Scrittore (n. Trieste 1888 - m. in guerra, sul Podgora, 1915). Completò gli studî a Firenze dove, venuto a contatto con le correnti più vive della giovane letteratura italiana, cominciò a collaborare alla Voce con bozzetti, recensioni e note polemiche. Lettore d'italiano al Kolonial Institut d'Amburgo, allo scoppio della guerra mondiale tornò a Trieste, quindi a Roma, propugnando l'intervento dell'Italia nella guerra, alla quale poi partecipò come volontario nei granatieri. Caratteristico della sua personalità è il contrasto fra l'aspirazione a una vita morale rigorosa, volontaristica, e l'abbandono agli impulsi dei sensi: contrasto che nel suo libro di ricordi autobiografici, specialmente di adolescenza, Il mio Carso (1912), si riflette nei modi stessi della prosa, ora narrativa e quasi diaristica, ora lirica (con vaghi echi dannunziani), ora idilliacamente effusa, soprattutto nell'evocazione del paesaggio carsico, ora drammaticamente risentita, nella ricerca di un'essenzialità che sia anche interiore verità. In un libro propriamente critico, come quello su Ibsen (pubbl. postumo nel 1916, con prefazione di A. Farinelli), quel contrasto mette capo a una simbolica contrapposizione fra mondo ibseniano e mondo shakespeariano. E, più o meno accentuato, esso si trova in tutte le altre sue pagine (raccolte postume a cura di G. Stuparich), dagli Scritti letterarî e critici (1920) agli Scritti politici (1925), dall'intenso epistolario (Lettere, 3 voll., 1931), agli Appunti e note di diario (1953). Allo stesso Stuparich si deve l'edizione complessiva delle Opere (6 voll., 1950-58). S. inoltre tradusse la Giuditta di F. Hebbel (1910, in collab. con M. Loewy) e il Diario dello stesso (1912); e curò una scelta dell'Epistolario di Tasso (2 voll., 1912).