Marcellino, santo
Le notizie antiche su M. sono talvolta confuse e danno luogo a discussioni e divergenze. Secondo il Catalogo Liberiano succede a Caio il 30 giugno del 296 (secondo il Liber pontificalis il 1° luglio) e muore nel 304, durante la persecuzione di Diocleziano, dopo un episcopato di otto anni, tre mesi e venticinque giorni (dal 30 giugno 296 al 25 ottobre 304). Questa notizia viene modificata dal Liber pontificalis, che assegna al suo episcopato la durata di otto anni, quattro mesi e sedici giorni. La Depositio episcoporum (Chronica minora, p. 70) colloca la sua morte al 15 gennaio, con la seguente espressione: "Marcellini, in Priscillae". Ma la celebrazione del 15 gennaio deve essere riferita a papa Marcello, suo successore, ricordato il 16 gennaio.
Infatti il Martyrologium Hieronymianum e altre testimonianze antiche, come i sacramentari e lo stesso Liber pontificalis (I, p. 164) hanno la data del 16 gennaio per la depositio di papa Marcello nel sepolcreto di Priscilla. Anzi, il Liber pontificalis, a proposito di papa Marcello, mettendo insieme leggende posteriori e la tradizione romana, precisa che la matrona Lucina aveva raccolto il suo corpo e lo aveva seppellito il 16 gennaio ("XVII kal. feb.") a Priscilla.
Inoltre nel Liber pontificalis vi è una evidente contraddizione di date: all'inizio della biografia esso farebbe finire l'episcopato di M. alla metà di novembre, mentre alla fine del testo la sua morte è collocata al 26 aprile, e questa data dal Liber pontificalis è passata al Martyrologium Romanum e ad altri martirologi (Beda, Usuardo, Adone). Per queste ragioni numerosi studiosi, come L. Duchesne, J.-P. Kirsch e H. Delehaye, pensano che nella Depositio episcoporum si sia introdotto un errore di trascrizione, e quindi bisogna leggere al 16 gennaio, e non al 15, la deposizione di Marcello e non di M., in quanto indica la stessa persona e la medesima commemorazione nel medesimo luogo. E.B. Schaefer analizza le fonti di questa confusione, per cui si deve concludere che sia la Depositio che il Martyrologium Hieronymianum indicano papa Marcello e non Marcellino. Inoltre il Liber pontificalis aggiunge altre notizie attinte forse da qualche Passio Marcellini, ora perduta: che era figlio di "Proiectus", e che aveva subito il martirio il 31 marzo. Si dilunga poi a parlare dell'apostasia di M. durante la persecuzione mediante l'offerta dell'incenso, senza però che avesse sacrificato o consegnato le Scritture, e aggiunge quindi che si pentì del suo gesto, per cui dovette subire il martirio con altri cristiani (Claudio, Cirino e Antonino). Alcune redazioni del Liber pontificalis (I, p. CCIX) aggiungono che il presbitero Marcello lo esortava a non eseguire i comandi di Diocleziano. Il suo corpo, e quelli di altri cristiani uccisi con lui, per ordine di Diocleziano erano stati lasciati insepolti per ventisei giorni (o venticinque secondo alcuni codici), e poi, di notte, furono sepolti dal presbitero Marcello nel cimitero di Priscilla, il 26 aprile, in un luogo scelto in precedenza dallo stesso M. (ibid., pp. 72, 162).
