Sacerdoti
In termini molto generali i sacerdoti costituiscono un gruppo di persone specializzate nel trattare la sfera del sacro. È la destinazione sociale delle cose sacre, infatti, che in ultima analisi qualifica il ruolo e le funzioni dei sacerdoti: nella creazione del suo universo sacro una società decide non solo quali dei adorare o quali e quanti oggetti, animali, piante e persone siano da considerare sacri, ma anche chi è chiamato in particolare a entrare in contatto più o meno diretto con questo universo. In tal senso i sacerdoti sono degli specialisti che esercitano funzioni pubbliche: essi vengono incaricati da una collettività e dalle autorità costituite di svolgere un compito che non tutti i comuni mortali possono legittimamente assolvere. Perciò i sacerdoti godono della stessa proprietà che caratterizza il sacro: la condizione di separazione dalla sfera profana. Proprio perché hanno a che fare con un ambito ritenuto radicalmente differente da quello terreno, dalla vita quotidiana e ordinaria, anch'essi partecipano di questo stato di separazione, sottolineandolo con particolari segni esteriori, come la rasatura del capo che veniva praticata dai sacerdoti dell'antico Egitto o la tonsura ecclesiastica nella Chiesa cattolica. Il vantaggio offerto da questa definizione generale sta nel fatto che essa consente di qualificare i sacerdoti non necessariamente in riferimento alla divinità. Si può, in tal senso, affermare che i sacerdoti si pongono come mediatori fra gli dei e gli esseri umani, preoccupandosi di mantenere buoni i rapporti fra i secondi e i primi. Tuttavia non sempre le cose stanno così. In molte società è l'autorità politica che si pone come intermediario unico e supremo fra il mondo divino e quello umano tanto che in alcuni casi essa si riserva di presiedere importanti cerimonie di culto. I sacerdoti agiscono allora su delega di chi ha il potere supremo nell'organizzazione dello Stato: essi sono i funzionari di un apparato religioso e sacro, e non già autonomi creatori di istituzioni e di rituali.Un esempio è offerto dal complesso mondo dell'antico Oriente. Nella Mesopotamia il principio della stabilità del potere regale derivava dall'idea che il mondo fosse sottomesso a un ordine divino immutabile; il rapporto con la divinità perciò doveva riflettere tale immutabilità. La venerazione degli dei richiedeva continuità e stabilità dei riti. Solo chi occupava il potere in modo continuo nel tempo poteva autorevolmente garantire un armonico patto di alleanza con la divinità. Il re veniva visto, dunque, non solo come il capo politico della comunità, ma come l'amico degli dei, l'unico perciò abilitato a intrattenere rapporti di fiducia con essi: solo così egli poteva assicurare il governo del 'mondo'.
La relazione di fiducia fra l'ordine divino e l'ordine terreno varia a seconda dei miti di fondazione dei diversi popoli. Così ad esempio, sempre in Mesopotamia, nel regno akkadico è la divinità che conferisce il dono straordinario del potere al re, il quale, a sua volta, è chiamato a darne prova in terra, soprattutto con le vittorie riportate sui nemici. Mettere a morte il re nemico costituiva un rito sacrificale di cui il sovrano vittorioso assumeva direttamente la direzione a testimonianza della protezione divina di cui godeva.In tutti questi casi i sacerdoti appaiono, da un lato, come scrupolosi custodi della memoria del mito fondatore della legittimità del potere costituito e, dall'altro, come esecutori di gesti e rituali collettivi volti a celebrare i simboli vitali di quella memoria. In quanto custodi ed esecutori, i sacerdoti nell'antico Oriente esercitavano funzioni sia strettamente religiose - legate al culto e all'organizzazione del tempio sacro - sia amministrative - legate invece alla gestione di una struttura quale quella del tempio: dalla raccolta delle offerte alla manutenzione dello stabile, dalla pulizia degli ambienti alla selezione del personale da adibire a particolari servizi religiosi e così via. Tutte queste funzioni potevano poi essere attribuite a singoli individui o a gruppi di persone con un responsabile a capo. La complessità della gerarchia burocratica che veniva così a crearsi all'interno di un tempio era l'espressione della regolamentazione statale della religione.Il meccanismo della delega dal re ai sacerdoti si ritrova sia nell'antico Egitto che nell'Impero degli Inca. Nel primo caso il faraone è il titolare diretto di un contratto bilaterale con la divinità, fondato sullo scambio di prestazioni sacre da parte del primo (riti sacrificali) contro l'assicurazione da parte degli dei del mantenimento dell'ordine di tutte le cose. Il tempio sacro, luogo privilegiato del culto agli dei, viene concepito come dimora di questa o quella divinità e pertanto come il luogo fisico della stabilità del rapporto fiduciario fra il faraone e i vari dei del pantheon egizio.Allo stesso modo nell'Impero inca il sovrano, rappresentante terreno della divinità solare, delegava al sommo sacerdote la gestione di un vasto apparato di amministrazione sociale e religiosa di tutte le province dell'Impero. Si trattava di una vera e propria burocrazia sacra, alla quale si accedeva attraverso filtri rigorosi e che imponeva una disciplina di vita altrettanto rigida, come nel caso delle sacerdotesse (aclla cuna), le quali erano chiamate al voto di castità e alla clausura.
