Scuola
Evoluzione dei sistemi scolastici
All'inizio del 21° sec. i processi di istruzione rappresentano, non meno che in passato, uno degli indicatori più significativi dello Stato e dell'evoluzione culturale, civile e sociale delle comunità nazionali. Una valutazione attendibile dell'evoluzione di tali processi deve necessariamente tenere conto dei fattori che concorrono alla loro realizzazione. Particolare rilievo hanno: a) la configurazione dei sistemi d'istruzione, compresa la struttura organizzativa e gestionale dei relativi servizi; b) i livelli di scolarizzazione e di partecipazione dei giovani secondo le diverse fasce di età; c) i rendimenti dell'istruzione in relazione ai modelli culturali e didattici dell'attività formativa; d) la qualità e l'impegno professionale del personale docente; e) la consistenza delle risorse finanziarie investite nel sistema.
Configurazione e gestione dei sistemi scolastici
Nel corso degli ultimi decenni del 20° sec., i sistemi scolastici, persino delle aree più distanti e diverse fra loro, sono venuti in buona misura avvicinandosi, anche se un esame attento lascia scorgere il permanere di differenze significative, in ragione soprattutto delle differenti tradizioni culturali, sociali e politiche dei singoli Paesi. Lo schema prevalente prevede ormai quasi dappertutto una articolazione, non più sui tradizionali tre livelli di istruzione (s. primaria o di base, s. secondaria, istruzione superiore o universitaria), bensì almeno su cinque livelli, e ciò per l'introduzione ormai generalizzata di una s. preparatoria o dell'infanzia all'inizio del percorso formativo istituzionalizzato, e per l'aggiunta, al termine dello stesso percorso, di iniziative di formazione postuniversitaria, specialistica, sia scientifica sia tecnico-manageriale. La durata dei corsi di ciascun ciclo di istruzione può variare nei diversi Paesi, talvolta anche con uno scarto di due o tre anni scolastici. Differenze non marginali permangono nell'ordinamento della s. secondaria, soprattutto nella sua fascia superiore, con riguardo agli indirizzi di formazione generale e a quelli di formazione professionale (v. istruzione: I sistemi di istruzione e di formazione).
Riguardo agli organi competenti a decidere in materia di istruzione, di organizzazione e di gestione dei servizi scolastici si sono registrate, quasi ovunque, modifiche e innovazioni, peraltro a volte di segno diverso, agli assetti originari. Molti Paesi sono stati interessati a processi di decentramento, con l'obiettivo di trasferire alcuni poteri decisionali ai livelli inferiori dei sistemi educativi, fino a interessare direttamente i singoli istituti. Tra la fine degli anni Novanta del 20° e i primi anni del 21° sec., la competenza diretta delle istituzioni scolastiche è ulteriormente aumentata in Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca e in altri Paesi ancora. Altrove, come in Giappone, Germania, Austria, Turchia, Belgio, Repubblica Slovacca, le decisioni risultano equamente distribuite fra autorità centrali, amministrazioni locali e istituzioni scolastiche. L'allargamento dell'autonomia viene giustificato con la necessità di accrescere l'efficienza e la reattività delle istituzioni direttamente interessate, nonché di tenere conto anche delle specifiche esigenze dell'ambiente locale. In questo caso, peraltro, è stato avvertito il pericolo di scelte che finiscano per privilegiare ulteriormente aree territoriali e ambienti sociali già favoriti. Nonostante ciò alcuni Paesi, per aumentare l'efficienza e la qualità dell'istruzione, mostrano di puntare molto sulla scelta delle famiglie fra s. pubbliche e private e sull'autonomia di gestione degli istituti. Nel marzo 2006 è stata approvata in Gran Bretagna una legge sull'istruzione (Education bill) che riconosce alle s. la possibilità di trasformarsi in fondazioni indipendenti, sostenute e finanziate da società private, gruppi religiosi, associazioni di genitori. Altri Paesi (Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, Nuova Zelanda) hanno adottato il sistema del buono-scuola, che le famiglie possono utilizzare nella s. di loro scelta. Uno studio di C. Hoxby, della Harvard University, giunge alla conclusione che la libera scelta dell'istituto ha effetti positivi per i giovani sia di famiglie povere sia ricche e aumenta la performance scolastica per la generalità degli studenti. Nel contempo, in molti Paesi, anche in quelli di più antica tradizione autonomistica, si è manifestato un orientamento inverso, nel senso che è aumentata l'influenza delle autorità centrali in alcuni ambiti di rilievo, relativi soprattutto alla definizione del quadro normativo nazionale dei piani di studio, al controllo dei risultati del sistema formativo locale e nazionale, ai criteri di gestione delle risorse finanziarie. Si tratta di ambiti di intervento considerati sempre più strategici per lo stesso sviluppo tecnologico e scientifico, e quindi anche economico, dei singoli Paesi. Un discorso a parte va fatto per l'organizzazione delle istituzioni di formazione superiore (universitaria e non) e di formazione specialistica postuniversitaria (v. università).
