Sceneggiatore
Lo sceneggiatore è colui che scrive la sceneggiatura di un film, o alcune sue parti, da solo o in collaborazione. Nel cinema statunitense di solito viene scelto dal produttore, in quello europeo dal regista, ma le eccezioni valgono quanto le regole: anche nello studio system vi erano s. che lavoravano in prevalenza con un regista (come Robert Riskin con Frank Capra), mentre negli anni Cinquanta in Italia molti progetti nascevano sulle scrivanie dei produttori. Resta il fatto che mentre nel cinema americano la sceneggiatura viene discussa tra sceneggiatore e produttore, nel cinema europeo vi è una relazione creativa complessa tra sceneggiatori e registi; di frequente il regista firma la sceneggiatura, proprio per il ruolo centrale conferitogli nell'ideazione del film.
Il termine sceneggiatore non indica di necessità l'autore dell'intera sceneggiatura, ma è inteso in senso più generico a comprendere tutti coloro che, con funzioni specifiche, contribuiscono alla sua stesura. Il soggettista, per es., è colui che scrive il soggetto del film, il nucleo narrativo, la storia dalla quale si sviluppa la sceneggiatura: la definizione, in uso soprattutto nel muto e nel cinema degli anni Trenta, è poi caduta in disuso assorbita dal più generico termine di sceneggiatore, sotto il quale si comprendono anche specializzazioni come il titlist del muto americano (lo scrittore di didascalie), oppure il dialoghista, esperto in dialoghi (e persino il battutista, che scrive solo battute di spirito); gli script doctors che, sempre nel cinema statunitense, sono chiamati a risolvere problemi specifici di struttura, e magari scrivono solo una scena chiave, o il finale; esistono poi s. abili negli adattamenti letterari o specializzati in generi particolari, come la commedia.
Le provenienze professionali di questa figura rivelano un pattern dominante: giornalismo, teatro e letteratura costituiscono infatti le palestre professionali più comuni. I punti di contatto e le costanti si esauriscono qui: ruolo, funzioni e metodi di lavoro cambiano nel tempo e nello spazio, in modo talvolta radicale.
Nel cinema statunitense venne conferito subito un ruolo essenziale alla costruzione della storia, organizzando le attività in questo ambito, tanto che già nel 1898 la Biograph assunse allo scopo il giornalista Roy McCardell. Fino ad allora infatti, la grande richiesta di film faceva sì che molto spesso le pellicole, che duravano appena qualche minuto, venissero improvvisate sul set, secondo i suggerimenti dell'attore o del cameraman-regista. Man mano che le pellicole si allungavano, diventando brevissimi racconti, quella dello s. divenne una delle prime specializzazioni a emergere nel processo produttivo, assumendo un ruolo così rilevante che per scrivere un copione, allora rappresentato da una scaletta di poche pagine, si veniva pagati talvolta il doppio del regista.
Verso il 1910 gli studios istituirono i primi Story Departments, uffici nei quali si scrivevano le sceneggiature o si selezionavano i materiali spediti alla casa di produzione o dei quali ci si era assicurati i diritti, traendone un copione che poi veniva assegnato ai registi dallo story editor, all'inizio in modo piuttosto casuale. Nel 1910 uscì How to write motion picture plays, in cui ogni casa di produzione segnalava le proprie preferenze in termini di tipologie di storie; inoltre fiorirono in questo periodo i primi manuali di sceneggiatura. Gli archivi della Biograph per il periodo 1910-1915 documentano l'attenzione investita nel settore, sfatando alcune leggende. Una storia veniva girata a un mese circa dall'acquisto ed era realizzata in pellicola e andava in distribuzione nelle sale già nel mese successivo. Le storie venivano scritte dagli scrittori sotto contratto, dal personale della compagnia (attori inclusi) o provenivano dall'esterno, da cinefili entusiasti come Anita Loos, che le spedivano con regolarità allo Story Department. Una delle leggende più longeve riguarda David W. Griffith, che si diceva girasse senza copione; al contrario l'archivio Biograph rivela l'esistenza di copioni minuziosi anche per i suoi film di pochi rulli. Griffith stesso era entrato nel cinema con l'aspirazione di fare lo scrittore e non dissociò mai la scrittura dal suo lavoro. Il regista trovò il collaboratore ideale in Frank E. Woods, con il quale stabilì uno stretto sodalizio nell'ambito del quale è difficile distinguere i contributi specifici. Lasciarono insieme la Biograph e fu di Woods l'idea di adattare The clansman di Th. Dixon Jr dando vita a The birth of a nation (1915; Nascita di una nazione). Nel 1916 Woods passò alla Famous Players-Lasky, dove sviluppò l'idea delle story conferences (le discussioni tra produttore e collaboratori per sviluppare una sceneggiatura); egli mise a punto anche il ruolo del supervising producer, segno che nel cinema americano sceneggiatura e organizzazione della produzione procedevano insieme.