Lo stato di purezza richiesto ai sacerdoti è, dunque, una conseguenza della particolare funzione da essi ricoperta: proprio perché hanno il privilegio di 'toccare' cose ritenute non tangibili da parte delle persone comuni - il sacro è per definizione ciò che non deve essere contaminato dal profano -, la purezza è una sorta di garanzia sociale che la comunità richiede a tutela dell'integrità dei suoi simboli sacri. Ciò appare particolarmente evidente in una religione etnica come l'induismo. Infatti la casta dei brahmani è formata da sacerdoti che si collocano al vertice di un ideale asse della purezza, al cui estremo opposto troviamo i fuoricasta o gli intoccabili, gli impuri per definizione. Ai brahmani spettano due compiti fondamentali: la trasmissione delle sacre scritture e l'organizzazione delle cerimonie principali. In altre parole essi assicurano da un lato la continuità della memoria religiosa, dall'altro la ripetizione rituale dell'esperienza sacra originaria. Si tratta di due funzioni di grande rilevanza sociale, prima ancora che religiosa, dal momento che i sacerdoti tutelano il senso di identità collettiva, conservando i grandi repertori narrativi che fondano simbolicamente la storia di un gruppo e rievocano costantemente il patto di alleanza-sudditanza che esso ha stabilito, in un tempo miticamente lontano, con la divinità o la sfera delle potenze sacre.
Conservare la memoria e rievocare ciclicamente le procedure che regolano le condotte degli individui e dei gruppi sociali costituiscono dunque le funzioni centrali che i sacerdoti adempiono da sempre nelle società a noi note. Si comprende allora perché essi abbiano avuto quasi sempre una notevole rilevanza politica, non solo perché vicini al potere o da esso delegati a compiere funzioni particolari attinenti alla sfera del sacro, ma anche perché garanti di meccanismi di stabilità delle istituzioni sociali di un'organizzazione politica, grande o piccola, complessa o semplice che sia. I sacerdoti sono chiamati, infatti, a controllare che le classificazioni condivise della realtà sociale, con tutte le sue gerarchie economiche e le sue asimmetrie di potere, non vengano messe in discussione. I sacerdoti costituiscono, da questo punto di vista, un'istituzione che contribuisce a formare una comunità consolidata, la quale, per citare Mary Douglas (v., 1986; tr. it., p. 155), "blocca la curiosità personale, organizza la memoria pubblica ed impone eroicamente la certezza sull'incertezza".I sacerdoti sono perciò chiamati a riprodurre nel tempo sistemi di conoscenza nei quali gli individui possano trovare una risposta convincente ed esaustiva alle loro domande sul senso della vita e della morte. La loro attività diviene così eminentemente sociale. Essi disegnano per così dire delle mappe cognitive che fondano le identità individuali e collettive.
A tal proposito gli studiosi della religione degli antichi Greci (v. Kerenyi, 1957) hanno messo da tempo in evidenza come il sacrificio rituale servisse, da un lato, a impetrare la benevolenza degli dei e, dall'altro, a ribadire le gerarchie sociali esistenti nella polis. Il fatto che allo hiereus - il sacerdote che officiava i riti sacrificali - venissero assegnate precise parti di carne della vittima (come la pelle degli animali uccisi) e non altre stava a significare che a lui veniva riconosciuta una posizione privilegiata nella stratificazione sociale. La partecipazione corale e pubblica ai riti si configurava così come una rappresentazione della sacralità dell'ordine sociale.
La figura del sacerdote si differenzia da altre figure sacre. Max Weber (v., 1922) distingue fra sacerdote e stregone. Il primo viene definito dal sociologo tedesco come un funzionario professionale che, attraverso l'organizzazione del culto, ricopre l'ufficio di mediare fra gli dei e una determinata comunità umana; il secondo è "un libero professionista", il quale, ricorrendo a poteri personali (carisma) di tipo magico, fornisce prestazioni individualizzate e occasionali al fine di piegare potenze sacre a vantaggio degli esseri umani che di volta in volta chiedono di essere guariti o di conoscere il loro futuro, di ottenere l'affetto di una persona o di rivolgere un maleficio contro un avversario. In tal senso, mentre lo stregone deve continuamente dare prova del proprio potere personale, dell'efficacia del suo carisma socialmente riconosciuto, il sacerdote fa parte di un apparato di servizio, per cui, come scrive Weber, "[rispetto] allo stregone il clero è in una posizione di privilegio, essendo in grado di rovesciare la responsabilità dell'insuccesso sul dio stesso, anche se con il prestigio del dio diminuisce anche il proprio, a meno che i sacerdoti trovino modo di spiegare convincentemente come la responsabilità dell'insuccesso non ricada sul dio ma sul comportamento dei suoi devoti" (v. Weber, 1922; tr. it., pp. 126-127).