Livelli di scolarizzazione e di partecipazione
La frequenza di una s. preprimaria o dell'infanzia costituisce un fattore molto importante per lo sviluppo successivo dell'apprendimento. Tutto dipende ovviamente dalla natura delle istituzioni prescolastiche, in particolare dalla qualità educativa del servizio da esse offerto. Secondo i dati forniti dall'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) con il rapporto del 2004, nella s. preprimaria o dell'infanzia, la prescolarizzazione interessa quasi dappertutto il 90% dei bambini di 5 e 6 anni di età. Se però si risale all'età di 3 o 4, la differenza fra i diversi Paesi diventa sensibile: il tasso di prescolarizzazione è inferiore al 22% in Svizzera; in molti altri Paesi si aggira intorno al 70%; supera il 90% in Belgio, Francia, Italia, Spagna. L'obbligo scolastico arriva, nella maggior parte dei Paesi, fino a 15 o 16 anni, ma in alcuni casi (Portogallo, Turchia) si ferma a 14, mentre in altri (Germania, Belgio, Paesi Bassi) arriva fino a 18 anni. Il tasso di scolarizzazione rimane generalmente elevato fino al compimento dell'istruzione obbligatoria; tuttavia, esso resta inferiore al 90% prima della fine dell'età legale in Germania, Belgio, Stati Uniti, Paesi Bassi, Regno Unito, Paesi nei quali peraltro l'obbligo dura fino a 17 o 18 anni. Comunque, in molti Paesi, specie in quelli in cui l'obbligo termina relativamente presto, i giovani continuano gli studi oltre la fine della s. obbligatoria. Il tasso di scolarizzazione regredisce invece nei primi anni del secondo ciclo di istruzione secondaria superiore: a 17 anni il tasso medio di scolarizzazione è dell'84%, a 18 è del 71%, a 19 anni è del 57%. Il fenomeno della dispersione scolastica appare piuttosto contenuto nella maggior parte dei Paesi, ma è tutt'altro che scomparso ai livelli più avanzati dell'istruzione (v. dispersione scolastica). Gli studenti frequentano soprattutto s. a tempo pieno; ma non mancano casi in cui una consistente percentuale di studenti segue corsi a tempo parziale (12% in Svezia, 19% in Belgio, 24% in Australia, 29% nel Regno Unito). Nei Paesi dell'OCSE, l'80% in media degli studenti della s. primaria e secondaria frequentano istituti pubblici. Peraltro molti sono quelli nei quali il dato è superiore al 90% (Israele, Federazione Russa, Turchia, Svizzera, Polonia, Irlanda, Italia, Germania). Nella media dei vari Paesi, gli istituti gestiti da privati assorbono circa il 10% degli allievi della s. primaria, il 14% di quelli del primo ciclo della s. secondaria, il 20% degli studenti del secondo ciclo della s. secondaria. In alcuni (Paesi Bassi, Regno Unito, Belgio) la maggioranza degli studenti del secondo ciclo di istruzione secondaria risultano iscritti in istituti privati sovvenzionati; in altri (India, Cile, Francia) sono iscritti in tali istituti circa il 30% di tali studenti.
Il tasso di conseguimento del diploma di s. secondaria superiore, fra la popolazione avente l'età corrispondente, risultava, nel 2002, inferiore al 70% in Lussemburgo, Spagna, Repubblica Slovacca; fra il 70 e l'80% in Svezia, Stati Uniti, Irlanda, Belgio, Repubblica Ceca; fra l'80 e il 90% in Italia, Ungheria, Francia, Grecia, Finlandia, Svizzera e Polonia; superava il 90% in Giappone, Germania, Norvegia, Danimarca. Nella comparazione fra i due sessi, il tasso relativo alle donne risulta negli ultimi anni più elevato di quello riguardante gli uomini. Allargando lo sguardo alla popolazione adulta, si constata che la percentuale dei soggetti provvisti del diploma di s. secondaria superiore aumenta pressoché in tutti i Paesi dell'OCSE. In media il 75% dei soggetti di 25-34 anni sono titolari del diploma, contro il 61% dei soggetti di 45-54 anni. Per la classe più giovane di età, la proporzione risulta compresa fra il 70 e il 95% in 22 Paesi su 30.