Verso il 1915 il lavoro dello s. americano copriva diversi momenti produttivi, dal soggetto al montaggio, con particolare attenzione all'efficienza narrativa del film, al fluire del racconto. Per via dei caratteri che andava assumendo il modello produttivo hollywoodiano in direzione dello studio system, la divisione del lavoro sul set si fece più marcata e le responsabilità dello s. maggiori. Volendo sovrintendere le attività produttive del suo studio, la IMP (Independent Motion Pictures), il produttore-regista Thomas Ince cercò di mantenere il controllo sulle produzioni affidate ad altri registi attraverso una sceneggiatura dettagliata, scritta inquadratura per inquadratura, potendo così conoscere in anticipo i costi e le necessità del film, e organizzare le riprese, raggruppando, per es., le scene ambientante sullo stesso set, facilitando quindi anche il casting. Ince incaricò di quest'attività C. Gardner Sullivan, il primo grande s. del cinema muto. Alla IMP la sceneggiatura veniva utilizzata anche in fase di montaggio, per controllare la continuità narrativa e potenziare l'efficacia drammatica del film. La sceneggiatura divenne quindi garanzia dell'efficienza non solo economica, ma anche narrativa del film. Anche June Mathis contribuì a fondare il modello di sceneggiatura americana, dettagliata da un punto di vista tecnico, ma anche calibrata dal punto di vista narrativo, con costanti riscritture, in un confronto regolare con il produttore e con il personale tecnico-creativo coinvolto nella realizzazione del film.
Dagli anni successivi alla Prima guerra mondiale fino al sonoro, il cinema americano vide infatti il dominio incontrastato delle donne sulla sceneggiatura. Con generalizzazioni semplicistiche questo fenomeno si può spiegare con la loro disponibilità a svolgere diverse mansioni e a dimostrare spirito di collaborazione, due qualità preziose sul set. D'altra parte, fu probabilmente la centralità delle donne nei processi di trasformazione sociale e nelle loro contraddizioni a suggerirne l'utilizzo. In questa fase del cinema muto americano comunque la gran parte dei film erano scritti da donne come Clara Beranger, Ouida Bergere, Lenore Coffee, Beulah Marie Dix, Dorothy Farnum, Agnes Christine Johnston, Sonya Levien, A. Loos, Josephine Lovett, Jeannie Macpherson, Frances Marion, J. Mathis, Bess Meredyth, Lorna Moon, Jane Murfin, Olga Printzlau, Adela Rogers St. Johns, Gladys Unger ed Eve Unsell.
In quell'epoca, il lavoro dello s. copriva un largo numero di attività, e andava dallo scrivere le storie (spesso calibrate su una star o su un genere tipico della casa di produzione) preparando uno script dettagliato per il regista, con le indicazioni sulla posizione e le angolazioni della macchina da presa, alla presenza sul set per suggerire le battute da leggersi sulle labbra oppure per inventare soluzioni narrative alternative, fino al montaggio, all'interno del quale venivano inserite le didascalie e verificate la continuità della storia e il suo buon funzionamento drammatico.