La notizia del martirio è ripresa dal Martyrologium Romanum, e viene collocata sotto l'imperatore Massimiano al 26 aprile (Martyrologium Romanum [...] scholiis historicis instructum, in Propylaeum ad Acta Sanctorum Decembris, Bruxellis 1940, p. 156), mentre il Liber pontificalis fa svolgere la vicenda sotto Diocleziano. Non sembra che M. abbia subito il martirio, in quanto la qualifica di martire gli venne attribuita solo verso la fine del V secolo, quando fu forse scritta una sua Passio: il Catalogo Liberiano non parla, infatti, del suo martirio e la Depositio martyrum non lo colloca tra i martiri. Eusebio di Cesarea, suo contemporaneo, usa una frase ambigua: "fu portato via dalla persecuzione" (Historia ecclesiastica VII, 32, 1), espressione che potrebbe indicare soltanto l'esilio. M. fu sepolto, come detto, nella catacomba di Priscilla presso il martire Crescenzione (Le Liber pontificalis, I, pp. 72, 162): "In cymiterio Priscillae, in cubiculum qui patet usque in hodiernum diem, quod ipse praeceperat poenitens dum traheretur ad occisionem, in crypta iuxta corpus sancti Criscentionis". Pertanto al tempo della redazione della prima edizione del Liber pontificalis la tomba di papa M. era ben conosciuta: "cubiculum qui patet usque in hodiernum diem", espressione riassunta in alcuni manoscritti in "cubiculo claro" (cfr. ibid., p. CCIX). L'autore del Liber conosceva la tomba e la sua localizzazione precisa, anche perché Crescenzione, morto durante la persecuzione di Diocleziano, era molto venerato e la sua tomba molto frequentata: la sua cripta era conosciuta anche dagli itinerari del VII secolo e ad essa si scendeva dalla basilica superiore di S. Silvestro mediante una scala (Codice topografico, p. 77). Il De locis sanctis martyrum, testo molto conciso e spesso confuso, colloca lì, tra gli altri martiri e santi, Marcello e M. (Codice topografico, pp. 116 s.). Il sepolcro di papa M. è stato individuato presso l'ipogeo degli Acilii, nella cosiddetta regione di Crescenzione (catacomba di Priscilla), all'interno di un cubicolo posto accanto a quello che ha ospitato la tomba del martire.
L'unica memoria epigrafica di M. è costituita da una transenna marmorea, proveniente dal cimitero di Callisto sulla via Appia, in cui si attesta che il diacono Severo dovette chiedere l'autorizzazione a papa M. per poter realizzare un cubicolo familiare (Inscriptiones Christianae urbis Romae, nr. 10183: "iussu p[a]p[ae] sui Marcellini"). Questa iscrizione è particolarmente significativa anche perché costituisce la prima attestazione epigrafica del termine papa attribuito al vescovo di Roma. Vicino alla tomba di M. fu dipinta una scena di grandi dimensioni, la quale rappresenta i tre fanciulli ebrei che rifiutano di adorare il re Nabucodonosor, in segno di difesa del papa, accusato di turificatio (offerta dell'incenso). Il successore di M., papa Marcello, fu deposto invece nella basilica superiore vicino alla tomba di papa Silvestro. Perché i due papi non furono seppelliti nella catacomba tradizionale, quella di Callisto? Forse perché questo cimitero era stato sequestrato durante la persecuzione di Diocleziano del 303 e non era ancora utilizzabile a quel tempo (P. Styger, pp. 115-16).
La successione a papa M. è molto discussa; Eusebio di Cesarea, nella lista dei vescovi delle sedi più importanti, si è fermato a M.; Girolamo, nel suo Chronicon, scrive che "a Roma viene eletto Eusebio, il ventinovesimo vescovo, che dura sei mesi" (P.G., XIX, col. 583), e succede a Marcellino. Su tutta la questione v. Marcello I, santo.
Si è già accennato alla tradizione successiva, che talvolta accusa M. di apostasia, accusa che venne sfruttata, ai loro fini ecclesiologici, dai donatisti. Si può ricostruire la genesi probabile di questa accusa. I donatisti, dopo il 370, cercavano di coinvolgere nell'accusa di traditio delle Scritture, durante la persecuzione di Diocleziano, tutti coloro che avevano avuto in qualche modo a che fare con la condanna dei donatisti nelle fasi iniziali dello scisma, in particolare Ossio di Cordova, M. e i suoi presbiteri e futuri papi Marcello, Milziade e Silvestro. Parmeniano, vescovo donatista di Cartagine (362-391/92), nella sua prima opera, Adversus ecclesiam traditorum, non incolpa nessun papa in particolare, ma accusa in generale i cattolici di essere traditores (cfr. Ottato di Milevi, Contra Parmenianum Donatistam 1, 6, a cura di S. Lancel, Paris 1995 [Sources Chrétiennes, 412], p. 184). Invece, nella sua Epistola ad Tyconium, comincia a fare dei nomi e avanza l'accusa di traditores solo a danno di Ossio e Milziade (Agostino, Contra epistolam Parmeniani I, 4, 7 [Ossio]; 1, 5, 10 [Milziade]), cioè i due personaggi che direttamente erano stati coinvolti nella prima condanna dei donatisti. In questa lista di accusati per ora non viene incluso il nome di Marcellino. Verso l'anno 400 invece compare nella lista dei colpevoli anche il nome di M., che viene accusato da Petiliano, vescovo di Costantina, nella sua Epistola ad presbyteros et diaconos, di essere stato "il primo a bruciare i libri del Signore", quindi prima di Mensurio e di Ceciliano (cfr. Agostino, Contra litteras Petiliani libri III II, 92, 202; De unico baptismo contra Petilianum liber 16, 27).
