parallelo', come per es. il Mzalalafil′m organizzato da Evgenij G. Jufit, che fu anche il leader di una delle correnti cinematografiche più radicali, il necrorealismo, espressione dell'underground leningradese. Nel 1984 Jufit realizzò Sanitary-oborotni (Portantini-licantropi), considerato il manifesto dell'estetica necrorealista. Seguì una serie di corti ispirati alla stessa vena di 'naturalismo nichilista', sfociando nel 1991 nel primo lungometraggio della corrente, Papa, umer Ded Moroz (Papà, è morto Babbo Natale), racconto sadomasochista di una perversione psicologica che ha ispirato alcune delle correnti occidentali postmoderne più estreme.
Dopo i primi anni di destrutturazione ideologica e formale, il cinema della perestrojka entrò in una fase autoreferenziale, sferrando un attacco frontale al cinema sovietico tanto spesso mitizzato dentro e fuori dall'URSS. La seconda avanguardia scatenò una campagna di lapidazione nei confronti degli idoli artistici del totalitarismo, di cui si resero protagonisti i membri della Gilda dei Critici cinematografici: un gruppo di giovani critici e contemporaneamente filmmakers ben informati, colti e decisi a farsi promotori di una delle tendenze più radicali del Nuovo cinema russo. Ne scaturì un insieme piuttosto ostico di film-parodia dei classici sovietici, ma non solo, spesso fondati su libere associazioni e citazioni colte che però restarono un'esperienza marginale della cinematografia russa più utile ai suoi realizzatori che non al pubblico. Nondimeno, l'intento catartico dell'azione rivelò il bisogno diffuso dei giovani registi di affrancarsi dalla zavorra di una tradizione filmica che ostacolava il decollo di una nuova lingua delle immagini. Basti citare Perechod tovariša Čkalova čerez Severnyj Poljus (1990, Il passaggio al Polo Nord del compagno Čkalov) di Maksim G. Pežemskij, che parodiava il Valerij Čkalov (1941) di Michail K. Kalatozov, film culto dell'epoca stalinista. Il film-manifesto della corrente uscì nel 1992, Sady skorpiona (I giardini dello scorpione) di Oleg A. Kovalov: un collage surrealistico di frammenti di film degli anni Venti-Cinquanta, basato su libere associazioni, che distrugge, attraverso il furore iconoclasta del promettente critico-regista, i miti del totalitarismo sovietico. Allo stesso filone appartiene Nikotin (1993, Nicotina) di Evgenij I. Ivanov, sceneggiato con il critico russo Sergej N. Dobrotvorskij, remake di À bout de souffle (1960) di Jean-Luc Godard, ambientato nella Leningrado contemporanea. Il film conserva l'intreccio e la struttura dell'originale, ma i caratteri dei personaggi appartengono a un ambiente diverso, che trasforma il noir del grande regista francese in un melodramma moderno. Il trionfo di questa linea di correlazione critica con i classici del cinema venne raggiunto con la coproduzione russo-ungherese-ucraina Deti čugunnych bogov (1993, Figli degli dei di ghisa) di Támás Tóth, una vera e propria antiutopia sulla fine della storia. Nel 1994, invece, Sergej D. Livnev realizzò un altro film nell'ambito dell'avanguardia, Serp i molot (La falce e il martello), ulteriore cinica parodia sull'applicazione totalitaria della scienza nel periodo stalinista, in cui si narra di presunti esperimenti di laboratorio per modificare il sesso delle persone.
La seconda metà degli anni Novanta ha fortunatamente segnato una nuova svolta nel mondo cinematografico russo; sono apparsi finalmente produttori motivati tra i cinefili dotati di capitali sufficienti. Sono riaffiorati nel cinema alcuni temi antichi dell'arte russa: l'interrogazione sul futuro del grande Paese in piena trasformazione, il destino escatologico del suo popolo, la crisi e la ricerca dei valori morali. Michalkov Končalovskij, ritornato in patria dopo anni di lavoro a Hollywood, ha portato il suo contributo nella disputa sul futuro nazionale con Kuročka Rjaba (1994; Asja e la gallina dalle uova d'oro), una coproduzione franco-russa, che il regista ha realizzato riprendendo il personaggio del suo film del 1966, Asino sčast′e per mostrare com'era cambiato il suo Paese a distanza di più di trent'anni e suggerire, con teorie a tratti pericolose, che liberalismo e democrazia in Russia sono destinati a fallire come fallì a suo tempo il marxismo. Altri registi sulla cresta dell'onda come Michalkov, Vadim Ju. Abdrašitov, autore di P′esa dlja passažira (Pièce per un passeggero) con il quale ha ottenuto l'Orso d'argento al Festival di Berlino nel 1995 e Vladimir I. Chotinenko, regista di Musul′manin (1995, Il musulmano, premiato nel 1996 al Festival di Mosca) e di Strastnoj bul′var (1999, Il viale della passione, premio Fipresci a Mosca nello stesso anno), sono apparsi più preoccupati di porsi domande su cosa fare che di costruire prospettive cinematografiche realmente nuove. Da molti film degli anni Novanta è emersa un'immagine della Russia tormentata da crisi morali e spirituali, in cui si muovono uomini incapaci di assumersi responsabilità sia individuali sia civili. Nel film di Chotinenko del 1995 si tocca un nervo scoperto della storia recente dell'ex-URSS, il ritorno dal fronte afghano di un soldato russo convertitosi all'Islam, che riporta dalla guerra un messaggio di pace, di tolleranza tra russi xenofobi e intolleranti, vittime del consumismo più sfrenato, e