Le sceneggiatrici raggiunsero spesso importanti posizioni a livello professionale, sia in quanto la loro presenza ebbe un forte impatto socio-culturale sul cinema degli anni Venti, sia in quanto contribuirono ad accelerare i processi di modernizzazione attraverso le storie che scrivevano, sia infine per il ruolo che ricoprirono in quel mercato del lavoro così peculiare.
Il cinema europeo mantenne sempre un rapporto stretto con la letteratura e con il teatro e il mondo intellettuale e artistico in genere. Fin dalle origini piuttosto che una figura professionale autonoma lo s. era o un collaboratore del regista, capace di fornirgli il materiale per la sua creazione, oppure rappresentava la qualità, la cultura alta, nell'ambito di un progetto, sia sperimentale sia divulgativo. Basti pensare al ruolo degli intellettuali francesi, soprattutto di surrealisti e simbolisti, nello sviluppo del cinema delle avanguardie. Ma anche ad autori come Arthur Schnitzler, la cui opera fu oggetto di un adattamento cinematografico già nel 1913 (Liebelei, di August Blom e Forest Holger-Madsen), o Hugo von Hoffmannsthal (Das fremde Mädchen, 1913, La ragazza straniera, di Max Reinhardt) e Gerhard Hauptmann (Atlantis, 1913, di Blom). Nel dopoguerra Schnitzler e von Hoffmannsthal scrissero diversi film, come in seguito Bertolt Brecht, Alfred Doblin, Thomas Mann e Robert Walser.
Nel cinema italiano muto, la sceneggiatura si sviluppò con ritardo, per via di una forte dipendenza da strutture narrative antecedenti, basate sui 'quadri', ispirate dai tableaux vivants e dalle lastre per la lanterna magica, ma soprattutto dall'illustrazione letteraria di stampo divulgativo. La dipendenza diretta dalla letteratura risulta marcata: molti letterati divennero s. in epoca muta, o vendettero le loro opere al cinema o scrissero soggetti per lo schermo. Tutti i romanzi, dalla letteratura popolare a quella alta, tutti i personaggi della storia antica e moderna divennero cinema. Molte sceneggiature portano la firma di Guido Gozzano o Roberto Bracco (che si specializzò negli adattamenti teatrali), o di veristi come Grazia Deledda e Giovanni Verga, e naturalmente di Gabriele D'Annunzio e dei dannunziani, con un contributo anche dei futuristi. D'Annunzio in particolare scrisse Cabiria (diretto nel 1914 da Giovanni Pastrone), assumendosi l'autorialità del film e legittimando così il cinema come forma d'arte. Luigi Pirandello prese spunto dalle proprie attività più o meno gratificanti di scrittore per il cinema alla Film d'arte per il romanzo Si gira … (poi noto in un nuova edizione con il titolo I quaderni di Serafino Gubbio operatore). Negli anni Venti, lo scrittore e commediografo Lucio D'Ambra scrisse e diresse diversi film, proponendo la peculiarità italiana di scrittori che, come in seguito Mario Soldati e Pier Paolo Pasolini, non si limitarono a scrivere per lo schermo, ma divennero registi.
Di fondamentale importanza è il contributo che gli s. diedero al cinema espressionista tedesco, tanto caratterizzato dalle innovazioni in campo figurativo da far spesso dimenticare come la sua complessità tematico-piscologica derivasse da un abile lavoro di sceneggiatura.