Agostino dà notizia dell'accusa a M., ma non dà alcuna risposta, mentre si dilunga su altri personaggi, come Ursacio e Macario (Contra litteras Petiliani libri III II, 92, 203-13). Qualche anno più tardi diventa più ampia la lista di coloro che a Roma avrebbero consegnato le Scritture: non solo si nomina M., ma anche i suoi presbiteri Marcello, Milziade e Silvestro, futuri papi (Agostino, De unico baptismo contra Petilianum liber 16, 27, opera probabilmente scritta nel 410: qui viene indicato esplicitamente per la prima volta anche Marcello). Agostino risponde considerando calunnie prive di qualsiasi fondamento quelle rivolte a "Marcellino e i suoi presbiteri Milziade, Marcello e Silvestro", in quanto Petiliano non adduce la più piccola prova e pertanto essi sono da considerare innocenti (ibid.). Grande aspirazione donatista era quella di avere un vescovo della setta riconosciuto e accettato a Roma, con il quale avere la comunione ecclesiale e giustificare la loro cattolicità. Per questo da una parte tentavano di invalidare la successione apostolica romana mediante l'accusa ad alcuni papi di averla interrotta con la loro apostasia, dall'altra dimostravano che la vera successione a Roma veniva assicurata da vescovi donatisti. A queste pretese risponde Agostino, facendo osservare che nessun vescovo donatista è inserito nell'ordo successionis romano (ep. 53, 1, 3, cfr. anche paragrafo 1, 2; Contra litteras Petiliani libri III II, 108, 247). Agostino inoltre rimprovera ai donatisti di non avere avanzato queste accuse al tempo dovuto, ma con molto ritardo (Contra epistolam Parmeniani I, 5, 10; De unico baptismo contra Petilianum liber 16, 28). Nella conferenza di Cartagine del 411 da parte donatista si vuole colpire specialmente M. e si sostiene che bisogna staccarsi dai cattivi con una separazione fisica (cfr. Agostino, De unico baptismo contra Petilianum liber 14, 23; Id., Breviculus collationis cum Donatistis III, 18, 34-6, a cura di M. Petschenig, Vindobonae-Lipsiae 1910 [Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 53], pp. 84-6). Anzi qui si presenta un certo Felice come legittimo vescovo di Roma (Gesta Collationis Carthaginiensis I, 157-63, a cura di S. Lancel, Paris 1972 [Sources Chrétiennes, 195], pp. 804-6), mentre nello stesso tempo si asserisce che il vescovo cattolico di Roma di allora non avrebbe avuto la legittima successione. Anche il Liber genealogus, opera donatista (427-452), scrive che "costretti [dagli imperatori Diocleziano e Massimiano] Marcellino a Roma e Mensurio a Cartagine, Stratone e Cassiano diaconi di Roma e Ceciliano, mentre erano diaconi della verità pubblicamente hanno bruciato i vangeli sul Campidoglio" (Chronica minora, p. 196). Lo scopo ultimo dello scritto donatista era di colpire Ceciliano ed anche, indirettamente, papa Milziade, ordinato presbitero da M., il quale aveva assolto Ceciliano nel concilio romano del 313. Poiché i donatisti ricorrevano sempre a sotterfugi e cavilli nella polemica, un'accusa così grave, se avesse avuto qualche fondamento, sarebbe stata addotta in precedenza, specialmente al tempo del concilio di Roma del 313 o di Arles del 314. Pertanto si deve pensare che essa sia stata inventata in tempo successivo. Invece la tradizione orientale ha un alto concetto di M.: Teodoreto di Ciro, che nella sua storia non nomina papa Marcello, dice di M. che "si era nobilmente distinto durante la persecuzione" (Historia ecclesiastica I, 3, 1).