Lo status e la condizione soggettiva degli studenti hanno subito delle trasformazioni. La modifica più significativa, frutto dell'orientamento prevalente della psicopedagogia contemporanea, concerne il riconoscimento allo studente di un ruolo più personale e attivo nel processo di apprendimento, nonché della sua partecipazione diretta ad alcuni momenti o aspetti della gestione scolastica (v. studente). Si è cercato anche di rilevare, in termini comparativi, il sentimento di appartenenza e di partecipazione degli studenti nei riguardi delle istituzioni scolastiche frequentate. Un numero consistente di allievi continua a frequentare assiduamente la s., pur manifestando un fievole sentimento di appartenenza a quella istituzione. Nella media internazionale, infatti, circa un quarto degli studenti di 15 anni esprime un punto di vista negativo riguardo al suo interesse per la s. frequentata. Le due variabili, sentimento di appartenenza e grado di partecipazione, appaiono strettamente legate alla performance delle istituzioni. Negli istituti scolastici nei quali il grado d'impegno è più elevato, anche i risultati scolastici risultano migliori. D'altra parte non mancano casi di allievi relativamente 'brillanti' che pur manifestano un debole senso di appartenenza. Un punto alquanto delicato, ma che solleva crescenti preoccupazioni, riguarda la diffusa scarsa propensione alla selezione in base al merito: conta sempre più, per le politiche scolastiche, la consistenza della partecipazione (frequenza dei corsi), che la qualità degli apprendimenti.
Rendimenti scolastici e modelli didattici
La valutazione dei rendimenti scolastici dei sistemi di istruzione è per sua natura molto problematica. Diverse sono le condizioni di sfondo, interne ed esterne, e le variabili che dovrebbero essere prese in considerazione. Tradizioni culturali e pedagogiche, modelli organizzativi, condizioni di sviluppo economico e sociale non sono certamente fattori estranei alla qualità degli studi e ai livelli di istruzione espressi dagli studenti dei singoli Paesi. Ciò spiega le perplessità spesso registrate intorno ai risultati delle comparazioni internazionali in merito ai rendimenti scolastici degli allievi. Peraltro, i criteri di rilevazione sono ancora in fase di definizione. A titolo esemplificativo si possono richiamare alcune delle risultanze più generali di una indagine, presentata dal rapporto OCSE del 2004, relativamente alla comprensione di testi scritti da parte degli allievi di 15 anni. In media, nei Paesi considerati, il 10% dei giovani di quell'età raggiunge il livello 5 (il più alto) nella comprensione dei testi (che prevede, in particolare, la valutazione di informazioni, l'elaborazione di ipotesi, l'applicazione di conoscenze specialistiche). Al contrario, soltanto una media del 12% degli allievi di quell'età giunge ad acquisire le competenze più elementari, corrispondenti al livello 1, e ben il 6% fra costoro non raggiunge neppure il livello minimo. Non pochi Paesi (Germania, Grecia, Ungheria, Messico, Polonia, Portogallo e Svizzera) fanno registrare un 20% di allievi che si fermano a livello 1 o al di sotto di questo. Alcuni (Finlandia e Giappone) si distinguono per l'alto livello di performance media. Indicativo della relatività dei criteri di rilevazione di tali indagini è il fatto che ben sei fra i Paesi presi in esame (Germania, Stati Uniti, Grecia, Ungheria, Italia e Repubblica Ceca) hanno fatto registrare risultati relativamente più elevati nell'inchiesta PIRLS (Progress in International Readings Literacy Study), programma di ricerca in lettura scolastica curato dall'Associazione internazionale per la valutazione del rendimento scolastico, piuttosto che nell'inchiesta PISA (Program for International Student Assessment); tre Paesi (Islanda, Norvegia, Nuova Zelanda) appaiono invece meglio classificati nell'inchiesta PISA che in quella PIRLS; due (Francia e Svezia) hanno ottenuto risultati comparabili nelle due inchieste.