I due principali s. di questo cinema furono Carl Mayer, che lavorò in prevalenza per Friedrich W. Murnau, e Thea von Harbou, moglie e collaboratrice di Fritz Lang (ma scrisse anche per Murnau e per il cinema più commerciale di Joe May); entrambi contribuirono a creare la combinazione particolare del cinema tedesco, all'interno del quale Kammerspiel e naturalismo si scontrarono o si fusero con l'Espressionismo. Mayer oltre a cosceneggiare il capolavoro espressionista Das Cabinet des Dr. Caligari (1920; Dott. Calligari, noto anche come Il gabinetto del dottor Caligari) di Robert Wiene, collaborò con Murnau, e sperimentò il titelloser film (v. espressionismo) cioè il film privo di didascalie, che si affidava per la comprensione (e l'empatia) solo alle immagini. La presenza di un fato ineludibile e il ricorrere dell'espediente dello sdoppiamento e dei travestimenti nei film scritti da Mayer e Harbou segnalano la profonda crisi di identità, la divisione schizofrenica e la contraddizione inconciliabili nell'immaginario tedesco, alla vigilia del nazismo.
Per gli s. il sonoro implicò all'inizio una crescente specializzazione, con la divisione del lavoro tra il continuity writer e il titlist, ovvero tra chi si occupava della struttura narrativa del film e chi scriveva le didascalie, in quanto gli spoken titles contenevano nel muto le battute di dialogo; la scrittura dei dialoghi venne quindi affidata prima al titlist e poi a un dialoghista; ma la distinzione tra i due mestieri, tra le due tipologie di credits, fu riassorbita velocemente.
Nello studio system, gli s. lavoravano in un edificio adibito allo scopo, il Writers Building, in orari di ufficio e timbrando il cartellino; scrivevano a ciclo continuo, passando da un copione all'altro o seguendo contemporaneamente più progetti. Il processo di lavorazione era supervisionato dal produttore, che controllava sia le questioni tecnico-economiche sia quelle artistico-espressive. La sceneggiatura era una macchina di efficienza narrativa in cui tutto veniva previsto, dal tipo di inquadratura ai dettagli dei costumi, da un lato per semplificare il controllo da parte del produttore, dall'altro per potenziare l'efficacia narrativa della storia, mettendo a fuoco il protagonista e i suoi obiettivi, nella loro implicazione tematica e nel funzionamento dell'intreccio, nonché in relazione alla star, intorno alla quale ruotava l'intero sistema.
Lo s. a contratto lavorava per anni nello stesso studio, spesso con gli stessi registi e gli stessi attori, identificandosi talvolta con il prodotto tipico della casa. Vi erano anche s. indipendenti, come Ben Hecht, Jules Furthman e Dudley Nichols, ma la regola era il contratto pluriennale con uno studio, e quindi un mestiere fortemente condizionato dalle sue modalità produttive. La Metro Goldwyn Mayer mirava al prodotto di qualità e a valorizzare le sue star; assunse quindi letterati di grido come Francis S. Fitzgerald e William Faulkner, che però non risultarono efficaci sceneggiatori. Il produttore Irving G. Thalberg seguiva passo passo il lavoro di sceneggiatura, ponendo grande cura in questa fase della preproduzione, intervenendo sul copione con note e discussioni. Egli aveva un grande rispetto per il lavoro dello s., ma amava anche stimolarne la competitività creativa, avviando la deprecata pratica di far lavorare più scrittori sullo stesso copione, all'insaputa l'uno dell'altro. Inoltre, il lavoro risultava frammentato per la tendenza a incoraggiare la scrittura di scene madri, necessarie alla valorizzazione delle doti del divo, e per via delle pratica delle retakes, l'alterazione del film dopo le anteprime per il pubblico. Alla MGM, che contava su molte dive, lavoravano diverse sceneggiatrici, chiamate a scrivere storie che colpissero l'immaginario femminile, in un'ampia articolazione che andava dalla divina Greta Garbo alla dura Joan Crawford, includendo la grazia ironica di Myrna Loy. Alla Warner Bros. invece prevaleva il cinema d'azione e di ambiente sociale contemporaneo, in particolare il gangster film, il prodotto di punta dello studio, per cui si utilizzavano, non a caso, in prevalenza scrittori di genere maschile. Jack Warner, che dirigeva la produzione dello studio, non amava gli sceneggiatori, arrivando a definirli "schmucks with underwoods", ovvero "cretini presuntuosi con la macchina da scrivere"; ma i supervisori alla produzione della casa erano due ex sceneggiatori, nell'ordine Darryl F. Zanuck e Hal B. Wallis.
