satira
L’arma del ridicolo
La satira, un genere letterario che risale all’antichità classica, è stata ed è ancora lo strumento per deridere personaggi e vizi pubblici. Oggi con il termine satira ci si riferisce non solo a un’opera letteraria, ma anche ad altre forme espressive con le quali si impiega l’arma del ridicolo
Per satira, oggi, si intende non solo un’opera di letteratura, ma anche uno spettacolo, un atteggiamento, un discorso che sottolineino particolari aspetti della civiltà umana con intento critico, deridendo personaggi e vizi pubblici, e disegnandoli attraverso l’arma del ridicolo in tutte le sue sfumature.
Come genere letterario, invece, la satira è una composizione non convenzionale, talvolta – specie nella letteratura latina – una mescolanza di prosa e versi o un’opera in versi di tipo discorsivo, nella quale l’atteggiamento morale dello scrittore diventa ironia o derisione. Hanno scritto satire di questo tipo, per esempio fra i Latini (1° secolo a.C.), Orazio e Decimo Giunio Giovenale e, in Italia, Ariosto nel secolo 16° o Salvator Rosa nel 17°. Tuttavia, anche in questo senso più tecnico, satira è un termine che può essere applicato anche a opere teatrali o narrative che vogliono colpire, con intenti moraleggianti, atteggiamenti o convinzioni che vanno contro la morale comune, e che vengono pertanto considerati vizi.
Il genere satirico è per sua natura difficile da definire, poiché si situa a metà tra comico e serio, tra realismo e grottesco, distinto forse soprattutto dalla propensione a scardinare anche con violenza forme e usi propri della cultura ufficiale.
La parola satira viene dal latino satura, nell’espressione lanx satura, che indicava il piatto di primizie offerte agli dei. Il significato originario era probabilmente quello di «mescolanza», «varietà», e indicava un tipo di composizione che univa stralci di argomenti diversi. Il genere letterario della satira nasce con la letteratura latina, anche se naturalmente in quella greca è possibile ritrovare diverse opere scritte con intenti satirici (per esempio quelle di Aristofane). Il genere inizia, di fatto, con Gaio Lucilio nel 2° secolo a.C., che scrisse trenta libri di satire e che – pur utilizzando diversi metri – ha codificato l’esametro come verso per eccellenza della satira. Lucilio, Orazio, Aulo Persio Flacco e Giovenale, Marco Valerio Marziale e Petronio sono stati i modelli per gli scrittori satirici di tutti i tempi.
La satira ha avuto un momento di grande sviluppo, dopo Ariosto, nel Seicento: in Italia è stata dominata soprattutto dal classicismo conservatore (per esempio Gabriello Chiabrera). Ma i paesi dove si è forse maggiormente sviluppata sono stati la Spagna, per esempio con Francisco de Quevedo (Sogni e discorsi, 1627), e la Francia, per esempio con Nicolas Boileau (Satire, 1666), o con la rielaborazione delle favole di Esopo a opera di La Fontaine. Anche il Settecento è un secolo al quale, come atteggiamento intellettuale, si addice particolarmente la satira, anche se come genere comincia a perdere i suoi connotati precisi. Possono essere considerati buoni esempi di opere dall’intento satirico, quindi, i componimenti più disparati, dal Giorno di Giuseppe Parini al Candido di Voltaire, a Il nipote di Rameau di Denis Diderot, agli scritti dell’inglese Alexander Pope o di Swift, alle commedie del francese Pierre-Augustin Beaumarchais, alle diciassette satire di Alfieri.
Parlare di un vero e proprio genere satirico dall’Ottocento in poi diventa impossibile, anche se uno spirito tra il satirico e il grottesco pervade, per esempio, molte opere di Nikolaj V. Gogol´, le poesie di Carlo Porta o di Gioacchino Belli, le opere di Laurence Sterne, o nel Novecento le commedie ‘sgradevoli’ di Bernard Shaw e per certi versi del russo Vladimir V. Majakovskij.
Molti sostengono che nel Novecento il genere letterario satirico declini per il prevalere dei periodici e dei disegni di satira politica e sociale (si pensi, per esempio, all’opera di George Grosz). Un grande esempio di romanzo satirico può essere considerato La fattoria degli animali di Orwell, nel quale lo scrittore descrive il modo in cui una rivoluzione – ambientata in una fattoria particolarmente mal tenuta, dove gli animali decidono di ribellarsi e di vivere senza aiuto umano – degenera fino a divenire la parodia di sé stessa.