In attesa di indagini più strutturate, che tengano conto delle diverse variabili in gioco (fra le altre, l'ubicazione delle sedi scolastiche in grandi o piccoli centri, l'anzianità o meno dei gruppi docenti impiegati, il tipo di sostegni previsti per l'azione formativa, i calendari scolastici e la durata dei tempi di esposizione all'azione didattica), non resta che affidarsi alle indicazioni degli esperti e a quelle di politica educativa. Uno sguardo agli ordinamenti interni mostra che sensibili miglioramenti si sono registrati nell'impianto pedagogico e didattico dell'istruzione primaria, in ragione dei nuovi orientamenti della ricerca psicopedagogica, specie dopo le correzioni apportate, tra la fine del 20° e gli inizi del 21° sec., alle linee troppo ottimistiche dei diversi indirizzi di ricerca (v. didattica). Sembra anche essersi stabilizzato il profilo curricolare della prima fascia dell'istruzione secondaria, la quale, per un verso, si è ormai quasi del tutto distaccata dall'impostazione pedagogica e culturale della s. secondaria tradizionale, e, per l'altro verso, si è molto avvicinata al modello pedagogico di quella primaria. Ci si trova in sostanza di fronte ai primi otto/nove anni di istruzione (a seconda dei singoli ordinamenti), connotati da un tipo di preparazione di base comune a tutta la popolazione scolastica della corrispondente fascia di età. Il ventaglio delle materie di studio si è allargato al di là delle nozioni elementari relative alla lingua materna, all'aritmetica, alle prime nozioni di storia e di geografia, fino a comprendere l'insegnamento integrato di conoscenze scientifiche, lo studio di una o più lingue straniere, forme di educazione tecnica, di alfabetizzazione informatica e di altre attività didattiche. L'allargamento dell'impegno di studio ha comportato peraltro, come molto spesso è stato rilevato, una perdita o un affievolimento del livello di padronanza degli apprendimenti stessi, specie di quelli considerati fondamentali, soprattutto nel campo delle conoscenze morfologiche e sintattiche delle lingue. Da diversi ambienti (sia intellettuali sia politici) è stato stigmatizzato anche l'abbandono (in tutto o in parte) di alcune modalità apprenditive diffuse in passato (come l'uso frequente della lettura, dei compiti scritti in classe e a casa, della memorizzazione di brevi componimenti letterari). La linea della semplificazione dell'impegno didattico per non scoraggiare la partecipazione degli allievi, suggerita da non pochi orientamenti pedagogici, si è rivelata per alcuni versi controproducente, specie con riguardo al proseguimento degli studi nell'istruzione secondaria superiore.
Sempre più problematico è diventato invece il profilo culturale e pedagogico della s. secondaria superiore. La tradizionale distinzione dei percorsi di studio nei tre canali, rispettivamente, di formazione generale, tecnica e professionale, persiste ancora in numerosi ordinamenti, ma con sempre minore convinzione circa le loro sostanziali differenze d'impianto culturale e di destinazione formativa. In molti casi è stata messa in dubbio non tanto la validità, quanto l'opportunità, nel contesto delle contemporanee società aperte, tecnologiche e con alto grado di mobilità interna (orizzontale e verticale), di percorsi di studio rigidi e fortemente differenziati. In conseguenza di ciò, molte legislazioni scolastiche hanno cercato di avvicinare i diversi percorsi di istruzione secondaria superiore, sia attenuando le differenze culturali e disciplinari dei curricoli di studio, sia prevedendo e facilitando le possibilità di passaggi interni ai diversi percorsi. L'asse culturale umanistico non viene più privilegiato, gli insegnamenti scientifici sono stati in qualche misura irrobustiti pur con esiti non sempre soddisfacenti, gli insegnamenti tecnologici e professionalizzanti sono stati in alcuni casi ridimensionati e intesi semplicemente come preparatori o propedeutici rispetto a quelli specialistici da svolgere in sede postsecondaria. La tendenza alla 'licealizzazione' da una parte, e quella alla 'deprofessionalizzazione' dei corsi dall'altra, tendono a incontrarsi, secondo prospettive in atto in alcuni Paesi, nella progettazione di percorsi unitari anche a livello di s. secondaria superiore o almeno del primo biennio di questa. Si tratta di orientamenti che presentano, in termini formativi, dei vantaggi, ma anche limiti rilevanti. Essi non incontrano dappertutto la stessa adesione, e altrove suscitano perplessità e resistenze, motivate da ragioni non soltanto pedagogiche, ma anche socioculturali e politiche. Forse la critica maggiore mossa a tali orientamenti consiste nel fatto che essi finiscono per rinviare (come già in molti casi avviene) a livello di istruzione superiore (universitaria e non) quella formazione culturale forte, considerata indispensabile per un proficuo proseguimento degli studi di terzo livello.
Personale docente
A definire il ruolo professionale dei docenti concorrono parametri molteplici e di differente natura (v. insegnante). Due linee di tendenza vanno in particolare segnalate: una riguarda il livello della formazione iniziale degli insegnanti; l'altra concerne i modi di organizzazione e svolgimento del lavoro docente. Nella maggior parte dei Paesi è ormai riconosciuta la necessità che tutti gli insegnanti, compresi quelli della s. primaria, siano provvisti di un titolo di studio universitario, anche se permangono differenze nel modo di concepire e organizzare il percorso di studi corrispondente. A seconda di come è organizzato il corso per il conseguimento di tale titolo, varia la forma e la consistenza di un possibile periodo di tirocinio, e anche il criterio di reclutamento dei docenti. Per quanto attiene all'organizzazione del lavoro degli insegnanti, c'è da segnalare un sensibile allargamento dell'interesse verso modalità di partecipazione collegiale alla progettazione e attuazione dell'attività didattica. Si profila un tipo di lavoro in équipe dei docenti impegnati nei singoli corsi di istruzione, soprattutto in ordine alla definizione dei programmi, al coordinamento interdisciplinare, alla individuazione delle misure comuni di sostegno dell'azione formativa, ai criteri di valutazione da seguire, anche in relazione alle caratteristiche dell'ambiente di provenienza degli studenti. Aumentano di conseguenza le figure più o meno specializzate di docenti in relazione alle esigenze citate. In alcuni casi gli istituti scolastici fanno operare gli insegnanti all'interno di veri e propri staff, comprendenti esperti di diversa provenienza (tecnici di programmazione e di valutazione, psicologi, esperti di laboratorio, medici, assistenti sociali ecc.). Tutto ciò, accanto ai vantaggi riscontrabili (specificamente nel campo dell'istruzione primaria), solleva anche alcuni problemi e provoca inconvenienti di varia natura (tensioni interne al gruppo docente, parziale burocratizzazione del lavoro degli insegnanti, maggiore attenzione dedicata alle problematiche sociali e psicopedagogiche rispetto alle dimensioni culturali degli insegnamenti, tendenza a sottovalutare il merito specifico delle competenze disciplinari degli studenti rispetto ad altri parametri di valutazione).