La 20th Century-Fox era dominata proprio da Zanuck, che aveva reso grande la Warner del periodo del muto con il cane-eroe Rin Tin Tin. La Fox non brillava di stelle e quindi a Zanuck interessavano le storie, che dovevano funzionare al meglio; esse non possedevano la brillantezza di alcuni momenti MGM o la forza vitalistica di quelli Warner, ma il risultato era costante, se non geniale. Al contrario di Thalberg che usava più scrittori che lavoravano in contemporanea, Zanuck semmai li faceva scrivere in serie. Per lui comunque lo script era il film e lo difendeva allo strenuo, per cui lavorare alla Fox risultava per gli scrittori gratificante. I principali s. sotto contratto in epoca classica furono Lamar Trotti, Philip Dunne e Nunnally Johnson. Trotti era molto versatile, in quanto spaziava dal musical al film in costume; Dunne, molto colto e velocissimo a scrivere, era soprattutto uno script doctor; Johnson lavorava per riviste come "Saturday evening post" ma dopo la Depressione si stabilì a Hollywood, dimostrando abilità nella costruzione della struttura drammatica e un buon tocco nello sbozzare i personaggi.
Alla Columbia Pictures Corporation si lavorava molto con gli s. perché era uno studio piccolo che cercava di affermarsi attraverso la qualità; di qui l'investimento nella preproduzione, contando su Sidney Buchman, autore di commedie geniali e R. Riskin, che scrisse per il maggior regista della casa, F. Capra. Nello studio system il mestiere dello s. si fece via via più parcellizzato e specializzato; lo spirito di gruppo e il clima di collaborazione, tipici del muto, vennero cancellati dalla divisione del lavoro nel processo produttivo: l'alienazione intellettuale serpeggiava, nonostante gli stipendi favolosi, una quantità di denaro che nessuno scrittore avrebbe mai potuto guadagnare in altri settori. Da questa insoddisfazione si svilupparono diverse strategie: alcuni s. si garantirono un maggior controllo creativo diventando produttori come: alla Fox Dunne, Trotti e Johnson; alla Warner Bros. Jerry Wald, Robert Lord e Seton A.I. Miller; alla Columbia Buchman. Altri come Preston Sturges, Billy Wilder, John Huston, Delmer Daves e Joseph L. Mankiewicz passarono invece alla regia.
La reazione collettiva alle difficoltà del lavoro sceneggiatoriale fu l'istituzione della Screen Writers Guild. Anche in passato vi erano state forme associative rivolte a proteggere i diritti degli s., ma le manovre diversive di Louis B. Mayer e la fondazione dell'Academy rallentarono il processo di vera sindacalizzazione del settore. Nel 1933, in piena Depressione, si organizzò la Guild, che riuscì a farsi riconoscere quale rappresentante legale degli s. solo nel 1938, adottando il sistema di arbitrato per i credits e ottenendo dei contratti con un salario minimo garantito.