È bene precisare che lo stregone di cui parla Weber è un tipo astratto in cui rientra tutta una gamma di concrete figure socio-religiose. Nella categoria generale di stregone vanno perciò ricompresi importanti figure del mondo magico-sacrale come lo sciamano e il mago professionista dell'occulto. In molte società lo sciamano assolve ancor oggi una pluralità di funzioni: guarire dalle malattie, divinare, accompagnare l'anima del defunto nell'oltretomba e presiedere alle cerimonie sacrificali. Egli dunque è a diretto contatto con la sfera del sacro e vi accede a seconda delle sue personali capacità, generalmente confermate dalla originaria condizione di estasi o di trance di cui ha avuto esperienza. Il mago professionista dell'occulto è invece depositario di conoscenze particolari che mette a disposizione delle persone al fine di risolvere problemi contingenti; queste conoscenze hanno a che fare con il mondo esoterico delle potenze maligne o benigne che possono influenzare negativamente o positivamente le azioni dell'essere umano. Perciò il mago è da considerarsi non tanto un funzionario del sacro, né tantomeno il portatore di un particolare dono straordinario (carisma), quanto piuttosto l'esperto in tecniche di manipolazione di forze naturali (magia naturale) o occulte (magia cerimoniale).
Gli studiosi di scienze sociali sono concordi nel ritenere che nelle società preletterate sia del passato che contemporanee la distinzione fra le tre figure stregone/sciamano, mago e sacerdote non sia così netta: la magia è connessa alla religione e, conseguentemente, lo sciamano può svolgere al tempo stesso le funzioni di guaritore, di divinatore e di sacerdote.Un caso interessante di sovrapposizione delle tre funzioni in un'unica figura è rappresentato dalla vicenda dei magi dell'antica Persia. Questi, durante la dinastia sassanide, fra il III e il IV secolo d.C., formavano una vera e propria gerarchia ecclesiastica, un ceto sacerdotale chiamato a conservare e tramandare l'antica religione di Zoroastro. Questo clero svolgeva tipiche funzioni sacerdotali (dai sacrifici rituali ai riti funerari) ma non disdegnava il ricorso a pratiche magiche e occultistiche assimilate sincretisticamente dall'antica religione caldea, da quella induista della vicina India e dal mondo magico-sacrale ellenistico.
Pur essendo i confini fra stregone, mago e sacerdote fluidi, la figura del sacerdote e quella del profeta secondo Weber sono nettamente distinte. Il profeta, infatti, è al tempo stesso portatore di un carisma personale e contestatore di un ordine religioso stabilito; dunque, egli è per definizione un creatore di un nuovo sistema di credenza religiosa in tensione e in conflitto con i funzionari del sacro per eccellenza, i sacerdoti. Questa precisazione ci consente di introdurre un ultimo aspetto per cui il sacerdote si distingue da altre figure sociali del mondo sacrale. In molte religioni oltre alle funzioni cultuali il sacerdote svolge anche altri importanti compiti. Fra questi menzioniamo la funzione giurisdizionale; il compito di rileggere la storia di un popolo o di un gruppo sociale, trascrivendola in testi sacri; la messa a punto di calendari liturgici; la sistematizzazione del pensiero teologico e, infine, la creazione di un metodo educativo religiosamente orientato per selezionare le nuove leve del clero o per diffondere la dottrina e i precetti del credo religioso.
Tutte queste attività vengono a sovrapporsi in una stessa figura - quella del sacerdote - nelle società che non presentano un grado elevato di differenziazione sociale e religiosa, ossia, per usare la terminologia di Émile Durkheim, nelle società fondate sul principio della solidarietà meccanica, in cui tutto ruota attorno a una autorità monocratica che ha tutto l'interesse a unificare i centri di potere e non a distribuirli verso il basso. Laddove inizia il processo di differenziazione, progressivamente il sacerdote si spoglia di molti dei compiti di cui sopra, che vengono assunti da altre persone o istituzioni.Nel caso dell'ebraismo, ad esempio, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., scompare l'istituzione dei sacerdoti, che anticamente provenivano dalla tribù dei Leviti, e si afferma quella dei rabbini. Questi non sono dei sacerdoti, nel senso che non svolgono alcuna funzione sacramentale: essi sono piuttosto i depositari della conoscenza religiosa, acquisita attraverso lo studio della Torah e del Talmud. I rabbini sono dunque principalmente dei maestri, ma possono assolvere anche le funzioni di giudice e, soprattutto in epoca moderna, essere chiamati in qualità di capo di una comunità a presiedere alle attività liturgiche celebrate nella sinagoga. In tal senso i rabbini sono più vicini ai pastori protestanti che non ai sacerdoti, nel senso che svolgono funzioni al servizio di una comunità di credenti senza per questo acquisire uno status sacrale.
Da quanto sin qui detto si comprende come il ruolo dei sacerdoti venga definito in vari e diversi modi a seconda: a) del rapporto più o meno stretto fra sfera religiosa e sfera politica; b) del grado di differenziazione sociale esistente in una comunità o in una società. Il primo punto potrebbe essere sintetizzato nella formula "servire gli dei per legittimare il potere del re".
Ora, il fatto che l'istituzione sacerdotale sia stata e continui a volte ancor oggi a essere funzionalmente legata ai meccanismi di legittimazione dei poteri di un individuo, di un gruppo o di una dinastia dominanti può apparire scontato. Poiché, infatti, la funzione del sacerdote è definita all'interno dell'ordine costituito da parte di chi è interessato a mantenere stabile quell'ordine, è evidente che egli è chiamato a riprodurre il sistema simbolico che consente a un re (al suo casato) o a chi è a capo della comunità di presentarsi come il supremo garante dell'armonia fra cosmo divino e cosmo umano, fra ordine delle cose celesti e ordine delle cose terrene. Anche nel caso di una religione come l'islamismo, che non conosce in linea di principio figure assimilabili a quella del sacerdote, esistono funzionari ed esperti in cose sacre che, entro certi limiti, possono essere accomunati ai sacerdoti.