Investimenti e spesa per l'istruzione
Le spese unitarie dell'educazione aumentano progressivamente nell'insieme dei Paesi dell'OCSE con i livelli di istruzione, dall'insegnamento primario a quello terziario. In media si spende 2,2 volte più per uno studente di livello terziario che per uno di livello primario. La spesa unitaria rappresenta in media il 20% del PIL per abitante nell'istruzione primaria, il 26% nell'istruzione secondaria, il 42% nell'insegnamento terziario. Vale la pena notare che non sempre a una spesa unitaria più contenuta corrispondono servizi di istruzione di modesta qualità. Infatti, Australia, Finlandia, Irlanda e Regno Unito, dove la spesa per l'insegnamento primario e per il primo ciclo di s. secondaria è relativamente minore che altrove, figurano fra i Paesi i cui allievi di 15 anni realizzano i migliori risultati nelle materie principali. Nel costo globale dell'istruzione, la spesa preponderante continua a essere quella destinata alla remunerazione degli insegnanti. In media i Paesi dell'OCSE destinano il 6,2% del loro PIL al finanziamento degli istituti d'istruzione. Fra il 1995 e il 2002 gli investimenti di risorse pubbliche e private a favore dell'educazione sono aumentati di circa il 5% in termini reali, anche se la spesa non è generalmente aumentata allo stesso ritmo della ricchezza nazionale.
La situazione della scuola in Italia
Il sistema scolastico italiano, come quello di altri Paesi europei, subisce l'effetto di due tendenze contrapposte: conseguire il massimo della partecipazione e del coinvolgimento ai diversi livelli dell'istruzione; elevare la qualità e l'efficacia dei processi di istruzione in ordine ai rendimenti individuali degli allievi. Le due direzioni rimangono difficilmente conciliabili, con conseguenze non positive sull'intero sistema, in assenza di una visione unitaria forte dei problemi dell'istruzione.
Un altro aspetto da considerare è quello relativo al governo e alla gestione del sistema scolastico, che attraversa una fase ancora fluida circa la precisa demarcazione fra le funzioni centrali di indirizzo, da un lato, indispensabili a garantire parametri nazionali di riferimento e soprattutto ad avere una visione coerente d'insieme dei processi formativi e dei loro effetti sulla società civile e lo sviluppo economico, e la necessità, dall'altro lato, di riconoscere effettivi spazi di autonomia decisionale, oltre che gestionale, agli enti locali e alle singole istituzioni scolastiche, in ragione non solo di specifici bisogni formativi, ma anche di una maggiore assunzione di responsabilità da parte delle singole istituzioni.
Fenomenologia del sistema scolastico
La popolazione scolastica italiana, nell'anno 2004-05, comprendeva complessivamente 8.865.569 alunni, di cui 7.647.891 frequentanti le istituzioni statali. Nel decennio fra il 1994-95 e il 2004-05, la s. dell'infanzia ha trovato un sostanziale assestamento: mentre i bambini che la frequentano sono aumentati (passando da 1.582.338 a 1.656.691), le istituzioni che li ospitano sono diminuite (da 26.573 a poco più di 25.000 unità) e così pure i docenti impegnati (da 121.250 a 87.545). Nello stesso periodo il processo di razionalizzazione delle strutture è andato avanti un po' in tutti i livelli scolastici: il numero degli studenti è leggermente diminuito, in relazione soprattutto al fenomeno del decremento demografico (gli studenti della s. primaria sono passati da 2.815.631 a 2.769.907, quelli della secondaria di primo grado da 1.950.370 a 1.790.057, quelli della secondaria di secondo grado da 2.723.715 a 2.648.914); ma sono diminuiti anche, proprio per effetto di quella razionalizzazione, sia il numero degli istituti sia, soprattutto, il numero dei docenti impiegati. Questi ultimi che erano complessivamente 965.820 nel 1994-95, sono diventati 805.355 nell'anno scolastico 2004-05. Il numero degli alunni per docente è conseguentemente aumentato nel corso del decennio considerato, passando da 11,2 a 11,5 nella s. dell'infanzia, da 9,4 a 10,1 nella s. primaria, da 8,1 a 9,7 nella secondaria di primo grado, da 9,2 a 11 nella secondaria superiore.