Negli anni Trenta, con l'introduzione del sonoro, nel cinema italiano si fece ricorso, secondo tradizione, ai letterati: Emilio Cecchi, chiamato a dirigere la Cines, assunse come soggettisti e s. personaggi legati al teatro come L. Pirandello, Alessandro De Stefani, Aldo De Benedetti, Raffaele Viviani e Rosso di San Secondo, o alla letteratura come Giuseppe Marotta, Giacomo Debenedetti, Ivo Perilli, M. Soldati, Alberto Moravia e Leo Longanesi. Una svolta importante nel lavoro di sceneggiatura in Italia avvenne però proprio in quegli anni, con una progressiva presa di coscienza della centralità del racconto nella costruzione del film, nel momento in cui la cinematografia fascista incoraggiava una modernizzazione delle strutture della fragile industria cinematografica italiana e un suo adeguamento, per quanto autarchico, al potenziale commerciale del cinema americano. L'insegnamento di Umberto Barbaro al Centro sperimentale di cinematografia diffuse inoltre la teoria sovietica su soggetto e sceneggiatura tra le nuove generazioni, che si muovevano nella redazione della rivista "Cinema", coinvolgendo personaggi quali Gianni Puccini, Michelangelo Antonioni, Francesco Pasinetti, Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Antonio Pietrangeli, Mario Alicata e Massimo Mida, antifascisti che avrebbero dato un contributo essenziale al Neorealismo.Anche il cinema francese sonoro si sviluppò a stretto contatto con teatro e letteratura, in una speciale sinergia con il mondo dell'editoria, dell'industria discografica e del teatro. In una prima fase prevalse il rapporto con il teatro, evidente nell'utilizzo di autori quali Yves Mirande e nel lavoro di Marcel Pagnol; nella seconda invece emerse la matrice letteraria con l'adattamento, per es., del romanzo di Pierre Marc Orlan per Quai des brumes (1938; Il porto delle nebbie) di Marcel Carné. Il carattere del cinema di qualità francese degli anni Trenta derivava dal lavoro di sceneggiatori come Jacques Prévert, Charles Spaak e Henry Jeanson, e dal particolare rapporto che essi seppero intrattenere con i registi. Prévert attraversò il Surrealismo e la militanza politica, prima di collaborare con Jean Renoir a Le crime de monsieur Lange (1935; Il delitto del signor Lange) e incontrare Carné, con il quale avrebbe creato alcuni dei film più rappresentativi del cinema francese del realismo poetico (v. realismo). I temi populisti non erano sua esclusiva: il legame tra il cinema francese del periodo e lo spirito dei Fronti popolari è marcato, ed emerge anche nelle sceneggiature firmate da Spaak. Jeanson sapeva far parlare i suoi personaggi come se venissero davvero dalle strade e dai bassifondi in cui ambientava film come Hôtel du Nord (1938; Albergo Nord) di Carné e Pépé le Moko (1936; Il bandito della casbah) di Julien Duvivier. La forza di questi film del realismo poetico, intrisi di pessimismo romantico, deriva da una scrittura che mantiene un equilibrio raro tra la qualità letteraria e la capacità di raggiungere il pubblico.
Anche se presto si diffuse la leggenda che il Neorealismo produceva un cinema improvvisato, nato direttamente dalle cose e dai volti, fu proprio in quel momento che la sceneggiatura acquistò in Italia un ruolo centrale all'interno del processo ideativo del film, incrociando le estetiche che conferivano al regista il ruolo creativo prioritario con la pragmatica di un cinema ben costruito, a partire spesso da un lavoro di inchiesta, e comunque da un dibattito, da un'idea collettiva.Il modo tipico di scrivere una sceneggiatura neorealista si intuisce dai titoli di testa, che includono un grande numero di nomi, rivelando un processo in apparenza farraginoso, da valutare sia nei suoi caratteri politico-culturali sia per i risultati: il lavoro di scrittura non era certo organizzato e sistematico come nello studio system, anzi spesso si svolgeva in trattoria o in appartamenti sovraffollati; eppure produsse un grande cinema, vivo e intenso, e di certo non sciatto da un punto di vista narrativo e drammaturgicoL'osservazione della realtà, alla base dello sguardo neorealista, incoraggiava il lavoro di indagine e l'analisi linguistica, come nel caso di Sergio Amidei, oppure la poetica del pedinamento elaborata da Cesare Zavatti-ni, all'interno di uno studio partecipe della vita dell'uomo della strada, cogliendone ogni minimo gesto per muovere dall'individuale al collettivo. Lo stesso Roberto Rossellini aveva esordito come s. e, per quanto si vantasse di non usare copioni, poneva una gran cura nella costruzione del racconto e sapeva scegliere i collaboratori: Roma città aperta (1945) accredita per il soggetto Amidei e Alberto Consiglio, per la sceneggiatura Amidei, Federico Fellini e lo stesso Rossellini; Paisà (1946) accredita per il soggetto Victor Haines, Marcello Pagliero, Amidei, Fellini, Rossellini e Vasco Pratoli-ni, per la sceneggiatura Fellini e Rossellini. Una lista così fitta di nomi di tale rilievo non può associarsi a un lavoro di basso profilo: forse non si trattava di sceneggiature tradizionali, ma il lavoro di costruzione del racconto non era certo lasciato al caso.