Se nella tradizione dell'Islam sunnita non esiste un clero, nel ramo sciita troviamo al contrario un vero e proprio ceto di professionisti del sacro che si è formato per ragioni storiche e teologiche particolari. Gli sciiti, infatti, attribuiscono agli ayat-Allah ('i segni di Dio') il potere di interpretare il senso nascosto della Parola divina contenuta nei testi sacri. In forza di tale riconoscimento queste figure hanno acquisito storicamente una funzione sacra, organizzata in istituzioni legate sin dalla fondazione dello Stato safavide del XVI secolo alle vicende del potere politico. La rivoluzione iraniana del 1979 ha mostrato quanta forza abbia ancora l'istituzione clericale sciita.
La storia del cristianesimo, del resto, soprattutto nelle due grandi divisioni storiche del cattolicesimo e dell'ortodossia, mostra come lo sviluppo di un apparato sacerdotale si sia intrecciato continuamente con la strutturazione del potere nelle diverse società che si sono succedute dalla caduta dell'Impero romano ai nostri giorni. Il cattolicesimo in particolare ha fortemente segnato la storia dell'Europa rivendicando il principio della superiorità della sfera spirituale su quella temporale, fonte di drammatici conflitti fra l'autorità imperiale e l'autorità ecclesiastica. E proprio per riaffermare l'idea che la Chiesa cattolica è una societas perfecta, un modello idealtipico di società, i sacerdoti hanno svolto una pluralità di funzioni: non solo sacramentali, ma anche sociali e politiche.
Diversa per alcuni aspetti è la vicenda della Chiesa ortodossa. Da un lato, infatti, in essa non esiste nulla di analogo al papato cattolico, essendo il suo impianto organizzativo fondato sul criterio della collegialità; dall'altro, la sua teologia rifiuta la separazione fra laicato e clero (tanto che per quest'ultimo non esiste l'obbligo del celibato). Tuttavia, dal momento che il sacerdote ortodosso è chiamato a mettersi al servizio della sua comunità locale o nazionale, in particolare e fondamentalmente curando il servizio liturgico da celebrare sempre nella lingua locale, egli finisce per aderire alla cultura nazionale e a condividere le alterne vicende storiche e politiche degli Stati-nazione di cui fa parte. La stretta contiguità fra la Chiesa serbo-ortodossa e il nazionalismo serbo nella guerra balcanica del 1992-1996 ne costituisce un esempio eloquente.Il secondo punto allude al fatto che in società molto complesse per articolazione del potere, organizzazione della struttura burocratica dello Stato, stratificazione sociale e specializzazione delle mansioni economiche, il ruolo dei sacerdoti diventa da un lato più specialistico e professionale e dall'altro tende a riflettere le diverse aspettative sociali proprie di una comunità di persone differenziata al suo interno. Ci sarà così un alto e basso clero, un ceto superiore di sacerdoti contiguo alla struttura del potere centrale e funzionari vicini ai ceti popolari.
Nell'antico Egitto, ad esempio, esisteva una chiara demarcazione fra i grandi sacerdoti che svolgevano la loro funzione in modo permanente sottoponendosi a regole rigorose di purezza, e il basso clero che invece assolveva determinati compiti per un tempo limitato e che perciò non era obbligato a rispettare particolari prescrizioni (come il voto di castità) per tutta la vita. In qualche misura ritroviamo questa stessa distinzione nell'antica Grecia fra i sacerdoti delle città che venivano scelti dal popolo per un periodo limitato nel tempo e i patriai, cioè una sorta di casta chiusa che si tramandava determinati culti a divinità antiche.
In quanto costituiscono un ceto di professionisti in mansioni sacre i sacerdoti fanno parte di una organizzazione, di cui si possono studiare i meccanismi e i criteri di reclutamento e di selezione del personale, la divisione del lavoro, le carriere, le forme di sostentamento economico e la base sociale dei diversi strati di cui il corpo sacerdotale si compone. Allo stesso modo può essere analizzata, da un punto di vista meramente organizzativo, l'articolazione interna del sapere e del potere sacerdotale: fra chi è investito dell'autorità suprema di garanzia dell'ortodossia (v. Ortodossia ed eterodossia) e chi è chiamato più semplicemente a svolgere mansioni esecutive. Nella gerarchia cattolica è evidentemente diverso il ruolo del sommo sacerdote - il papa - posto al vertice della piramide ecclesiastica e il parroco di una comunità locale; così come nell'Oriente antico, tra i Sumeri, era diverso il posto occupato dallo en, l'autorità più elevata nella gerarchia degli officianti i vari culti agli dei, da quello ricoperto da una figura minore - ma non certo irrilevante - come l'incaricato della chiusura e dell'apertura delle porte del tempio.
Non è possibile stabilire una tipologia precisa delle differenti organizzazioni sacerdotali, dal momento che nelle diverse religioni esse hanno assunto forme assai varie e non facilmente riducibili entro i rigidi e astratti. Si può tuttavia definire una tipologia a maglie molto larghe sulla base di due criteri fondamentali: il carattere gerarchico o egualitario dell'organizzazione alla quale i sacerdoti appartengono e il grado di purezza richiesto al personale sacerdotale nell'esercizio delle sue funzioni sacre. Si ottiene così la seguente matrice dei tipi di organizzazione sacerdotale:
Abbiamo così delimitato quattro tipi.