Il fenomeno più sensibile riguarda il progressivo incremento della frequenza di alunni con cittadinanza non italiana, che, nel decennio considerato, sono passati da 8.592 a quasi 60.000 nella s. dell'infanzia, da 20.135 a 121.415 nella primaria, da 9.089 a 71.447 nella secondaria di primo grado, da 6.060 a 50.912 nella secondaria di secondo grado. Tale fenomeno sembra destinato a crescere. Anche in previsione di ciò, oltre all'istituzione nel 2004 di un apposito ufficio presso il Ministero dell'Istruzione, sono state elaborate, nel marzo 2006, le Linee guida per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni stranieri, al fine sia di individuare alcuni punti fermi di carattere normativo sia di fornire opportuni suggerimenti di carattere organizzativo e didattico. Alla popolazione studentesca del sistema di istruzione è da aggiungere quella costituita dagli allievi dei corsi di formazione professionale regionale, rivelatasi in sensibile aumento nel corso dei primi anni del 21° sec.: gli allievi, da 551.417 nell'anno 1999-2000, sono diventati 916.140 nel 2002-03; anche i relativi corsi sono passati, nello stesso periodo, da 34.152 a 72.289.
La scolarizzazione, nei primi tre livelli scolastici (compresa la s. dell'infanzia), riguarda ormai l'intera fascia di età corrispondente (il tasso risulta superiore al 100% dei coetanei in considerazione del calcolo dei fenomeni di anticipo, ritardo e ripetenza). Nella secondaria superiore il tasso di scolarità ha significativamente raggiunto il 92,6% della popolazione in età corrispondente. Anche il tasso di conseguimento del diploma nella s. secondaria superiore ha superato il 76% e il tasso di passaggio all'università corrisponde al 76,4% dei diplomati della secondaria. Gli studenti che hanno frequentato tale livello di istruzione, nell'anno scolastico 2005-06, risultano così distribuiti fra i diversi tipi di istituto: 35% negli istituti tecnici, 21,2% in quelli professionali, 2,3% negli istituti d'arte, 7,6% negli istituti magistrali, 21,8% nei licei scientifici, 10,5% nei licei classici, 1,6% in quelli artistici. È in atto un processo di leggera ma progressiva contrazione dei nuovi iscritti agli istituti tecnici (passati, dal 2001-02 al 2003-04, dal 36,8% al 34,7% del totale) e agli istituti professionali (dal 25,3% al 23,8%), mentre è proporzionalmente in crescita il numero di quelli che si iscrivono ai licei (passati, nel periodo considerato, dal 26,7% al 29,8%). Questa tendenza alla licealizzazione del percorso di studi secondari, pur risalente nel tempo, sembra accentuarsi per effetto della prospettiva della nuova legge di riforma scolastica (v. oltre).
Quanto ai risultati di merito dei processi di istruzione, si dispone per la prima volta di un rapporto nazionale curato dall'INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione), nel quadro del progetto OCSE-PISA 2003, e riguardante il livello di competenza dei quindicenni italiani in alcuni ambiti disciplinari.
I risultati degli studenti italiani risultano, in generale, più bassi della media OCSE. Tuttavia, come si legge nel rapporto, il dato dell'Italia nasconde differenze notevoli fra le diverse aree geografiche e fra i diversi tipi di istruzione. In materia di competenza di lettura (ma anche per matematica e altre competenze), il Nord-Est dell'Italia si colloca a un posto elevato nella graduatoria dei Paesi OCSE, preceduto solo da Finlandia, Canada, Australia e Nuova Zelanda; il Nord-Ovest si colloca anch'esso significativamente al di sopra della media; il Sud e le isole si collocano invece a un livello molto basso. Con riguardo ai tipi di istruzione, si osserva che gli studenti (di primo anno) dei licei conseguono risultati superiori alla media dei Paesi OCSE, mentre gli studenti degli istituti tecnici e, ancor più, degli istituti professionali, mostrano performances inferiori a tale media. In una pagina di sintesi del rapporto si osserva che le differenze, da un lato, evidenziano che il sistema scolastico italiano porta, in determinate condizioni, a risultati più che soddisfacenti, e che, dall'altro lato, fa emergere situazioni di svantaggio, che esigono un approfondimento delle cause degli insuccessi. Si è detto delle riserve che comparazioni del genere suscitano sotto più riguardi. Anche in questo caso, basta osservare la tipologia e le modalità delle domande poste agli allievi per capire che esse rispondono a una impostazione metodologica e didattica di tipo anglosassone largamente adottata altrove, ma poco in Italia e in altri Paesi europei. E, d'altra parte, restano esclusi da simili indagini altri campi d'interesse non meno significativi sotto il profilo pedagogico.