Lo s. neorealista innovò la struttura del racconto, privilegiando il frammento e l'episodio, e costruendo un eroe collettivo, dando un afflato corale alle storie. Il racconto lasciava spazio alla presa diretta sulla realtà, utilizzando tempi tronchi sul finale, soprattutto in Paisà, quasi a scacciare le lacrime per proseguire verso un obiettivo lontano, fuori del film: la vittoria della Resistenza. La sceneggiatura neorealista non era affatto negazione del racconto, ma abile sperimentazione dello stesso, in uno stretto rapporto con il reale, ma anche in un sobrio lavoro sulle emozioni: una retorica così vicina al cuore delle cose da suonare sempre sincera.Amidei rappresentò emblematicamente il prototipo dello s. neorealista, in grado di collaborare con qualsiasi regista, lavorando in gruppo con i colleghi più diversi, aperto alla sperimentazione e attento alla realtà sociale. Egli sapeva cogliere le trasformazioni in atto, con un tocco ironico speciale: la commedia cinematografica italiana nelle sue mani acquistò spessore culturale. Amidei può anzi essere considerato il padre della commedia all'italiana e dalla sua bottega uscirono Ruggero Maccari, Age, Furio Scarpelli ed Ettore Scola. Gli s. neorealisti infatti lavoravano in gruppo, anche in rappresentanza dei diversi schieramenti in cui militavano, con il gusto di contrapporsi ai metodi di lavoro meccanici e standardizzati del cinema americano. In queste 'ammucchiate', come le definiva Zavattini, lavoravano come 'negri' ovvero come scrittori non accreditati, molti s. che avrebbero firmato in seguito i titoli della commedia all'italiana.
Negli anni Cinquanta andò emergendo il lavoro in coppia, razionalizzazione del carattere collettivo della costruzione della sceneggiatura, con le storie firmate a due mani di Age e Scarpelli, Steno e Mario Monicelli, Vittorio Metz e Marcello Marchesi, Leo Benvenuti e Piero De Bernardi (continuato negli anni successivi da Stefano Rulli e Sandro Petraglia). Gli s. del cinema italiano degli anni Cinquanta seguivano la tradizione, da un lato perché molti di loro avevano esordito durante il fascismo, dall'altro perché nel cinema italiano 'alto' e 'basso', cinema d'autore e d'impegno, commedia o cinema di genere hanno sempre avuto le stesse firme, con un agevole slittare dal cinema di qualità a quello commerciale.
In Europa e in Italia in particolare, gli anni Sessanta si identificarono con il cinema d'autore e con un prodotto di qualità e sperimentazione; emersero in questa fase s. che divennero una sorta di anima gemella del regista, fornendogli lo spunto creativo o articolandone l'immaginario come nel caso di Zavattini con De Sica, Suso Cecchi D'Amico con Luchino Visconti, Tonino Guerra con Antonioni, Tullio Pinelli e Ennio Flaiano con Fellini. Questo tipo di s. non ha ricevuto adeguata attenzione critica; anzi è sembrato rifuggirne, accettando un ruolo subordinato. Non a caso, davanti alla valorizzazione progressiva della figura del regista, molti s. come Fellini, Monicelli, Puccini e Pietrangeli iniziarono la carriera registica.