1) Il primo, che denominiamo gerarchico-puro, è caratterizzato da una organizzazione piramidale fondata sul principio di autorità (che articola funzionalmente i diversi livelli organizzativi dall'alto al basso, dal superiore all'inferiore, spesso con un sommo sacerdote al vertice e, procedendo verso il basso, figure dotate di potere e prestigio di peso decrescente). Ai suoi membri è richiesta una dedizione totale, a tempo pieno, con la rinuncia a condurre una vita normale (da qui il celibato, un modo distinto di vestirsi, la tendenza a vivere in luoghi separati, le pratiche ascetiche e così via) per meglio garantire lo stato di purezza che l'organizzazione sacerdotale impone nel suo complesso in vista del raggiungimento dei propri fini istituzionali: la gestione delle cose sacre per definizione separate e non contaminabili dal mondo profano.
2) Il secondo tipo, che per ragioni di simmetria chiameremo gerarchico-impuro, differisce dal primo per il fatto che, pur essendo caratterizzato da una organizzazione piramidale centrata sul principio dell'autorità, questa non impone ai propri membri una vita separata dalla normalità quotidiana; in tal caso il tratto distintivo tipico è la possibilità per i sacerdoti di contrarre matrimonio.
3) Il terzo tipo (egualitario-puro) comprende quelle organizzazioni religiose nelle quali tutti i componenti del gruppo sono considerati in via di principio sacerdoti, anche se si riconosce un ruolo funzionalmente delimitato per chi è chiamato a svolgere compiti di responsabile della comunità; al tempo stesso si esige che tutti coerentemente conducano una vita o adottino stili di vita che marchino la differenza sociale e religiosa con il resto del 'mondo' profano, consacrandosi totalmente alla causa o alla vocazione religiosa alla quale sono stati chiamati per elezione o conversione.
4) Infine il quarto modello (egualitario-impuro) comprende tutte quelle forme di organizzazione nelle quali la figura sacerdotale non solo non fonda la legittimità del suo ruolo sul principio gerarchico, ma non ha bisogno di staccarsi dalla vita mondana per assolvere le proprie funzioni sacre.Come esempi concreti di queste quattro categorie si possono citare nell'ordine l'organizzazione della Chiesa cattolica, quella della Chiesa ortodossa, la maggioranza delle sette nate sul terreno protestante e, infine, il sistema di assemblee e di governo collegiale proprio delle Chiese luterane e metodiste di tradizione sia episcopale che congregazionalista. I quattro esempi sono tratti non casualmente da una stessa tradizione religiosa, il cristianesimo, al fine di mostrare come da una comune matrice religiosa possano svilupparsi diversi modelli organizzativi. Come hanno dimostrato Ernst Troeltsch (v., 1912) e più recentemente Jean Séguy (v., 1980), le idee del cristianesimo, infatti, si sono adattate flessibilmente alle condizioni storiche che esse hanno attraversato dalle origini ai giorni nostri.
Al di fuori del contesto cristiano nel tipo di organizzazione gerarchico-puro possiamo includere le istituzioni sacerdotali create sia dall'Impero inca che - almeno per quanto riguarda le alte sfere dell'ordine sacerdotale - dai faraoni nell'antico Egitto.
Nel modello egualitario-puro possono essere fatte rientrare tutte quelle religioni che formalmente non distinguono fra clero e laici (come ad esempio l'Islam sunnita) pur ammettendo dei 'servitori di Dio' professionalmente chiamati a svolgere funzioni sacre particolari (come l'imam che guida la preghiera del mezzogiorno del venerdì nella moschea).
Negli altri due tipi intermedi, gerarchico-impuro ed egualitario-impuro, possiamo collocare sia tutti quegli ordini sacerdotali che, organizzati in base a una articolata gerarchia interna, prevedono uno scambio continuo con il mondo profano, non concepito perciò come separato da quello sacro, sia i sistemi in cui il sacerdote è un laico che svolge un servizio importante per il quale si è preparato, studiando o percorrendo un particolare rito di iniziazione: un professionista pro tempore in cose sacre.
È il caso, ad esempio, dello shinto. Questa antica religione giapponese prevede un ordine sacerdotale (formato dai kannushi, letteralmente 'servitori del kami', della divinità o dello spirito) cui è affidata la cura dei templi e delle grandi ritualità annuali. Fino al 1946 i kannushi erano funzionari alle dirette dipendenze dello Stato, dal momento che la religione shinto era la religione di Stato. Un sacerdote shinto, dopo un periodo di istruzione viene consacrato e svolge le sue funzioni fin quando egli ritiene di farlo, in quanto lo status sacerdotale non è una condizione permanente. Inoltre egli può sposarsi e avere un lavoro. Dopo il 1946, quando la sconfitta del Giappone in guerra determinò una crisi di fiducia collettiva nella potenza protettrice dei kami, il culto divino dell'imperatore venne abolito e cessò ogni forma di sovvenzione statale a favore del clero shinto, che perciò vive d'allora principalmente delle offerte dei fedeli.