La razionalizzazione della rete scolastica sul territorio (a cui si è fatto cenno in precedenza), il trasferimento nei ruoli di alcune decine di migliaia di docenti precari (nel 2004-05, quasi l'87% dei docenti era di ruolo e il 13% aveva un contratto a tempo determinato; quest'ultima percentuale dovrebbe essere ulteriormente diminuita nel 2005-06 per effetto di nuovi provvedimenti adottati), il maggiore impegno amministrativo per l'apertura immediata dell'anno scolastico con tutti o quasi i docenti in servizio (superando così l'annoso ritardo nelle operazioni di nomina) costituiscono tre dei fattori più significativi in ordine al corretto funzionamento dei servizi di istruzione. Secondo il rapporto del CENSIS (Centro Studi Investimenti Sociali) del 2005, la spesa pubblica per allievo, misurata in dollari, nel 2002 risultava pari a 5.445 nella s. preprimaria, 7.231 nella primaria, 8.073 nella secondaria di primo grado, 7.221 nella secondaria superiore (tab. 49). Dalla comparazione con altri Paesi OCSE, l'Italia si colloca fra quelli che spendono di più per la s. preprimaria, per quella primaria e per la secondaria di primo grado; si colloca in una posizione medio-alta per quanto riguarda la spesa per studente di s. secondaria superiore. Secondo il rapporto, nel periodo 1997-2003, la spesa pubblica complessiva per istruzione e formazione è aumentata di circa 20 punti percentuali (19,9%). In rapporto al PIL, la spesa è passata nello stesso periodo dal 4,53 al 4,98%; in rapporto alla spesa pubblica totale, dall'8,94 al 10,21 % (tab. 50 del rapporto citato).
Innovazioni nel sistema scolastico italiano
Fra il 1997-98 e il 2005-06, dopo decenni di stasi o di modesti interventi, l'intero sistema di istruzione è stato interessato da un largo processo innovativo. Il primo intervento di rilievo ha riguardato l'introduzione dell'autonomia organizzativa e didattica delle singole istituzioni scolastiche, prevista dal legislatore nel 1997 e divenuta operativa dal settembre 2000 (v. autonomia): si è trattato di un intervento che ha significato qualcosa di più di un semplice trasferimento di competenze e di iniziative dall'amministrazione centrale alle sedi direttamente impegnate nella conduzione del servizio, anche se ha aperto problemi di natura organizzativa e funzionale di non facile soluzione.
Contestualmente si è reso necessario sia l'adeguamento della figura dei capi di istituto, ai quali è stata riconosciuta la qualifica dirigenziale (d. legisl. 6 marzo 1998 nr. 59), sia il riordino dell'amministrazione scolastica centrale e periferica (d.p.r. 6 nov. 2000 nr. 347). Per gli studenti è stato definito uno status aggiornato ai nuovi orientamenti pedagogici, con il varo nel 1998 dello "Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria" (v. studente). Gli esami di maturità sono stati sostituiti da "esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore", la cui disciplina giuridica (d.p.r. 23 luglio 1998 nr. 323) è stata molto criticata, tanto che la nuova l. 11 genn. 2007 nr. 1 ha introdotto sensibili modifiche, fra le quali il ripristino dello scrutinio finale di ammissione agli esami, il ritorno alla commissione esaminatrice composta in parti uguali di docenti interni ed esterni, la parziale revisione dei punteggi delle prove di esame e la possibilità di attribuire la lode.
Fra non poche polemiche, è stata anche varata nel 2000 la disciplina sulla parità scolastica, che consente agli istituti scolastici non statali (appartenenti a enti locali, a enti religiosi e a privati) di ottenere, nel rispetto di alcune norme essenziali, la parità con gli istituti statali e di entrare così a far parte del 'sistema nazionale di istruzione' (v. parità). Sul piano degli ordinamenti, con la legge-quadro 10 febbr. 2000 nr. 30, è stato tentato un riordinamento generale dei cicli di istruzione, che prevedeva, dopo la "scuola dell'infanzia", un "ciclo primario" della durata di sette anni, da realizzare in una "scuola di base" (comprensiva delle tradizionali s. elementare e s. media), e un "ciclo secondario", della durata di cinque anni, da realizzare nella "scuola secondaria" chiamata liceo. L'intero percorso di istruzione sarebbe risultato così ridotto di un anno, e l'istruzione secondaria avrebbe subito una forma di progressiva uniformizzazione interna dei singoli percorsi di studio.