Negli anni Cinquanta lo studio system americano era entrato in grave crisi e il cinema di Hollywood perse contatto con i pubblici mondiali, per rinascere però, trasformato, negli anni Settanta. Le grandi case di produzione conservarono in certi casi il logo, ma si trasformarono in complesse multinazionali dello spettacolo; la produzione indipendente acquisì spazio e credibilità critica. I metodi produttivi dello studio system, determinati dai contratti pluriennali e dal sistema a catena di montaggio, parcellizzato e strutturato per generi, non scomparvero del tutto, anche se si cominciò a produrre un cinema meno generalista. Sulla spinta delle nouvelles vagues, del cinema d'autore italiano e di una diffusa cinefilia, negli anni Settanta si affermò anche nel cinema hollywoodiano una produzione di qualità, all'interno della quale emerse la figura del regista-sceneggiatore. Francis Ford Coppola per es. ha studiato cinema all'UCLA, ha esordito come s., diventando in seguito regista e produttore, assorbendo sia la tradizione del cinema classico, sia l'autonomia produttiva e artistica degli indipendenti, con uno spiccato gusto per la sperimentazione tecnologica. Anche Paul Schrader ha studiato all'UCLA dove è tornato a insegnare sceneggiatura negli anni Settanta, dopo il successo di Taxi driver (1976) di Martin Scorsese, per poi passare alla regia. Il rinnovamento del cinema hollywoodiano (detto anche Hollywood renaissance: per tutto il fenomeno v. New Hollywood) ha provocato inoltre un ripensamento del sistema dei generi, per es. con i film scritti da Joan Tewkesbury per Robert Altman (Thieves like us, 1974, Gang; e Nashville, 1975) o la riformulazione del noir di P. Schrader (Taxi driver), Robert Towne (Chinatown, 1974, di Roman Polanski) e James Toback (The gambler, 1974, 40.000 dollari per non morire, di Karel Reisz).Nel cinema americano di fine 20° sec. e inizio 21° non si vedono però tracce di un lavoro innovativo sulla sceneggiatura, che anzi sembra essere entrata in crisi, soprattutto nel rincorrersi ossessivo di finali troppo lieti, che non sempre si combinano organicamente con il materiale narrativo del film.
Negli anni Ottanta il cinema italiano ha ricevuto invece un contributo decisivo da una nuova generazione di s., che hanno messo in discussione la struttura narrativa del film, proponendo diverse tipologie di personaggi e ambientazioni socio-geografiche meno scontate. Rulli e Petraglia, Vincenzo Cerami, Enzo Monteleone, Franco Bernini, Francesco Bruni, Angelo Pasquini e altri scrittori, più o meno giovani, hanno mantenuto tratti di continuità con il cinema del passato, anche in virtù del fatto che molti di loro si sono formati con i vecchi maestri. Questi nuovi autori sono però riusciti a innovare il racconto sia introducendo tipologie diverse tra i protagonisti, meno eroiche e più articolate nel sociale, sia costruendo un racconto, gradevole per il pubblico, ma di spessore maggiore e retrogusto complesso. Permane inoltre la figura dello sceneggiatore-regista, tipica del cinema italiano, con autori come Gianni Amelio, Nanni Moretti, Daniele Luchetti, Carlo Mazzacurati, Mimmo Calopresti, Mario Martone, Francesca Archibugi, Paolo Virzì, Leonardo Pieraccioni (v. Italia) e altri ancora.
R. Corliss, The Hollywood screenwriters, New York 1972.
J.J. Brady, The craft of the screenwriter, New York 1981.
G. Muscio, Scrivere il film, Roma 1981.
Backstory, ed. P. McGilligan, 1-4, Berkeley 1986-2004.
T. Stempel, Framework: a history of screenwriting in the American film, New York 1988.