Un esempio del tipo intermedio gerarchico-impuro è offerto dalle figure sacre proprie delle religioni afroamericane, in particolare del candomblé e dell'umbanda brasiliani, da un lato, e dal vodu haitiano, dall'altro. Queste figure tendono a differenziarsi fra loro all'interno dei vari spazi sacri (terreiros per il candomblé, houmfort per il vodu) in base ai gradi di conoscenza che esse mostrano di aver raggiunto rispetto al mondo delle potenze positive e negative evocate nei culti di possessione. La particolarità di questi culti e riti di raggiungimento della trance è quella di essere veri e propri percorsi di iniziazione, non preclusi teoricamente a nessuno: chi desidera incorporare la divinità 'nella propria testa' partecipa al rito conclusivo previsto dal candomblé della 'fissazione del dio' nella testa rasata del novizio su cui viene praticata una piccola incisione. I nuovi adepti diventano così membri a pieno titolo della 'chiesa', senza che necessariamente debbano ricoprire le funzioni di mai o pai do santo (madre o padre del santo, secondo la terminologia del candomblé), i sacerdoti o le sacerdotesse dei riti in questione. Gli aspetti di impurità in questo caso risiedono nel fatto che i portatori di poteri sacri si fanno mediatori con la sfera del sacro aiutando i devoti ad accedervi direttamente: dunque essi divengono fonte di un sacro diffuso, per certi versi anarchico o selvaggio, come lo ha definito l'antropologo francese Roger Bastide (v., 1960). Perciò - ed è questo un secondo aspetto di impurità - i sacerdoti e le sacerdotesse dei culti in questione non disdegnano né la magia né le pratiche spiritistiche e occultistiche: tutto ciò che in termini strumentali rende più facile accedere al mondo degli spiriti viene incluso nel sistema simbolico della credenza.
Un altro esempio del tipo gerarchico-impuro è offerto dai culti dell'Africa Nera contemporanea. Qui fioriscono da tempo le chiese dello 'Spirito santo', come nello Zaire, eredi e precipitati istituzionali del movimento del profeta Simon Kimbangu (v. Desroche, 1969), nato dopo la prima guerra mondiale nell'allora Congo belga; i sacerdoti di queste chiese da un lato combattono le forme più ancestrali di stregoneria e, dall'altro, inglobano nelle pratiche sacramentali i riti di possessione e di trance ritenuti mezzi efficaci alla portata di tutti i fedeli per stabilire una relazione personale profonda con la sfera del sacro.
All'interno dell'organizzazione sacerdotale molte religioni hanno conosciuto e conoscono la presenza femminile. Lo shinto, ad esempio, ammette le donne all'ordine sacerdotale non fosse altro perché, secondo un'antica tradizione, al vertice della gerarchia sacerdotale era posta la Itsuki no miko, la sacerdotessa imperiale. Oggi esistono circa un migliaio di sacerdotesse che possono accedere senza particolari ostacoli alla carica di sommo sacerdote di un tempio. Anche nella religione inca era contemplata una forma di sacerdozio femminile legata al servizio a tempo pieno degli dei dei templi; qui le sacerdotesse vivevano in stato di clausura e di consacrazione verginale, sotto la suprema autorità di una sacerdotessa, ritenuta sposa del dio Sole. Un'istituzione simile venne creata dai Romani con le Vestali, sacerdotesse dedite al culto di Vesta e del fuoco sacro che doveva ardere perennemente nel tempio. Le fanciulle selezionate per questo officio sacro restavano all'interno dell'ordine sacerdotale per trent'anni, al termine dei quali ritornavano nel secolo e potevano contrarre matrimonio. La loro funzione era strettamente collegata con particolari riti di purificazione del tempio, specificatamente dopo le grandi feste del 15 giugno (vestalia).
Nel mondo moderno e contemporaneo le funzioni dei sacerdoti si sono in parte modificate, in primo luogo per l'avanzare di modelli di organizzazione sociale, economica e politica che hanno progressivamente ristretto l'influenza della religione nella società nel suo complesso, riducendo conseguentemente il ruolo dei sacerdoti in quanto depositari di saperi e poteri sacri. Gli Stati moderni, sottraendo alla religione numerose prerogative, hanno contribuito a delimitare la funzione delle chiese e delle altre organizzazioni religiose assegnando loro competenze e spazi sociali sempre più specifici e specializzati.In secondo luogo, per molti aspetti, le grandi religioni mondiali hanno finito per adattarsi alle mutate situazioni storiche. Ciò è accaduto non solo in Occidente con il cattolicesimo, che lentamente si è per così dire ritirato dalla scena politica e si è decentrato, spostandosi verso la 'periferia' della società (prendendosi cura degli emarginati o di problemi esistenziali degli individui dei quali nessuna struttura politica è in grado di farsi carico), ma anche nei paesi di tradizione islamica i quali, dopo la fine del dominio coloniale europeo e la nascita degli Stati indipendenti, hanno conosciuto una graduale laicizzazione delle forme di organizzazione del potere politico con la conseguente perdita di influenza del sapere religioso tradizionale nella vita pubblica.I vari movimenti fondamentalisti, nati dapprima sul terreno protestante evangelico negli USA e quelli molto più aggressivi formatisi poi nell'Islam, costituiscono il tentativo più radicale di riportare al centro della scena politica la religione, e dunque di far riacquistare ai detentori del capitale simbolico religioso una funzione che essi hanno ormai perso; a tal fine questi sono disposti anche a misurarsi con i linguaggi della modernità, trasformandosi di volta in volta in abili telepredicatori, in commentatori improvvisati di sacre scritture e in autodidatti in teologia.