Tuttavia anche a Roma, in periodo posteriore, era nata una certa tradizione sfavorevole a M. (L. Duchesne, Histoire, p. 95). Sembra che a fondamento della tradizione romana ci sia una perduta Passio Marcellini (cfr. Le Liber pontificalis, I, p. LXXIV), della fine del V secolo, e quindi di circa due secoli posteriore agli avvenimenti contestati, così come le notizie su papa Marcello dipendono dagli Acta del suo martirio: tutti e due gli scritti fanno parte di un gruppo di narrazioni romanzesche che hanno al centro una certa matrona romana di nome Lucina (E. Caspar, Geschichte, pp. 97-8; v. Marcello I, santo). Inoltre, l'accusa a M. si ritrova in un altro testo romano del periodo di papa Simmaco. Quasi al tempo della Passio fu, infatti, composto anche un altro falso riguardante il cedimento nella persecuzione di M., cioè gli atti del concilio di Sinuessa (I.D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, I, Florentiae 1759, pp. 1249-57; P.L., VI, coll. 11-20), secondo i quali M. riconobbe la sua colpa, ma per la sua autorità volutamente non fu condannato da altri vescovi; di fronte tuttavia all'evidenza dei testimoni egli stesso fu costretto a condannarsi davanti ad una riunione episcopale segreta composta di trecento vescovi, che condannarono anche molti presbiteri e diaconi per la stessa colpa. Secondo questo testo M. si sarebbe dimesso dall'episcopato il 23 agosto del 303, ma i due documenti non concordano sulla cronologia del cedimento di M. e sul contenuto. Comunque il preteso concilio di Sinuessa voleva stabilire il principio che prima sedes non iudicabitur a quoquam ("la prima sede non sarà giudicata da chicchessia") al tempo delle lotte tra papa Simmaco, l'antipapa Lorenzo e il re Teoderico. Pertanto il caso di un papa colpevole, che non viene deposto, ma riconosce la sua colpa, era molto utile alla causa di papa Simmaco. L'anonimo autore si limita solo a sfruttare la leggenda, oppure crede realmente alla colpevolezza di M.? Il Binio nel 1600 (I.D. Mansi, Sacrorum conciliorum, pp. 1257 ss.) e Mommsen, nel secolo scorso, considerano una falsificazione gli atti del concilio di Sinuessa (M.G.H., Gesta Pontificum Romanorum, I, a cura di Th. Mommsen, 1898, p. LIII), conclusione oggi accettata da tutti. Notizie simili, riprese dalla perduta Passio, sono passate nel Liber pontificalis, secondo il quale M., apostata durante la persecuzione ma paenitentia ductus, subisce la decapitazione; tuttavia esso non riprende affatto la leggenda del concilio di Sinuessa e neppure l'accusa donatista di avere consegnato i libri sacri. La penitenza quasi immediata, la decapitazione e l'obbrobrio dell'esposizione pubblica del suo corpo riscattano ampiamente, per l'autore del Liber, la debolezza di Marcellino. Per questo dal presbitero Marcello, con altri presbiteri e diaconi, di notte al canto di inni, egli viene seppellito nel cimitero di Priscilla, "nella tomba che ancora oggi è visibile". Poiché questi documenti sono molto tardi rispetto agli avvenimenti, essi potrebbero essere una risposta alle insinuazioni diffuse da oltre un secolo dai donatisti, che erano presenti anche a Roma ed intrigavano per avere un vescovo nella Sede romana.
A M. vengono attribuite due lettere (Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé-G. Wattenbach-S. Loewenfeld-F. Kaltenbrunner-P. Ewald, I, Lipsiae 1885, nrr. 157-58; I.D. Mansi, Sacrorum conciliorum, pp. 1239-43), che sono però posteriori: la prima sostiene la dottrina che il Padre non è maggiore del Figlio e pertanto è connessa con la controversia ariana; la seconda, più interessante, riguarda i processi ecclesiastici, ma soprattutto afferma che l'imperatore non può ordinare cose contrarie ai comandamenti divini; anzi ogni giudizio emesso dai magistrati per timore verso l'autorità è da considerarsi nullo.
fonti e bibliografia
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