Per questi e altri motivi, lo schema di attuazione della legge non ha avuto seguito.La riforma generale del "sistema educativo di istruzione e di formazione" è stata prevista dalla l. 28 marzo 2003 nr. 53. Con il d. legisl. 19 febbr. 2004 nr. 59, si è provveduto alla definizione delle norme attuative relative alla s. dell'infanzia e al primo ciclo di istruzione, costituito dalla s. primaria e dalla s. secondaria di primo grado. Con il d. legisl. 17 ott. 2005 nr. 226, sono state definite le finalità, la struttura, l'organizzazione educativa e didattica, la valutazione relative al secondo ciclo di istruzione e formazione, comprendente il sistema dei licei e i percorsi del sistema di istruzione e formazione professionale. La s. dell'infanzia, della durata di tre anni, per i bambini fra 3 e 6 anni di età, non presuppone l'obbligatorietà della frequenza in ossequio alla responsabilità educativa dei genitori in questo campo, ma è stata aggiornata nel suo profilo educativo e inserita all'interno del sistema complessivo, anche per favorire la continuità educativa fra i servizi all'infanzia e la s. primaria (v. infanzia: Scuola dell'infanzia). Nel primo ciclo di istruzione, la s. primaria, della durata di cinque anni, si articola in un primo anno, di raccordo con la s. dell'infanzia, e in due bienni successivi. La s. secondaria di primo grado, della durata di tre anni, si articola in un biennio e in un terzo anno, che assicura l'orientamento e il raccordo con il secondo ciclo. Il passaggio dalla s. primaria alla secondaria di primo grado avviene sulla base della valutazione positiva al termine del secondo biennio; l'intero primo ciclo di istruzione si conclude con un esame di Stato (v. istruzione: Sistema di istruzione italiano).
Del secondo ciclo di istruzione dovevano far parte, secondo la già citata l. 53/2003, il sistema dei licei e il sistema dell'istruzione e formazione professionale. Con l'art. 13 nel d.l. 31 genn. 2007 nr. 7, si è stabilito che il secondo ciclo di istruzione è costituito dal sistema dell'istruzione secondaria superiore e dal sistema dell'istruzione e formazione professionale. Del primo sistema continuano a far parte i licei, gli istituti tecnici e gli istituti professionali.
Il sistema dei licei delineato dalla riforma del 2003 prevedeva percorsi di durata quinquennale, articolati in due periodi biennali e in un quinto anno destinato al completamento dello specifico indirizzo disciplinare, alla maturazione di competenze e abilità per l'accesso ai corsi di studio superiore, nonché per l'inserimento nel mondo del lavoro (anche mediante iniziative di studio-lavoro per progetti). Il liceo artistico, a partire dal secondo biennio, doveva prevedere i seguenti indirizzi: arti figurative; architettura, design, ambiente; audiovisivo, multimedia, scenografia. Il liceo classico, il liceo linguistico, il liceo scientifico e il liceo delle scienze umane dovevano costituire corsi unici, senza distinzione interna di indirizzi. Il liceo economico doveva comprendere, al suo interno, a partire dal secondo biennio, l'indirizzo economico-aziendale e quello economico-istituzionale. Il liceo musicale e coreutico si doveva articolare nella sezione musicale e in quella coreutica. Il liceo tecnologico doveva comprendere, anch'esso a partire dal secondo biennio, i seguenti indirizzi: meccanico-meccatronico; elettrico ed elettronico; informatico, grafico e comunicazione; chimico e materiali; produzioni biologiche e biotecnologie alimentari; costruzioni, ambiente e territorio; logistica e trasporti; tecnologie tessili, dell'abbigliamento e della moda. Con le modifiche che sono state introdotte dal citato d.l. del 2007, tanto il liceo economico quanto il liceo tecnologico non sono più previsti.
I percorsi del sistema di istruzione e formazione professionale, rientranti nella competenza esclusiva delle Regioni e i cui livelli essenziali delle prestazioni sono definiti dal citato d. legisl. 226/2005, hanno durata quadriennale e danno luogo a titoli e qualifiche che consentono l'accesso all'istruzione e formazione tecnica superiore (v. formazione); con la frequenza di un successivo corso annuale, gli allievi sono ammessi a sostenere l'esame di Stato e possono così accedere all'università. In ambito provinciale o subprovinciale possono essere costituiti "poli tecnico-professionali" fra istituti tecnici, istituti professionali, altre strutture formative e gli istituti tecnici superiori. Sono da segnalare, poi, i seguenti altri provvedimenti: definizione delle norme generali sul diritto-dovere all'istruzione e alla formazione (d. legisl. 15 apr. 2005 nr. 76); definizione delle norme generali relative all'alternanza scuola-lavoro (d. legisl. 15 apr. 2005 nr. 77).
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