Anche una religione centrata fortemente sull'ordine sacerdotale, come quella cattolica, conosce una sensibile crisi del clero legata a un calo ormai più che decennale delle vocazioni e delle ordinazioni, ma anche alla perdita di carisma della funzione sacerdotale (v. Brunetta e altri, 1991): nella società contemporanea il prete non è più percepito in prima istanza come portatore di una funzione sacra e sacramentale, ma come una persona che compie un servizio utile, funzionale al soddisfacimento di bisogni sociali come la gestione del tempo libero dell'infanzia e dell'adolescenza, l'assistenza agli emarginati e agli anziani, la celebrazione di cerimonie entrate a far parte del lessico sociale tradizionale (come i battesimi, i matrimoni e i funerali). Il clero diventa sempre più una professione liberale, secondo la felice formula del sociologo (e sacerdote) Joseph Fichter (v. AA.VV., 1982, p. 17). In tal senso si può notare un primo timido avvicinamento della figura del sacerdote cattolico al modello protestante, dove il pastore non ha funzioni sacramentali, ma piuttosto quelle proprie di un ministro al servizio della comunità. Allo stesso tempo alcuni studiosi del protestantesimo contemporaneo hanno messo in luce un processo inverso nelle chiese riformate: una strisciante cattolicizzazione del pastore protestante, che tenderebbe a diventare sempre più uno specialista separato dal mondo dei laici.Tuttavia, come ha osservato il sociologo statunitense Thomas Gannon (v., 1971), solo entro certi limiti è corretto definire il sacerdozio come una professione liberale. Le caratteristiche sociologiche della professione liberale secondo Gannon sono quattro: 1) occupazione a tempo pieno; 2) un percorso formalizzato di formazione destinato a trasmettere la somma dei saperi e dei poteri propri di una professione specializzata; 3) l'esistenza di un ordine professionale, cioè di un'associazione che in qualche modo vigili sulla qualità dei membri che ne fanno parte e garantisca il monopolio acquisito in un particolare ambito di attività; 4) l'esistenza di un codice deontologico stabilito dai membri dell'ordine professionale stesso.
L'analogia fra il sacerdozio e l'esercizio di una professione liberale regge per quanto riguarda i primi tre aspetti. Infatti il clero cattolico svolge per vocazione un 'lavoro' a tempo pieno e per questo viene formato nei seminari e attraverso lunghi anni di studio; inoltre l'istituzione di appartenenza garantisce il monopolio delle funzioni che vengono affidate ai singoli sacerdoti. Ciò che non può essere applicata è l'idea di un codice deontologico: i sacerdoti ricevono dall'istituzione ecclesiastica un patrimonio di fede, modi di pensare, stili di vita, norme e simboli, consolidato nella tradizione, e si incaricano di trasmetterlo alla comunità dei fedeli a essi affidata. In ogni caso si tratta di una professione liberale precaria, nel senso che è sottoposta a forti sollecitazioni soprattutto da parte dei laici che tendono a sottrarre o a contestare ai sacerdoti il monopolio delle funzioni sacre, in particolare l'autorità di stabilire che cosa si debba credere e che cosa si debba praticare per essere dei buoni fedeli.
Nel mondo protestante e in quello cattolico si va dunque affermando una tendenza alla professionalizzazione della figura sacerdotale, tendenza che peraltro si riscontra anche in altre tradizioni religiose diverse da quella cristiana.
L'esistenza di un mercato di beni simbolici sempre più articolato e affollato di concorrenti (v. Berger, 1967) nonché la tendenza degli Stati moderni a regolare le funzioni dei sacerdoti nella società rendono sempre più arduo e faticoso esercitare il 'mestiere' di sacerdote nella realtà contemporanea. (V. anche Monachesimo; Religiosa, organizzazione; Sacro).
AA.VV., Clergy in church and society, in Actes de la 19e Conférence internationale de sociologie de la religion, Roma 1967.
AA.VV., Sociologie du sacerdoce, in "Social compass", 1971, n. 1 (n. monografico).
AA.VV., Prêtres, pasteurs et rabbins dans la société contemporaine, Paris 1982.
AA.VV., Personel et groupes religieux en Islam, in "Archives de sciences sociales des religions", 1983, n. 3 (n. monografico).
AA.VV., Les nouveaux clercs. Prêtres, pasteurs et spécialistes des relations humaines et de la santé, Genève 1985.
Acquaviva, S., Pace, E., Sociologia delle religioni, Roma 1996.
Bastide, R., Les religions africaines au Brésil, Paris 1960.
Beckford, J., Religious organization. A trend report and bibliography, in "Current sociology", 1973, n. 1 (n. monografico).
Benveniste, É., Le vocabulaire des institutions indo-européennes, Paris 1969 (tr. it.: Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino 1976).
Berger, P., The sacred canopy, New York 1967 (tr. it.: La sacra volta, Milano 1984).
Bertholet, A. e altri, Pristertum, in Die Religion in Geschichte und Gegenwart, Tübingen 1930.