che non vedono in lui altro che un traditore. Con la fine degli anni Novanta è iniziata anche la ripresa del cinema d'intrattenimento, soprattutto della commedia, con film ben confezionati come, per es., Vsë budet chorošo (1995, Tutto andrà bene) di Dmitrij Ch. Astrachan, in cui si ironizza con leggerezza sulle aberrazioni della nuova società russa ‒ alcolismo, crimine, disoccupazione, prostituzione, povertà ‒ cercandovi il seme di una nuova solidarietà che compensi il duro pessimismo del cinema d'autore. Nella commedia romantica Moskovskie kanikuly (1995, Vacanze moscovite) di Alla I. Surikova, una giovane italiana arriva in una Mosca ferita dalla criminalità e dalla decadenza per seppellire il cane della nonna; finirà per innamorarsi di un aitante tassista e, dopo avventure esilaranti, i due partiranno insieme per l'Italia.Il nuovo millennio si è aperto con alcuni film significativi di autori ormai affermati e amati sia dal pubblico russo sia da quello europeo. Sokurov ha continuato a mietere successi, presentando al festival di Cannes, nel 2001, un film sugli ultimi mesi di vita di Lenin, Telec (2000), noto con il titolo internazionale Taurus, che forma un singolare dittico con il precedente Moloch, in cui si presentava la decadenza fisica e psichica di un'altra figura politica del 20° secolo, Hitler. La Russia nel 1922 è distrutta, martoriata, la carestia e la fame provocano milioni di morti, Lenin vede la sua salute scemare, mentre il triumvirato formato da Stalin, Zinov′ev e Kamenev lo isola sempre più dal Paese prendendo il suo posto al potere. Il titolo del film richiama l'immagine del Minotauro, nello stesso tempo mostro e vittima, tagliato fuori dal mondo, come lo era stato Lenin prima di morire nel 1924. E ancora Sokurov è riuscito ad aggiudicarsi nel 2003 il Premio Fipresci della critica internazionale al Festival di Cannes per Otec i syn (Padre e figlio).Ma non è solo il contributo di Sokurov a indicare una ripresa certa del cinema russo. A mostrarla vi sono molti film di grande valore usciti tra il 2000 e il 2001, da Nežnyj vozrast (2000, La tenera età) di Sergej A. Solov′ëv, in cui si narrano le vicende di un adolescente nel decennio 1980-1990, sullo sfondo della guerra in Cecenia, nello stile raffinato e dal complesso montaggio tipico del famoso regista. Oppure Vtorostepennye ljudi (2001, Gente di secondo piano), della grande Muratova, un thriller stilizzato, vincitore del primo premio al Festival internazionale di Soči, o, ancora della stessa autrice, Čechovskie motivy (2002, Motivi čechoviani), che ha ottenuto buo-ni riconoscimenti sia al Festival di Mosca sia al premio NIKA; o Jady (2000, Veleni) di Karen G. Šachnazarov, tragicommedia fantasmagorica su un marito tradito che premedita di eliminare l'intera famiglia della consorte. Sono sempre molto attivi i giovani registi emersi con la perestrojka: Lopušanskij ha girato Konec veka (2001, La fine del secolo), un'analisi del ruolo della memoria dopo il collasso dell'URSS; Aleksej O. Balabanov si è confermato uno dei registi più amati dai giovani spettatori russi realizzando Brat 2 (2000; Il fratello grande), seguito del precedente notissimo Brat (1997; Brother), campione d'incassi nel 1997 e ormai cult movie, interpretato da Sergej S. Bodrov Jr, tragicamente scomparso nel 2002, che aveva vinto per questa interpretazione il premio NIKA. Anche Lungin, confermando la propria vivacità immaginativa e la propria capacità narrativa, ha girato in coproduzione con la Francia un nuovo film, fresco, ottimista, disteso, Svad′ba, noto anche con il titolo La noce (2000; Le nozze), che segna una fase nuova del regista rispetto al filone di denuncia del pessimismo e del dolore del suo cinema precedente. Il 2000 è stato anche l'anno di lancio del poeticissimo Luna papa (1999) del tagiko Bakhtiyor Khudoinazarov, film, a coproduzione internazionale, che ha mostrato quanto sia vivo e originale il cinema delle remote repubbliche asiatiche dell'ex URSS. Interessanti all'inizio del 21° sec. sono apparsi i bei film di Aleksandr E. Zel′-dovič, Moskva (2000, Mosca), basato su una sceneggiatura di Vladimir Sorokin, premiato a Venezia, e di Andrej Zvjagincev che ha vinto il Leone d'oro a Venezia con l'opera prima Vozvraščenie (2003; Il ritorno). Il primo, che apre una prospettiva realmente nuova sul vuoto esistenziale dei nouveaux riches, spuntati repentinamente sulla scena del rivolgimento catastrofico dell'ex URSS, s'impone come il ritratto più intenso, profondo e originale del collasso che ha accompagnato il tramonto del socialismo in Russia. Il secondo, un ritratto privato, mostra la difficoltà e la freddezza ‒ sottolineatea dalle varie tonalità del grigio nei paesaggi e dalle mutevoli distese d'acqua ‒ del rapporto di due fratelli con un padre misterioso che è stato a lungo assente e al quale non viene ormai riconosciuto alcun ruolo di guida o di punto di riferimento, se non di fronte al suo cadavere.
Esteuropa '80, 1. Gli schermi di Gorbaciov, a cura di G. Buttafava, C. Salizzato, E. Angeloni, Venezia 1987; suppl.: Spécial URSS. Ciné-Péréstroika, "Cahiers du cinéma", 247, 1990.
A. Horton, M. Brashinsky, The zero hour: glasnost and Soviet cinema in transition, Princeton (NJ) 1992.
A.M. Lawton, Kinoglasnost: Soviet cinema in our time, Cambridge-New York 1992.