Poeta italiano (Modica 1901 - Napoli 1968). Premio Nobel per la letteratura (1959). Formatosi nel gusto della poesia ermetica fra Ungaretti e Montale, più vicino a quello per l'essenzialità quasi epigrammatica dell'espressione, per l'altezza del tono, più affine a questo per le soluzioni paesistiche del suo analogismo, Q. è venuto temperando tali influssi originari in un linguaggio poeticamente sempre più autonomo, che libera quella sua intensa sensualità in trepide visioni.
Avviato agli studi tecnici, apprese poi da sé le lingue classiche; dal 1941 al 1968 insegnò letteratura italiana nel conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Formatosi nel gusto della poesia ermetica, dopo iniziali riecheggiamenti ungarettiani e montaliani, trovò appropriata espressione alla sua densa e dolente sensualità in trepide visioni di terre, acque, stagioni, in un'aura arcanamente memore di metamorfosi e di miti (Acque e terre, 1930; Oboe sommerso, 1932; Odore di Eucalyptus ed altri versi, 1933; Erato e Apollion, 1936; Poesie, 1938; Ed è subito sera, 1942, in cui confluirono le raccolte precedenti); e successivamente, con l'approfondirsi di quel senso a coscienza del dolore, in evocazioni più aderenti alla realtà storica e sociale, dai modi sempre elegiaci ma più articolati ed effusi, anche se insidiati talora da cadute nel prosastico (Giorno dopo giorno, 1947; La vita non è sogno, 1949; Il falso e vero verde, 1956; La terra impareggiabile, 1958). Negli ultimi anni di vita intraprese molti viaggi in Europa e fuori d'Europa che gli suggerirono diverse composizioni di Dare e avere (1966), la sua ultima raccolta, che è anche un testamento spirituale. L'ossessionante incontro con la morte (già affiorante ne La terra impareggiabile) è un evento dal poeta avvertito come non lontano nel tempo per il peggiorare delle sue condizioni fisiche («Non ho paura della morte, / come non ho avuto timore della vita»). Ne deriva soprattutto un distacco dalla materia quotidiana e dalle occasioni contingenti che possono aver ispirato le singole liriche. Al graduale affrancarsi del suo linguaggio dallo stretto analogismo iniziale contribuì la sua assidua opera di traduttore dai poeti greci e latini (Lirici greci, 1940; Il fiore delle Georgiche, 1942; Dall'Odissea, 1946; Edipo re, 1947; Canti di Catullo, 1955; Fiore dell'Antologia Palatina, 1958). Curò anche alcune traduzioni da Shakespeare, e compilò un'antologia della Lirica d'amore italiana, dalle origini ai nostri giorni (1957) e un'altra della Poesia italiana del dopoguerra (1958). Un complessivo cenno a parte, inoltre, meritano varie introduzioni prevalentemente dedicate a opere di artisti contemporanei (ma non manca una su Michelangelo), nonché quelle ai volumi della collana «Poeti italiani contemporanei» diretta dallo stesso poeta. Da ricordare anche i volumi Scritti sul teatro (1961), Il poeta e il politico e altri saggi (1967), Poesie e discorsi sulla poesia (post., 1971), A colpo omicida e altri scritti (post., 1977).