Bourdieu, P., Genèse et structure du champ religieux, in "Revue française de sociologie", 1971, III, 12, pp. 295-334.
Brunetta, G., Garelli, F., Pace, E., Crisi del prete?, in "Polis", 1991, n. 3 (n. monografico).
Chapuis, J.M., La figure du pasteur, Genève 1985.
Desroche, H., Dieu d'hommes, London 1969.
De Vries, J., La religion des Celtes, Paris 1963.
Douglas, M., How institutions think, New York 1986 (tr. it.: Come pensano le istituzioni, Bologna 1990).
Douglas, M., Risk and blame, London 1992 (tr. it.: Credere e pensare, Bologna 1994).
Drewermann, E., Kleriker, Psychogramm eines Ideals, Freiburg i.B. 1989 (tr. it.: Funzionari di Dio, Bolzano 1995).
Dumezil, G., Les dieux souvrains des indo-européens, Paris 1977 (tr. it.: Gli dei sovrani degli Indoeuropei, Torino 1985).
Dumont, L., Homo hierarchicus, Paris 1966 (tr. it.: Homo hierarchicus, Milano 1991).
Durkheim, É., De la définition des phénomènes religieux, in "L'Année sociologique", 1898, n. 1, pp. 1-28 (tr. it.: Per una definizione dei fenomeni religiosi, Roma 1996).
Durkheim, É., Les formes élémentaires de la vie religieuse, Paris 1912 (tr. it.: Le forme elementari della vita religiosa, Milano 1963).
Eliade, M., Traité d'histoire des religions, Paris 1949 (tr. it.: Trattato di storia delle religioni, Torino 1954).
Fichter, J., Religion as occupation, Notre Dame, Ind., 1961.
Filoramo, G., Prandi, C., Le scienze delle religioni, Brescia 1991.
Frazer, J.G., The golden bough, 2 voll., London 1890; 12 voll., 1907-1915² (tr. it. dell'ed. ridotta del 1922: Il ramo d'oro, 3 voll., 1950²).
Fuller, C.I., Servants of goddess, Cambridge 1984.
Gannon, T., Priest/minister: profession or non profession?, in "Review of religious research", 1971, XII, 2, pp. 66-79.
Geertz, C., Islam observed, New York 1968 (tr. it.: Islam, Brescia 1973).
Godelier, M., Rapporti di produzione, miti, società, Milano 1976.
Guizzardi, G., Pace, E., La chiesa e le altre organizzazioni religiose, in Trattato di sociologia del lavoro e dell'organizzazione. Le tipologie, a cura di D. De Masi e A. Bonzanini, Milano 1987, pp. 493-532.
Houtard, F., Remy, J., Sacerdoce, authorité et innovation dans l'église, Paris 1970.
Jordan, B., Servants of Gods, Göttingen 1969.
Kaufmann, F.X., Religion et burocratie, in "Social compass", 1974, n. 1, pp. 101-108.
Kerenyi, K., La religion antique, Genève 1957 (tr. it.: La religione antica nelle sue linee fondamentali, Bologna 1960).
Layendecker, L., Prêtrise et professionalisation, in AA.VV., Prêtres, pasteurs et rabbins dans la société contemporaine, Paris 1982, pp. 173-189.
Leeuw, G. van der, Phänomenologie der Religion, Tübingen 1956² (tr. it.: Fenomenologia della religione, Torino 1960).
McSweeney, B., The priesthood in sociological theory, in "Social compass", 1974, n. 1, pp. 5-23.
Martha, J., Les sacerdoces athéniens, Paris 1881.
Mauss, M., Les fonctions sociales du sacré, in Oeuvres, Paris 1968.
Mehl, R., Traité de sociologie du protestantisme, Neuchâtel 1965.
Pace, E., La typologie des groupes religieux, in Le grand atlas des religion, Encyclopaedia Universalis de France, Paris 1988 (tr. it.: La tipologia dei gruppi religiosi, in Atlante delle religioni, Torino 1996, pp. 328-332).
Rudge, P.F., Ministry and management, London 1968.
Satori Bhante, B., Lo shintoismo, Milano 1984.
Sauneron, S., Les prêtres de l'ancienne Egypte, Paris 1987.
Schied, J., Des ordres à Rome, Paris 1984.
Séguy, J., Christianisme et société. Introduction à la sociologie de Ernst Troeltsch, Paris 1980 (tr. it.: Cristianesimo e società. La sociologia di Ernst Troeltsch, Brescia 1994).
Séguy, J., Le clergé dans une perspective sociologique, in AA.VV., Prêtres, pasteurs et rabbins dans la société contemporaine, Paris 1982, pp. 12-58.
Tapia, C., Le rabbinat: adaptation et permanence, in AA.VV., Prêtes, pasteurs et rabbins dans la société contemporaine, Paris 1982, pp. 115-135.
Troeltsch, E., Die Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen, Tübingen 1912 (tr. it.: Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani, Firenze 1960).
Weber, M., Wirtschaft und Gesellschaft, Tübingen 1922 (tr. it.: Economia e società, 2 voll., Milano 1981).
Widengren, G., Religionsphänomenologie, Berlin 1969 (tr. it.: Fenomenologia della religione, Bologna 1984).
Willaime, J.P., La precarité protestante, Genève 1992.